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Biennale Architettura, lo spazio decostruito di Padiglione Italia

Biennale Architettura, lo spazio decostruito di Padiglione ItaliaVenezia, 19 mag. (askanews) – Una mostra corale che vuole ricucire il racconto di nove esperienze di architettura sul territorio italiano, ma che è anche una sorta di affermazione di metodo che sposta l’attenzione verso la realtà effettiva dei progetti, focalizzandosi sulle comunità fuori dallo spazio dell’esposizione. Siamo alla Biennale Architettura di Venezia e siamo precisamente nel Padiglione Italia, affidato alla curatela dei giovani del collettivo Fosbury Architecture, che hanno scelto di portare avanti i loro progetti sul territorio, lasciano all’esposizione il compito di essere solo una sorta di sommario.

Nicola Campri, uno dei membri del gruppo, ci ha presentato l’idea: “Noi – ha detto ad askanews – cerchiamo di raccontare una rinnovata maniera di fare architettura attraverso nove progetti diffusi in tutta Italia per mano di nove progettisti, quindi nove pratiche che collaborano con nove advisor provenienti da altre discipline. Abbiamo selezionato nove siti, attraverso la penisola, che racontassero situazioni di fragilità o di potenzialità del nostro Paese. In questo siti abbiamo sviluppato dei progetti pionieri che in qualche modo andassero a creare delle risposte a tematiche che sentiamo urgenti”. Urgente è anche il modo in cui Fosbury ha pensato di utilizzare lo spazio, che è fisico, ma anche istituzionale, del Padiglione Italia, letteralmente trasformato in un amplificatore, ma non più nel fulcro della partecipazione alla Biennale. In un’ottica di allargamento dei confini e di costruzione di nuovi paradigmi mentali che rientra alla perfezione nel discorso portato avanti dalla curatrice della Mostra internazionale, Lesley Lokko.

E a Claudia Mainardi, anche lei membro di Fosbury, abbiamo chiesto che idea di architettura il gruppo ha voluto diffondere attraverso il progetto “Spaziale”. “La scelta – ci ha risposto – è stata quella di mettere in scena una generazione di architetti che non considera il manufatto come fine ultimo: più precisamente ci siamo riferito al concetto utilizzato da Jane Rendell di Critical Spatial Practice, ovvero pratiche che si situano tra pubblico e privato, tra arte e architettura.Partiamo dal presupposto che, soprattutto in un contesto come quello attuale sia sempre meno pensabile l’idea dell’architetto come unica figura a capo di un progetto creativo e sia sempre più necessaria una collaborazione, non solo tra colleghi, ma anche tra saperi”. Decisivo, per entrare nel mondo di Fosbury, di cui sono membri anche Giacomo Ardesio, Alessandro Bonizzoni e Veronica Caprino, è il sottotitolo del progetto: “Ognuno appartiene a tutti gli altri”. E nello stesso modo a tutti deve appartenere l’architettura, che così può liberarsi e tornare a essere portavoce di desiderio di risposte a bisogni reali, come uno strumento che può essere al servizio di una nuova prospettiva sociale. Anche questo si può immaginare attraversando lo spazio politicamente decostruito di Padiglione Italia.

Apre la Biennale Architettura: costruire conoscenza e fiducia

Apre la Biennale Architettura: costruire conoscenza e fiduciaVenezia, 17 mag. (askanews) – Una Biennale Architettura che vuole essere “momento e processo”, che vuole porsi come “agente di cambiamento” raccontando in primo luogo l’Africa e le sue molteplici progettualità. Si apre a Venezia la 18esima edizione della Mostra internazionale di Architettura, intitolata “Il laboratorio del futuro” e curata da Lesley Lokko.

“L’architettura – ha detto Lokko ad askanews – è una categoria molto vasta e non riguarda solo il fatto di costruire edifici Questo aspetto è molto importante e fondativo, ma l’architettura costruisce molto più che edifici: costruisce conoscenza, costruisce contesto, socialità, fiducia”. Temi su cui la Biennale di Venezia si impegna ormai da diversi anni e da diverse mostre e che sono stati confermati anche dal presidente Roberto Cicutto. “La Biennale – ci ha spiegato – ha il dovere di essere contemporanea perché racconta le arti contemporanee. Diciamo che io periodo del Covid ha reso molto evidenti le domande che si pongono all’architettura. Non si può più pensare che si possa continuare a sviluppare l’urbanistica, l’architettura o la società civile come sono state sviluppate per secoli nella modernità. Oggi la sostenibilità non è solo un tema di moda, oggi la sostenibilità è una necessità e questa impatta anche nel modo di vivere e nei luoghi dove si vive. Quindi l’architettura è forse oggi la più responsabilizzata delle arti che noi mostriamo”.

