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Santarcangelo Festival, il volo in spirito del no di Dewey Dell

Santarcangelo Festival, il volo in spirito del no di Dewey DellSantarcangelo di Romagna, 14 lug. (askanews) – Un viaggio nella magia, dentro l’idea di un “volo in spirito”, che prende una forma mutevole sul palcoscenico e, letteralmente, porta lo spettatore in spazi diversi, attraverso la ripetizione cinetica di un gesto di base. “I’ll do, I’ll do, I’ll do” è lo spettacolo di grande intensità che la compagna Dewey Dell ha portato al Santarcangelo Festival e che ci è stato raccontato dalla performer Teodora Castellucci. “È una visione di un’immagine in movimento – ha detto ad askanews – che ricorda varie cose simultaneamente. Quello a cui noi ci siamo ispirati è una figura magica riconducibile alla strega”.

Il contesto di riferimento è il saggio “Storia Notturna” di Carlo Ginzburg, dedicato alla decifrazione del Sabba e alle esperienze di incontro con la magia nel passato. E dalle testimonianze raccolte dall’Inquisizione nel libro emergeva una costante: il volo in spirito, ossia l’estasi. “Noi venivamo da un lavoro, Hamlet – ha aggiunto Teodora, che nel collettivo lavora con Agata e Demetrio Castelluci e Vito Matera – fatto nel 2021, che si era concentrato sulla possessione, quindi della visita di un’entità nel mondo degli esseri umani. Qui, al contrario, si esplora il viaggio opposto, cioè la visita di un essere umano nel mondo degli spiriti. Non solo, oltre a questo c’è anche una idea di convocazione, quasi di chiamata di uno di questi spiriti all’interno di questo spazio”. Il modo in cui questa visita viene personificata è magnetico, nel cerchio in scena si sente vibrare tutto il mistero della storia e il corpo della performer, così come lo spazio della rappresentazione teatrale, diventa altro. “Il gesto che viene svolto – ha concluso l’artista – è un gesto ripetuto di scuotimento del capo che ricorda il no. Cioè, è il gesto del no. È un gesto del rifiuto, della vergogna, di tutta la sfera melanconica e negativa delle espressioni umane. È un gesto che otticamente, per come è costruito l’occhio umano, sia in chi lo fa sia in chi lo guarda, crea una scissione. È possibile viaggiare all’interno di questo gesto”.

È un no verso la realtà, secondo Dewey Dell, è un rifiuto della realtà fuori da questo cerchio. Ma è anche l’incredibile occasione di osservare, nella velocità di movimenti, la vera trasfigurazione del volto. Dalla platea del Lavatoio di Santarcangelo si ha la sensazione di vedere dal vivo, in una essere vivente davanti a noi, un Trittico di Francis Bacon, quei dipinti che presentano la stessa persona in momenti e angolazioni diverse. È un fenomeno ottico, come di dicevano, ma è anche una dimostrazione che l’idea di “reale” viene continuamente messa in discussione, in primo luogo da se stessa. E poi dall’arte. (L.M.)

Biennale Danza, il Leone d’Oro Simone Forti e la sua eredità

Biennale Danza, il Leone d’Oro Simone Forti e la sua ereditàVenezia, 14 lug. (askanews) – Simone Forti, leggendaria artista e coreografa americana di origini italiane, è in un certo senso il nume tutelare della Biennale Danza 2023, che a lei ha attribuito il Leone d’Oro alla carriera e una importante mostra retrospettiva in Arsenale, in collaborazione con il MOCA di Los Angeles e curata da Rebecca Lowery e Alex Sloane, che hanno sottolineato il ruolo seminale di Forti per la definizione del linguaggio contemporaneo della danza e la sua perdurante attualità. E anche il presidente della Biennale di Venezia, Roberto Cicutto, ha partecipato all’inaugurazione della mostra. “L’idea, la scelta di Simon Forti – ha detto ad askanews – è la massima esaltazione di questa ricerca che non è solo coreografica, è proprio l’arte pura in generale”.

