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Roma, l’opera immersiva “Nebula” protagonista del VII Videocittà

Roma, l’opera immersiva “Nebula” protagonista del VII VideocittàRoma, 26 giu. (askanews) – Una delle più grandi opere immersive mai realizzate in Europa: 400.000 laser a illuminare un gigantesco cilindro metallico di oltre 3.000 metriquadri di superfice e 75 metri di altezza. Un’icona mondiale della musica elettronica e delle colonne sonore con un duo di artisti tra i più attivi creatori di installazioni digitali in ambito internazionale. È Nebula, l’imponente opera artistica site specific firmata dai Quiet Ensemble con le musiche originali di Giorgio Moroder, che sarà la protagonista della VII edizione di Videocittà – il festival ideato da Francesco Rutelli, con la direzione creativa di Francesco Dobrovich, che indaga le frontiere più avanzate dell’audiovisivo, in programma al Gazometro di Roma dal 5 al 7 luglio.


L’installazione è realizzata da Eni, curata da Videocittà, con il supporto scientifico dell’Inaf e dell’Osservatorio Astronomico di Roma e con la produzione esecutiva di Eventi Italiani. L’opera verrà accesa il 5 luglio, giorno di apertura del festival, alla presenza di Giorgio Moroder e dei Quiet Ensemble e sarà visitabile in tutti e tre i giorni del festival dalle 22 alle 3 di notte. Ad anticipare l’accensione, uno speech di Andrea Moccia (fondatore di Geopop), a seguire alle 19.30, il pubblico del festival potrà seguire l’incontro fra Giorgio Moroder, Quiet Ensemble e Francesco Dobrovich, curato da Nicolas Ballario per scoprire la genesi, il processo creativo, la tecnologia utilizzata e tutti i dietro le quinte relativi all’opera. Nebula investirà il cilindro metallico più grande del complesso del Gazometro, monumento simbolo del quartiere Ostiense e della Roma contemporanea, trasformandolo in uno spazio di osservazione intergalattica. Una spettacolare esperienza audiovisiva immersiva in grado di ricreare una costellazione fittissima che avvolgerà il pubblico completamente da ogni direzione, rendendo il Gazometro una sorta di telescopio che si innalza verso il firmamento, tracciando un collegamento tra cielo a terra,  portando una porzione di cielo all’interno del cilindro.


L’idea dei Quiet Ensemble – una delle più brillanti eccellenze italiane della creazione digitale immersiva contemporanea, è quella di ricreare il percorso che un viaggiatore spaziale potrebbe seguire partendo dalla crosta terrestre fino allo spazio. Proiettori laser faranno brillare un’infinità di cavi d’acciaio e le microparticelle di polvere che si alzano dal terreno, ricreando così una vera e propria nebulosa, immensa composizione di gas e polveri cosmiche. Ogni fase di questo viaggio interstellare avrà una sua accezione sonora, una sua intensità, una sua spazializzazione, grazie a suoni provenienti da galassie lontane, ovvero le musiche realizzate appositamente per Videocittà dal pioniere dell’uso del sintetizzatore, maestro di colonne sonore, tre volte Premio Oscar Giorgio Moroder, recentemente insignito con un David di Donatello alla Carriera e riconosciuto in tutto il mondo come una delle figure più influenti dell’elettronica e della disco music.  Con Nebula continua la quadrilogia iniziata nel 2022 con l’installazione dello studio multidisciplinare fuse* Luna Somnium, ispirata a uno scritto di Keplero, e proseguita lo scorso anno con Mater Terrae dello studio leader in spettacoli multimediali all’avanguardia Sila Sveta con la musica originale del producer Mace. Dopo la Luna e la Terra, dunque, quest’anno Videocittà si proietta nell’Universo.

Rai Libri: esce “Oro Rosa” di Marco Lollobrigida

Rai Libri: esce “Oro Rosa” di Marco LollobrigidaRoma, 26 giu. (askanews) – Rai Libri presenta “Oro Rosa. Le donne che hanno portato l’Italia in cima al podio olimpico”, di Marco Lollobrigida.