La mostra è affascinante, viva, molteplice, ribalta alcune prospettive e, accanto ai tradizionali progetti architettonici, mette in scena anche la vita, le vite e le opportunità, sociali e creative che il mondo ci continua a offrire, per fronteggiare uno scenario ambientale e umano in continuo mutamento. Perché lo spazio sul quale insiste l’architettura è lo stesso sul quale agisce il cambiamento climatico, lo stesso che soffre di ipersfruttamento delle risorse. E dunque questa Biennale prova a fornire idee nuove, alternative, che arrivano da un laboratorio di pensiero e creatività che attinge, come nel caso del Padiglione centrale ai Giardini, ad architetti, artisti e creativi neri rappresentanti del “Black Atlantic”. Un cambio di prospettiva che non ha nulla a che fare con il politically correct o con l’ideologia, ma che vuole riportare attenzione su una comunità di diaspora africana “le cui radici – ha scritto Lokko – affondano in un passato millenario e in egual modo si protraggono verso il futuro”. Altra sensazione importante che si può percepire a un primo passaggio nella Mostra internazionale di Lesley Lokko è quella di uno spazio di “umanità”, inteso come di rimessa al centro delle persone, delle comunità, dei bisogni di base. Il che non significa rinunciare alla ricerca o alla tecnologie e nemmeno alla distopia (anzi, c’è molta fantascienza in mostra), ma lo si può fare mettendo al centro il progetto e la sua anima sociale, anzichè l’essere progetto in sé. Forse è qui, su questo sottile ma decisivo confine, che la Biennale Architettura del 2023 gioca la sua partita più vera.

(Leonardo Merlini)

A Giovanni Grasso il premio Amalago 2023 per “Icaro,il volo su Roma”

A Giovanni Grasso il premio Amalago 2023 per “Icaro,il volo su Roma”Roma, 14 mag. (askanews) – Giovanni Grasso, con il romanzo “Icaro, il volo su Roma” edito da Rizzoli nel 2021″ ha vinto l’edizione 2023 del Premio letterario Amalago assegnato a Grasso ieri all’hotel Bristol di Stresa dalla giuria presieduta da Stefano Zecchi.

La seconda edizione del premio coordinato da Sibyl von der Schulenburg e che premia le opere di maggior successo di pubblico nell’anno precedente, ha visto in gara sette romanzi storici, individuati da un apposito gruppo di candidatura e selezionati da un comitato di Gestione: blogger indipendenti, gruppi di lettori e book influencer i cui nomi rimangono segreti fino alla conclusione del premio. La Commissione dei Tecnici, riunita lo scorso dicembre sotto la presidenza di Stefano Zecchi, aveva poi decretato fra questi una terna di finalisti: Luca Azzolini con “Il sangue della Lupa”, Edgarda Ferri con “Il racconto del Cortigiano” e Giovanni Grasso, giornalista e scrittore oltre che portavoce del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, con appunto “Icaro, il volo su Roma” che ha prevalso. Il romanzo di Grasso ha come protagonista femminile Ruth Draper, attrice newyorkese: donna colta, indipendente, schiva. Si è votata al teatro come una vestale al tempio e non ha mai ceduto alle lusinghe dell’amore. Fino a quando, nella Città Eterna per una tournée, non incontra il giovane e fascinoso Lauro de Bosis. Dandy per eccellenza, poeta per vocazione, antifascista per scelta, aviatore per necessità, Lauro è un visionario ma è anche un uomo coraggioso capace di passare all’azione: con due amici infatti ha fondato un’organizzazione segreta che diffonde messaggi clandestini di propaganda contro il regime.Tra il giovanissimo Lauro e la matura Ruth, nonostante diciassette anni di differenza, scoppia un amore travolgente e tragico, che si cementa nella lotta al fascismo.