Per l’occasione negli spazi espositivi sono stati performati dal vivo alcuni dei lavori storici di Forti e la stessa artista si è collegata dagli Stati Uniti e, in un’atmosfera di grande emozione e commozione, ha voluto parlare al pubblico. “È straordinario vedere il mio lavoro ancora in scena – ha detto – . Quello che è servito è stata l’esperienza del corpo, quello che si prova quando si cammina, quando si fanno movimenti normali, quando si sta appesi a una corda, quando si sente di occupare lo spazio con il proprio corpo”. Articolata su due diversi spazi, la mostra attraversa sei decenni di lavoro di Simone Forti, partendo dalle decisive “Dance Constructions”, che hanno cambiato per sempre la relazione tra la danza contemporanea e le arti visive, per arrivare poi a tutta una profonda lezione anche di sovvertimento delle dinamiche di potere, oltre che alla sua capacità di utilizzare diversi media, con straordinaria attualità. E proprio sulla relazione tra le diverse generazioni di artisti si è focalizzato il direttore della Biennale Danza Wayne McGregor. “C’è una straordinaria creatività nel mondo – ci ha detto – ma le risorse sono sempre poche. Dobbiamo impegnarci per sostenere i giovani artisti e permettere che la loro voce possa essere sentita, esattamente come quella degli artisti storicizzati. È fondamentale avere una diversità di voci nel mondo della danza, per continuare a innovare”.

Nel solco di una strada che Simone Forti, insieme ad altre figure di pioniere come Trisha Brown o Yvonne Rainer, ma in un certo senso viene in mente anche il nome di Joan Jonas, ha contribuito a creare e rendere sempre attuale.

Biennale Danza 2023, energia e consapevolezza nascono dal corpo

Biennale Danza 2023, energia e consapevolezza nascono dal corpoVenezia, 14 lug. (askanews) – C’è la chimica dei nostri corpi e dei nostri cervelli al centro della Biennale Danza 2023, evento chiave per capire dove va il movimento contemporaneo e continuare a esplorare i confini di una pratica sempre più decisiva sulla scena internazionale. Per il suo terzo anno di direzione artistica Wayne McGregor ha scelto di intitolare questa Biennale “Altered States” e ha messo in cartellone nove prime mondiali.

“Abbiamo bisogno di essere costantemente in uno stato di cambiamento – ha detto il direttore ad askanews -. Una delle cose stupefacenti che fa il teatro, una delle cose fantastiche che fa la danza, è proprio che ci cambiano fisicamente mentre li guardiamo. E tutti gli artisti presenti qui al festival hanno questa capacità”. Altre parole chiave per questa 17esima edizione della Biennale Danza sono “coscienza” e “consapevolezza”, ma considerate nelle loro molteplici varianti e, soprattutto, alla luce del processo che le fa generare in noi. “La nostra consapevolezza – ha aggiunto McGregor – viene in primo luogo da un elemento somatico, è dal corpo che le sensazioni arrivano al cervello e a quel punto noi siamo in grado di percepirle. L’elemento diretto della danza è che ci tocca in tempo reale in tutti i nostri sensi”.

