Skip to main content
#sanremo #studionews #askanews #ciaousa #altrosanremo

Biennale Danza, i sogni come coreografia in Pontus Lidberg

Biennale Danza, i sogni come coreografia in Pontus LidbergVenezia, 31 lug. (askanews) – L’amore, il dolore, il mondo, la malattia, la scoperta della vita e della morte. C’è moltissimo nello spettacolo “On the Nature of Rabbits” che il coreografo e ballerino svedese Pontus Lidberg ha portato alla Biennale Danza di Venezia: un’opera che racconta di un’innamoramento guidato solo dai movimenti del corpo, ma, per estensione, anche dell’uscita dall’infanzia – dal suo mondo, dai ricordi e dagli oggetti che si porta dietro – per affacciarsi all’età adulta e al desiderio. “Il lavoro – ha detto Lidberg ad askanews – è stato pensato per questi danzatori, il processo è partito da questo e ora è diventato qualcosa che ha caratteristiche di sogno, anzi una serie di sogni, in un certo senso. Alcuni sono surreali o bizzarri, altri sembrano incubi. Abbiamo cercato, partendo dalle nostre fonti, di creare delle immagini o dipinti in movimento che somigliassero ai sogni”.

In alcuni passaggi i sogni sono forti, drammatici, poi improvvisamente virano verso la delicatezza, e sono i momenti più riusciti del lavoro, insieme ai passi a due, alcuni realmente commoventi e carichi di sentimento che diventa danza, che diventa coreografia. Altri passaggi sono più didascalici, forse cercano di dire fin troppo, ma l’idea che guida tutto il progetto costringe lo spettatore a porsi domande interessanti. “Essere realmente svegli – ha aggiunto l’artista – è molto difficile, viviamo sempre in un mondo nostro, nei nostri pensieri e sentimenti. Secondo me non c’è una ‘realtà’, credo che la realtà sia un concetto filosofico”. Un concetto che però prende vita nello spazio mentale e fisico del palco, nella forza della danza come medium artistico in grado di aderire – pur con la sua inevitabile dose di oscurità e mistero – alle domande del presente, al bisogno, veicolato in tutta la Biennale Danza 2023, di cercare strade diverse e nuove per essere noi stessi, anche attraverso un’opera d’arte. “Io credo che un’altra cosa meravigliosa nella danza – ha concluso Pontus Lidberg – sia il fatto che può unire il racconto e le arti visive e molte altre pratiche. Non c’è solo questo, ma certamente per creare uno spettacolo di danza come il nostro sono coinvolte molte altre forme d’arte”.

L’effetto è, per ammissione dello stesso coreografo, una sorta di “realismo magico” danzato, ma probabilmente più importante è il modo in cui, nei momenti più intensi dello spettacolo, la danza prende consapevolezza della propria forza creativa: forse la realtà non esiste in toto, lo abbiamo già detto, ma certamente esiste la realtà dello spettacolo. E di questo tutti, nel Teatro alle Tese, abbiamo fatto esperienza diretta. (Leonardo Merlini)

Biennale Danza, la ricerca pura di TAO Dance, Leone d’Argento

Biennale Danza, la ricerca pura di TAO Dance, Leone d’ArgentoVenezia, 29 lug. (askanews) – Una serie di performance potenti, concentrate sulla presenza sul palcoscenico e sulla natura stessa del movimento, sulle sue origini e perfino sulle sue motivazioni. Lo spettacolo è “11”, un capitolo delle “Numerical Series” che la compagnia TAO Dance Theatre ha portato alla Biennale Danza di Venezia, festival nel quale il gruppo di artisti cinesi è stato premiato con il Leone d’Argento. Un riconoscimento che il direttore Wayne McGregor ha voluto motivare così: “Tao Ye e Duan Ni – ha detto – hanno creato un genere di danza unica ed evoluzionistica che cattura con la sua forza ipnotica e minimalista. La loro compagnia, TAO Dance Theater, fondata nel 2008, è impegnata in un’estetica di ‘danza pura’, essenziale, che elimini ogni categorizzazione del movimento e, per estensione, di loro stessi”.

