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Manovra, Ue: l’Italia non pienamente in linea con le raccomandazioni (e con il tetto di spesa 2024)

Manovra, Ue: l’Italia non pienamente in linea con le raccomandazioni (e con il tetto di spesa 2024)Strasburgo, 21 nov. (askanews) – L’Italia, assieme alla Germania e altri sette paesi dell’Unione Europea ha presentato un progetto di bilancio per il prossimo anno che appare “non pienamente in linea con le raccomandazioni del Consiglio europeo”. E’ il parere pubblicato dalla Commissione europea all’avvio del ciclo del semestre di coordinamento sulle politiche di bilancio per il 2024.

L’Italia – assieme a Austria, Germania, Lussemburgo, Lettonia, Malta, Olanda, Portogallo e Slovacchia – nella categoria intermedia dei paesi non pienamente in linea con le raccomandazioni di bilancio, mentre altri 7 Stati – Cipro, Estonia, Grecia, Spagna, Irlanda, Slovenia, Lituania – risultano virtualmente già “promossi”, dato che secondo la Commissione i progetti di Bilancio che hanno presentato sono in linea con le raccomandazioni. All’opposto per altri quattro Stati – Belgio, Finlandia, Francia e Croazia – secondo Bruxelles i piani di bilancio “non sono in linea con le raccomandazioni”.

Guardando all’Italia, la Commissione “prevede che il disavanzo di bilancio nominale dell’Italia sarà al 4,4% del Pil nel 2024, al di sopra del valore di riferimento del Trattato pari al 3% del Pil, e il rapporto debito pubblico/Pil al 140,6% nel 2024, al di sopra del valore di riferimento del trattato del 60% del Pil, ma – nota la Commissione – 6,5 punti percentuali al di sotto del rapporto debito-Pil di fine 2021”. “Come annunciato nella comunicazione sul semestre europeo 2023, la Commissione – ricorda il parere nel paragrafo 5 – proporrà al Consiglio di avviare procedure per disavanzo eccessivo basate sul disavanzo nella primavera del 2024 sulla base dei dati di risultato per il 2023, in linea con le disposizioni giuridiche esistenti. Gli Stati membri sono stati invitati a tenerne conto nell’esecuzione dei bilanci 2023 e nella preparazione dei documenti programmatici di bilancio per il 2024”.

C’è da aspettarsi, quindi, nella prossima primavera, che la Commissione chieda l’apertura delle procedure per deficit eccessivo per l’Italia e per tutti gli altri paesi (almeno altri otto) che superano il valore di riferimento del 3% rispetto al Pil. La Commissione europea, in particolare, rileva che il piano di Bilancio presentato l’Italia non rispetta pienamente il tetto di spesa previsto per il prossimo anno in base alla raccomandazioni del Consiglio Ue. Il 14 luglio scorso, sulla base delle proposte della Commissione, il Consiglio aveva raccomandato all’Italia un target di aumento nominale della spesa pubblica netta non oltre l’1,3%, dal 2023 al 2024. Su questo punto l’Italia è nominalmente in linea con le raccomandazioni, perché secondo le previsioni economiche d’autunno della Commissione, la spesa pubblica netta aumenterà dello 0,9% nel 2024, rispetto al 2023, ben al di sotto del limite dell’1,3%.

Sostanzialmente, però, nel pacchetto di avvio del semestre europeo presentato oggi a Bruxelles, la Commissione nota che l’aumento della spesa è stato ben maggiore di quanto appare. Il target dell’1,3%, infatti, era basato sulle previsioni economiche della primavera scorsa, che prospettavano un aumento della spesa nel 2023 molto inferiore a quello che poi si è verificato. Questo perché, dopo che il governo italiano ha deciso una riclassificazione dei crediti d’imposta previsti dal Superbonus edilizio, che da esigibili nel 2023 diventeranno inesigibili nel 2024, si è registrata una forte impennata delle richieste del Superbonus nel 2023, con un amento sostanziale della spesa pubblica primaria, pari allo 0,8% del Pil in più rispetto a quanto era stato previsto in primavera. In pratica, la Commissione calcola che, se la raccomandazione sul tetto di spesa per il 2024 fosse stata fatta con i dati reali del 2023, e non sulla base delle previsioni di primavera, l’Italia avrebbe superato il limite per un ammontare equivalente allo 0,6% del Pil. E questo nonostante il fatto che nel 2024 non saranno più esigibili i crediti d’imposta del Superbonus, che comporterà una sostanziale riduzione della spesa pubblica netta rispetto al 2023. “Perciò – si legge al paragrafo 15 del parere della Commissione sui piani di bilancio dell’Italia – la spesa pubblica primaria nazionale netta è valutata come non pienamente in linea con la raccomandazione”. La conclusione su questo punto (paragrafo 20) e che “secondo le previsioni della Commissione, la crescita della spesa primaria netta finanziata a livello nazionale dovrebbe rispettare il tasso di crescita massimo raccomandato nel 2024. Tuttavia, se la spesa netta nel 2023 fosse stata la stessa prevista al momento della raccomandazione, il tasso di crescita risultante della spesa netta nel 2024 sarebbe superiore a quello raccomandato”.

