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10 Corso Como si rinnova, Ethridge inaugura la nuova Galleria

10 Corso Como si rinnova, Ethridge inaugura la nuova GalleriaMilano, 26 feb. (askanews) – 10 Corso Como a Milano si rinnova e presenta la Galleria e la Project Room, con spazi interamente ripensati dall’agenzia interdisciplinare 2050+. L’area culturale è incentrata sull’idea di una “archeologia selettiva” che, rimuovendo materiali ed elementi accumulati nel tempo, restituisca gli ambienti al loro originario carattere industriale di inizio Novecento. Pareti mobili autoportanti e grandi tavoli pantografo permettono differenti soluzioni e volumi, mentre le tribune possono ospitare talk e incontri. Tiziana Fausti, che guida il 10 Corso Como, ci ha raccontato la sua visione: “La mia vita – ha detto ad askanews – si snoda tra questo mondo, che è quello del fashion e quello dell’arte. Io qui ora sono riuscita a rimettere tutto insieme, a rimettere in ordine e ad avere le mie passioni un po’ come si può dire, raccontate. L’etica del viandante mi ha portato piano piano ad arrivare qua, guardandomi in giro e pensando e ripensando e oggi questo è il mondo nel quale voglio vivere: arte, fashion e food”.


Per questo a inaugurare la nuova galleria è una mostra di fotografia che unisce diversi mondi, dalla moda all’arte: “Happy Birthday Louise Parker”, prima mostra personale in Italia del fotografo americano Roe Ethridge, curata con la consueta brillantezza da Alessandro Rabottini. “È una mostra che, mostrando questo transito continuo anche della stessa immagine attraverso più ambiti della cultura dell’immagine, attraverso più supporti – ci ha detto il curatore – rende anche questa idea del trascorrere del tempo. C’è questo riferimento che è colto nel titolo al Buon compleanno Louis Parker, che è la modella la cui immagine ricorrente fa un po’ d’architettura portante di tutta la mostra, però un po’ l’idea quella di indagare quel momento, per esempio il compleanno è un giorno in cui tu hai da una parte l’eccitazione di questa attesa, ma anche un momento di riflessione malinconica sul tempo che trascorre. E quindi questa dicotomia, questa coesistenza di seduzione, ma anche di fine delle cose, attraversa un po’ tutta quanta la mostra, che ha diverse temperature emotive”. Concepita appositamente per 10 CorsoComo, la mostra riunisce opere degli ultimi 15 anni e lavori inediti, mescolando temi e soggetti che, a un primo sguardo, possono sembrare estranei tra loro. Ma proprio la dimensione del tempo e l’intreccio con la biografia di Ethridge fanno da filo rosso di un’esperienza che è visiva – ad alto livello – ma anche sentimentale e intima.

Ripensare il Rinascimento: la storia de Preraffaelliti a Forlì

Ripensare il Rinascimento: la storia de Preraffaelliti a ForlìForlì, 26 feb. (askanews) – Una mostra molto grande, articolata, profonda, per raccontare il movimento dei Preraffaelliti in relazione alla grande arte italiana che lo ha ispirato. I musei di San Domenico a Forlì hanno inaugurato l’esposizione “Preraffaelliti – Rinascimento moderno”: un viaggio denso tra il Quattrocento e il primo Novecento, che tocca corde estetiche, ma anche psicologiche e sentimentali, e accosta capolavori italiani alle riletture di Dante Gabriel Rossetti o John Everett Millais.


“È un confronto tra due rinascimenti – ha detto ad askanews il direttore della mostra, Gianfranco Brunelli – un confronto per differenza, per dialogo, per ricreazione di una nuova interpretazione perché i Preraffaelliti, con il loro movimento che si è sviluppato nell’arco di tre generazioni, hanno ridato vita al Rinascimento italiano in una nuova chiave. Hanno portato nel Novecento artisti del Quattrocento italiano come Botticelli o Piero della Francesca”. L’esito è affascinante e può dare una forma diversa al nostro modo di pensare l’arte più vicina a noi, ma anche di riconsiderare il potenziale moderno del Rinascimento italiano, riletto da una prospettiva che è omogenea e cerca di essere affine, ma non può non fare i conti con i secoli che sono passati. In questo conforto si gioca la scommessa della mostra e anche l’esperienza dei visitatori, che attraverseranno spazio espositivi molto ampi e articolati, carichi di diversità e suggestioni. Con tante possibili letture.