Guardando lo spettacolo, sentendo il modo in cui agisce su ogni spettatore, ascoltando le armonie e le distonie, prendendo consapevolezza dei gesti collettivi e di quelli del singolo, immaginando le storie psicologiche che sostengono ogni passo e la ricerca coreografica estrema, che nel caso di “11” prevede movimenti rigidamente studiati per la parte inferiore del corpo e obbligatoriamente improvvisati per quella superiore, si arriva, attraverso processi non solo razionali a “sentire” la forza del lavoro e, in un certo senso, anche la sua necessità. Che, come ha spiegato lo stesso Tao Ye ricevendo il Leone, parte da una ricerca per sottrazione. “Nelle mie opere – ha spiegato il coreografo – il principio è di togliere tutto ciò che è possibile togliere, non ci sono immagini, oggetti di scena o persino musica sul palco. L’unica cosa che voglio evidenziare è la potenza della vita, della natura del corpo. Pertanto, i ballerini stessi sono l’essenza delle mie opere”. Un’essenza che sul palco è viva e molteplice, rassicurante e classica in certi passaggi, problematica e individualista in altri. Le storie che si possono immaginare dietro il gesto dei ballerini sono innumerevoli, tutte legittime, dalla società di massa ai campi di prigionia, dall’amore alla solitudine, e la sensazione ricorrente è di trovarsi in ogni momento a vivere su una qualche soglia. Ma a contare in profondità, alla fine, è il fatto di assistere a uno spettacolo che è danza, in modo totalizzante. Il resto viene dopo. (Leonardo Merlini)

Biennale Danza, 11.800 presenze per l’edizione 2023 (+26%)

Biennale Danza, 11.800 presenze per l’edizione 2023 (+26%)Milano, 28 lug. (askanews) – Si conclude domani, sabato 29 luglio, la terza edizione della Biennale Danza diretta da Wayne McGregor, che ha saputo calare ancora di più il festival entro i gangli del contemporaneo. Per una degna conclusione sul palcoscenico del Teatro Malibran i Tao Dance Theater, Leoni d’argento, porteranno in scena altri due “episodi” delle loro Numerical Series: 13 e 14.

La Biennale Danza del 2023 ha realizzato 11.800 presenze (+26% rispetto allo scorso anno) nell’arco di due settimane di programmazione che hanno visto a Venezia oltre 150 artisti da tutto il mondo per 24 titoli con 19 novità, di cui 7 mondiali, 3 europee, 9 italiane. Il Leone d’oro alla carriera è stato destinato a Simone Forti, che con la sua attività pionieristica ha regalato echi più vasti e ricchi alla danza e all’arte contemporanea. Accanto alla coreografa e artista italo-americana, nomi rilevanti come Carlos Acosta, Pontus Lidberg, Rachid Ouramdane, Oona Doherty, Lucy Guerin, fra gli altri, e i giovani danzatori e coreografi di Biennale College, vera “linfa vitale” del festival nelle parole del direttore Wayne McGregor. Intitolata “Altered States”, stati di alterazione, questa edizione del festival ha ancora una volta ragionato intorno all’idea del corpo, della sua presenza, anche politica, sulla scena dell’oggi Sul modo in cui restituire visibilità, cittadinanza e, soprattutto, visioni alternative, magari frutto di alterazioni, ma comunque vive, diverse possibili. E ancora una volta per chi ha potuto seguirla con lo sguardo del cronista è stata una somma di voci, pratiche, posture diverse – da quelle più classicheggianti a quelle più radicali e radicalizzanti – che, tutte insieme, restituiscono una fotografia imperfetta, mossa, ma consapevole, della scena contemporanea. Davvero nel solco della lezione di Simone Forti, il cui sorriso nel giorno del collegamento dagli Stati Uniti per l’inaugurazione del festival resta una delle immagini più significative di questa Biennale. Che è anche un laboratorio continuo, un cantiere aperto che si muove alla velocità – notevole – del pensiero di Wayne McGregor, direttore brillante e capace di visione e visionarietà.