Sullo sfondo, l’Italietta del regime, ma anche l’inquieto mondo dell’antifascismo in esilio, tra Parigi, Londra e Bruxelles e l’America divisa tra i fremiti del jazz, la cappa del Proibizionismo e la Grande depressione.Dopo Il caso Kaufmann, Giovanni Grasso torna a mescolare storia e invenzione, ricostruendo nei dettagli l’epopea e il ricco mondo di relazioni di un eroe dimenticato che fece tremare la dittatura: la sera del 2 ottobre 1931, a bordo di un piccolo monoplano, Lauro de Bosis sorvolò Roma, beffando clamorosamente il regime, prima di scomparire nel Tirreno al termine di un volo fatale compiuto in nome della libertà.

Le tracce di ognuno di noi: Marinella Senatore scrive per Guarene

Le tracce di ognuno di noi: Marinella Senatore scrive per GuareneGuarene, 15 mag. (askanews) – Una nuova scultura permanente di Marinella Senatore è stata installata al Parco d’Arte Sandretto Re Rebaudengo a Guarene, in provincia di Cuneo. “In ognuno la traccia di ognuno”, commissionata dalla Fondazione, è una grande opera di luce che l’artista ha concepito, partendo da Primo Levi, per la collina di San Licerio, luogo dedicato al dialogo tra natura e arte.

Come è tipico della pratica di Senatore, l’inaugurazione è stata accompagnata da una passeggiata festosa, aperta a tutte le persone e scandita da musica e performance. “Passeggiare insieme – ha detto Marinella Senatore – sembra un’azione molto semplice, in realtà è veramente trasformata. Fare le cose insieme e farle per strada ha un significato molto forte”. La scritta luminosa, selezionata con una call pubblica rivolta alla comunità di Guarene, è tratta da una poesia di Levi dedicata all’amicizia. Aspetto su cui è tornata anche Patrizia Sandretto Re Rebaudengo: “L’unica cosa che mi sento di dire legata a questa frase – ha detto al pubblico dell’inaugurazione – è che parla di amicizia, e qui noi tutti siamo amici, perché basta un incontro, basta un momento e da quel momento si è amici. Credo che sia il più bel messaggio che possiamo darci e lasciarci”.

Partendo dalla tradizione delle luminarie del Sud Italia, Marinella Senatore ha costruito negli anni una serie di interventi che uniscono alla bellezza estetica e alla riconoscibilità anche una serie di messaggi profondi e politici, legati alla relazione tra le persone e all’idea della valorizzazione delle comunità, nelle loro caratteristiche specifiche. “Riflettere sull’idea di comunità, di coesistenza, di passato e di visione del futuro, ma soprattutto del qui e ora”, ha concluso l’artista. Quel qui e ora che in fondo è il tempo del contemporaneo, nel momento in cui ne facciamo reale esperienza.

In libreria dal 19 maggio “Un senso di te” di Eleonora Geria

In libreria dal 19 maggio “Un senso di te” di Eleonora GeriaRoma, 14 mag. (askanews) – È una storia vera quella narrata da Eleonora Geria nel suo primo romanzo “Un senso di te” pubblicato da La Corte Editore e in libreria dal 19 maggio, la toccante narrazione auto-biografica di una madre che non si rassegna di fronte alla sordità del suo primogenito. Un romanzo capace di dare voce ai sentimenti più profondi e contrastanti, alle dinamiche familiari che inevitabilmente si modificano, ai tanti perché.

Che cosa non farebbe una madre per aiutare un figlio in difficoltà? Cambierebbe la propria vita; ribalterebbe orari, abitudini, certezze; lascerebbe il lavoro per dedicare tempo ed energie solo a lui. È quello che accade ad Eleonora: la sua esistenza si trasforma radicalmente dopo la scoperta che Nicola, il suo primogenito, è sordo. Un muro di silenzio profondo, abissale, sembra separarlo dal mondo. È una distanza che pare incolmabile, una condizione di isolamento che fa paura e con la quale è difficile immedesimarsi se non la si prova sulla propria pelle, se non si vive a stretto contatto con chi deve affrontarla ogni istante e da quando è nato non ha mai sentito suoni, rumori, musiche, parole. Eleonora non si rassegna. Vuole combattere per migliorare la situazione del figlio, vorrebbe “guarire” Nicola, farlo vivere come ogni ragazzo “normale”. Negli anni spinge per sottoporlo a ben cinque interventi chirurgici e ogni volta l’illusione è l’anticamera per una delusione più profonda. Il tempo porta soltanto nuove incertezze, nuove difficoltà, con l’ansia di non sapere se si sta facendo la scelta giusta, se l’aiuto che vorremmo portare non si trasformi nell’affannoso e forse presuntuoso inseguimento di una normalità senza senso. Nicola cresce precipitando dentro se stesso, non sente il suono della propria voce, spesso per farsi capire ricorre a capricci terribili. Intorno a lui si muovono confusi il marito di Eleonora, Gigi, il nonno, gli amici che non sanno come comportarsi, e poi i due fratellini di Nicola, Valeriano e Fabio Massimo, che si contendono le attenzioni del maggiore.