Molto spazio è riservato al lavoro del College e dei giovani coreografi in generale, tanto che per la giornata inaugurale sono stati scelti spettacoli di due di loro, Andrea Pena e Oona Doherty. A fare in qualche modo da nume tutelare c’era però il Leone d’Oro alla carriera, la leggendaria artista Simone Forti, che ha ispirato molte delle pratiche della danza contemporanea a cui è dedicata una mostra retrospettiva all’interno della Biennale, realizzata insieme al MoCA di Los Angeles. Alla cui inaugurazione ha partecipato anche il presidente dell’istituzione veneziana, Roberto Cicutto. “Wayne McGregor – ci ha detto – fin dall’inizio ci ha raccontato veramente non la contemporaneità, ma anche quello che si sta seminando per il futuro. Parte dal corpo, parte dalla chimica del corpo, quest’anno addirittura parte dagli stati d’animo e dai passaggi chimici che nel nostro corpo e nel nostro cervello producono i movimenti o viceversa, dai movimenti che producono questi flussi chimici. Semplicemente, o in modo complicato, si tratta di parlare di energia”. Un’energia che si rivolge anche verso il pubblico e che alimenta le attese per il festival. “Mi aspetto delle montagne russe emotive – ha concluso Wayne McGregor – mi aspetto una danza potente e viscerale, ma anche meditativa e riflessiva. Mi aspetto di vedere danzare in luoghi sorprendenti e con oggetti sorprendenti”.

Quello che “Altered States” promette è anche una sfida alle ortodossie tradizionali della danza per arrivare poi a un’esperienza del nostro corpo rinnovato.

Il tutto e l’incontrollato: manifesto Cannibale a Santarcangelo

Il tutto e l’incontrollato: manifesto Cannibale a SantarcangeloSantarcangelo di Romagna, 13 lug. (askanews) – Si parte dall’idea di una relazione con l’essere piante, con il radicamento del vegetale in opposizione alla mobilità dell’animale, ma poi lo spettacolo cresce, cresce, attraversa il tempo, lo spazio e la stessa idea di teatro e danza per arrivare a qualcosa di enorme, di incandescente e inedito. Francesca Pennini è una coreografa e artista fondatrice di CollettivO CineticO che al Santarcangelo festival ha portato il suo “Manifesto Cannibale”, opera totale articolata su due macro momenti, ma attraversata da una serie di rimandi e suggestioni quasi sconfinata.

“La questione – ha detto Francesca Pennini ad askanews – è che per me questo lavoro ha a che fare con tutto. E con tutto soprattutto nel senso del reale, cioè di un mondo, dello sconfinamento del mondo. E in qualche modo il rettangolo, il ritaglio di mondo che è lo spettacolo, è un punto di vista che però ingurgita effettivamente, cioè dove vale tutto. Non ho pensato di spingermi verso gli estremi, ho pensato di toccare qualcosa che per me era essenziale. E quindi anche in questo senso è una ricerca per me veramente su ogni secondo in scena e sul fatto che è una presa di posizione anche politica, sul tipo di patto e di relazione che si instaura e che si inventa con lo spettatore”. In una luce fantascientifica, con momenti in cui l’azione sembra addirittura cinematografica, ma con una costate e seminale presenza dei corpi, “Manifesto cannibale” a un certo punto pare spingere lo spettatore sull’orlo di un grande Buco nero, talmente potente da inglobare tutta la realtà, non solo quella della messa in scena. Sembra portarci sull’orizzonte degli eventi, come dicono i fisici, quel confine dove il tempo rallenta fino quasi a fermarsi, prima di scivolare nell’incontrollabile. E tutto lo spettacolo ha questo elemento decisivo di incontrollabilità per la stessa autrice, che lo rende meraviglioso e potentissimo. Come se a essere cannibale fosse proprio lo spettacolo in sé e il suo pasto tutto ciò che sta oltre il palco.

“Io – ha aggiunto la coreografa – ho sempre avuto tantissima necessità di controllare le cose, e forse proprio per questo non è che così interessante psicanalizzarlo, però per questo forse artisticamente ho sempre cercato di boicottare questa cosa, cioè di creare dei piani perfetti con delle valvole che li rendevano irrealizzabili. Però questo uscire dalla possibilità di controllo per me è la meraviglia”. Una meraviglia che assume forme sempre diverse, fino a spingersi sul terreno della simbiosi pressoché totale tra l’opera e il pubblico, fino a superare ogni idea di unità di luogo e di tempo, nel senso che, teoricamente, lo spettacolo non ha una fine, ma si propaga, si diffonde. È danza, è azione, è anche altro. Il pubblico può andarsene a un certo punto, o può scegliere di restare. E chi resta è come se davvero si radicasse, come una pianta, dentro qualcosa di bellissimo, ma che non sappiamo, nessuno sa, cosa sia. “Mi piace pensare di essere attraversata – ha concluso Francesca Pennini – cioè di fare delle scelte anche molto radicali, molto forti, in cui credo. Però è come vederle crescere da sole poi, cioè rimanere di lato e guardare cosa succede”.