Se il sipario cala sulla Biennale Danza 2023, il lavoro alla futura edizione, assicurano da Ca’ Giustinian, è già cominciato. Da domani, sabato 29 luglio, fino a martedì 12 settembre saranno on line sul sito della Biennale di Venezia (www.labiennale.org) il terzo Bando nazionale e il secondo Bando internazionale per la realizzazione di due nuove coreografie. La Biennale Danza prosegue il programma pluriennale che destina risorse alla creazione coreografica delle nuove generazioni e dopo Diego Tortelli, Luna Cenere, Andrea Peña, vincitori dei precedenti bandi, rinnova l’invito ad artisti e compagnie di danza italiane e straniere di età inferiore ai 35 anni a proporre progetti coreografici originali e inediti. Nella più ampia libertà di proposta – dall’assolo alla composizione d’ensemble – i progetti che perverranno entro il 12 settembre, rispondendo alle richieste dei bandi, verranno selezionati da Wayne McGregor, direttore artistico del Settore Danza. I due progetti selezionati debutteranno al 18esimo Festival Internazionale di Danza Contemporanea e saranno sostenuti dalla Biennale di Venezia con un premio di produzione fino a un massimo di 30.000 euro, contributo che potrà autonomamente o insieme ad altri partner produttori concorrere alla realizzazione del progetto coreografico. Oltre al premio di produzione la Biennale di Venezia coprirà le spese di allestimento necessarie per il debutto a Venezia – dai cachet artistici a viaggio e alloggio e alla scheda tecnica. L’esito della selezione sarà comunicato il 10 ottobre.

La danza contemporanea, una geopolitica del presente

La danza contemporanea, una geopolitica del presenteVenezia, 28 lug. (askanews) – La danza come forma d’arte in grado di dare una forma e una realtà concreta a un mondo in trasformazione, superando steccati formali e culturali, ribaltando prospettive e diventando un vero agente sociale di comunità. In grado di abbattere le vecchie visioni in un certo senso “imperialiste” per assumere una valenza ben più ampia, complessa e politica. Di questo si occupa il libro “Confini Conflitti Rotte – Geopolitica della danza”, scritto da Elisa Guzzo Vaccarino, storica e giornalista, e presentato anche a Venezia, nei giorni della Biennale Danza. “La danza contemporanea – ha detto l’autrice ad askanews – è un’idea occidentale, l’abbiamo inventata in America, in Europa. Adesso però da altri continenti ci arrivano proposte e negli stessi festival della Biennale di Venezia molti artisti non europei o non nord americani ci portano la loro visione della danza contemporanea che quindi oggi è un fenomeno globale”.

Il libro ripercorre i momenti in cui la, per così dire, rottura del velo si è consumata e analizza spettacoli che hanno lasciato il segno, partendo dal parallelismo sovversivo tra il “Ballo Excelsior” del 1881, impregnato di trionfante colonialismo, e la produzione “Excelsior” del 2018 di Salvo Lombardo, che arriva a ribaltare tutte quelle prospettive in chiave di autoanalisi dell’Europa nel nuovo millennio. Ma nelle pagine del saggio passano anche Saburo Teshigawara, Peter Brook o Maurice Béjart. Storie, in un certo senso, degli “scandali” che hanno dato svolte all’arte e al costume. “Ci sono dei casi già di fusione di culture – ha aggiunto la studiosa – dove, per esempio, con artisti come Shen Wei o TAO, si attinge al teatro classico cinese e quegli elementi, quelle forme riescono a mescolarsi, ma mantenendosi reali, non facendo dell’esotismo, si riesce a mescolarle con le nostre e nasce qualcosa di nuovo”. Un nuovo che diventa il nostro presente, il modo di stare nei nostri corpi, ma anche si ricollega, come ha sottolineato il presidente della Biennale Roberto Cicutto, ai temi che proprio l’istituzione veneziana sta tenacemente e meritoriamente portando avanti da anni: il desiderio, l’inclusione, l’apertura a ciò che ci hanno raccontato come diverso, la postura sociale e un certo necessario radicalismo di fronte alla società e al suo respiro globale. Per poi ricomporsi nel bisogno di danza che, per quanto la si consideri disciplina di nicchia, continuiamo tutti ad avere. “Tutto quello che ci incuriosisce – ha concluso Elisa Guzzo Vaccarino -, che ci fa desiderare di stare con gli altri a teatro e condividere delle esperienze che magari ognuno di noi legge con la sua sensibilità, ma che formano comunità, dopo il Covid, significa molto”.