Da Ondina Valla, prima italiana a vincere la medaglia d’oro ai Giochi olimpici del 1936, quando primeggiò a Berlino negli 80 metri a ostacoli, alla velista Caterina Banti, straordinaria protagonista a Tokyo alle scorse Olimpiadi nel Catamarano Misto. Ventidue storie di sport e di vita, quelle raccontate da Marco Lollobrigida in “Oro Rosa”, un viaggio lungo quasi cento anni che attraversa i successi e le emozioni di campionesse del calibro della libellula azzurra Sara Simeoni, che conquistò Mosca nel 1980, di Gabriella Dorio, che fece sognare Los Angeles solo quattro anni più tardi, di Federica Pellegrini, regina assoluta a Pechino nel 2008. Capitolo dopo capitolo, si susseguono i ritratti di donne che hanno reso grande lo sport azzurro e l’Italia: Antonella Bellutti, Paola Pezzo, Josefa Idem, Alessandra Sensini, Valentina Vezzali, Elisa Di Francisca, Antonella Palmisano e tante altre ancora. Il libro racconta l’evoluzione della figura femminile nella storia delle Olimpiadi, tra sogni e sacrifici, traguardi sportivi e importanti scelte di vita. A firmare la prefazione, il Presidente del Coni Giovanni Malagò.


“Oro Rosa” di Marco Lollobrigida, edito da Rai Libri, è in vendita nelle librerie e negli store digitali dal 26 giugno. Marco Lollobrigida. Nato a Roma nel 1971, ha cominciato a ventuno anni a lavorare per l’emittente regionale Rete Oro, arrivando in Rai nel 2001. Ha seguito come conduttore e telecronista 5 Olimpiadi, 4 Campionati mondiali di calcio, 3 Campionati europei di calcio e per quattro anni ha condotto, su Radio 2, “Campioni del Mondo”, programma dedicato al calcio e agli sport olimpici. Sua è stata la conduzione di trasmissioni storiche come “La Domenica Sportiva” e “90° minuto”. Ha vinto numerosi premi, tra cui il Premio di Cultura Sportiva Beppe Viola (2017), il Premio giornalistico Nicolò Carosio (2021), il Premio Federico II per la comunicazione e il giornalismo sportivo (2023) e il Premio nazionale Pratola (2024). Docente a contratto di Sport e Media presso Università degli studi Link. Attualmente è vicedirettore di Rai Sport.

Biennale Teatro, la “Creazione” di Gob Squad: profonda e leggera

Biennale Teatro, la “Creazione” di Gob Squad: profonda e leggeraVenezia, 25 giu. (askanews) – Si parte, se volete, dal mito di Dorian Gray: il ritratto, la giovinezza, la paura di invecchiare, i corpi e lo spirito. Ma poi si va molto più lontano, si entra in uno spazio che è radicalmente teatrale, proprio per il fatto di abbattere molti dei vincoli del teatro. Lo spettacolo “Creation” del collettivo anglo tedesco Gob Squad, premiato con il Leone d’argento della Biennale Teatro 2024, è un’esperienza del presente, uno spazio dove si ride e si piange nello stesso momento, un’opera d’arte che riflette su se stessa e, così facendo, diventa “vera”.


“Non abbiamo una sceneggiatura scritta, non abbiamo testi – ha detto ad askanews Simon Will, uno dei membri del collettivo artistico -. Tutto in qualche modo è improvvisato e usiamo la lingua di tutti i giorni. Stare sul palco, in un certo senso, è la stessa cosa di questa conversazione. Con la differenza che nello spettacolo cerchiamo di andare più in profondità, cerchiamo di porci domande e di dare risposte su cose delle quali nella vita normale si parla meno. Affrontiamo i temi della solitudine, dell’invecchiamento o del decadimento, e sul palcoscenico ti accorgi che lo puoi fare”. Lo spettacolo, che coinvolge anche attori veneziani chiamati in un certo senso a recitare se stessi e si muove dall’inglese all’italiano con naturalezza, prende forma intorno a cornici fisiche e metaforiche, ragiona sull’idea di cosa rende tale un’opera d’arte e, così facendo, coinvolge il mondo che sta al di là del palcoscenico. “Gob Squad – ha aggiunto Sharon Smith – usa spesso questa frase: diamo una cornice alla realtà. Mettiamo una cornice intorno a episodi della vita di tutti i giorni, mettiamo in connessione il teatro con la strada, oppure raccogliamo i passanti o interagiamo con il pubblico. Perché ci interessa elevare il quotidiano, il banale, e renderlo bello come un’opera d’arte. Quindi semplicemente se incontriamo una persona per strada noi costruiamo un suo ritratto, che la eleva per un momento, e la porta dentro, la trasforma in un’opera d’arte”.