E quello che succede è tanto, potrebbe essere tutto, ma in fondo, per fortuna restiamo nel terreno del dubbio, della nebbia, delle possibilità. Così accade l’arte, ecco, forse questa è la cosa meglio approssimata che possiamo dire. (L.M.)

E’ morto a 94 anni il grande scrittore Milan Kundera

E’ morto a 94 anni il grande scrittore Milan KunderaRoma, 12 lug. (askanews) – Lo scrittore Milan Kundera è morto all’età di 94 anni, ha annunciato mercoledì mattina la televisione ceca. Famoso in tutto il mondo per un’opera tradotta in quaranta lingue, Kundera è stato per molti versi uno scrittore misterioso. Come informazione biografica, si è accontentato di dichiarare: “Milan Kundera è nato in Cecoslovacchia. Nel 1975 si trasferisce in Francia”.

Nato il 1 aprile 1929 a Brno, in Cecoslovacchia, da padre musicologo e pianista, il romanziere fu prima poeta. La sua vita di scrittore si intreccia certo con la letteratura, ma anche con la storia di un secolo che ha visto crollare il comunismo dopo aver dominato le coscienze di gran parte dell’intellighenzia europea. Un dramma che sarà alla base della vocazione di Milan Kundera che nel 1967 pubblicò il suo primo romanzo “Lo scherzo”. Acclamato da Louis Aragon, che scrisse la prefazione quando il libro fu pubblicato in Francia nel 1968 (“questo romanzo che considero un’opera importante”), quest’opera potente in uno stile barocco e molto vivace esplora, attraverso il destino dell’uomo personaggi e femminili, uno dei temi fondamentali del suo lavoro: il confronto, insieme drammatico e comico, tra la vita intima dell’individuo, il suo carattere sfuggente e casuale e la finzione di un’ideologia collettiva, in questo caso il comunismo stalinista. Un crepacuore che l’autore ha vissuto dall’interno e che, in un certo senso, ha deciso il corso della sua vita.

Entusiasta comunista fin dall’età di 18 anni, quando si iscrisse al Partito dopo la presa del potere in Cecoslovacchia dopo la seconda guerra mondiale, Milan Kundera si rese ben presto conto dell’impostura del socialismo di Stato che imbriglia le coscienze, in particolare quella di scrittori e intellettuali costringendo loro di scrivere in una lingua morta; quello di un regime autoritario e livellatore che Kundera avrebbe poi descritto come kitsch per la sua entusiastica pesantezza e la sua fragorosa stupidità. Espulso dal partito per la prima volta nel 1956, Kundera fu reintegrato prima di essere definitivamente espulso nel 1970 dopo la sua attiva partecipazione alla Primavera di Praga del 1968. Kundera era allora membro dell’Unione degli Scrittori – prese parte all’opposizione di un regime che sarà normalizzato dall’intervento sovietico. Per essere un contestatore, tuttavia, Kundera non è un sessantottenne libertario alla moda. Contrariamente al lirismo pseudo-rivoluzionario parigino che pretendeva di fare tabula rasa del passato, il movimento praghese difendeva la cultura europea e le sue tradizioni minacciate dal sommario materialismo dell’ideologia pseudo-scientifica al potere. Dopo aver pubblicato Risibles amours (1971) La valse au adieux (1976) e La vita è altrove (1973) che gli valgono il premio del ranger Prix Médicis, Milan Kundera afferma di non voler più scrivere.