Eleonora sembra l’unica in grado di fare da ponte tra suo figlio e il resto del mondo. Il suo è un mondo sospeso fatto di ospedali, dottori, attese fuori dalla sala operatoria, studi di specialisti, sempre con l’ultima speranza nel cuore, e tante notti passate sulla sedia accanto al letto di Nicola per vegliarlo, appesa a un suo minimo cenno. Il racconto serrato e coinvolgente di una sfida d’amore che coinvolge una madre e tutta la sua famiglia. Sullo sfondo il tema della diversità che da ostacolo alle volte quasi insormontabile può diventare ricchezza e dono per le persone, pungolo a non arrendersi mai e a mettersi continuamente in discussione.

Una storia vera narrata con passione e concretezza, con uno sguardo amoroso capace di leggere le proprie contraddizioni, le debolezze, le paure, ma di vedere anche la forza e la speranza che è dentro di noi e ci porta a ricominciare sempre. Eleonora Geria Laureata in Scienze politiche e specializzata in tecniche di comunicazione. Mamma di tre figli, ha scritto questo libro per permettere al primogenito Nicola, nato sordo di ritrovare se stesso attraverso il racconto dettagliato degli interventi e delle decisioni che i genitori hanno preso al suo posto e cercare di dare voce, con la massima umiltà, a un messaggio di educazione e accettazione delle diversità in tutte le sue sfaccettature.

A Roma “A un passo dalle stelle”, l’universo secondo Pamela Ferri

A Roma “A un passo dalle stelle”, l’universo secondo Pamela FerriRoma, 10 mag. (askanews) – Sarà visitabile dal 18 maggio al 13 luglio, presso la galleria SpazioCima di Roma, “A un passo dalle stelle”, l’installazione site specific di Pamela Ferri. Protagonisti dell’appuntamento, organizzato da Roberta Cima e curato da Roberta Cima e Anna Baldini, saranno i temi da cui scaturisce tutta la produzione dell’artista romana: la geometria, lo spazio e l’universo, nonché la complessità degli stessi e la ricchezza di interconnessioni tra loro.

Alla base di tutto c’è una matrice, MatriceMater, leit motiv della sua produzione artistica e concepita come una costellazione che lei percepisce nell’universo e che si concretizza sulla Terra. Il processo di creazione, generato da un procedimento tecnico definito, materializza entità geometriche che costituiscono l’opera allo stesso modo di come le miriadi di stelle formano le galassie. “È un procedimento tecnico che parte da un codice base simile a una stella a cinque punte aperta in rotazione antioraria lungo una curva a spirale – ha spiegato l’artista Pamela Ferri – ma non è tutto, perché le sue dimensioni tendono all’infinito grazie alla sua capacità di poter replicare il codice iniziale in diverse scale di grandezza che ricordano quelle della geometria frattale”. Le opere di Pamela Ferri sono vive e pulsanti e generano sensazioni diverse di volta in volta che si entra in contatto con loro. Sensazioni che poi, quando accompagnate dalla riflessione, riescono a diventare parole, espressioni, realtà. “Paradossalmente è come se il percorso creativo che genera l’opera, si trasferisse nelle opere stesse e loro lo trasmettessero a chi le osserva, attraverso il dinamismo e la molteplicità di sfaccettature che contengono – ha spiegato la curatrice Anna Baldini – e così anche il percorso di scrittura solo se diventa un percorso creativo che si compone di diversi momenti di osservazione e restituzione di una successione di visioni, riesce a dare l’idea della produzione artistica di Pamela Ferri”.

Esce in Italia il libro “Xi Jinping, l’uomo più potente al mondo”

Esce in Italia il libro “Xi Jinping, l’uomo più potente al mondo”Roma, 10 mag. (askanews) – Dal 12 Maggio arriva in libreria “Xi Jinping. L’uomo più potente al mondo” (Paese Edizioni), la prima biografia edita in Italia sul primo ministro cinese Xi Jinping, scritta a quattro mani dai giornalisti tedeschi Stefan Aust e Adrian Geiges.

