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Diabete, 400mila casi in più dopo la pandemia da Covid-19

Diabete, 400mila casi in più dopo la pandemia da Covid-19Roma, 11 lug. (askanews) – In Italia, secondo i dati Istat, sono circa 3,9 milioni le persone che hanno dichiarato di avere il diabete nel 2022, ovvero il 6,6 per cento della popolazione, con un aumento di 400mila casi dopo i due anni di pandemia da Covid-19. Si stima, infatti, che la prevalenza del diabete sia cresciuta del 14 per cento nella popolazione tra il 2019 e il 2022, aumento attribuibile al continuo invecchiamento della popolazione solo per il 50 per cento, mentre per l’altra metà è ipotizzabile sia correlato da un lato al peggioramento di alcuni fattori di rischio nel periodo della pandemia, come l’aumento di eccesso di peso e la riduzione dell’attività fisica, e dall’altro alla tendenza di diagnosi di diabete più precoci. Questi sono alcuni dei dati presenti all’interno dell’Italian Diabetes Barometer Report “La pandemia del diabete e il suo impatto in Italia e nelle regioni: dati di una pandemia in continua evoluzione”, presentato oggi durante il 16th Italian Barometer Diabetes Summit 2023.

L’evento è realizzato in collaborazione con Intergruppo parlamentare Obesità, Diabete e malattie croniche non trasmissibili, Italian Barometer Diabetes Observatory Foundation (IBDO Foundation), Istat, Università Tor Vergata di Roma – Dipartimento Medicina dei Sistemi, Coresearch, Crea Sanità, Bhave, e con il contributo non condizionato di Novo Nordisk, nell’ambito del programma Driving Change in Diabetes, con il patrocinio del Ministero della salute, Anci – Associazione nazionale comuni italiani, Istituto superiore di sanità e vedrà la partecipazione di Istituzioni, società scientifiche ed esperti che si confronteranno sulla portata economica, sociale, clinica e politica del diabete in Europa e in Italia e sul valore della prevenzione, della diagnosi e del trattamento precoce e innovativo. «Anche quest’anno i dati confermano in Italia un lieve incremento del numero di persone affette da diabete, oltre il 6 per cento della popolazione, cui si stima debba aggiungersi circa un milione e mezzo di casi non diagnosticati. Proprio per la sua prevalenza, per la tendenza al progressivo aumento e per la stretta relazione con le diseguaglianze sociali – come emerge dal monitoraggio continuo effettuato dal sistema di sorveglianza PASSI, attivo presso l’Istituto Superiore di Sanità – il diabete resta una delle sfide più impegnative con cui è chiamato a misurarsi il Servizio Sanitario Nazionale. Una sfida anche per valutare la capacità di tutelare in modo uniforme il diritto alla salute e di diminuire i gap tra Nord e Sud Italia», commenta Orazio Schillaci, Ministro della Salute, a cui è stato conferito il premio “Galileo Galilei”, riconoscimento attribuito a eccellenze cliniche, economiche, sociali e politico-sanitarie che si sono distinte per la lotta alle malattie croniche non trasmissibili.

In linea con gli anni passati, anche nel 2022 sono emerse importanti differenze tra le regioni del nord e del sud per quanto riguarda la percentuale di persone con diabete; si passa, infatti, dal 4,7 per cento nel nord-est al 6,9 per cento al sud. «Il sud Italia è il territorio con la maggior percentuale di persone con diabete, dove il triste primato lo detiene la Calabria con l’8,5 per cento di popolazione con la malattia. Se confrontiamo però i dati prima e dopo la pandemia da Covid-19, a parità di età, il maggior aumento di persone con diabete è stato registrato per il Nord-Ovest in Piemonte, che è passato dal 4,5 per cento al 5,7 per cento della popolazione colpita, mentre per il sud in Campania che è passato dal 6,3 per cento al 7,8 per cento. Un aumento importante in questi anni si è registrato anche nella PA di Trento, che nel 2019 aveva il 3,8 per cento della popolazione con diabete e nel 2022 il 5,5 per cento», sottolinea Roberta Crialesi, Dirigente Servizio Sistema integrato salute, assistenza, previdenza e giustizia, Istat. «Negli anni della pandemia, la patologia diabetica ha comportato complicanze per molte persone, con un aumento significativo della fragilità degli individui e un aumento del rischio di decesso. Nel primo anno (2020) sono stati oltre 97 mila i decessi in cui il diabete è presente come causa iniziale o come concausa, il 13 per cento del totale. L’incremento rispetto al 2010 è stato del 33 per cento e molto significativo (+25 per cento) anche rispetto al 2019. Gli ultimi dati di mortalità per causa, diffusi di recente, testimoniano le notevoli evidenze del legame tra Covid-19 e diabete, rendendo sempre più urgente la messa in campo di interventi per prevenire e contrastare la diffusione della malattia», specifica Francesco Maria Chelli, Presidente facente funzioni dell’ISTAT Vergata nella prefazione dell’IBDO Report.