Ma i suoi ammiratori e amici lo convinsero a continuare e lo invitarono in Francia nel 1975. Andò a insegnare all’Università di Rennes e nel 1981 François Mitterrand gli concesse la nazionalità francese, contemporaneamente a Julio Cortazar. Ben presto scelse Parigi come sua “seconda città natale”. Nel 1984, ha riscosso un grande successo con L’insostenibile leggerezza dell’essere”, in particolare grazie all’adattamento nel 1988 del suo romanzo per il cinema di Philippe Kaufman e Jean-Claude Carrière. Un romanzo ispirato al tema nietzscheano del rifiuto dello spirito di pesantezza e che esplora il conflitto che può esistere, in ciascuno di noi, tra il desiderio di autenticità e il dovere di lucidità.

Centrale Fies, Chiara Bersani porta a Dro il suo “Sottobosco”

Centrale Fies, Chiara Bersani porta a Dro il suo “Sottobosco”Milano, 12 lug. (askanews) – Un gruppo di bambini e bambine con disabilità si perde nel bosco. O forse sono stati abbandonati. Forse inseguivano un amore. Forse il bosco, un giorno, è semplicemente cresciuto attorno a loro. Cosa potrebbe accadere? Cosa ne sarà dei loro corpi? Cosa dei loro cuori? Delle carrozzine e delle stampelle? Cosa guarderanno i loro occhi? Che lingua parleranno? E chi li trova per caso o desiderio, come deve avvicinarli? Può farlo? Saprà chiedere permesso? Sottobosco costruisce un ambiente in cui gruppi estemporanei di persone con disabilità si potranno incontrare e diventare comunità.

C’è molto del senso della ricerca e del lavoro di Chiara Bersani, artista, performer e autrice di enorme talento sulla scena internazionale delle arti performative contemporanee, in questa storia, “Sottobosco”, che debutta a Centrale Fies a Dro nell’ambito della programmazione di FEMINIST FUTURES. “No, non c’è alleanza tra i corpi ora – scrive Chiara Bersani partendo dalle ferite inferte dalla pandemia ai corpi più fragili, ferite fisiche, ma soprattutto sociali -. È calato il silenzio nelle ossa, le pieghe delle articolazioni creano grotte cave. Toccarti è sovversivo, fare l’amore è carbonaro e a chiunque mi chieda una parola di conforto io riservo lo sguardo più feroce. No, non c’è alleanza e non c’è conforto. Non posso essere culla accogliente perché mi avete resa selvatica”. Le parole di Chiara sono forti, come forte è il suo stare sulla scena. Guardarla, per chi vuole pensare a cosa sia oggi l’arte, è necessario e, per quanto doloroso, alla fine si rivela salvifico.

“Sottobosco” andrà in scena nella cittadina trentina il 14 luglio, alle ore 20.

Teatro e danza come alternative: torna il Santarcangelo Festival

Teatro e danza come alternative: torna il Santarcangelo FestivalSantarcangelo di Romagna, 12 lug. (askanews) – Le arti performative come spazio per la creazione di risposte diverse, di visioni alternative della realtà, di nuove e inedite opportunità. È questo lo spirito che anima la 53esima edizione del Santarcangelo Festival, che porta nella cittadina romagnola teatro, danza e performance che vogliono mettere in discussione il nostro modo di guardare a ciò che chiamiamo realtà. “Secondo me questo è proprio il ruolo dei festival come Santarcangelo – ha detto ad askanews il direttore artistico Tomasz Kirenczuk – ma anche degli altri festival, quello di provare a costruire uno spazio in cui si possano immaginare le alternative per quanto riguarda il modo in cui viviamo, il modo in cui funziona il mondo. Sappiamo benissimo che la modalità in cui funziona adesso non sono più sostenibili. Secondo me condividere quello non non vuol dire che subito qualcosa cambierà, ma almeno ci permette di capire che esistono modi diversi, e questo magari può suggerirci una riflessione per andare un po’ più avanti e metterci in azione”.