In scena a un certo punto un personaggio di mezza età dialoga con un se stesso giovane e con uno anziano: la scenografia, che vive anche di immagini video riprese in diretta dagli stesi attori, abbraccia questo momento e, senza retorica, ci fa pensare al tempo passato e perduto, ai sogni che magari si realizzeranno e a quelli che non lo hanno fatto. La vita finirà, è inevitabile, certi applausi saranno gli ultimi, lo sappiamo. Ma, nonostante tutto, quello che passa ha il sottile profumo della possibilità e della speranza. “Tutto può succedere – ha concluso Will – improvvisamente capita che giri un angolo e le cose diventano completamente diverse e inaspettate”. Come si dice, “con un colpo di teatro”, ma forse la frase fatta andrebbe ribaltata: “un colpo di vita”, che certo teatro trova il modo di rendere reale sulla scena. (Leonardo Merlini)

Cultura, si apre dopodomani il Festival dell’Argentario

Cultura, si apre dopodomani il Festival dell’ArgentarioRoma, 25 giu. (askanews) – Tutto pronto a Porto Santo Stefano per “Il Festival dell’Argentario”: al via da dopodomani, giovedì 27 e fino a domenica 30 giugno, la rassegna di incontri e dibattiti sui temi del nostro tempo con spazio anche alla grande musica.


Nato come ideale prosecuzione dell’omonimo storico evento, la cui prima edizione si svolse nel 1961, la manifestazione, promossa dal Comune di Monte Argentario, si svolgerà dalle ore 21.30 alle ore 23.00 circa nella centralissima Piazza dei Rioni, affacciata sul mare. Una location d’eccezione che, con i grandi protagonisti dell’informazione, della cultura e della musica accolti dal giornalista Gigi Marzullo, si trasformerà in una sorta di “salotto” cittadino all’aria aperta, una vera e propria occasione di dibattito e condivisione in luogo ideale di ritrovo e confronto. Ad inaugurare gli incontri pubblici sarà Bruno Vespa che giovedì 27 giugno salirà sul palco con la giornalista e scrittrice Maria Latella mentre la serata di venerdì sarà interamente dedicata a Fausto Leali in concerto, che interpreterà alcuni dei suoi brani più celebri e amati. Sabato 29 giugno il padrone di casa Gigi Marzullo intervisterà Serena Autieri, interprete di grandi successi a teatro, al cinema e in tv, che regalerà al pubblico un medley molto speciale, e Adriano Galliani, autore del libro “Le memorie di Adriano G.”, scritto con Luigi Garlando ed edito da Piemme. Infine, domenica 30 giugno, la serata finale della manifestazione sarà animata da un talk conclusivo con le conduttrici televisive Caterina Balivo ed Eleonora Daniele, sul palco con Marcello Simoni, autore bestseller da quasi 2 milioni e mezzo di copie vendute solo in Italia, che presenterà, a pochissimi giorni dall’uscita nelle librerie, il suo nuovo thriller storico “L’enigma del cabalista”, edito da Newton Compton.


La rassegna tornerà esattamente lì dove era nata e, se nelle edizioni degli anni ’60 i protagonisti del palco erano i linguaggi dell’arte, dal teatro al balletto, quest’anno il festival, oltre alla musica, si immergerà anche nell’attualità, per provare a decifrarne i molteplici significati. Pur nella sua diversità, la manifestazione manterrà tuttavia lo stesso spirito: l’obiettivo resta infatti lo stesso, quello di condividere, confrontarsi, generando crescita culturale e bellezza. Proprio come accadeva negli anni ’60, quando la manifestazione era diventata un appuntamento imperdibile, anche il nuovo “Festival dell’Argentario” ambisce dunque a diventare un punto fermo nell’estate di Porto Santo Stefano. Idee, spunti, connessioni, ma anche buon umore e un pizzico di leggerezza: sarà una piccola grande finestra sul mondo, nella convinzione che oggi più che mai ci sia bisogno di un momento per fermarsi a comprendere i fatti e le persone, le sfide e le criticità, riscoprendo il valore sociale della piazza e il privilegio dello stare insieme.