Ambiente e salute: intesa Ispra-Campus-Biomedico di Roma

Ambiente e salute: intesa Ispra-Campus-Biomedico di RomaRoma, 11 lug. (askanews) – Studiare cambiamenti climatici e sostenibilità; biodiversità; destino ambientale e alimentazione sostenibile; metagenomica, antibioticoresistenza; ingegneria biomedica, informatica e robotica per lo sviluppo di attività di ricerca, innovazione e formazione nel settore delle relazioni tra ambiente e salute seguendo un approccio One Health attraendo giovani talenti attraverso la collaborazione all’attività didattica, lo sviluppo di percorsi di alta formazione e il supporto alle borse di Dottorato: questi gli obiettivi del protocollo d’intesa stipulato tra ISPRA, Istituto Superiore per la Protezione Ambientale, e Università Campus Bio-Medico di Roma (UCBM), della durata di 3 anni. Alla firma erano presenti il prof. Eugenio Guglielmelli, Rettore dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, l’Amministratore Delegato e Direttore Generale UCBM Andrea Rossi, il presidente ISPRA Stefano Laporta e il Direttore Generale ISPRA Maria Siclari. UCBM è un’università non statale, che comprende le Facoltà Dipartimentali di Scienze e Tecnologie per lo Sviluppo Sostenibile e One Health, di Ingegneria e di Medicina e Chirurgia, con 53 Unità di Ricerca, che svolgono attività di ricerca di base e applicata nell’ambito delle scienze della vita, ingegneria, scienze dell’alimentazione, sviluppo sostenibile e one-health, life cycle assessment, green and circular economy, bioeconomia. Offre strutture didattiche, di ricerca e innovazione all’avanguardia collegate con la Fondazione Policlinico Universitario Campus Bio-Medico e all’interno della Riserva Naturale Regionale di Decima Malafede per una formazione integrata del professionista e della persona. ISPRA, oltre alle attività proprie del suo mandato in materia ambientale, promuove e sostiene una strategia globale per la salute, l’ambiente e i cambiamenti climatici, anche attraverso lo studio ed il monitoraggio di fattori esterni legati all’insorgenza di malattie. Missione congiunta di ISPRA e UCBM è la promozione dell’interdisciplinarietà nella ricerca e nella formazione, con particolare riferimento agli ambiti che concorrono alla tutela dell’ambiente e della salute umana. Con questo protocollo, intendono contribuire ad assicurare ambienti sempre più sicuri e accessibili secondo principi di equità e di sostenibilità, perseguendo come fine ultimo il bene del cittadino, di tutti gli esseri viventi e dell’ambiente.

Sla, Arisla presenta nuovo piano ricerca e lancia la campagna 5X1000

Sla, Arisla presenta nuovo piano ricerca e lancia la campagna 5X1000Roma, 11 lug. (askanews) – Colpisce cellule nervose, i motoneuroni, e nel tempo paralizza tutti i muscoli volontari, compromettendo molteplici funzioni vitali: respirazione, fonazione deglutizione. Ma la SLA-Sclerosi Laterale Amiotrofica, oltre 6mila pazienti in Italia, nonostante cambi profondamente la vita di chi ne è colpito, non fa perdere la capacità di pensare, di provare emozioni e di condividere con gli altri la propria esperienza di vita. Fondazione AriSla, ente non profit che finanzia la ricerca sulla malattia, ha da poco pubblicato il Bilancio sociale relativo all’anno 2022 in cui presenta un nuovo piano strategico pluriennale per la ricerca.

Spiega Mario Melazzini, presidente AriSla: “In particolare noi vogliamo, grazie alla declinazione del piano strategico, dare la priorità a quegli studi che hanno un impatto concreto sulla conoscenza, sulla diagnosi precoce e sul trattamento potenziale per questa malattia, focalizzando su ciò che è indispensabile, cioè l’identificazione dei biomarcatori, lo sviluppo di modelli nuovi anche per lo studio in particolare della forma sporadica di malattia e per poter andare declinare ciò che può essere l’evoluzione prognostica delle varie forme di sclerosi laterale amiotrofica. L’obiettivo è identificare tutto ciò che può essere il biomarcatore che ci potrà permettere di identificare la fase presintomatica della malattia per poter meglio comprendere queste manifestazioni così diverse, eterogenee, che la malattia stessa mette in essere a ricaduta sui vari pazienti colpiti . Ormai – prosegue – siamo da più di dieci anni in prima linea come ente no profit e ricerca su una malattia rara a sostegno di una ricerca di elevata qualità e soprattutto di innovatività perché fondamentalmente la ricerca è l’unico strumento in grado di arrivare a risposte che ad oggi purtroppo non abbiamo ancora a disposizione. Come fondazione AriSla, fino ad oggi abbiamo investito circa 15 milioni di euro in attività di ricerca. Abbiamo supportato e stiamo supportando 143 ricercatori e abbiamo finanziato 98 progetti in tutti quegli ambiti cui facevo riferimento prima: dalla ricerca di base e poi quella clinica. E abbiamo raggiunto tanti buoni risultati che vengono testimoniati dall’enorme numero di pubblicazioni scientifiche a forte impatto – sono più di 370 ad oggi – e che hanno una ricaduta positiva In termini di conoscenza sulla comunità Scientifica Nazionale e internazionale”. E proprio per sostenere la ricerca scientifica sulla sclerosi laterale amiotrofica, AriSla ha lanciato questa settimana una campagna per le donazioni attraverso il 5×1000. “Grazie al 5×1000 raccolto negli ultimi anni – sottolinea Melazzini – abbiamo finanziato circa 21 progetti di ricerca sulla Sla quindi ciò che mi sento di dire adesso, che diventa fondamentale per tutti noi, è che donare anche col 5×1000 è un grandissimo gesto”. Per farlo basta firmare il riquadro “Finanziamento della ricerca scientifica e della Università” oppure del “Finanziamento della ricerca sanitaria” sul modello per la dichiarazione dei redditi, inserendo il Codice Fiscale della Fondazione: 97511040152.