Il titolo dell’edizione 2023, che si appoggia a nuovi spazi e si diffonde realmente nei diversi territori e ambienti della cittadina romagnola, è “Enough not Enough”. “Questo Enough – ha aggiunto il direttore – vuole dire io non ce la faccio più e allora inizio a fare la mia parte che può essere l’arte, può essere l’attivismo, può essere qualsiasi altra scelta della vita che comunque viene da una coscienza, da una coscienza che riguarda proprio il nostro posizionamento, il nostro ruolo, le nostre necessità”. E’ chiaro dunque che la valenza dei messaggi che si vogliono mandare è artistica e culturale, ha a che fare con le visioni del teatro, della danza, dell’azione performativa, ma non solo, propio per la natura dello stare consapevolmente su un palco davanti a una cittadinanza. “Parlare ed esibirsi in uno spazio pubblico – ha detto Kirenczuk – è un atto politico, allora dove ci porta e cosa vuol dire questo atto politico ci interessa moltissimo. Per fare questo festival noi siamo in simbiosi con la cittadinanza, con la città perché per fare questo festival noi dobbiamo chiedere ai cittadini di darci in prestito la città”.

L’atmosfera è a suo modo magica: i lavori degli artisti possono arrivare ovunque, per i giorni del festival le arti diventano il respiro stesso di Santarcangelo, che intorno a un’idea di teatro nel senso più largo del termine costruisce un messaggio molto forte per dire: noi siamo nostri contemporanei. E questa frase, apparentemente banale, in realtà, se la considerate con attenzione, può avere una forza dirompente.

Performing PAC, la memoria a 30 anni dalla strage di via Palestro

Performing PAC, la memoria a 30 anni dalla strage di via PalestroMilano, 11 lug. (askanews) – L’arte, soprattutto le immagini in movimento, come veicolo di memoria. Un veicolo spesso doloroso, ma necessario per dare una lettura al passato, anche quello più difficile, e provare a non dimenticare. Il PAC di Milano torna a proporre il proprio appuntamento annuale Performing PAC e per il 2023 lo fa, come ci ha spiegato il curatore Diego Sileo, ricollegandosi direttamente alla storia recente della città. “Tutto nasce – ha detto ad askanews – dal voler ricordare e commemorare la strage di Via Palestro. Quest’anno sono 30 anni dalla strage mafiosa di Via Palestro e abbiamo quindi pensato di declinare il nostro format annuale Performing Pac a tema memoria: siamo partiti con una timeline affidata ai giornalisti Simona Zecchi e Marco Bova, di ricostruzione del biennio della stragi 1992-93, per poi lasciare spazio a nove artisti contemporanei”.

In mostra opere di Christian Boltanski, uno degli artisti che più hanno lavorato sul tema della memoria come elemento propulsore della ricerca e che aveva portato al PAC una grande esposizione a inizio anni Duemila. Ma anche dell’israeliana Yael Bartana, che riporta alla luce, attraverso un “Messia” d’aspetto androgino, le paure, i sogni, i traumi repressi e i ricordi del passato della città di Berlino. Del resto lo stesso titolo della mostra, “Dance me to the End of Love” è una citazione di Leonard Cohen, dedicata alla inenarrabile tragedia della Shoah. “Abbiamo selezionato nove artisti contemporanei – ha aggiunto Sileo – abituati nella loro poetica e nella loro ricerca, a raccontare la memoria, a raccontare la storia”. Come lo fa anche Maurizio Cattelan, che sotto la patina del personaggio trasgressivo in realtà da sempre porta avanti una ricerca profonda e spesso disperata, che qui al PAC è presente con due opere legate alla strage di via Palestro e che usano oggetti comuni, come le calze o le macchine fotografiche giocattolo degli anni Ottanta, per riportare sotto i riflettori il dolore e i danni di quell’attentato. La storia, nella mostra, passa comunque soprattutto attraverso i video degli artisti, che creano tempi diversi e sospesi e spazi nei quali il ricordo può prendere altre forme. Perché la memoria non è un macigno, ma somiglia più a un fiume, con la sua pluralità di percorsi e possibili correnti.