Una serie di prime volte, Calasso guarda ai suoi stessi libri

Una serie di prime volte, Calasso guarda ai suoi stessi libriMilano, 24 giu. (askanews) – Da una parte c’è la vita, dall’altra ci sono i libri. Ci sono ragionevoli argomentazioni che sostengono che le due cose, in ultima analisi, tendano ad escludersi, che farle veramente coesistere sia impossibile. Ci sono però dei luoghi dove questo dilemma caro a Pirandello (“O la vivi, o la scrivi”) si supera in qualcosa di più grande, in una sentimento panico che abbraccia le diverse dimensioni e va oltre. Uno di questi luoghi, a loro modo mitologici (e l’aggettivo non è assolutamente casuale) sono i libri di Roberto Calasso, l’editore di Adelphi che è stato un autore meraviglioso e unico. Così potente da avere creato un genere con le sue opere, al quale ancora non siamo stati capaci di dare un nome preciso. E dunque, in questa vertigine del possibile, tre anni dopo la sua morte esce un nuovo libro, “Opera senza nome”, nel quale Calasso scrive dei suoi libri, come se fossero un suo libro e, al tempo stesso, come se quelle storia non le avesse scritte lui, ma semplicemente “fossero”. È umano pensare, nel chiuso della propria biblioteca, quale che sia, che Calasso possa scrivere anche dall’aldilà, ma non importa, perché importano i libri che abbiamo qui, che questo anomalo manualetto rimette in fila, mischiandoli, sovrapponendoli, mostrandone i collegamenti e i legami. Provando a ragionare sul modo in cui uno scrittore che sapeva quasi tutto ha tentato di scrivere qualcosa che prima non c’era. Usando il mito, gli altri libri e sapendo bene che una divinità indiana e Franz Kafka sono figure che stanno sullo stesso piano filosofico.


“Una parola che appiana tutto: letteratura”. Scrive Calasso, che poi si adagia nelle nebbie che sono tipiche dei grandi libri. “Che cosa sia la letteratura è meglio non definire con troppa insistenza. Forse non è più che una vibrazione, avvertibile nei teti più disparati”. Una vibrazione che sta anche nella sua frase e che unisce i testi vedici alla fisica quantistica, luoghi dove sta il tutto, ma non trovano posto le definizioni stringenti, definitive, autoritarie se volete. Come ampiamente documentato, Calasso (tanto da editore quanto da autore) ha praticato una forma di conoscenza che ha sempre attinto alla non-conoscenza, che ha cercato nella nube della contemplazione le risposte più profonde, e per questo è una conoscenza profondamente letteraria, che parte dall’antico, dall’Età degli dei potrebbe dire Vico, per arrivare al moderno, ma con lo stesso atteggiamento gnostico, con la stessa duplice incertezza, che nelle figure di Talleyrand, Baudelaire e Kafka (nella molteplice veste di persone reali, autori e personaggi) si continua a incontrare. “Che si tratti della letteratura, della superstizione, della prostituzione o del sacrificio, Baudelaire viene ogni volta in soccorso, come la voce che ha già detto, quasi di sfuggita, l’essenziale che occorre dire”, scrive ancora Calasso. A qualcuno potrebbe forse sembrare che questo parlare dei propri libri sia un atto di autocelebrazione, se non di “superbia intellettuale”. In realtà è l’opposto, è un’ammissione di tutto quello che non si sa sui propri libri, dei quali Calasso sa solo “certe cose”, è un guardarsi da lontanissimo e come se non ci si conoscesse, seguendo le tracce di pensieri che hanno portato a certe parole, che poi hanno preso la loro via nel mondo e sono diventati altro, sono diventati, appunto, letteratura. Un’unica grande opera in undici volumi che cercavano di dare forma a un’idea di prima volta. Qualcosa di unico, che non c’era prima. Ambizioso certo, altissimo come obiettivo. Ma non va dimenticato che Calasso è anche l’editore di Milan Kundera e del suo romanzo più famoso, “L’insostenibile leggerezza dell’essere”, tutto costruito intorno alla massima filosofica che “Una volta è nessuna volta”. E se questa opera senza nome è la somma di undici singole volte possiamo anche immaginarla come la somma di undici niente, quindi niente a sua volta, pulviscolo, nebbia, nubi dentro le quali abbiamo la possibilità di scivolare e perderci veramente, fingendo che non importi, fingendo che non sia nulla. Ed essere liberi, essere vivi, essere semplicemente. Senza bisogno di nomi, categorie, titoli o definizioni. Leggeri come solo le cose realmente importanti possono essere, brillanti come la luce delle costellazioni in certe notti limpide. (Leonardo Merlini)