Così come significa molto stare di fronte alla danza, lasciando che tutti i misteri che riesce a evocare diventino possibili e, magari, poi, ognuno a modo suo, reali. (Leonardo Merlini)

Cicutto: con la Biennale Arte 2024 continuiamo a dare voce al Sud

Cicutto: con la Biennale Arte 2024 continuiamo a dare voce al SudVenezia, 28 lug. (askanews) – “Quando ho scelto Adriano Pedrosa come curatore della Biennale Arte 2024 l’ho scelto sicuramente per la sua grande esperienza, per la sua curiosità, per la sua capacità anche di organizzatore, allestitore e curatore di mostre, ma l’ho scelto per continuare una ricerca, così vogliamo chiamarla, di dar voce al Sud. L’abbiamo fatto con Leslie Lokko per l’Africa, lo facciamo con lui, primo curatore nella storia della Biennale che viene da un paese dell’America Latina. Io non credo che il compito di Adriano Pedrosa sia quello di raccontare gli artisti di quella parte del globo, ma è importante che noi percepiamo la sua visione in quanto appartenente a quella parte geografica del globo, attraverso la scelta degli artisti di lì e degli artisti del resto del mondo. Non è tanto quanto per Lokko dare voce a chi non l’ha avuta, perché gli artisti sudamericani nel mondo e nelle biennali ce ne sono stati tanti, ma è proprio un punto di vista, un punto di vista che a mio avviso assomiglia di più a un contro campo cinematografico, è come se ne spostassimo una macchina da presa e loro ci devono un po’ dire, lui ci deve un po’ dire, come l’arte dell’altro emisfero viene vista a confronto con quella che lui ci mostrerà che viene dai luoghi da dove lui proviene. Ecco io penso che sia una mostra molto importante perché un po’ come ha fatto anche Cecilia Alemani, mostrerà nel nucleo storico gli antesignani ai quali si sono ispirati gli artisti contemporanei, mi auguro che abbia altrettanto successo, ma per quanto riguarda la responsabilità del presidente mi assumo completamente quella di aver voluto scegliere punti di vista che arrivarono dal Sud”. Lo ha detto ad askanews il presidente della Biennale di Venezia Roberto Cicutto, parlandoci della prossima Biennale Arte, che nel 2024 sarà curata dal brasiliano Adriano Pedrosa e si intitolerà “Stranieri ovunque”.

Fondazioe Prada intitola il suo cinema a Jean-Luc Godard

Fondazioe Prada intitola il suo cinema a Jean-Luc GodardMilano, 27 lug. (askanews) – Da settembre 2023 il cinema di Fondazione Prada a Milano assume il nome di Cinema Godard per rendere omaggio a una delle figure più visionarie e innovative della cinematografia mondiale, capace di influenzare con la sua opera generazioni di cinefili, artisti e spettatori. Il Cinema Godard rinforza il legame ideale con il regista franco-svizzero che ha concepito e realizzato per la Fondazione le sue uniche installazioni permanenti aperte al pubblico: “Le Studio d’Orphée” e “Accent-soeur”. Da febbraio a dicembre 2023 Fondazione Prada sta dedicando a Godard una retrospettiva che analizza la sua vasta e complessa produzione.