Il libro, tradotto già in 12 lingue, risponde alle domande che si moltiplicano intorno alla figura misteriosa del Presidente della Repubblica Popolare Cinese, che può essere definito, a buon ragione, come l’uomo più potente del mondo. Un saggio di quasi 300 pagine documentate per raccontare l’operato, ma anche la storia intima di famiglia e di come sia stato plasmato nel tempo il pensiero di Xi Jinping, tra l’amore per la tradizione maoista e la volontà di creare un “nuovo mondo” a trazione cinese. Osteggiata da Pechino, i cui centri di cultura e studi confuciani in Europa ne hanno boicottato la diffusione, questa biografia raccoglie informazioni di prima mano sulla storia nascosta della vita di Xi, dall’infanzia all’ascesa ai vertici del Partito e dello Stato, dall’arresto del padre ai tempi di Mao al matrimonio con una cantante folk, dal successo ai giochi olimpici del 2008 alla questione tibetana e degli Uiguri, dalla gestione della pandemia tra sorveglianza elettronica e politica “zero Covid”, alla guerra contro Taiwan e al futuro della Via della Seta.

L’edizione italiana si distingue dalle altre biografie ufficiali del leader cinese per il fatto di non schierarsi a favore o contro Xi Jinping: un ritratto basato su fonti disponibili, interviste, discorsi, reportage realizzati in Cina, fatti reali e documentati della sua storia politica e personale. Sulla scia del successo ottenuto da titoli come “Leaders”, “Sergio Mattarella”, “Berlinguer e il diavolo”, la Paesi Edizioni pubblica un nuovo importate titolo che si aggiunge a quelli dedicati ai Presidenti e ai personaggi emblematici della politica italiana ed internazionale, andando ad ampliare la Collana Montesquieu.

Stefan Aust è lìex caporedattore della principale testata gior- nalistica tedesca Der Spiegel e autore di numerosi bestseller, tra cui Il complesso Baader-Meinhof. Oggi è redattore di Die Welt. È uno dei pochi giornalisti al mondo ad aver intervistato un capo di Stato cinese. Adrian Geiges è corrispondente di lunga data da Pechino per il settimanale Stern. In precedenza ha lavorato come giornalista televisivo per SpiegelTV e RTL a Mosca e NewYork. Ha studiato cinese, è sposato con una cinese e le loro figlie crescono in modo bilingue. È autore di numerosi libri.

Biennale Architettura Pestellini Laparelli presidente di giuria

Biennale Architettura Pestellini Laparelli presidente di giuriaMilano, 8 mag. (askanews) – È stata scelta la Giuria della 18esima Mostra Internazionale di Architettura 2023 della Biennale di Venezia, che è composta dall’architetto e curatore italiano Ippolito Pestellini Laparelli (presidente); dall’architetta e curatrice palestinese Nora Akawi; dalla direttrice dello Studio Museum di Harlem, la statunitense Thelma Golden; dal direttore di Cityscape Magazine, il sudafricano Tau Tavengwa; dall’architetta e docente polacca Izabela Wieczorek.

La composizione della Giuria è stata deliberata dal Cda della Biennale di Venezia su proposta di Lesley Lokko, Curatrice della Mostra intitolata The Laboratory of the Future, che si svolgerà a Venezia (Giardini e Arsenale) dal 20 maggio al 26 novembre 2023. Ippolito Pestellini Laparelli (Italia) – presidente – è architetto e curatore, vive a Milano. Ha fondato l’agenzia interdisciplinare 2050+, il cui lavoro spazia tra tecnologia, politica, design e pratiche ambientali. Ha curato il Padiglione Russo alla 17. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia e co-curato la dodicesima edizione di Manifesta a Palermo nel 2018. Tra il 2007 e il 2019 ha lavorato come architetto e partner presso OMA (Office for Metropolitan Architecture). Al Royal College of Arts di Londra insegna Data Matter, uno studio di ricerca e design che esplora la relazione complessa tra dati e mondo materiale. Progetti recenti includono Synthetic Cultures alla 10a Biennale di Architettura di Rotterdam; il dittico di cortometraggi Riders Not Heroes; le mostre Aquaria al MAAT di Lisbona e Penumbra a Venezia; il design dello spazio per la collezione Fredriksen al National Museum of Norway di Oslo e la trasformazione dell’icona modernista de La Rinascente a Roma.