Fotografia, torna “PhEST”: la IX edizione dal 30 agosto a Monopoli

Fotografia, torna “PhEST”: la IX edizione dal 30 agosto a MonopoliRoma, 18 giu. (askanews) – Torna a Monopoli, dal 30 agosto al 3 novembre “PhEST – See Beyond the Sea”, festival internazionale di fotografia e arte. La città costiera pugliese si trasformerà ancora una volta in un vivace palcoscenico culturale, accogliendo artisti di fama mondiale e i più originali talenti creativi. Giunto alla IX edizione, “PhEST” si conferma un luogo di dialogo interculturale che si celebra tra le vie, le piazze, i palazzi storici e le antiche chiese, offrendo ai visitatori un’esperienza unica e immersiva.


Il sogno è il tema scelto per questa edizione. Nell’anno in cui si celebrano i 100 anni del Surrealismo, il cui primo manifesto fu scritto proprio nel 1924 da André Breton, si omaggia l’onnipotenza del sogno, il gioco disinteressato del pensiero e lo si esplora in tutte le sue forme. “Le strade sono piene di artigiani ammirevoli, ma di pochi sognatori pratici diceva Man Ray, ma noi quest’anno di sognatori pratici da tutto il mondo riempiremo le strade di Monopoli” ha dichiarato il direttore artistico Giovanni Troilo. PhEST racconterà i sogni e le aspirazioni dei bambini monopolitani con il progetto All Humans Be Cats, realizzato in residenza artistica da Jan von Holleben, fotografo tedesco di fama internazionale che dedica gran parte della sua ricerca al concetto di “homo ludens”, un mix di teoria pedagogica e personali esperienze di gioco e ricordi d’infanzia. Il progetto di residenza ha coinvolto 800 bambini dei 4 Istituti Comprensivi di Monopoli che in questi mesi hanno proposto i loro sogni per poi trasformarli in divertenti e allegorici scatti fotografici con i bambini protagonisti. Il progetto fotografico sarà esposto al Porto Vecchio di Monopoli per tutta la durata del festival.


Artisti e professionisti da tutto il mondo – selezionati dal direttore artistico Giovanni Troilo con la curatela fotografica di Arianna Rinaldo – hanno già confermato la propria partecipazione in mostre, masterclass, portfolio review, concerti, installazioni, aprendosi alla comunità dei tanti creativi e appassionati che ormai tutti gli anni raggiungono il centro storico di Monopoli. PhEST esporrà i sogni simbolici di una comunità con i lavori di Gauri Gill e Rajesh Vangad, i sogni di appartenenza di Ismail Ferdous e Matthias Jung; i sogni letteralmente immersivi di Natalie Karpushenko, le rivisitazioni delle cantiche dantesche di Valentina Vannicola, l’American Dream, un sogno al capolinea, con il lavoro di Richard Sharum, i mondi onirici, dipinti, realizzati, interpretati, fotografati di Paolo Ventura, l’epilogo dei sogni con il progetto sul sogno dei migranti di César Dezfuli. La curatela dell’arte contemporanea è affidata anche per questa edizione a Roberto Lacarbonara che, per questa edizione dedicata al tema del sogno ha coinvolto Davide Monaldi, ceramista e scultore, che propone il suo immaginario ironico e cinico composto da figure ibride e aliene. Tra gli ospiti italiani e internazionali che prenderanno parte alla IX edizione di PhEST: Jan von Holleben – “All Humans Be Cats”, Residenza d’artista PhEST 2024.