Ogni contribuente può donare il proprio 5 per mille a un solo beneficiario. I codici fiscali degli enti ammessi al beneficio sono consultabili negli elenchi resi pubblici dall’Agenzia delle Entrate. Tutte le informazioni sul sito Airsla.org

Rapporto “MonitoRare”: bene Piano nazionale, ancora disomogeneità Nord-Sud

Rapporto “MonitoRare”: bene Piano nazionale, ancora disomogeneità Nord-SudRoma, 11 lug. (askanews) – Presentato oggi a Roma, dinanzi ad oltre 150 partecipanti, numerosi rappresentanti delle Istituzioni nazionali ed europee – tra i quali il sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato – ed autorevoli componenti della comunità scientifica, il IX Rapporto MonitoRare sulla condizione delle persone con malattia rara in Italia. Dal 2015 la Federazione UNIAMO – unico caso in Europa – raccoglie e aggrega tutti i dati disponibili tra gli attori in gioco per dare vita a un documento che offra una visione globale del sistema malattie rare, partendo dal punto di vista del paziente.

Dalla lettura del documento emergono tutti i punti di forza e le criticità del sistema italiano, eccellenza in Europa che viaggia, però, a due velocità. Abbiamo un ambizioso Piano Nazionale Malattie Rare arrivato dopo 3 anni di lavoro e che ora necessita di essere attuato (per farlo sono a disposizione 50 milioni di euro, il primo finanziamento per il PNMR); una legge dedicata (Disposizioni per la cura delle malattie rare e per il sostegno della ricerca e della produzione di farmaci orfani); uno screening neonatale esteso eccellenza europea (a fine 2022 il programma di screening neonatale esteso è attivo in tutte le Regioni/Province Autonome e cresce l’omogeneizzazione delle patologie inserite) ma ancora non aggiornato: la SMA non è stata ancora inclusa nel panel; il numero di HCPs appartenenti ad ERN più alto d’Europa; trattamenti approvati in numero pari alla media europea; 8,4 milioni di dosi di farmaci orfani erogate, pari allo 0,03% del consumo farmaceutico totale: una spesa molto contenuta; aumento del numero di farmaci per le malattie rare compresi nell’elenco della Legge n. 648/1996 (dai 31 del 2018 ai 45 del 2022), dei corsi ECM dedicati alle malattie rare (da 49 nel 2021 a 74 nel 2022) e del peso degli studi clinici autorizzati sulle malattie rare sul totale delle sperimentazioni cliniche (dal 31,5% del 2018 al 35,3% del 2022). D’altra parte le indagini che la Federazione ha sviluppato, attraverso il Barometro di MonitoRare, ci dicono che i problemi più sentiti dalla comunità delle persone con malattia rara – circa 2 milioni di persone – e delle loro famiglie sono quelli che impattano sulla zona grigia che esiste fra assistenza sanitaria e supporto sociale (la separazione delle competenze tra Ministero della Salute e Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, con fondi non integrabili ma soprattutto con una mancanza di interscambi strutturati che non aiuta la costruzione di una rete di supporto) e quelli causati dalle disomogeneità territoriali che creano una sempre più profonda spaccatura tra Nord e Sud (7 Regioni/PPAA non hanno alcun centro partecipante alle ERNs e 2/3 degli ospedali che partecipano ad almeno una ERN si trova nelle regioni settentrionali), alimentando il fenomeno della mobilità sanitaria, con tutte le sue conseguenti implicazioni sanitarie, sociali etiche ed economiche per i pazienti (la stima della mobilità sui dati dei RRM è pari al 15% nella popolazione complessiva e arriva a superare al 17,8% nei minori).

Rimangono poi i grandi temi irrisolti: il percorso diagnostico è ancora troppo lungo (di media servono 4 anni per arrivare ad una diagnosi); le terapie restano insufficienti (ad oggi sono disponibili solo per il 5% delle patologie) e i tempi per divenire disponibili troppo dilatati; necessità di sviluppare una presa in carico “olistica” che comprenda tutto il percorso della persona e includa, sempre, il supporto psicologico; l’inclusione scolastica e l’inserimento lavorativo delle persone con malattia rara e, più in generale, con disabilità ancora lontani dall’essere realmente garantiti (UNIAMO ha già presentato delle proposte di miglioramento della Legge 68/99); l’urgenza di avere una formazione adeguata per tutti gli attori in gioco, dai clinici ai rappresentanti dei pazienti fino ad arrivare a quelli delle Istituzioni; la garanzia di un l’accesso omogeneo a cure palliative di qualità, slegandole dall’accezione comune legata ad un fine vita. “Molto è stato fatto, molto altro rimane ancora da fare. Come sempre – così la Presidente di UNIAMO, Annalisa Scopinaro, in chiusura della Convention MonitoRare – la Federazione è motore propulsivo e farà la sua parte, mettendo insieme tasselli di cui questo Rapporto è un esempio importante, fungendo da supporto e stimolo ai ragionamenti che faremo tutti insieme. E come di consueto, il Rapporto è dedicato sia a tutte le persone con malattia rara, che alle tante persone e alle loro famiglie che ogni giorno dimostrano, con la loro vita e il loro operato all’interno delle Associazioni, che una malattia rara che irrompe nel quotidiano è una delle tante occasioni che la vita ci dà per migliorare questo mondo e renderlo più equo e giusto per tutti”.

Long Covid, progetto ricerca Pascnet per presa in carico pazienti

Long Covid, progetto ricerca Pascnet per presa in carico pazientiRoma, 10 lug. (askanews) – Quando si manifesta comporta perdita di memoria, deficit di attenzione concentrazione e problemi di linguaggio. Per questo si chiama “brain fog”, perché è simile a una nebbia mentale, che genera anche disturbi del sonno e difficoltà a condurre normali funzioni quotidiani. Nonostante molti di questi sintomi siano curati, spesso non è facile ricondurli all’infezione da Covid, perché a oggi non esiste ancora un protocollo per la presa in carico di pazienti affetti da Pasc, ossia le sequele post-acute dell’infezione da Sars Cov 2.