Casa, reddito familiare per l’affitto +33% di quello per acquisto

Casa, reddito familiare per l’affitto +33% di quello per acquistoRoma, 21 nov. (askanews) – Il reddito familiare richiesto per affittare una casa in Italia si aggira intorno ai 28.319 euro netti all’anno, come evidenziato da un’indagine pubblicata da idealista, portale per lo sviluppo tecnologico. Si tratta di una cifra del 33% superiore a quella necessaria per sostenere la rata del mutuo per l’acquisto della stessa abitazione – una casa con due stanze da letto, la tipologia più richiesta da coloro che stanno cercando una nuova soluzione abitativa -, stimato in 21.363 euro netti. A questa cifra bisogna aggiungere un risparmio minimo di 40.682 euro, richiesti come acconto. Tra i principali mercati italiani, Genova presenta la maggiore differenza percentuale tra il reddito netto necessario per l’affitto e per l’acquisto, con una disparità del 70%. Seguono Palermo (60%), Torino (43%), Napoli (22%), Roma (21%), Bologna (20%) e Milano (12%). In modo sorprendente, a Rimini (-22%), il reddito familiare essenziale per l’affitto è inferiore rispetto a quello per l’acquisto. Rimini precede altri 15 centri, tra cui Bolzano e Arezzo (entrambe -14%), quindi Cuneo, Imperia e Matera (tutte -12%).

Il saldo più significativo tra le due operazioni emerge nella città di Biella, dove è necessario avere un reddito superiore del 112% per affittare una casa rispetto all’acquisto. A seguire, si collocano Ragusa (98%), Vicenza (94%), Trapani (86%), e Siracusa (83%). In sintonia con i suoi elevati costi di affitto, Milano richiede il reddito netto più alto per accedere a una casa in affitto: 72.782 euro netti. Seguono Firenze (49.403 euro netti), Bologna (49.039 euro netti), Bolzano (48.786 euro netti) e Venezia (47.743 euro netti). Roma (45.649 euro netti) e Napoli (37.336 euro netti) si collocano rispettivamente all’ottavo e tredicesimo posto nella classifica. Nell’opposto spettro, Vercelli richiede solo un reddito di 11.809 euro per affittare un trilocale.

“I dati di questo studio indicano che il reddito necessario per acquistare una casa, seguendo le raccomandazioni finanziarie (non destinare più del 30% delle proprie entrate mensili all’affitto o al pagamento della rata del mutuo) – commenta Vincenzo De Tommaso, responsabile dell’Ufficio Studi di idealista – è spesso notevolmente inferiore rispetto a quello richiesto per affittare la stessa proprietà. Tuttavia, è essenziale ricordare che l’acquisto richiede investire una parte significativa dei risparmi accumulati nel tempo. L’elevata domanda continua a generare tensioni sui prezzi, portando a un aumento costante che mette a dura prova gli inquilini, limitando la loro capacità di risparmio e favorendo una crescente dipendenza dall’affitto. Per interrompere questo circolo vizioso, è fondamentale adottare politiche di locazione che incrementino l’offerta di case in affitto, riducendo la pressione sui prezzi e favorendo una tendenza al ribasso. Questo, a sua volta, potrebbe migliorare le prospettive di risparmio per i residenti nel futuro”.

Netanyahu: progressi nell’accordo sul rilascio degli ostaggi. Si riunisce il gabinetto israeliano

Netanyahu: progressi nell’accordo sul rilascio degli ostaggi. Si riunisce il gabinetto israelianoRoma, 21 nov. (askanews) – “Sui colloqui per l’accordo per la liberazione degli ostaggi” nelle mani di Hamas e di altre milizie islamiste a Gaza, “stiamo facendo progressi”. Lo ha detto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. “Spero che presto ci siano buone notizie”, ha aggiunto il leader del Likud.