L’inaugurazione sarà il 30 agosto in Piazza Palmieri con il DJ set di Mary Gehnyei che darà il via a una serie di eventi musicali. Il 31 ci sarà il concerto dei C’mon Tigre, un duo che prende ispirazione da culture, tradizioni e forme d’arte differenti con l’idea di oltrepassare i confini e di tradurre la propria musica in un’esperienza visiva, collaborando con alcuni dei più talentuosi illustratori, fotografi ed artisti di tutto il mondo. Sul tema del sogno si apre la IV edizione della PhEST Pop Up Open Call, contest internazionale realizzato in collaborazione con LensCulture, una delle piattaforme più autorevoli per la promozione dei talenti della fotografia contemporanea nel mondo con una comunità di oltre 2,5 milioni di partecipanti, in 145 paesi e attraverso 15 lingue in tutto il mondo. Dal 17 al 30 giugno potranno essere inviati lavori intensi, intimi e profondi interpretati con ogni linguaggio, tutti i media, immagini fisse o in movimento, dalla fotografia all’illustrazione, al collage, all’animazione. L’iscrizione è gratuita e prevede 2 categorie: Series (immagini fisse, illustrazioni) e Singles (video, animazione).

La Biennale Teatro 2024, spazio di desiderio e meraviglia

La Biennale Teatro 2024, spazio di desiderio e meravigliaVenezia, 17 giu. (askanews) – “Se non riusciamo a immaginare un mondo migliore e più armonioso, non avremo mai i mezzi necessari per ricostruirlo”. Sono partiti da qui i due direttori Stefano Ricci e Gianni Forte per dare vita alla 52esima edizione della Biennale Teatro, intitolata “Niger et Albus”, al termine di un quadriennio di direzione artistica contraddistinto dai colori. Un festival che continua a indagare i confini del teatro di oggi e apre spazi a giovani autori accanto a grandi nomi della scena internazionale.


“E’ il teatro contemporaneo, ma il teatro in genere è abbottonato a quella che è la nostra esistenza e l’esistenza è mutevole, quindi cercare di ingabbiare o di comprendere se c’è quel tipo di teatro o un altro. Il teatro è il tempo che abitiamo e quindi adottiamo quelli che sono gli strumenti a disposizione. E il teatro di oggi sicuramente sembrerà obsoleto fra cinque anni, proprio perché si nutre di tutto quello che riusciamo a respirare intorno a noi, fuori dal teatro. Quindi credo di lasciare quella che è una radiografia di quelli che sono stati questi quattro anni, delle possibilità che il teatro offre a livello planetario”. Stefano Ricci, nel tracciare un’immagine della scena contemporanea in qualche modo traccia anche un bilancio complessivo del quadriennio, nel quale la Biennale Teatro si è mossa con coraggio e attenzione a tante voci diverse. Anni che hanno cambiato anche gli stessi direttori, come ci ha detto Gianni Forte: “Questi quattro anni mi sono serviti tantissimo per poter fare un esame anche su me stesso. Sono anni che mi hanno aiutato a capire tante cose, di cose che avevo messo da parte, di cose che avevo nascosto dentro di me e non avevo il coraggio di tirare fuori. Credo che questi anni mi abbiano aiutato molto a riprendere fiducia in me stesso, è una cosa che avevo un po’ trascurato”.


La Biennale Teatro del 2024 si è aperta con il collettivo anglo tedesco Gob Squad Theatre e il suo spettacolo “Creation”, irrefrenabile riflessione sulla vita, il tempo, l’opera d’arte e il senso del palcoscenico.Uno spettacolo che traduce la volontà del festival di essere “uno spazio di desiderio, meraviglia, crocevia di dibattiti e confronti”. Che è probabilmente la cosa migliore che ci possiamo augurare.