Prendersi cura di quei pazienti che, a distanza di mesi e anche anni dal contagio, ne sono colpiti è l’obiettivo principale di Pascnet, il progetto scientifico “La sindrome post-Covid: far fronte a una nuova emergenza di sanità pubblica con una gestione innovativa e il network building”, di cui l’Università Cattolica del Sacro Cuore è capofila, e finanziato da Fondazione Cariplo nell’ambito del bando “Networking, ricerca e formazione sulla sindrome post-Covid”. «Dall’inizio della pandemia ci sono stati 46mila decessi con Covid. E un totale di contagi, i cosiddetti casi positivi, pari a oltre 4milioni e 200mila. Tuttavia, ancora poco si sa che cosa succeda ai pazienti dopo la guarigione dal Covid», spiega Claudio Lucifora, direttore del Centro di ricerca sul Lavoro “Carlo Dell’Aringa”, coordinatore del progetto cui collaborano anche altri due atenei, l’Università degli Studi di Milano-Bicocca e l’Università degli Studi di Pavia. «Il disegno sperimentale del progetto è articolato in due fasi: la prima prevede uno studio retrospettivo, basato sui dati di flusso dei pazienti ospedalizzati durante il Covid; la seconda consiste in uno studio prospettico, in cui i pazienti Covid vengono richiamati dalle strutture sanitarie dove vengono sottoposti a una serie di accertamenti diagnostici finalizzati a caratterizzare meglio le sequele post-acute dell’infezione da Covid».

Pascnet, che ha preso il via nell’ottobre del 2022, punta a creare un network tra agenzie di tutela della salute (ATS), aziende socio-sanitarie territoriali (ASST), istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS), cooperative di medici di medicina generale (IML) e Università per contribuire a migliorare le attuali conoscenze da una prospettiva epidemiologica, clinica e di salute pubblica. «Questo approccio multidisciplinare è cruciale per la progettazione di piani di diagnostica e presa in carico per il monitoraggio e gestione della Pasc e per la loro implementazione mediante modelli gestionali innovativi», osserva il professor Lucifora. Inoltre, «il progetto intende valutare l’impatto della pandemia sulla contrazione nell’erogazione di servizi sanitari, in particolare quelli ambulatoriali e di screening, e sulla gestione dell’assistenza ai pazienti fragili, in modo da poter individuare priorità di intervento, specialmente per soggetti con cronicità e /o fragilità». Tra le finalità del progetto scientifico, che terminerà nel 2024, c’è la strutturazione di un sistema informativo; la valutazione dell’impatto della pandemia sul Sistema sanitario, in termini di riduzione dell’offerta di servizi e mancata prevenzione, così da poter proporre piani d’azione fondati e strutturati, sia per il ripristino delle attività, sia per la costituzione di una resilienza di Sistema a eventi dirompenti; lo sviluppo di piani di intervento per la gestione della PASC da parte del Sistema sanitario, che possano gestire presa in carico, cura e follow-up a lungo termine dei pazienti.

Il network del progetto è composto da 18 partner. Assieme ai tre atenei coinvolti, collaborano, sette Agenzie di tutela della salute (ATS Milano, ATS Valpadana, ATS Bergamo, ATS Brescia, ATS Brianza, ATS Montagna, ATS Pavia); otto Aziende Socio-Sanitarie Territoriali e IRCCS (ASST Lodi, ASST Milano-Ovest, ASST Crema, ASST Garda, ASST Franciacorta, ASST Valcamonica, ASST Pavia e IRCCS Policlinico San Matteo), sei portatori di conoscenza e la cooperativa Iniziativa Medica Lombarda (IML) in rappresentanza dei medici di medicina generale (MMG).

Pediatri Bambino Gesù: vademecum per un’estate a misura di bambini

Pediatri Bambino Gesù: vademecum per un’estate a misura di bambiniRoma, 7 lug. (askanews) – Estate, tempo di vacanze. Dagli esperti dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù arriva un vademecum per affrontare con serenità l’estate in compagnia dei propri figli. Tanti i consigli per i genitori: dalle punture delle zanzare a quelle delle meduse, dall’alimentazione all’abbigliamento, dall’esposizione al sole ai bagni in mare.

Si comincia dall’esposizione al sole. L’esposizione diretta al sole – informa il Bambino Gesù in una nota – risulta essenziale per la produzione di vitamina D, che favorisce l’assorbimento del calcio e la sua deposizione nelle ossa, stimola la produzione di melanina, oltre a rivestire molte ad altre importanti funzioni influendo anche sull’umore; esporsi tuttavia per tempo prolungato e nelle ore sbagliate – quelle più calde al centro della giornata – può dar luogo a eritemi e scottature che rappresentano un fattore di rischio per che contribuisce ai tumori cutanei in età adulta. I bambini al di sotto dei 6 mesi è preferibile non esporli mai a ai raggi diretti del sole mentre tra i 6 mesi e i 2 anni è consigliabile evitare l’esposizione tra le 10.30 e le 18.30. I vestiti devono essere adeguati alla temperatura della giornata tenendo presente che i bambini più piccoli hanno maggior difficoltà a mantenere una temperatura costante, soffrendo così di più il caldo. Vanno privilegiati i tessuti naturali e traspiranti, come il lino e il cotone, meglio di colore chiaro. Bisogna prestare particolare attenzione agli sbalzi di temperatura con il passaggio negli ambienti con aria condizionata. L’uso di occhiali da sole protettivi sarebbe auspicabile ma, come il cappellino, pochi sono i bambini piccoli che riescono a tenerli.