Il gabinetto israeliano si riunirà alle 20 di oggi per approvare un accordo per il rilascio degli ostaggi rapiti da Hamas il 7 ottobre. E’ quanto affermano più media israeliani. L’ufficio del primo ministro riferisce che l’incontro si terrà “alla luce degli sviluppi riguardanti il rilascio dei nostri ostaggi”. Prima della riunione, anche il gabinetto di guerra e il gabinetto di sicurezza si incontreranno per approvare l’accordo, scrive il Times of Israel. Notando che ci sono ancora problemi tecnici da risolvere, un responsabile israeliano ha detto al canale israeliano Channel 12 che c’è un accordo secondo cui almeno 50 persone saranno liberate, mentre altre decine potrebbero essere rilasciate in cambio del prolungamento di un cessate-il-fuoco oltre i primi giorni.

Si prevede che ad essere rilasciati saranno i bambini, le loro madri e altre donne, secondo la stessa fonte.

Guerra in Medio Oriente, portavoce del Pam: la popolazione di Gaza rischia di morire di fame

Guerra in Medio Oriente, portavoce del Pam: la popolazione di Gaza rischia di morire di fameRoma, 21 nov. (askanews) – “I civili di Gaza sono a rischio immediato di morire di fame”: lo ha detto all’emittente Al Jazeera un portavoce del Programma alimentare mondiale (Pam), Abeer Etefa, precisando che le scorte di cibo e acqua “sono praticamente inesistenti” nella Striscia di Gaza.

“La situazione è catastrofica”, ha aggiunto, sottolineando che “solo una piccola parte di ciò che è necessario” sta entrando attraverso il valico di Rafah, mentre i mercati locali hanno chiuso e agricoltori e pescatori hanno cessato le attività.

Infuria la battaglia in OpenAI, c’è aria di scisma

Infuria la battaglia in OpenAI, c’è aria di scismaRoma, 21 nov. (askanews) – E’ battaglia in OpenAI dopo il cambio al vertice. Sia i dipendenti della compagnia che ha sviluppato il modello di generazione linguistica ChatGPT, all’avanguardia nel settore dell’Intelligenza artificiale di consumo, che i venture capitalist che hanno contribuito a lanciare la società, sono sul piede di guerra e chiedono la testa dei membri del consiglio d’amministrazione, oltre che il ritorno al timone del co-fondatore Sam Altman.

Secondo quanto scrive Evan Morikawa – uno dei manager che sono attivi nella campagna – su X, ieri sera il numero dei dipendenti di OpenAI che hanno firmato una lettera nella quale minacciano di passare a Microsoft se tre componenti del congilio non si dimetteranno, consentendo così il ritorno di Altman, hanno raggiunto quota 743 su 770. Tra loro c’è anche Ilya Sutskever, un co-fondatore di OpenAI, che si è anche scusato per aver avuto un ruolo nel siluramento di Altman. “Ora – ha scritto su X – rimpiango profondamente la mia partecipazione alle azioni del consiglio. Non ho mai avuto intenzione di danneggiare OpenAI. Amo tutto ciò che abbiamo costruito insieme e farò tutto il possibile per riunire l’azienda”. Altrettanto – secondo il Financial Times – i capitalisti di ventura che hanno finanziato la start-up potrebbero assumere “un’azione legale”, senza meglio specificare in che forma e contro chi.

Di fronte a questo, il consiglio d’amministrazione sembra non voler cedere e mettere alla prova la reale volontà dei dipendenti di tenere il punto ed eventualmente di mollare OpenAI. Tutto questo mentre Altman non sembra essere troppo insoddisfatto della nuova posizione che il numero uno di Microsoft, Satya Nadella, gli ha assegnato: capo della ricerca IA della compagnia, che detiene il 49% di OpenAI. “La massima priorità mia e di Satya rimane quella di garantire che OpenAI continui a prosperare”, ha twittato Altman. “Ci impegniamo a fornire piena continuità delle operazioni ai nostri partner e clienti. La partnership OpenAI/Microsoft lo rende molto realizzabile”.