Nora Akawi è architetta e curatrice palestinese, vive a New York. È assistant professor di architettura alla Cooper Union for the Advancement of Science and Art (New York) ed è co-fondatrice dello studio interdisciplinare di ricerca e design interim. Ha co-curato il Padiglione del Barhain alla 16. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia (2018) dal titolo Friday Sermon. I suoi studi si concentrano sulla cancellazione e sui confini del colonialismo e sull’incontro tra architettura e border studies, cartografia e teoria degli archivi. Ha insegnato alla Graduate School of Architecture, Planning and Preservation (GSAPP) della Columbia University, dove è stata direttrice dello Studio-X Amman e dove ha avviato la Janet Abu-Lughod Library and Seminar. Fa parte del comitato editoriale di Faktur: Documents and Architecture e della rivista di architettura peer-review InForma dell’Universidad di Puerto Rico. Thelma Golden (Stati Uniti) è direttrice e Chief Curator dello Studio Museum di Harlem, la principale istituzione mondiale dedicata ad artisti di provenienza africana, dove nel 1987 ha lanciato la sua peculiare pratica curatoriale, prima di entrare a far parte del Whitney Museum of American Art nel 1988. Nel 2000 è tornata allo Studio Museum come Deputy Director for Exhibitions and Programs ed è stata nominata direttrice e Chief Curator nel 2005. Fa parte del Consiglio di Amministrazione della Andrew W. Mellon Foundation, della Barack Obama Foundation, del Crystal Bridges Museum e del Los Angeles County Museum of Art. È laureata in storia dell’arte e studi afroamericani presso lo Smith College. Nel 2010 il presidente Barack Obama l’ha nominata parte del Comitato per la Conservazione della Casa Bianca.

Tau Tavengwa (Sudafrica) è co-fondatore, curatore e direttore di Cityscapes Magazine, una rivista ibrida annuale che presenta punti di vista inediti sulle città e sull’urbanizzazione dell’Africa, America Latina e Asia meridionale. È Loeb Fellow 2018 presso la Harvard Graduate School of Design (GSD). Oltre a essere Research Fellow in Advanced Visualization presso il Max Planck Institute (2019-2023) e Aspen Global Leadership Fellow, è stato Visiting Fellow presso la London School of Economics LSE Cities (2020-22). È Curator-at-Large presso l’African Centre for Cities dell’Università di Città del Capo ed è stato curatore della Triennale di Architettura di Lisbona del 2022. Izabela Wieczorek (Polonia) pratica la professione di architetto in Spagna ed è professore associato presso l’University of Reading di Londra, dove dirige il Master of Architecture Program e Acting Research Lead for Architecture. È stata co-direttrice del pluripremiato studio Gálvez+Wieczorek Arquitectura a Madrid (2003-2016). Il suo lavoro è stato presentato in diverse pubblicazioni, tra cui “Cartographies of the Imagination” Londra (2021), “Works+Words Biennale of Artistic Research in Architecture”, KADK, Copenaghen (2019) e al Padiglione Spagna alla 16. Mostra Internazionale di Architettura della Biennale di Venezia (2018). Ha curato la serie di conferenze pubbliche In-Between presso l’Arkitektskolen Aarhus, Danimarca (2013-2016).

La Giuria assegnerà i seguenti premi ufficiali: Leone d’Oro per la miglior Partecipazione Nazionale; Leone d’Oro per il miglior partecipante alla Mostra Internazionale The Laboratory of the Future; Leone d’Argento per un promettente giovane partecipante alla Mostra Internazionale The Laboratory of the Future La Giuria avrà anche la possibilità di assegnare inoltre: un massimo di una menzione speciale alle Partecipazioni Nazionali; un massimo di due menzioni speciali ai partecipanti alla Mostra Internazionale The Laboratory of the Future. La cerimonia di premiazione si svolgerà a Venezia sabato 20 maggio 2023.