Si sa che l’estate è fatta anche per fare qualche eccezione all’alimentazione più regolare, proseguono gli esperti, tuttavia, con l’aumento della temperatura, si deve ridurre l’apporto calorico, in particolare quello dato da cibi grassi: è preferibile quindi assumere carboidrati semplici e a più rapida digeribilità. Una dieta più ricca di frutta e verdura è fortemente consigliata per aumentare l’apporto di acqua e sali minerali, prevenendo così la disidratazione. Anche una maggior assunzione di acqua o spremute di frutta fresca favorisce l’idratazione; vanno evitate invece le bevande fredde, gassate o troppo dolci. Da che età si può portare il bambino al mare? L’organismo dei bambini più piccoli fatica a mantenere una temperatura corporea costante anche per il fatto di avere una più ridotta superficie corporea rispetto a quella dell’adulto, con minore possibilità di disperdere il calore tramite il sudore. Per tale motivo – prosegue la nota – è comunque sconsigliabile portali al mare nei primi 6 mesi di vita e la presenza in spiaggia andrebbe limitata alle primissime ore del mattino e/o al tramonto. Successivamente, si potrà gradualmente portarli in spiaggia fino alle 10.30 o dopo le 18.30, liberalizzando progressivamente gli orari dopo i 2 anni di vita.

Sotto i 6 mesi è sconsigliabile far fare il bagno poiché la delicata pelle del bimbo sarebbe esposta troppo precocemente al sole. Nei primi 6 mesi di vita, più è piccolo il bimbo, e meno c’è la necessità di immergerlo nell’acqua di mare o in piscina. Successivamente il lattante può entrare in acqua, per pochi minuti e se il clima e la temperatura dell’acqua sono confortevoli, in braccio a mamma o papà, avendo l’accortezza di sciacquarlo poi con acqua dolce per togliere il sale e/o il cloro dalla cute. Passando alla montagna, un bambino – spiegano gli esperti del Bambino Gesù – ha la stessa tolleranza di un adulto per l’alta quota, a condizione che non abbia particolari problemi di salute (problemi cardiaci, polmonari o prematurità) e abbia più di 3 mesi di vita in quanto, al di sotto di questa età, vi è ancora una immaturità polmonare. Di massima queste sono le quote consigliabili da preferire in bambini che vivono in pianura o a basse quote: 3 mesi-12 mesi fino a 2.000 metri; 2-5 anni fino a 2.500 metri; maggiori di 5 anni anche oltre i 2.500 metri. In ogni caso è sconsigliato l’uso di cabinovie veloci nei primi 2-3 anni di vita.

Che fare in caso di punture di insetti, di meduse o di tracine? Quando un bambino viene punto da una zanzara si forma un rigonfiamento (pomfo) pruriginoso per cui si può applicare un gel di cloruro di alluminio al 5%, che ha un’azione sia sul prurito sia sulla tumefazione. In alternativa, hanno la stessa azione gli impacchi di ghiaccio, da tenere sulla parte punta per qualche minuto. Per quanto riguarda le meduse, i consigli da seguire nel caso si faccia questo spiacevole incontro sono: grattare con una tessera di plastica le zone della cute venute a contatto, per impedire alla tossina di penetrare la cute ed entrare in circolo; applicare, senza frizionare, sabbia calda essendo la tossina termolabile; successivamente detergere la parte con acqua salata; applicare gel al cloruro di alluminio al 5%; non utilizzare l’ammoniaca; consultare il medico in caso di reazioni più gravi. La puntura della spina dorsale della tracina, pesce che vive nel fondale sabbioso del mare, provoca un dolore estremamente intenso per la liberazione di una tossina. La parte colpita appare rossa e tumefatta e, raramente, possono verificarsi sintomi generalizzati quali aumento della frequenza cardiaca, difficoltà di respirazione, nausea, difficoltà di movimento dell’arto colpito. Poiché la tossina inoculata dalla tracina è termolabile, è consigliabile immergere il piede in acqua calda per disattivarla, mentre nei casi più gravi o complicati il medico potrà prescrivere antibiotici e antistaminici. Altri suggerimenti e approfondimenti sono disponibili in una sezione dedicata sul sito www.ospedalebambinogesu.it.