Come ha spiegato Miuccia Prada, “il cinema è un laboratorio di nuove idee e uno spazio di formazione culturale, per questo abbiamo deciso di dedicare la nostra sala a Jean-Luc Godard. La forza sperimentale e visionaria della sua ricerca è uno stimolo continuo a rinnovare l’impegno della Fondazione nella diffusione dei linguaggi cinematografici e visivi e nell’esplorazione di forme di narrazione emergenti, attivando un luogo di conoscenza del mondo e della vita delle persone”. Dal 1 settembre 2023 Fondazione Prada inoltre rilancia la propria proposta cinematografica che esplora il cinema del presente e del passato come un festival aperto e in continua evoluzione. Werner Herzog e Rebecca Zlotowski saranno due dei protagonisti degli incontri aperti al pubblico che inaugureranno la nuova stagione del Cinema Godard, curata da Paolo Moretti. Le filmografie di Herzog e Zlotowski saranno esplorate nel programma di settembre attraverso una selezione dei loro lavori.

Sabato 16 settembre la regista e sceneggiatrice francese Rebecca Zlotowski sarà al centro di una conversazione sull’insieme della sua opera, dal film d’esordio Belle épine (2010), che ha rivelato Lea Seydoux ed è stato selezionato alla Semaine de la Critique di Cannes, al più recente I figli degli altri (Les enfants des autres, 2022), presentato in concorso all’ultima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Domenica 17 settembre il regista e scrittore tedesco Werner Herzog sarà il protagonista di un incontro con il pubblico. In questa occasione presenterà il suo ultimo film The Fire Within: a requiem for Katia and Maurice Krafft (2022), dedicato ai noti vulcanologi e cineasti francesi e distribuito nelle sale italiane da I Wonder Pictures, e l’anteprima italiana di Theater of Thought (2022) che esplora il mistero del cervello umano tra scoperte neuroscientifiche e tecnologiche e le loro implicazioni etiche e filosofiche. Oltre ai due film inediti verrà presentata una selezione dei suoi lavori documentari a partire dagli anni Duemila, molti dei quali mai usciti in sala in Italia.

Matisse scultore al MAN di Nuoro: tra metamorfosi e processo

Matisse scultore al MAN di Nuoro: tra metamorfosi e processoNuoro, 26 lug. (askanews) – Un progetto che vuole mettere in luce una parte della produzione meno studiata di Henri Matisse, uno degli artisti-totem del Novecento, ossia la sua scultura. Che sta accanto alla pittura e aiuta a comprendere più a tutto tondo l’opera di un maestro. Il MAN di Nuoro ha presentato la mostra “Matisse – Metamorfosi”, curata dalla direttrice del museo, Chiara Gatti. “Matisse scultore – ci ha spiegato – è un maestro diverso da quello che conosciamo dai manuali della storia dell’arte. È un maestro che abbandona momentaneamente il colore, non è più il maestro dei pesci rossi o dei nudi blu, ma è un artista che scopre il piacere della materia, la passione di frizionare la terra cruda fra le mani. E lo fa per comprendere meglio lo spazio e per comprendere meglio l’oggetto, girarli intorno, racconta, mi serve a comprenderlo meglio”.

Il concept della mostra è stato sviluppato nel 2019 dalla Kunsthaus di Zurigo e dal Museo Matisse di Nizza, come un progetto destinato a ripensare Matisse, a riconsiderare il ruolo della sua opera nel panorama dell’arte della prima metà del XX secolo, alla luce di una più ampia ricerca estetica che vede proprio nella scultura il veicolo per nuove e rivoluzionarie soluzioni formali. Al MAN l’esposizione ha portato anche a modificare gli spazi del museo, che, in un certo senso, si è mosso in simbiosi con la pratica di Matisse, che nella scultura aveva sviluppato un’attitudine processuale. Infatti realizzava dei calchi dell’avanzamento del lavoro, per poi poterci ritornare in seguito, cercando di fissare la forma ancora con maggiore precisione e, in fondo, senza mai fissarsi su una forma definitiva. “Questo metodo per conservare il tempo, per conservare il processo artistico – ha spiegato Sandra Gianfreda, curatrice al Kunsthaus di Zurigo – è una cosa molto concettuale che poi verrà ripresa da molti artisti nel corso del XX secolo”.