“Questa mostra – ha aggiunto Peter Trippi, co-curatore dell’esposizione – racconta una storia d’amore tra Italia e Gran Bretagna, che parte dal fatto che c’è sempre stata una simpatia dei britannici per l’Italia: si è rivelata nel periodo della letteratura classica, ma negli anno Quaranta dell’Ottocento tutto è cambiato. Si è iniziato a guardare al primo Rinascimento e a imparare da quel periodo a livello visivo, ma anche emotivo. Credo che sia qualcosa di molto potente perché riguarda le persone, non solo opere visuali e parole”. Da Firenze al Veneto, da Michelangelo all’architettura gotica: le fonti, per così dire, a cui i Preraffaelliti hanno attinto sono numerose e la mostra le documenta, così come documenta la presenza femminile nel movimento, le diverse anime e la costante tensione che lo hanno caratterizzato in profondità.

”Ferragnez” entra nei neologismi Treccani a rischio estinzione

”Ferragnez” entra nei neologismi Treccani a rischio estinzioneRoma, 23 feb. (askanews) – L’Osservatorio della Lingua Italiana Treccani ha registrato i neologismi scomparsi dopo un periodo di effimero successo: tra questi petaloso, meteorina, tronista e mignottocrazia. Sarà così anche per Ferragnez? Solo il tempo ci potrà dire se il neologismo Ferragnez, registrato nel Libro dell’Anno Treccani 2018, subirà, linguisticamente, la stessa crisi della famosa coppia. Si sa invece di certo che alcuni recenti neologismi dopo un periodo di inaspettato successo sono spariti dal linguaggio comune. Una notorietà “effimera” legata a un episodio, a una moda, a un fenomeno sociale o altro che li ha portati per poco tempo sotto le luci della ribalta. A registrare questo fenomeno è L’Osservatorio della Lingua Italiana Treccani in una ricerca curata da Valeria Della Valle, condirettrice del Vocabolario Treccani assieme a Giuseppe Patota.


Fra questi petaloso, “ricco di petali”, inventato da un bambino di terza elementare per descrivere un fiore e diventato di straordinario e temporaneo successo; ma anche meteorina, “annunciatrice televisiva delle previsioni meteorologiche”, arrivata dopo le veline ma sparita prima; esattamente come tronista “partecipante a uno spettacolo televisivo che si presta a essere corteggiato, su un trono”, che dopo avere trionfato qualche anno si aggira oggi in trasmissioni di secondo ordine; e che ha determinato la fine anche di torsonudista, chi come lui aveva la deprecabile “abitudine di girare a torso nudo”. La televisione, si sa, è il media più potente, ma come crea è capace di distruggere: ne sa qualcosa il gieffino “il partecipante al programma televisivo Grande Fratello, che alla 17esima edizione fa meno breccia nelle conversazioni; segno di come è mutevole la “mediacrazia, “il potere dei mezzi di informazione”, altra parola di cui si persa traccia. Alcuni di questi neologismi effimeri – si pensi ad asinocrazia (“il dominio esercitato dalle persone ignoranti o stupide”), guerrasantista (“da guerra santa, tipico di un conflitto dichiarato in nome della religione”), barcamenista (“chi ha l’abitudine di barcamenarsi, di sapersi abilmente destreggiare”), lamentologia (“lo studio del perché l’essere umano si lamenta) e lanacaprinesco (“di scarso rilievo e utilità”) – si devono alla firma di chi li aveva creati: firme prestigiose e in questi casi geniali come Giovanni Sartori, Guido Ceronetti, Aldo Grasso e perfino Mina; ma la genialità della creazione, legata alla polemica del momento, non ha garantito al neologismo d’autrice o d’autore l’ingresso nei vocabolari della lingua italiana contemporanea. “Nella ricerca – commentano Della Valle e Patota – ci siamo limitati a osservare quei neologismi occasionali che erano stati registrati, per dovere di documentazione, nella banca dati e nei nostri Dizionari di neologismi Treccani, ma che non hanno fatto in tempo a essere registrati nei dizionari dell’uso perché effimeri, e quindi privi dei requisiti necessari per entrare in queste opere”.