La clinica urologica del Gemelli accreditata col network europeo eUrogen

La clinica urologica del Gemelli accreditata col network europeo eUrogenRoma, 6 lug. (askanews) – Superata a pieni voti la meticolosa ispezione dei valutatori dell’ente di certificazione internazionale Amequis. È il passo decisivo del processo di accreditamento per lo European Reference Network (ERN) eUROGEN, una rete internazionale di ricerca e cura delle patologie urogenitali rare e complesse, finanziata dalla Comunità Europea. A darne la notizia è il Team Leader, il professor Emilio Sacco, Responsabile dell’Unità di Urologia Robotica di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, Professore Associato di Urologia e direttore della Scuola di Specializzazione in Urologia dell’Università Cattolica, campus di Roma. “Al momento siamo l’unico centro urologico in Italia – ricorda il professor Sacco – ad aver affrontato questo complesso e rigoroso percorso, iniziato quattro mesi fa e culminato con la visita degli ispettori di Amequis, che ci hanno da poco comunicato l’esito positivo della loro valutazione. É un ulteriore prestigioso riconoscimento internazionale che premia l’impegno del nostro Policlinico nel trattamento multidisciplinare di patologie molto invalidanti, sia sul piano delle malattie rare (cistite interstiziale, diverticoli dell’uretra, stenosi dell’uretra femminile, patologie retroperitoneali rare e tumori urogenitali rari) che di quelle complesse (incontinenza urinaria maschile, fistole uro-genitali e uro-intestinali, stenosi dell’uretere)”. Per i pazienti è spesso molto difficile trovare dei team multidisciplinari in grado di trattare le patologie urogenitali complesse; in questo caso ad essere ‘rara’ non è la patologia, ma l’équipe medica specializzata in queste patologie. Per questo è importante far conoscere l’esistenza dei centri di riferimento, in grado di effettuare interventi chirurgici ricostruttivi ad alta complessità e specializzazione. “Al successo del processo di accreditamento per l’ERN eUROGEN – ricorda Sacco – hanno fortemente contribuito anche gli altri specialisti del team multidisciplinare: il professor Marco Racioppi e il dottor Riccardo Bientinesi (Urologia), il dottor Carlo Gandi (Urologia), la dottoressa Monia Marturano (Ginecologia), la dottoressa Eleonora Gaetani (Gastroenterologia), il professor Marco Rossi e il dottor Matteo Costanzi (Anestesia e Rianimazione), il professor Roberto Iacovelli e la dottoressa Chiara Ciccarese (Oncologia), oltre all’Ingegner Alberto Fiore (responsabile della UOS Qualità e Accreditamento). I vantaggi di far parte di un ERN sono molteplici, sia sul piano clinico, che della ricerca. “Entrare a far parte di questo network europeo – spiega ancora Sacco – ci permetterà di migliorare il servizio al paziente, con la strutturazione di un gruppo multidisciplinare dedicato a queste patologie che si riunirà periodicamente per discutere il trattamento dei casi più complessi. Inoltre, l’implementazione dei requisiti ERN è nel nostro Policlinico in perfetta sintonia con quella dei requisiti Joint Commission International, favorendo una medicina centrata sul paziente”. Gli ERN svolgono un’attività di riferimento per i pazienti: si tratta di un network internazionale, dove un paziente con malattia rara può trovare un elenco dei centri di riferimento che trattano quella patologia, per trovare facilmente un punto di riferimento. Gli ERN mettono inoltre a disposizione un’apposita piattaforma informatica che consente di discutere i casi clinici con i colleghi europei e fare teleconsulti su casi clinici rari, condividendo pareri con i maggiori esperti a livello internazionale. Ma nell’ambito ERN ci sono tante altre attività, in primis quelle inerenti alla ricerca. “Stiamo per avviare un registro internazionale – annuncia il professore – nel quale verranno inseriti tutti i pazienti con patologie urogenitali rare e complesse, allo scopo di svolgere studi multicentrici fondamentali nell’ambito di queste malattie. A questo va aggiunta l’attività educazionale, con organizzazione di webinar, possibilità di effettuare programmi di scambio all’interno del network, che consentano a specializzandi o giovani medici di fare dei periodi di training presso un centro all’estero. Sono a disposizione anche dei finanziamenti per studi clinici, messi a disposizione dalla Comunità Europea”.

Malattie valvole cardiache sottostimate: in anziani 3 volte più frequenti

Malattie valvole cardiache sottostimate: in anziani 3 volte più frequentiRoma, 4 lug. (askanews) – Le malattie delle valvole cardiache, principalmente stenosi aortica e insufficienza mitralica, sono una minaccia sommersa: poco note agli stessi pazienti, sottovalutate e sottodiagnosticate – pur se facilmente rivelabili con una visita cardiologica e un ecocardiogramma – colpiscono nelle forme lieve e moderata, circa un anziano su tre, con una frequenza tre volte più alta rispetto a quella del 10-12% fino ad oggi stimata. A rivelarlo, sono i risultati preliminari del primo screening cardiologico per le patologie valvolari mai realizzato in Italia, condotto dalla Società Italiana di Cardiologia Geriatrica (SICGe) nell’ambito dello studio PREVASC, che mira a stimare la prevalenza e la gravità di cardiopatie molto diffuse nella popolazione anziana (fibrillazione atriale, scompenso cardiaco, malattie valvolari), per l’identificazione precoce di problemi cardiaci. Lo studio ha coinvolto circa 1200 over65 in dieci “borghi del cuore”, piccoli comuni con meno di 3mila abitanti di diverse regioni italiane, sottoposti a visita cardiologica, con elettrocardiogramma (ECG) ed ecocardiogramma. Quanto riscontrato nell’indagine dimostra che attività di screening mirate sono fondamentali per far emergere patologie latenti e, quindi, una diagnosi precoce diretta non soltanto a ridurre i danni ma anche la mortalità e i notevoli costi sociali e previdenziali correlati. Per questo medici ed esperti richiamano l’attenzione delle istituzioni sull’importanza di garantire azioni efficaci di prevenzione nella popolazione anziana, attraverso screening cardiologici ‘salvavita’ come per i tumori. L’adozione di programmi strutturati di prevenzione consentirebbe infatti – nel caso delle patologie valvolari – di evitare circa 150mila decessi a cui possono andare incontro coloro che soffrono di forme gravi se non identificate precocemente o trascurate.