A Monopoli torna PhEST-Festival internazionale di fotografia e arte

A Monopoli torna PhEST-Festival internazionale di fotografia e arteRoma, 10 lug. (askanews) – Al via dal primo settembre al primo novembre a Monopoli, in Puglia, “PhEST”, festival internazionale di fotografia e arte che dedica questa ottava edizione al tema Essere umani e insieme a LensCulture lancia dal 7 luglio per due settimane la terza edizione della PhEST Pop Up Open Call, contest internazionale aperto ad artisti di tutto il mondo.

Esplorando tappe, stili di vita, emozioni, credenze e passioni, il festival vuole interrogare lo spettatore proponendo una varietà di rappresentazioni dell’essere umani con uno sguardo interdisciplinare su cultura, natura, relazioni, attraverso la psicologia, la filosofia e l’antropologia. Tratterà i grandi temi del pensiero contemporaneo; la trasformazione dei valori e delle loro pratiche e la complessità delle attività e delle interrelazioni tra gli esseri senzienti in tutto il pianeta. Comunità, famiglia e consapevolezza globale insieme a tecnologia, migrazione sono alcuni dei punti chiave del nostro essere animali sociali in questo mondo. Artisti da tutto il mondo – selezionati dal direttore artistico Giovanni Troilo con la curatela fotografica di Arianna Rinaldo – verranno coinvolti in mostre, portfolio review – già prenotabili attraverso i canali social e il sito della manifestazione – masterclass, installazioni, nutrendo una comunità vibrante e diversificata di creativi e appassionati. Tra i primi nomi confermati ci sono: Phil Toledano, noto artista concettuale britannico che vive e lavora a New York, i pluripremiati fotografi inglesi Koos Breukel (ritrattista) e Zed Nelson (documentarista). Grande spazio alle donne quest’anno con artiste come Lisa Sorgini, australiana classe 1980, Elinor Carucci, fotografa Israeliana, Giulia Gatti giovane talento italiano, Cristina De Middel fotografa documentarista spagnola. PhEST – See Beyond the Sea, prodotto e promosso dall’associazione culturale PhEST, con sostegno di Regione Puglia, PugliaPromozione, Teatro Pubblico Pugliese e del Comune di Monopoli, si conferma un importante evento internazionale che celebra il potere della fotografia e dell’arte nel catturare ed esprimere nuove narrazioni. La città di Monopoli si trasformerà in un museo a cielo aperto, aprendo al pubblico e agli artisti palazzi storici e antiche chiese.

Fiorello: “Se Viva Rai 2 si farà non sarà in via Asiago”

Fiorello: “Se Viva Rai 2 si farà non sarà in via Asiago”Roma, 9 lug. (askanews) – Rosario Fiorello interviene su Instagram per mettere fine alle polemiche sui problemi creati dalla sua trasmissione “Viva Rai 2” agli abitanti del quartire di via Asiago a Roma e parla di “strumentalizzazioni intorno a questa cosa”. “La trasmissione – dice – non si farà mai più a via Asiago”. Il conduttore si scusa prima con “gli abitanti di via Asiago. Non pensavamo che il programma prendesse quella piega, invece si è sviluppato e ci ha preso la mano col pubblico che arrivava da tutta Italia”. “Se il programma si farà comunque – ha ribadito – non si farà a via Asiago. Siamo alla ricerca di una nuova location. Se la troveremo si farà sennò Viva Rai due sarà solo un ricordo ma noi contiamo di trovare una bella location”.