Un capitolo a parte, che potrebbe suscitare ancora oggi polemiche a non finire, è la parola mignottocrazia, inventata da un giornalista linguisticamente creativo come Paolo Guzzanti per indicare “il potere ottenuto compiacendo, eventualmente anche sul piano sessuale, chi ha la prerogativa di affidare importanti incarichi istituzionali e politici”. Honi soit qui mal y pense.

La Dea Roma e l’Altare della Patria. Prorogata mostra al Vittoriano

La Dea Roma e l’Altare della Patria. Prorogata mostra al VittorianoRoma, 23 feb. (askanews) – Prorogata, fino al primo maggio, la mostra “La Dea Roma e l’Altare della Patria. Angelo Zanelli e l’invenzione dei simboli dell’Italia unita” ospitata nella Sala Zanardelli al Vittoriano.


L’esposizione – a cura di Valerio Terraroli – ripercorre le vicende storiche che hanno condotto alla realizzazione dell’Altare della Patria ed il percorso artistico dello scultore lombardo Angelo Zanelli, ideatore della sua decorazione, proponendo una riflessione sull’importanza avuta dal monumento, emblema dell’Italia unita, nel plasmare la simbologia e l’immaginario di un’intera nazione. Un excursus storico-artistico che culmina con l’installazione della statua della Dea Roma nel 1925, vero e proprio focus dell’esposizione nonché fulcro visivo dell’intero Vittoriano. In mostra ben 57 pezzi, fra cui una selezione di gessi provenienti dalla Gipsoteca del Vittoriano ed esposti per la prima volta; un patrimonio fino a pochi mesi fa quasi sconosciuto e che vanta un forte legame con l’Altare della Patria ed Angelo Zanelli. A chiudere il percorso di mostra una sala immersiva consentirà ai visitatori di entrare letteralmente nel fregio del celebre scultore, osservandolo in ogni suo minimo dettaglio.


Il prolungamento dell’esposizione di ulteriori due mesi rappresenta un’occasione significativa per continuare ad ammirare i risultati dell’ampio progetto di restauro e valorizzazione ideato e realizzato dalla Direttrice del VIVE Edith Gabrielli e sostenuto dal lavoro di ricerca del Professor Valerio Terraroli (Università degli Studi di Verona) e da una équipe di studiosi volto alla riscoperta della figura e delle opere di Angelo Zanelli nonché alla condivisione con il pubblico di un luogo simbolo del nostro Paese, quale il Vittoriano.

Gaeta si candida a Capitale Cultura 2026: un triennio di mostre

Gaeta si candida a Capitale Cultura 2026: un triennio di mostreRoma, 23 feb. (askanews) – Trasformare Gaeta in un laboratorio di arte e cultura moderna, consentendo alle iniziative artistiche di respirare incontaminate nelle loro evoluzioni. Nasce con questo obiettivo la Biennale Il blu e l’immensità del mare, uno dei punti di forza del progetto con cui la cittadina laziale si candida a Capitale italiana della Cultura 2026.


“Nostra intenzione -afferma il Sindaco, Cristian Leccese, nel corso della conferenza stampa di presentazione dell’evento- è di rendere Gaeta punto di riferimento turistico e culturale di ampio respiro, con un’offerta che non si limiti ai mesi estivi ma che ci permetta di essere luogo di attrazione per 365 giorni l’anno. Abbiamo del resto un ricco patrimonio storico-naturalistico e storico-artistico che va dall’epoca romana fino alla seconda metà del 1700, caratteristiche giuste per iniziare e consolidare un percorso culturale che possa far conoscerci conoscere meglio e trasmettere la nostra identità”. Un percorso culturale triennale che, pianificato da Cethegus e curato da Giuseppe Daghino e Pierluigi Carofano, inizierà a ottobre di quest’anno e terminerà ad aprile 2027: “Siamo convinti -spiega Daghino- che l’arte antica e quella contemporanea siano insieme in grado di intercettare la domanda italiana ed internazionale. Con un linguaggio universale che unisce mondi una volta distanti tra loro, generando un abbattimento delle barriere culturali che necessita di un nuovo modo di fare cultura. Idee, immagini, esperienze, visioni corrono veloci sulla rete, generando le sinergie necessarie per permettere alle iniziative di esprimersi in tutta loro essenza. Il tutto, reso magico dal supporto delle nuove tecnologie per diffondere, affiancare e supportare lo sviluppo delle esposizioni culturali e museali tradizionali mediante soluzioni informatiche, app per smartphone e tablet, sistemi di gaming e digitalizzazione, inclusa la modellazione 3D di manufatti, contenuti ed elementi culturali, artistici, storici ed architettonici”.