Al Vittoriale in mostra le opere di Luisa Menazzi Moretti sugli ultimi anni di D’Annunzio

Al Vittoriale in mostra le opere di Luisa Menazzi Moretti sugli ultimi anni di D’AnnunzioRoma, 16 giu. (askanews) – L’ossessione per il sesso, i rapporti sovente tossici ed esaltati con le donne, la spavalderia, il cinismo, l’angoscia, la follia, la dipendenza dalla cocaina e la conseguente malattia, sono tema del ciclo fotografico con cui Luisa Menazzi Moretti partecipa a Il Vittoriale delle italiane, originale progetto dedicato a Gabriele D’Annunzio che verrà presentato al Vittoriale degli italiani di Gardone Riviera all’interno della VII edizione del Brescia Photo Festival, promosso da Comune di Brescia e Fondazione Brescia Musei, in collaborazione con il Ma.Co.f – Centro della Fotografia Italiana.


La mostra – che si può ammirare fino al 30 settembre – a cura di Renato Corsini, direttore artistico del Brescia Photo Festival, espone gli scatti di 10 artiste, invitate a reinterpretare con il proprio stile il mito del Vate, con un lavoro site-specific in quella che fu l’ultima dimora del grande poeta.Insieme a Luisa Menazzi Moretti in mostra ci saranno Maria Vittoria Backhaus, Mariagrazia Beruffi, Patrizia Bonanzinga, Giusy Calia, Silvia Camporesi, Alessandra Chemollo, Caterina Matricardi, Antonella Monzoni e Ramona Zordini, 10 tra le fotografe italiane più talentuose e affermate.


Luisa Menazzi Moretti intitola il suo progetto “Ricordo, Rivedo” e sceglie due artifici: da un parte decide di scattare le immagini nel parco, per sentirsi meno vincolata dai ricordi d’infanzia, perlopiù legati agli interni degli edifici (il Vittoriale confina con il giardino botanico che fu del bisnonno Arturo Hruska, nella cui casa, da ragazzina, la fotografa soggiornò a lungo e spesso); dall’altra, decide di dare alle sue opere un’impronta astratta, quasi pittorica, “colorando” gli sfondi con campiture piatte di giallo e rosso – le tinte delle pareti esterne degli edifici del Vittoriale – in questo modo enfatizzandone i dettagli.(segue) L’autrice specifica che ogni fotografia è accompagnata e ha relazione con brani tratti dall’ultima opera del Vate, Il libro segreto, pubblicato nel 1935, ultima grande prova di D’Annunzio, ormai recluso nel suo eremo.


“Con la scelta di questa opera, – sottolinea l’artista- ho voluto incentrare il mio interesse sugli ultimissimi anni del grande poeta, più che su tutto il periodo passato al Vittoriale: anni difficili in cui si alternano lucidità, depressione, narcisismo, consapevolezza del proprio stato, esaltazione, desiderio di vita e di morte”.Fanno eccezione i brani che accompagnano Eremo, prima immagine della serie, Motti, dove la fotografa raccoglie i motti in latino e greco che si trovano nel parco, li traduce in italiano per farne una sorta di “filastrocca” e, infine, Memoria, ultima opera che chiude la serie, dove Menazzi Moretti decide di ribaltare i ruoli per dar voce, quale ultima testimonianza, ad alcune donne e muse che furono importanti nella vita di D’Annunzio. Le loro parole dichiarano quanto, infine, esse furono consapevoli del peso di quella relazione e, dunque, capaci di intraprendere un’ascesa liberatoria.


 

Biennale Teatro, Consegnato Leone Argento a collettivo Gob Squad

Biennale Teatro, Consegnato Leone Argento a collettivo Gob SquadVenezia, 16 giu. (askanews) – Il collettivo artistico anglo-tedesco Gob Squad ha ricevuto il Leone d’argento della 52esima edizione della Biennale Teatro di Venezia. La cerimonia si è tenuta nel salone d’onore di Ca’ Giustinian.