Le metamorfosi, insomma, quasi come cifra profonda di un’arte che, sia con la pittura e la grafica, sia con la scultura, non smette di essere ricerca, flusso e cambiamento. Forse questa è l’eredità oggi più attuale della lezione di Henri Matisse.

Inail, progetto riqualificazione e restauro Archivio centrale Stato

Inail, progetto riqualificazione e restauro Archivio centrale StatoRoma, 24 lug. (askanews) – È in programma martedì 25 luglio, alle ore 13.30, presso il Ministero della Cultura, la conferenza stampa di presentazione del progetto di riqualificazione e restauro a opera di Inail del complesso monumentale di piazzale degli Archivi all’Eur, che dagli anni Cinquanta del secolo scorso ospita l’Archivio centrale dello Stato.

Vincolato come bene culturale dal 2004, l’immobile, di grande rilevanza storica e culturale, dal 2015 è di proprietà dell’Istituto. Sicurezza, sostenibilità e restauro estetico sono i tre obiettivi principali del progetto di riqualificazione, affidato dall’Inail a un gruppo di imprese con procedura a evidenza pubblica. Gli interventi di restauro e risanamento conservativo previsti – spiega una nota dell’Inail – hanno un valore complessivo di 28 milioni di euro e sono in linea con le iniziative di riqualificazione urbana del piazzale. Per valorizzare il complesso monumentale sarà realizzato un nuovo impianto di illuminazione a forte impatto emozionale. Previsto, inoltre, l’impiego di materiali ecosostenibili, al quale si aggiungono efficientamento energetico ed energy sharing.

Intervengono il direttore generale, già sovrintendente dell’Archivio centrale dello Stato, Andrea De Pasquale, il commissario straordinario dell’Inail, Fabrizio D’Ascenzo, il direttore centrale patrimonio, Carlo Gasperini, l’architetto Vincenzo Corvino, la soprintendente speciale Archeologia, Belle arti e Paesaggio di Roma, Daniela Porro, e il direttore generale dell’Istituto, Andrea Tardiola. Conclude il ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano.

”Prepost-art”, ritorno alle origini per lo street artist Moby Dick

”Prepost-art”, ritorno alle origini per lo street artist Moby DickRoma, 24 lug. (askanews) – Un nuovo percorso artistico per Moby Dick, uno degli street artist di riferimento del Pop Surrealismo italiano, nonché attento animalista e attivista. “Prepost-art”, nome prescelto per sintetizzare il suo inedito pensiero, consiste in un ritorno alle origini: per ricordare “chi siamo, da dove veniamo, dove andiamo?”, domande che da sempre accompagnano l’umanità, e che sono diventate il nuovo focus dell’artista. La sua nuova personale si aprirà in autunno a Roma: al suo fianco, l’architetto dalla profonda passione per l’arte Innocenzo Ceci.

“La definizione di arte che si può leggere sui dizionari mi trova pienamente concorde nel descriverla come qualsiasi attività dell’uomo che sia espressione del suo talento inventivo e della sua capacità / abilità creativa – ha spiegato Moby Dick – ma per la sua origine, per la sua prima rappresentazione, occorre ritornare alla pittura rupestre, con la sua semplice espressività e fortissima capacità simbolica di nostri cugini neanderthaliani di ben 60mila anni fa. I murales attuali delle nostre città invece ci dicono, più di altre forme artistiche, dove quest’arte millenaria si è evoluta. Ecco in poche parole il pensiero che accompagna queste mie nuove opere. La roccia millenaria e i muri metropolitani sono sostituiti da lastre di pietra di pochi millimetri di spessore dove riproporre in chiave moderna disegni e tecniche primordiali insieme a spray, colori e pigmenti dei nostri giorni. Io vengo da quel mondo, devo la mia notorietà alle mie opere di street artist, ma sentivo l’esigenza di una visione di più ampio respiro, un qualcosa che unisse passato, presente e futuro… un filo conduttore lungo 60mila anni. Un percorso quindi che parte da molto lontano ma che attinge anche da correnti artistiche d’avanguardia come il cubismo e dal genio rivoluzionario di Picasso”.