La Biennale insomma vuole costruire la reputazione di Gaeta come luogo di eccellenza per gli eventi culturali e per migliorare l’awareness e renderla decisamente più attraente, come è stato ricordato nel corso dell’incontro segnato dalla straordinaria presenza della Gorgona Grezza, scultura del grande maestro Igor Mitoraj: “In questo modo -sottolinea il Sindaco Leccese- vogliamo incrementare i flussi turistici favorendo la destagionalizzazione, produrre ricchezza al sistema economico territoriale, garantire una forte esposizione mediatica alla città, proporre un progetto funzionale allo sviluppo della didattica e, perché no, favorire un’architettura di sistema fondata sulle economie di scala. Vogliamo, per dirla in altri termini, essere noti a livello nazionale e internazionale non solo per le spiagge e il mare pulito ma anche come polo di attrazione culturale. Una storia mitologica, la nostra, ricca di testimonianze di uomini e donne che hanno definito i contorni della civiltà moderna. Condottieri, statisti, re e regine, santi, avventurieri, artisti e scienziati che rendono Gaeta nota nell’atlante del Mediterraneo”. Più di 60 gli eventi compresi nella candidatura a Capitale della Cultura 2026, e una prima grande mostra a partire da ottobre 2024, “Metamorfosi”, inserita in questo triennio di esposizioni denominato “Medusa”, la cui simbologia sposa gli elementi marini e mitologici, considerata la forte connessione tra il mare e la cultura di questo territorio. Medusa, una delle tre Gorgoni, è oggi -ricorda Carofano- una vera e propria icona pop, piena di fascino che non ha perso smalto nei secoli. La sua seducente bellezza dello sguardo, associata al terribile potere pietrificatore, ne fanno una figura senza tempo, capace di ispirare autentici capolavori come quelli di Cellini, Caravaggio e Rubens, ma anche di grandi artisti del Novecento come Giulio Aristide Sartorio sino ad Igor Mitoraj. La mostra intende ripercorrere attraverso esempi significativi, la fortuna figurativa di questo mito mettendo in luce la sua poliforme attualità, immagine simbolica derivata da una narrazione mitica fondata sulla memoria collettiva”.


Allo stesso modo la mostra dedicata alle Metamorfosi prende spunto dall’omonimo testo di Ovidio che godette sin da subito di grande fortuna: “I miti degli dèi e le loro trasformazioni, la celebrazione degli eroi troiani sino al loro arrivo nel Lazio con Enea, il trionfo di Giulio Cesare e la profezia della maggiore gloria di Augusto, con cui si chiude il poema, fecero di questo libro -conclude Carofano- una sorta di accessibile summa non soltanto della storia dell’umanità nel suo rapporto con il divino, ma anche di Roma stessa e quindi del mondo latino al suo apogeo. Il percorso della mostra avrà carattere modulare, organizzato in senso cronologico e tematico: protagonisti (semidei, eroi, personaggi di rango ma anche gente umile) che subiscono i mutamenti (nova corpora) in animali  (come, ad esempio, Callisto in Orsa; le figlie di Anio in colombe), alberi o fiori (Ciparisso e Narciso) oppure minerali (Niobe), ma anche fonti d’acqua (Aretusa, Ciane, Egeria) o addirittura in eco. Un altro percorso sarà quello di protagonisti che cambiano sesso (Ifide, Ceneo, Ermafrodito) o che da uno stato inferiore passano ad uno stato superiore (Deucalione e Pirra, Pigmalione, i vascelli di Enea in ninfe marine)”.