“Tutto può succedere, e di solito succede di tutto. Ogni spettacolo è assolutamente un unicum. Ballati, suonati, cantati, i loro lavori, da cui si esce così come dopo i postumi di una sbornia, sono un’occasione irripetibile per condividere passioni e desideri”, hanno scritto i direttori della Biennale Teatro Stefano Ricci e Gianni Forte a proposito degli spettacoli di quei “guerrieri della performance” (Arts Journal) che sono i Gob Squad, un collettivo artistico nato a Nottingham nel 1994 e incoronato a documenta X di Kassel solo tre anni dopo. E proseguono i direttori motivando il Leone d’argento: “Le loro personali esplorazioni, definite Live Art, o meglio Life Art, sono permeate da un’acuta visione della società, in relazione all’esistenza urbana contemporanea, dove autenticità e illusione, utopia e banalità, immediatezza e macchine teatrali, vita reale e media, entrano continuamente in rotta di collisione. Così, improvvisando, servendosi sia in teatro che in ambiti site-specific delle quattro R, ovvero i quattro passe-partout (Rischio, Regole, Ritmo, Realtà) per sviluppare strategie inaspettate, sorprendersi, sfidare loro stessi e saper reagire agli eventi casuali all’interno di una drammaturgia, giocando con la percezione di ciò che è familiare e trasformando la vita quotidiana in un’epopea, i Gob Squad offriranno al pubblico – invitandolo ad andare al di là del tradizionale ruolo di spettatore passivo – la possibilità di brillare come testimone diretto e attore principale di questo rito”.

Armando Testa a Ca’ Pesaro, l’artista (vero) nel pubblicitario

Armando Testa a Ca’ Pesaro, l’artista (vero) nel pubblicitarioVenezia, 16 giu. (askanews) – Una grande monografica che ricostruisce la carriera di Armando Testa, con le più celebri delle sue creazioni pubblicitarie, ma anche una consapevole immersione nella forza del suo lavoro come artista che, con il senno di poi, possiamo dire essere stato spesso in anticipo sui tempi. Ca’ Pesaro a Venezia apre le sue grandi sale all’ippopotamo Pippo e ai manifesti che hanno fatto la storia del costume popolare, ma pure a grandi murales e fotografie ossessive. A curare l’esposizione anche la moglie Gemma De Angelis Testa.


“Nonostante abbia seguito tutte le mostre di mio marito – ha detto ad askanews – ogni volta è un’emozione fortissima. Questa in maniera particolare perché ci ha lavorato anche un curatore straniero, inglese, un direttore di un museo, che comunque ha portato qualche cosa che non c’era forse nelle altre mostre. Una leggerezza, una freschezza, tantissime cose. Trovo che la mostra sia molto commuovente, quindi c’è lui, ma c’è lui oggi”. Alla curatela ha lavorato anche Tim Marlow, direttore del Design Museum di Londra. “È il genio di Testa – ci ha detto – può prendere qualcosa e farne un punto molto specifico, ma ha anche una risonanza universale. È un’intelligenza visiva, una poesia visiva. Lui inizia a fare l’artista da graphic designer e le due cose sono molto collegate”.


La sensazione più forte, pur a fronte delle icone storiche entrate nell’immaginario collettivo, è che la mostra trasporti lo spettatore non nel passato, ma in un presente che guarda anche al futuro, dal punto di vista della pratica, così come della consapevolezza sociale del lavoro creativo. Elisabetta Barisoni, direttrice di Ca’ Pesaro: “Assolutamente Armando Testa – ci ha spiegato – ha anticipato l’idea che non ci sia una soluzione di continuità tra le discipline, che per noi, intendo noi dalla generazione mia in poi, è abbastanza scontato. Per questo poi Armando Testa piace tantissimo anche ai giovani, che non lo hanno vissuto in televisione, non hanno vissuto nelle pubblicità, nei jingle, nei manifesti… veramente ha portato a un’altra dignità l’idea del creativo, del grafico, del pubblicitario”.


“Non si sentiva un pubblicitario – ha chiosato Marlow – si poteva permettere il lusso dell’ambiguità, e con l’ambiguità giocava con l’arte, ma ha sempre giocato anche con la pubblicità”. E il gioco funziona, è accattivante e strano, alcune sale sono rassicuranti, altre mettono più a disagio e in questo intreccio di ambiguità, appunto, la mostra veneziana diventa interessante e viva.