In Spagna nasce il nuovo governo dell’”equilibrista” Sanchez

In Spagna nasce il nuovo governo dell’”equilibrista” Sanchez

Roma, 20 nov. (askanews) – Il premier spagnolo Pedro Sanchez affronta la legislatura più complicata della sua carriera presentando un governo da lui stesso definito di “alto profilo” – vale a dire, che risente non poco delle dinamiche interne ed esterne alla sua coalizione.

Innanzi tutto, il preannunciato taglio dei Ministeri è rimasto sulla carta: gli equilibrismi necessari per soddisfare tutti gli alleati ha consigliato a Sanchez di mantenere inalterato il numero dei dicasteri (confermandone peraltro la maggior parte dei titolari principali) e anzi di aumentare le vicepresidenze da tre a quattro.La novità principale è la promozione di Felix Bolaños, considerato il braccio destro di Sanchez, al Ministero della Giustizia: sarà lui quindi a gestire il delicato fascicolo dell’amnistia per gli indipendentisti catalani, e il relativo malessere della magistratura conservatrice. La nomina costituisce anche una dimostrazione di buona volontà politica da parte del premier nei confronti dei soci catalani; al contrario, chi esce ridimensionato rispetto al governo procedente e al peso elettorale è la federazione catalana dei socialisti, il Psc: fuori due ministri fidati come Miquel Iceta e Salvador Illa, con un unico dicastero – quello dell’Industria – affidato all’ex sindaco di Barcellona Jordi Hereu.I problemi principali di equilibrio per Sanchez deriveranno però dall’uscita di Podemos dall’esecutivo, complici i deludenti risultati elettorali: il partito di Irene Montero passa quindi da socio di governo a socio parlamentare, il che da una parte rafforza il ruolo del Psoe come forza egemonica a sinistra, dall’altra però complica i già difficili negoziati per l’ordinaria gestione dell’attività legislativa; Podemos avrà infatti meno motivi per sostenere Sanchez a qualunque costo.

Infine, restano al loro posto anche i due Ministri meno invisi alla destra, e viceversa poco graditi anche da una parte del Psoe: i titolari di Interni e Difesa, Fernando Grande-Marlaska e Margarita Robles, in attesa di conoscere quali siano le loro effettive responsabilità negli scandali legati al cosiddetto Catalangate, lo spionaggio illegale ai danni di molti esponenti indipendentisti catalani (e non solo).

I familiari degli ostaggi isareliani supplicano: non introdurre la pena di morte per i terroristi

I familiari degli ostaggi isareliani supplicano: non introdurre la pena di morte per i terroristi

Roma, 20 nov. (askanews) – I familiari degli ostaggi israeliani sequestrati da Hamas il 7 ottobre hanno implorato oggi il ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, di non presentare un disegno di legge che prevede la pena di morte per i terroristi nel timore che una tale iniziativa possa mettere la vita dei loro cari ulteriormente in pericolo.

Intervenendo davanti al Comitato per la sicurezza nazionale della Knesset, che sta elaborando la legislazione proposta dal partito di estrema destra Otzma Yehudit di Ben Gvir, Gil Dikmann, la cui cugnina è nelle mani di Hamas a Gaza, ha sottolineato che le vite di Gat e degli ostaggi “sono in gioco”.

“Gliel’ho già chiesto la settimana scorsa, ministro. Vi ho pregato di non sfruttare in alcun modo noi e la nostra sofferenza”, ha detto Dikmann tra le lacrime. “Per favore togliete questo dall’ordine del giorno; se avete un cuore, per favore non dite che rappresentiamo le persone che hanno ucciso i nostri cari”, ha aggiunto.”Per favore, scegliete la vita e fate ciò che è necessario affinché possano tornare a casa sani e salvi”, ha detto ancora Dikmann prima di rifiutare un abbraccio del ministro.

Itamar Ben Gvir giorni fa ha annunciato che oggi avrebbe presentato il disegno di legge già preparato dal suo partito che impone la pena di morte per i terroristi – colpirebbe direttamente i miliziani di Hamas catturati durante l’assalto del 7 ottobre dalle forze di sicurezza israeliane – al Comitato per la sicurezza nazionale della Knesset. “Mi aspetto che tutti i membri della Knesset sostengano questo importante disegno di legge”, aveva scritto su X.

La pena di morte è stata imposta in Israele solo due volte nella storia dello Stato ebraico, l’ultima in occasione dell’esecuzione dell’artefice dell’Olocausto Adolf Eichmann nel 1962.