Esce il quinto album “Artonauti”, Arte e Scienza

Esce il quinto album “Artonauti”, Arte e ScienzaRoma, 21 feb. (askanews) – Esce in edicola il quinto album Artonauti, Arte e Scienza – Le invenzioni che hanno cambiato il mondo, dedicato ai bambini, ma anche agli adulti di tutte le età, con 100 pagine e 100 opere d’arte, tra mosaici, dipinti, sculture e architetture, da comporre e scoprire attraverso 280 figurine adesive. L’album, inoltre, contiene 14 illustrazioni che raccontano la storia dei personaggi dipinte dall’artista Pietro Canepa. La collezione è arricchita da 25 Twin Cards, coppie di carte gemelle da collezionare per giocare a memory e approfondire l’arte e la scienza divertendosi.


La raccolta guida il lettore in un viaggio straordinario nella storia, alla scoperta delle eccezionali imprese di artisti e scienziati. Attraverso la speciale lente dell’arte, sono messe in risalto opere, invenzioni e tecnologia, frutto dell’ingegno umano e di quella creatività che ha rivoluzionato la storia e che ancora oggi muove il mondo – dalle piramidi dell’antico Egitto, passando per la cupola di Brunelleschi, fino ad arrivare all’invenzione del microscopio, del telescopio e alle ultime missioni nello spazio. Insieme agli Artonauti, i protagonisti di questa storia sono gli architetti, gli artisti e gli scienziati che hanno lasciato un’impronta nella storia dell’umanità, plasmando la realtà che conosciamo oggi. Dall’antichità alle epoche più moderne, figure come Imhotep, Policleto, Leonardo Da Vinci, Fibonacci, Brunelleschi, Nadar, Gaudì ci ricordano che l’incontro tra scienza e arte non solo è possibile ma auspicabile per ottenere risultati sorprendenti. L’album introduce anche il tema delle applicazioni dell’intelligenza artificiale, cercando di suscitare una riflessione nei giovani lettori. In questo contesto, anche loro si trovano ad affrontare una nuova sfida, tra curiosità e timore, che la storia ci insegna essere inevitabile ma al contempo un’opportunità da comprendere e vivere. Nell’album sono presenti inoltre alcuni contenuti speciali, come un QR code sulla copertina che rimanda a ulteriori approfondimenti e articoli, giochi, indovinelli e quiz che coinvolgono i lettori nell’apprendimento attraverso il gioco. Ad arricchire l’album, anche brevi video di scienziati, architetti e artisti, che forniscono un’esperienza più approfondita del loro lavoro, come Luca Perri, esperto di astrofisica, che condivide in modo chiaro e coinvolgente le misteriose peculiarità dell’universo e dei pianeti e Paola Roccabianca, docente di microbiologia molecolare presso l’Università Statale di Milano, che guida i lettori in un viaggio attraverso delle straordinarie immagini al microscopio che sottolineano la complessità della vita.


Il progetto per la sua originalità e qualità, ha vinto la quarta edizione del bando di Fondazione Cariplo per l’Innovazione Culturale e il premio Piccolo Plauto 2022 come progetto caratterizzato da elevata qualità pedagogica e didattica. “Con Artonauti è come se portassimo i musei direttamente nelle mani delle persone, avvicinandole all’arte in modo divertente. L’arte è un linguaggio, ed è necessario abituarsi a leggerla e a capirla. Imparare a farlo fin da piccoli, con uno strumento pensato appositamente per facilitare la comprensione di questo mondo, è un’occasione unica”, commentano Daniela Re, e Marco Tatarella, founder di Artonauti.

Una Pop Art meno luccicante, dopo Warhol arriva Cattelan

Una Pop Art meno luccicante, dopo Warhol arriva CattelanBilbao, 20 feb. (askanews) – La Pop Art sta perfettamente dentro gli spazi del museo Guggenheim di Bilbao, per attitudini e dimensione e la collezione vanta pezzi importanti del movimento che negli anni Sessanta ha portato la cultura di massa alla scena dell’arte contemporanea e viceversa. Per questo la mostra “Segni e oggetti – La Pop Art nella Collezione Guggenheim” è un’occasione affascinante per riavvicinarsi a Roy Lichtenstein o Andy Warhol da una prospettiva che però è diversa: nonostante i colori e la patina di glamour, infatti, l’esposizione ci racconta di un’anima più oscura, meno luccicante, in un certo senso “sporca”, come alcune opere di Rauschenberg, un maestro la cui influenza ancora forse non abbiamo capito fino in fondo. Alla dimensione più politica contribuisce la presenza di diversi artisti europei, come Mimmo Rotella o Sigmar Polke, ma anche l’accostamento di opere contemporanee che hanno rinnovato la tradizione del Pop.