“Negli ultimi 50 anni, l’aspettativa di vita media in Italia è aumentata di oltre 10 anni, per cui le malattie cardiache che prima avevano una bassa prevalenza, ora sono più rilevanti. La prevenzione è dunque fondamentale per salvaguardare qualità e durata della vita della popolazione anziana. Però bisogna agire in tempo. Da qui l’idea di avviare uno screening cardiologico sulla popolazione anziana, nella quale i problemi cardiaci sono la prima causa di morte e disabilità”, dichiara Niccolò Marchionni, presidente della Società Italiana di Cardiologia Geriatrica (SICGe). “Lo studio PREVASC (PREvalenza malattie cardioVASColari) ha lo scopo di fotografare lo stato di salute del cuore degli italiani over 65”, aggiunge Marchionni, “dai dati raccolti nell’indagine conclusa a maggio su un campione di circa mille anziani in dieci piccoli comuni con meno di 3mila abitanti distribuiti su tutto il territorio nazionale, si osserva una prevalenza di circa il 30% di patologie valvolari nelle forme lieve e moderata, tre volte più alta rispetto a quella stimata fino ad oggi del 10-12%, con un’alta percentuale di ipertesi (83%), 19% di diabetici e 56% di dislipidemici. Tutte nuove diagnosi con sintomi silenti e fattori di rischio per cui gli anziani esaminati non erano in trattamento, in grado di generare negli anni successivi patologie cardiache clinicamente rilevanti. In particolare, anomalie la della valvola aortica sono risultate complessivamente presenti nel 27% e quelle della valvola mitralica nel 34% dei soggetti osservati”. “La valenza davvero unica dello studio PREVASC è quella di aver fatto emergere vizi valvolari latenti che, se non diagnosticati precocemente e seguiti nel tempo, nel 10% dei casi rischiano di evolvere, nell’arco di 4-5 anni, in forme gravi che possono diventare fatali nella metà dei pazienti”, osserva Alessandro Boccanelli, vicepresidente della SICGe e coordinatore dello studio PREVASC. “Tutto questo ha gravi conseguenze per i pazienti, con una stima di 150mila decessi evitabili grazie all’adozione di programmi strutturati di screening ‘salvavita’ come per i tumori mammario, colon-rettale e della cervice uterina. Ciò permetterebbe un aumento del numero delle diagnosi dall’attuale 25% al 60%, consentendo di intervenire precocemente in modo da aumentare la probabilità di sopravvivenza. Una diagnosi tempestiva di queste patologie è possibile – prosegue Boccanelli – con un processo diagnostico non complesso, basta auscultare il cuore con un fonendoscopio e, nel caso si identifichi un sospetto, procedere a successivi esami più semplici come un elettrocardiogramma o più approfonditi, come un ecocardiogramma. Purtroppo questa pratica non è inclusa tra i controlli effettuati nella normale routine medica. Queste patologie – rimarca l’esperto – soffrono pertanto di una debolezza a livello diagnostico, con un importante impatto anche dal punto di vista economico se si considera che, da un recente studio sui dati INPS del CEIS di Tor Vergata, emerge una spesa previdenziale di 29 milioni di euro l’anno”.

Long Covid nei bambini: su Lancet Microbe studio Gemelli-Cattolica

Long Covid nei bambini: su Lancet Microbe studio Gemelli-CattolicaRoma, 4 lug. (askanews) – ‘Long Covid’ è un termine-ombrello che descrive la persistenza di segni e sintomi, non spiegabili altrimenti, dopo un’infezione acuta da Sars CoV-2 (Covid-19), con un impatto negativo sul funzionamento e il benessere nella vita quotidiana di chi ne è affetto. Questa sindrome, riconosciuta anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (Post COVID-19 Condition o long COVID), colpisce sia adulti che bambini. In questi ultimi anni sono stati pubblicati centinaia di lavori su entrambe queste popolazioni e sono state individuate diverse alterazioni biologiche associate al Long Covid; ma la sua patogenesi resta a oggi materia di ricerca, non essendo stata definita con precisione. Molti studi si stanno oggi focalizzando sulle conseguenze della persistenza del virus o parti di esso all’interno dell’organismo; questo potrebbe infatti essere il bandolo della matassa per spiegare l’insorgenza del Long Covid. Uno studio appena pubblicato su Lancet Microbe da Danilo Buonsenso, docente di Pediatria all’Università Cattolica e dirigente medico dell’Unità Operativa Complessa di Pediatria della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS, e colleghi è andato a fare il punto della situazione. La ricerca, che in poche ore ha superato le 115.000 visualizzazioni sul profilo Twitter di Buonsenso, si innesta sul filone Long Covid pediatrico, che vede impegnato da tempo il giovane ricercatore del Gemelli, indicato lo scorso anno dalla rivista scientifica Science come uno dei tre ricercatori mondiali ‘top’ in questo settore.

“In questa ricerca – spiega Buonsenso – abbiamo analizzato le attuali conoscenze sulla persistenza di parti del virus Sars-CoV-2 nei bambini, dopo la fase acuta dell’infezione. Partendo dalle osservazioni che dimostrano come il virus possa persistere negli adulti, abbiamo effettuato una revisione della letteratura e analizzato gli studi che hanno cercato l’Rna o gli antigeni di Sars-CoV-2 nei bambini deceduti per Covid-19 o sindrome infiammatoria sistemica, o che fossero stati sottoposti a biopsia o intervento chirurgico per vari motivi. Abbiamo condotto questa analisi – spiega – perché ci sono crescenti evidenze che negli adulti la persistenza del virus in diversi organi possa essere la chiave per la comprensione e il trattamento del Long Covid”. La ricerca effettuata dal gruppo del Gemelli ha dimostrato, per la prima volta al mondo, che nei bambini, indipendentemente dalla gravità iniziale del Covid-19, il virus Sars-CoV-2 può diffondersi in tutti gli organi durante le fasi acute dell’infezione e persistere nell’organismo per settimane o mesi. “Alla luce di questi risultati – spiega l’esperto – in questo lavoro siamo dunque andati a riesaminare le attuali conoscenze sugli effetti biologici della persistenza virale nel corso di altre infezioni virali e abbiamo evidenziato nuovi scenari da esplorare tramite la ricerca clinica, farmacologica e di base. Ci auguriamo che lo studio che abbiamo appena pubblicato fornisca le basi per migliorare la comprensione e la gestione delle sindromi post-virali, tra le quali il Long Covid, e guidi il disegno di futuri studi volti ad analizzare queste condizioni”.