Francesca Leone ambasciatrice dell’arte italiana al G20 in India

Francesca Leone ambasciatrice dell’arte italiana al G20 in IndiaRoma, 24 lug. (askanews) – L’artista Francesca Leone, nota anche a livello internazionale per l’impiego di materiali recuperati e per la sua sensibilità ambientale, è stata scelta dal MAXXI di Roma per esporre sia al Bihar Museum di Patna che al National Museum di Nuova Delhi seguendo il tema indiano della Vasudhaiva Kutumbakam che, tradotto, significa: “Una Terra, una famiglia, un futuro”.

Tre rose sagomate a partire da lamiere da cantiere dismesse e graffiate, nelle quali il colore può coprire i segni della ruggine e dei solchi e portare una promessa di rigenerazione attraverso il recupero e la cura. Così si presenta la sua installazione scelta dal Museo MAXXI, su incarico del Ministero della Cultura, per rappresentare l’arte italiana al prossimo G20 in India. Durante l’assise internazionale 50 opere di artisti provenienti da tutto il mondo verranno esposte nella mostra “Together we art” al Bihar Museum di Patna nello Stato indiano del Bihar dal 7 al 23 agosto 2023. Successivamente, la mostra verrà trasferita nella capitale Nuova Delhi, al National Museum, ed esposta dal 7 settembre al 7 ottobre. L’installazione è intitolata “Una rosa, è una rosa, è una rosa” dal verso della poetessa Gertrude Stein. Questa rimanda a un giardino malato, in cui la rosa più grande ha perso le tracce della ruggine e del tempo grazie al colore restituitole dall’artista ed è tornata a nuova vita. La rosa più piccola mostra ancora i segni del tempo con la speranza che possa “guarire”. Nella terza rosa, invece, protagonista è la ruggine, non essendoci traccia di colore. I tre fiori rappresentano altrettante possibilità di cura o di abbandono e lasciano intravedere la speranza di poter salvare o far rivivere la bellezza residua di questo roseto onirico prima che appassisca del tutto.

I significati immediatamente riconoscibili nell’opera – l’aver cura, il non lasciare andare, il dare una seconda vita a qualcosa che è stato logorato e abbandonato – abbracciano diverse sfere, dalla relazione umana alla tutela dell’ambiente, rispettando quindi la filosofia di “Together we art” scelta dal principale curatore, Alka Pande. Il filo conduttore della mostra sarà, infatti, il tema indiano della Vasudhaiva Kutumbakam che significa: “Una Terra, una famiglia, un futuro”. Il tema è tratto da un importante testo filosofico indiano, la Maha Upanishad, e si focalizza su tolleranza, inclusività, coesistenza pacifica ed ecologia. Francesca Leonen negli ultimi dieci anni ha esposto per tre volte alla Biennale di Venezia, prima nel Padiglione Italia, poi in quello di Cuba e infine nel 2022 con una grande mostra personale tra gli eventi collaterali; alla Opera Gallery di Londra, al Museum of Contemporary Art di Santiago del Cile, al MACBA – Museum of Contemporary Art – di Buenos Aires; al Museum of Fine Arts di S.Pietroburgo e al Palacio Gaviria, oltre che in diverse sedi museali italiane come la Triennale di Milano, il Museo Macro di Roma, il Reale Albergo dei Poveri di Palermo e la Sala delle Colonne nelle Gallerie d’Italia di Milano.