In Spagna Sanchez presenta il suon nuovo governo: 22 ministri, 12 donne

In Spagna Sanchez presenta il suon nuovo governo: 22 ministri, 12 donneRoma, 20 nov. (askanews) – Il primo ministro spagnolo, Pedro Sanchez, ha presentato oggi il suo nuovo Esecutivo, caratterizzato da un “alto profilo politico”, che “unisce rinnovamento con conferme, esperienza con gioventù”, per “fornire stabilità” alla legislatura. Ad annunciarlo è stato lo stesso premier socialista, in un intervento senza domande e senza presenza dei giornalisti, davanti alla scalinata del Palazzo Moncloa.

Il governo di “coalizione progressista” è composto da 22 membri ed ha un “marcato accento femminile”, ha detto il primo ministro, facendo riferimento alle 12 donne e 10 uomini che ne fanno parte. Nadia Calviño (ministra dell’Economia), Yolanda Díaz (ministra del Lavoro), Teresa Ribera (ministra della Transizione ecologica) e María Jesús Montero (ministra delle Finanze), quattro donne, sono i nuovi vicepresidenti. Il ministro degli Affari Esteri, dell’Unione Europea e della Cooperazione, José Manuel Albares, il ministro della Presidenza, della Giustizia e dei Rapporti con le Cortes, Félix Bolaños, il ministro della Difesa, Margarita Robles, e il ministro degli Interni, Fernando Grande-Marlaska, proseguiranno nel loro incarico.

L’ex sindaco di Barcellona, Jordi Hereu, sarà il nuovo ministro dell’Industria, mentre l’ex presidente della Comunità delle Canarie, Ángel Víctor Torres, guiderà il dicastero delle Politiche Territoriali e della Memoria Democratica. (con fonte Servimedia)

Spagna, Sanchez presenta nuovo governo: 22 ministri, 12 donne

Spagna, Sanchez presenta nuovo governo: 22 ministri, 12 donneRoma, 20 nov. (askanews) – Il primo ministro spagnolo, Pedro Sanchez, ha presentato oggi il suo nuovo Esecutivo, caratterizzato da un “alto profilo politico”, che “unisce rinnovamento con conferme, esperienza con gioventù”, per “fornire stabilità” alla legislatura. Ad annunciarlo è stato lo stesso premier socialista, in un intervento senza domande e senza presenza dei giornalisti, davanti alla scalinata del Palazzo Moncloa.

Il governo di “coalizione progressista” è composto da 22 membri ed ha un “marcato accento femminile”, ha detto il primo ministro, facendo riferimento alle 12 donne e 10 uomini che ne fanno parte. Nadia Calviño (ministra dell’Economia), Yolanda Díaz (ministra del Lavoro), Teresa Ribera (ministra della Transizione ecologica) e María Jesús Montero (ministra delle Finanze), quattro donne, sono i nuovi vicepresidenti. Il ministro degli Affari Esteri, dell’Unione Europea e della Cooperazione, José Manuel Albares, il ministro della Presidenza, della Giustizia e dei Rapporti con le Cortes, Félix Bolaños, il ministro della Difesa, Margarita Robles, e il ministro degli Interni, Fernando Grande-Marlaska, proseguiranno nel loro incarico.

L’ex sindaco di Barcellona, Jordi Hereu, sarà il nuovo ministro dell’Industria, mentre l’ex presidente della Comunità delle Canarie, Ángel Víctor Torres, guiderà il dicastero delle Politiche Territoriali e della Memoria Democratica. (con fonte Servimedia)

Oxfam: 1% più ricco del pianeta inquina quanto due terzi umanità

Oxfam: 1% più ricco del pianeta inquina quanto due terzi umanitàRoma, 20 nov. (askanews) – Nel 2019, l’1% più ricco in termini di reddito della popolazione mondiale è stato responsabile di una quota di emissioni di CO2, pari a quella prodotta da 5 miliardi di persone, ossia due terzi dell’umanità.

È l’allarme lanciato oggi da Oxfam con un nuovo rapporto, a pochi giorni dall’inizio della Cop28 sul clima di Dubai. Intanto l’obiettivo cruciale di contenere l’aumento della temperatura media globale entro 1,5 gradi, rispetto al periodo preindustriale, rischia sempre più di rimanere un miraggio.