Secondo la definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, per Long Covid si intende la persistenza o la comparsa di nuovi sintomi (l’OMS ne elenca oltre 200) 3 mesi dopo l’infezione iniziale da Sars CoV-2, che persistano per almeno 2 mesi, senza altra spiegazione. Gli studi condotti finora suggeriscono che a essere affetto da Long Covid potrebbe essere il 10-20% della popolazione che ha contratto l’infezione da Sars CoV-2. Secondo una recentissima stima fatta dall’OMS, questa condizione potrebbe ostacolare il ritorno alla vita normale di 36 milioni di cittadini europei (1 su 30 negli ultimi 3 anni).

Salute mentale, Fondazione Di Liegro: arte-terapia favorisce inclusione

Salute mentale, Fondazione Di Liegro: arte-terapia favorisce inclusioneFirenze, 4 lug. (askanews) – Il teatro come forma di apertura verso gli altri e di inclusione sociale, l’utilizzo degli strumenti musicali per facilitare la comunicazione e l’apprendimento. I benefici dell’arte-terapia sono alla base di uno dei progetti realizzati dalla Fondazione Don Luigi Di Liegro, inaugurato nel 2013 e rivolto alle persone con disagio mentale. In dieci anni la Fondazione ha organizzato più di 90 laboratori, che hanno coinvolto oltre 1.800 partecipanti. Come da consuetudine al termine di ogni ciclo del programma, è andata in scena una rappresentazione finale dei laboratori di teatro, musica e arte, in attesa dell’avvio delle nuove sessioni dopo l’estate. La distribuzione degli utenti per caratteristiche anagrafiche all’interno dei laboratori rivela una età prevalentemente adulta – pur non mancando una quota di giovani – e un maggior numero di partecipanti di genere maschile.

In Italia gli utenti psichiatrici assistiti dai servizi specialistici ammontavano a 778.737 unità nel corso del 2021, in base agli ultimi dati rilevati dal Ministero della Salute. Gli utenti erano di sesso femminile nel 53,6% dei casi. Dal conteggio era stata esclusa la Regione Calabria per la quale non erano disponibili i dati. I laboratori della Fondazione Di Liegro sono rivolti a persone con disagio mentale, che effettuano un percorso terapeutico riabilitativo in carico ai Centri di Salute Mentale delle ASL di Roma, e si avvalgono del contributo fondamentale di conduttori specializzati e di volontari che, dopo aver frequentato un corso formativo, accompagnano e sostengono l’impegno dei partecipanti, coordinati dai responsabili della Fondazione. Oltre al teatro, alla musica e all’arte, durante l’anno sono state messe a disposizione degli utenti anche altre forme di espressione e di aggregazione a fini terapeutici, come i laboratori di fotografia e il fit-walking. Tutte queste attività risultano utili per acquisire empowerment ed esperienze di socializzazione e aiutano a risolvere le problematiche che alcune persone si ritrovano ad affrontare con l’affiorare dei disturbi sin dall’età giovanile. Inoltre i laboratori rappresentano un’efficace opportunità di integrare i percorsi terapeutico-riabilitativi.

Nello specifico, il laboratorio di teatro della Fondazione Di Liegro si configura come uno spazio protetto in cui le persone riescono ad esprimere il proprio mondo e tutto il loro potenziale inespresso attraverso l’arte. Questo è reso possibile mediante le attività che il conduttore del laboratorio di volta in volta propone: training fisico, attività di improvvisazione, esplorazione e comunicazione volte a stimolare la relazione e la creatività. Alla fine del ciclo viene portato in scena il materiale scritto e creato dai partecipanti stessi, come unione delle differenti esperienze che costituiscono lo spettacolo. La musico-terapia è un altro strumento che si è rivelato particolarmente efficace se inserito all’interno dei percorsi riabilitativi. La musica, infatti, permette di comunicare vissuti ed emozioni e di elaborare sensazioni che non si riescono a far emergere con le semplici parole nei contesti quotidiani, contribuendo a migliorare la qualità della vita. All’interno dei laboratori, organizzati ogni lunedì nel padiglione della Fondazione Di Liegro, vengono messi a disposizione dei partecipanti degli strumenti di percussione aperti e chiusi. «Quello che può davvero aiutare le persone con disagio mentale sono le relazioni sociali che si creano intorno a loro. È importante che si sentano parte integrante della società e non di rappresentare un problema, e che percepiscano di avere qualcosa da dare agli altri» spiega Luigina Di Liegro, fondatrice e segretaria generale della Fondazione. «Negli anni la Fondazione si è specializzata nell’arte-terapia e organizza dei laboratori che permettono a tutte le persone che partecipano, non solo gli utenti ma anche ai volontari e ai familiari, di esprimersi attraverso dei canali universali e paritari, il cui linguaggio è lo stesso per tutti. Con le relazioni ci si può ammalare ma anche curare, quindi il coinvolgimento delle famiglie rappresenta talvolta il problema e al tempo stesso può essere la soluzione» aggiunge la psicoterapeuta Anna Maria Palmieri, membro del Comitato Scientifico della Fondazione Di Liegro.