“Non presentiamo solo la celebrazione della cultura del consumo tipica della Pop Art americana e britannica – ha detto ad askanews la co-curatrice della mostra Lauren Hinkson – ma abbiamo anche una prospettiva internazionale, che apre una posizione molto più politica e riflette i conflitti sociali che hanno caratterizzato molti Paesi”. Come sempre accade con la Pop Art il portare sotto i riflettori la cultura popolare rappresenta anche una critica pungente, e il fatto di avere scelto di puntare su un’opera di Lichtenstein che ritrae un cane aggressivo e ringhiante, oppure su una serie di Rauschenberg fatti di cartone e molto lontani da ogni patinatura, offre un taglio preciso, poco rassicurante, a tutta l’esposizione. Ed è qui la sua forza oggi. “C’è una violenza – ha aggiunto Lauren Hinkson – che è parte della storia, perché è parte del modo in cui la cultura e la comunicazione di massa si sono sviluppate velocemente negli anni Sessanta. E il fenomeno continua oggi”.


Accanto alle opere gigantesche di Rosenquist o di Oldenburg ci sono però due lavori più recenti che in qualche modo possono provare a tirare le fila più profonde della mostra del Guggenheim: la prima è il “Bootleg” pirata di Douglas Gordon, che nel 1997 ha ripreso per due ore il film “Empire” di Andy Warhol, e in qualche modo restituisce la storia da un punto di vista ancora più oscuro e perduto su un artista e un edifico a loro modo canonizzati. La seconda è “Daddy, Daddy” di Maurizio Cattelan, il suo celebre Pinocchio affogato che usa il linguaggio del Pop per spalancare, come sempre nel grande artista italiano, le riflessioni sulla morte, sull’infanzia e sulle relazioni. Come dire, benvenuti in un presente che non passa mai. (Leonardo Merlini)

Incantesimi, sorelle e invocazioni: il paesaggio di Chiara Camoni

Incantesimi, sorelle e invocazioni: il paesaggio di Chiara CamoniMilano, 20 feb. (askanews) – È certamente una sorta di paesaggio fantastico che nasce dal quotidiano, dal ribaltamento delle prospettive e da un senso di incantesimo diffuso. È anche un nuovo modo di guardare allo spazio espositivo dello Shed di Pirelli HangarBicocca a Milano, inondato dalla luce come quasi mai prima d’oggi era capitato di vedere. La mostra personale di Chiara Camoni intitolata “Chiamare a raduno – Sorelle. Falene e Fiammelle. Ossa di leonesse, pietre e serpentesse” ha qualcosa di semplice, nella sua orizzontalità di topografia, ma è proprio questa sorta di mappa mentale e fisica a tracciare le coordinate di un possibile incantesimo che in qualche modo presiede alla convocazione delle opere.


“Questo tipo di meraviglia – ha detto l’artista nata a Piacenza nel 1974 ad askanews – è ciò che io mi auguro le mie opere possano suscitare al pubblico. Non sono il risultato di un progetto, di un percorso razionale, ma io credo di una zona più inconscia, più ombrosa che dà forma alle opere. Io stessa posso dire che le trovo e non so esattamente cosa trovo e quindi sono per me degli incontri”. La dimensione della mostra, che è curata da Lucia Aspesi e Fiammetta Griccioli, è collettiva e naturale. Le figure delle “Sisters”, antropomorfe o zoomorfe, nascono dall’accumulo, ma portano dentro di loro anche la forza del rituale e la metamorfosi concettuale dei materiali con cui sono composte, soprattutto la ceramica, ma anche ferro, plastica, oggetti trovati. Sono proto-divinità del femminile e insieme a loro volta invocano un’idea di comunità e rivendicazione identitaria.