Libri, esce “Io sono l’uomo nero” di Ilaria Amenta

Libri, esce “Io sono l’uomo nero” di Ilaria AmentaRoma, 7 mag. (askanews) – Una vita tra crimine e carcere senza nessun pentimento. Angelo Izzo ha rapinato, ha sequestrato, ha ucciso barbaramente. Ha poi espiato la sua pena per tornare, ancora una volta, a uccidere. Prima il massacro del Circeo, poi, trent’anni più tardi, quello di Ferrazzano. Ilaria Amenta racconta un uomo che con grande freddezza ha più volte superato la linea del male, lo fa analizzando i suoi scritti, documenti inediti che fotografano l’orrore profondo di crimini spietati. Cresciuto nella Roma bene, legato agli ambienti dello squadrismo neofascista romano, Izzo si è reso protagonista di eventi che per la loro ferocia sono tutt’ora impressi nell’immaginario collettivo. A quasi cinquant’anni dal Circeo, delitto che aprì il dibattito sulla necessità di una legislazione contro la violenza sessuale che porterà alla legge sul reato di stupro nel 1996, le parole di Izzo suonano quanto mai dilanianti.

“Io sono l’uomo nero” di Ilaria Amenta, edito da Rai Libri, è in vendita nelle librerie e negli store digitali dal 5 maggio 2023 (Euro: 19,00). Ilaria Amenta, oltre 20 anni passati in Rai. Nata e cresciuta a Roma, una laurea in giurisprudenza, giornalista professionista dal 1997, nel 2000 entra nella grande famiglia di Radio 1 e del Giornale Radio. Appassionata di viaggi e di libri, si è occupata di economia, società e costume, cronaca, e ha curato e condotto programmi di attualità: “Gioco a premier”, la trasmissione che ha seguito la nascita del primo governo Conte, “Obiettivo Radio 1”, un focus su immigrazione cronaca e tecnologia, “Centocittà”, una finestra sul territorio in onda nel periodo della pandemia. Attualmente lavora al Gr.

I 40 anni del Giornale dell’Arte: “Lontani da vanità e interessi”

I 40 anni del Giornale dell’Arte: “Lontani da vanità e interessi”Torino, 7 mag. (askanews) – Il Giornale dell’Arte compie 40 anni: dal primo numero del maggio 1983 sta provando a racontare la scena e i protagonisti della cultura con stile e visione giornalistica. Oggi è una testata autorevole, di cui sono nate diverse edizioni internazionali, che ha pure la particolarità di non avere mai cambiato il direttore, Umberto Allemandi, che guida anche la casa editrice e che abbiamo incontrato nella sede torinese del mensile.

“È una storia che ha avuto fortuna – ha detto Allemandi ad askanews – è una storia che è nata da un’invenzione. Io credo nelle cose che sono diverse dalle altre, credo alle cose che portano un passo avanti, un cambiamento. Non c’era mai stato in Italia e nel mondo un giornale d’arte: c’erano tante riviste d’arte, ma mai un giornale. E, tutto sommato, il nostro giornale rimane forse ancora l’unico, essenzialmente”. Ricco di inserti e approfondimenti, il Giornale dell’Arte ha la peculiarità di essere sempre rimasto fedele anche al “formato giornale”, come ulteriore testimonianza della volontà di fare giornalismo, prima che opinione. E nel corso dei decenni ha raccontato, in presa diretta potremmo dire, l’evoluzione del Sistema dell’arte, oggi diventato globale. “Il mondo dell’arte – ha aggiunto il direttore – è basato sulla vanità, quando non è basato sull’interesse economico: questi sono due demoni da vincere. Se uno vuole fare un buon lavoro, deve fare un’informazione che ignori la vanità degli artisti e di quanti vogliono cercare di affermare un proprio merito. Bisogna invece portare dei fatti. Noi abbiamo rigidamente adottato l’antico slogan di tenere i fatti separati dalle opinioni”.

La sensazione, passando accanto alle raccolte di copie e in mezzo ai libri della casa editrice Allemandi, è che qui si pensi alla notizia ancora come a un valore centrale, anche in ambito culturale. Ma dopo 40 anni è inevitabile chiedere quali sono gli obiettivi per i prossimi 40 e come intende continuare a crescere il Giornale dell’Arte. “Io ho 85 anni – ha concluso Umberto Allemandi – da 65 anni lavoro in questo campo. Ma la cosa bella è che si è creata una squadra formidabile di collaboratori che sono dei grandi e seri professionisti e loro continueranno”. Lasciando la sede di piazza Emanuele Filiberto resta una chiara sensazione: avere incontrato una grande storia editoriale, certo, ma soprattutto una visione e una passione.

(Leonardo Merlini)