Il dossier denuncia infatti come le emissioni di cui è responsabile l’1% più ricco del pianeta causeranno 1,3 milioni di vittime a causa degli effetti del riscaldamento globale, la maggior parte entro il 2030. Vittime che si potrebbero evitare con un radicale e immediato cambio di rotta. “I super-ricchi stanno saccheggiando e inquinando il pianeta e di questo passo finiranno per distruggerlo, lasciando l’umanità a fare i conti con ondate estreme di calore, inondazioni e siccità sempre più frequenti e devastanti. – ha detto Francesco Petrelli, portavoce di Oxfam Italia – Per anni abbiamo lottato per creare le condizioni di una transizione giusta che ponga fine all’era dei combustibili fossili, salvare milioni di vite e il pianeta. Ma raggiungere quest’obiettivo cruciale sarà impossibile se non porremo fine alla crescente concentrazione di reddito e ricchezza che si riflette in disuguaglianze economiche sempre più marcate e contribuisce all’accelerazione del cambiamento climatico”.

Il rapporto, realizzato in collaborazione con lo Stockholm Environment Institute (SEI), offre un’analisi dei livelli di emissioni per diversi gruppi di reddito nel 2019 – anno per cui sono disponibili i dati più recenti – mostrando il netto divario tra l’impronta di carbonio dei percettori di redditi più elevati e quella del resto della popolazione globale in base agli stili di vita, ai modelli di consumo e agli investimenti in industrie inquinanti. La fotografia della disuguaglianza climatica

Bastano alcuni dati per fotografare il contesto attuale: nel 2019, l’1% più ricco del pianeta (77 milioni di persone) è stato responsabile del 16% delle emissioni globali di CO2 derivanti dai consumi, una quota superiore a quella prodotta da tutte le automobili in circolazione e degli altri mezzi di trasporto su strada; a sua volta il 10% più ricco della popolazione mondiale è responsabile della metà delle emissioni globali; chi fa parte dell’1% più ricco per reddito inquina in media in 1 anno quanto inquinerebbe in 1.500 anni una persona appartenente al restante 99% dell’umanità; ogni anno, le emissioni di questi super-ricchi annullano di fatto la riduzione di emissioni di CO2 derivanti dall’impiego di quasi un milione di turbine eoliche; nel 2030, le emissioni di carbonio dell’1% più ricco saranno 22 volte superiori al livello compatibile con l’obiettivo di contenere l’aumento delle temperature entro 1,5°C, stabilito con l’Accordo di Parigi sul clima. La lotta al cambiamento climatico e alle disuguaglianze sono fortemente interconnesse Il rapporto non si limita però a fornire quantificazioni sull’iniqua distribuzione delle emissioni tra diversi gruppi di reddito, ma riflette anche sugli impatti differenziati del cambiamento climatico per le diverse fasce della popolazione del pianeta e sulle associate, divergenti, prospettive di sviluppo economico complessivo tra i Paesi. Fotografando inoltre come le sfide del cambiamento climatico e delle crescenti disuguaglianze economiche siano profondamente interconnesse. Un’imposta sui grandi patrimoni per finanziare la transizione green e affrontare i crescenti bisogni sociali Tra le proposte avanzate da Oxfam, incardinate sulla necessità di dare una risposta simultanea alla crisi climatica e all’acuirsi dei divari economici e sociali, figura l’introduzione di un’imposta progressiva sui grandi patrimoni, a carico di chi occupa posizioni apicali nelle nostre società – come lo 0,1% dei cittadini più ricchi – e cui sono associate emissioni più elevate. Proposta su cui è in corso la raccolta firme #LaGrandeRicchezza. “Abbiamo bisogno di garantire che la transizione verso un’economia climaticamente neutra avvenga in modo equo, senza lasciare indietro nessuno e senza produrre ulteriori divari nelle società. – conclude Mikhail Maslennikov, policy advisor su giustizia fiscale di Oxfam Italia – Senza pretesa di rappresentare una panacea, un’imposta progressiva sui grandi patrimoni può generare risorse considerevoli per la decarbonizzazione dell’economia e per affrontare al contempo i crescenti bisogni sociali – salute, istruzione, contrasto all’esclusione sociale – che stentano a trovare oggi una risposta adeguata. Un tributo in grado di garantire maggiore equità del prelievo fiscale e una prospettiva di futuro dignitoso per chi ne è oggi privato”.