“C’è un piacere nella trasformazione – ha aggiunto Chiara Camoni – nel prendere la materia, dare forma, toglierla e ridarla di nuovo. C’è una trasformazione che avviene a livello dei gesti, a livello della materia e c’è una trasformazione che avviene anche a livello simbolico. Sono che sotto un altro punto di vista rivelano immagini inedite”. Nella mostra sono importanti anche gli animali, dalle leonesse ai cani per arrivare a serpenti realizzati con comuni ciotole di porcellana, che diventano essi stessi elementi di un paesaggio dove il noto e il comune prendono forme nuove, sfocate e, in certi momenti e con certe condizioni di luce, preziose. Come il continuo ripensare se stesso che porta avanti Pirelli HangarBicocca, spazio espositivo in movimento e capace di non avere paura di cambiare e rimettersi in gioco ogni volta.

A un anno dalla scomparsa l’evento per ricordare Doina Botez a Roma

A un anno dalla scomparsa l’evento per ricordare Doina Botez a RomaRoma, 13 feb. (askanews) – “Doina Botez. Per ricordare. Il coraggio dell’espressione”: un anno dalla scomparsa dell’artista romena, il 20 febbraio a Roma, nella sede dell’Ambasciata di Romania, si svolgerà la commemorazione.


Nell’ambito dell’evento moderato da Giuseppe Rippa, direttore “Quaderni Radicali” e organizzato dall’ambasciata di Romania in Italia, in partenariato con l’Accademia di Romania in Roma e l’Associazione Culturale Doina Botez di Roma, interverranno: Gabriela Dancau, Ambasciatore di Romania in Italia, Ana Blandiana, poetessa, la professoressa Magda Cârneci, critico d’arte, poetessa e pubblicista, il professor Mihail Dobre, diplomatico e storico (intervento on-line), il professor Flaminio Gualdoni, critico e storico dell’arte (intervento on-line), Adrian Iancu, presidente dell’Associazione Culturale “Doina Botez” e il professor Bruno Mazzoni, docente dell’Università di Pisa. Durante l’evento sarà esposta al pubblico presente l’opera “Cosmar” (Incubo) firmata dall’artista romena Doina Botez. Si tratta di un dipinto pensato come omaggio a Eugen Ionescu, con riferimento alla sua famosa opera teatrale “I Rinoceronti”. Il tema dell’opera teatrale riflette le preoccupazioni artistiche e spirituali dell’artista, costanti e ricorrenti in ogni periodo della creazione. Il motivo del rinoceronte, il ciclo l’Allegoria del Gatto Arpagic o il ciclo del Mito di Leda testimoniano questo interesse altrettanto estetico e impegnato dell’artista per la storia dell’arte e per la Sua ferma posizione contro il totalitarismo.


Appartenente in uguale misura allo spazio culturale romeno e italiane e scomparsa prematuramente lo scorso anno, Doina Botez è stata un’artista apprezzata e amata tanto in Italia, quanto nel suo paese d’origine: la Romania. Il legame con l’Italia è sempre stato forte. Dopo l’inizio della sua carriera in Romania nel 1984 le venne conferita una borsa di studio, in Italia, nel quadro dell’accordo culturale italo-romeno. L’artista riuscì ad esprimere, nella sua opera, anche alcuni aspetti tragici della dittatura, fino alle ammonizioni per le illustrazioni dei versi della poetessa dissidente Ana Blandiana. In seguito, le autorità comuniste misero a bando la sua attività professionale nel campo dell’illustrazione di libri e questo è il momento cruciale che determinò la sua decisione di lasciare il Paese natio.


A novembre del ’89, un solo mese prima della caduta del regime comunista, partì per l’Italia: ha vissuto e lavorato a Roma dedicancodi esclusivamente all’attività di pittura e grafica e nel 2004 divenne cittadina italiana.

Gli universi del possibile: Wayne McGregor tra clima e visioni

Gli universi del possibile: Wayne McGregor tra clima e visioniMilano, 18 feb. (askanews) – Ci possono essere misteri e viaggi nello spazio e nel tempo; ci possono essere divinità divisive e segni magici; c’è una danza d’impianto tradizionale calata in un contesto fantascientifico; ci sono i corpi e la tecnologia; c’è la poesia e forse la storia del passato e del futuro; c’è la crisi climatica, c’è il buio, ma può esserci anche una speranza. Oppure potrebbe esserci molto altro, molte narrazioni diverse, molte visioni diverse. Unite però da un racconto coreografico e visuale che ha la forza di andare oltre e di mettere in scena l’urgenza del tempo che viviamo e di quello che potremmo (non) vivere ancora. Lo spettacolo “UniVerse: A Dark Crystal Odyssey” del coreografo britannico, e attuale direttore della Biennale Danza di Venezia, Wayne McGregor è uno spettacolo dalla straordinaria scenografia e dalle vaste profondità. Portato anche in Triennale Milano in occasione del FOG Festival, ha mostrato ancora una volta come oggi si possa ripensare l’idea stessa di palcoscenico, senza togliere la centralità dei corpi e dell’azione dal vivo, ma integrandola con le risorse della tecnologia e con un gioco sui piani di scena che genera una sorta di spettacolo nello spettacolo, non nel senso shakespeariano classico, ma in quello visivo e narrativo. Le immagini che appaiono davanti e alle spalle dei danzatori sono parte della storia, sono amplificatori, sono in certi casi veri e propri oggetti. Ma al tempo stesso sono spirito, sentimento, aspirazione, contrappunto e a volte sono tutto, come una grande oggetto gravitazionale dalla incommensurabile forza attrattiva.


Lo spettacolo di McGregor parla di clima, di un pianeta malato e di un’umanità che si divide, parla di paure contemporanee e antichissime, dello sguardo verso il cielo e le sue profondità scientifiche che vanno oltre la comprensione. Parla di uomini e viaggiatori, pronti ad andare, come cantava Battiato, “alle porte di Sirio”, ma anche, sulla scorta del film “The Dark Crystal” di Jim Henson al quale si ispira, della rottura dell’equilibro universale e delle conseguenti divisioni che si creano. Da qui le molte scene di scontro che caratterizzano la coreografia, da qui la tensione, resa più dolorosa dalla consapevolezza di un tempo che diventa sempre più breve, sempre più rischioso per noi. Ma poi arrivano le stelle, le galassie. I performer e il pubblico con loro alzano gli occhi al cielo e vedono la meraviglia senza fine, il sublime kantiano, ma nella forma della bellezza più pura, libera dalla paura, che invece sembra essere il sentimento più diffuso sulla terra. Dalla platea si ha la sensazione di poter essere in molti mondi diversi (e in molti sentimenti diversi) allo stesso tempo, con il conseguente senso di spaesamento; ma la musica, le immagini e i movimenti dei ballerini ricompongono questa incertezza in una visione che ha la potenza dello sguardo oltre la siepe dell’Infinito leopardiano, ma anche un’armonia strana e superiore: l’armonia della possibilità, di un’altra possibilità. Una storia diversa è possibile, sembra ricordarci McGregor, purché si sia prima compreso fino in fondo, proprio dentro i corpi sul palco e anche in parte in quelli seduti in sala, il contesto del presente. La sua drammatica poeticità, che è ciò a cui aggrapparsi, grazie alla voce recitante che appare a scandire i tempi e i momenti del racconto; un po’ come l’apparizione del monolito scandiva i salti evolutivi in un’altra Odissea, quella di Arthur Clarke e Stanley Kubrick, nel 2001 dei sogni collettivi. C’è anche qualcosa di panico, un sentimento spinoziano della Natura come tutto, come entità assoluta le cui processioni generano la fenomenologia. Ma nel caso di “UniVerse” è la stessa fenomenologia a farsi totalizzante, in un circolo che si rincorre e si completa proprio nel non chiudersi mai. Ogni scena alza ulteriormente la posta in gioco e spinge un passo oltre il confine da raggiungere. Ma trattandosi di un universo in espansione è chiaro che, come dei nuovi Kafka o Beckett, a quel confine non arriveremo mai, Godot lo continueremo ad aspettare. Però l’attesa è il viaggio stesso, l’attesa è il Tempo, che la grandezza della visione di Wayne McGregor riesce a piegare, per allargare ancora di più le porte delle nostre percezioni di spettatori. Il viaggio lisergico dell’astronauta Bowman diventa allora accessibile, con la stessa mancanza di certezze e di risposte, certo, ma con un punto di approdo che è ancora vicino, vicinissimo a noi. Perché la danza può curvare lo spaziotempo e riportarci a casa, sapendo che dopo aver vissuto questo spettacolo ogni cosa potrà anche apparirci diversa. E così, chissà, forse è così che si impara a sperare. (Leonardo Merlini)