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May Musk e la modella russa Vodianova insieme alla WE Convention

May Musk e la modella russa Vodianova insieme alla WE Convention

Per l’8 marzo. Lo si apprende da una nota diffusa da Mosca

Milano, 9 feb. (askanews) – May Musk, mamma di Elon Musk, e la modella russa Natalia Vodianova insieme con “molte altre donne leader di tutto il mondo terranno una conferenza negli Emirati Arabi Uniti” dal titolo Women’s Empowerment Convention (WE Convention). Lo si apprende da una nota diffusa da Mosca.
Dubai ospiterà la riunione molto glamour il 7 e 8 marzo 2023. Il grande evento, organizzato dall’organizzazione internazionale Women’s Empowerment Council, riunirà oltre duemila ospiti e più di cinquanta donne leader di fama mondiale.
Durante la WE Convention, i partecipanti condivideranno le loro storie, idee e strategie per il successo nel campo della leadership delle donne. Tra loro ci saranno nomi noti in Russia: la blogger Elena Blinovskaya e l’attrice Renata Litvinova.
L’agenda della WE Convention è dedicata al miglioramento della vita delle donne attraverso l’istruzione, la motivazione e lo sviluppo delle loro capacità imprenditoriali e creative. I relatori invitati da tutto il mondo condivideranno la loro esperienza e conoscenza personale che aiuterà gli ascoltatori a cambiare in meglio la loro vita e carriera, promette una nota di annuncio dell’evento.
La conferenza è dedicata alla Giornata internazionale della donna. Oltre agli interventi, WEConvention ospiterà una serie di eventi: seminari, business networking, ma anche una sfilata di moda e una cena di gala.

A Pordenone inaugura il PAFF! Museo internazionale del fumetto

A Pordenone inaugura il PAFF! Museo internazionale del fumettoRoma, 8 feb. (askanews) – Il PAFF!, acronimo di Palazzo Arti Fumetto Friuli, allarga il proprio orizzonte e diventa International Museum of Comic Art. L’innovativo contenitore culturale che ha sede a Pordenone e organizza, promuove e ospita mostre temporanee di importanza nazionale e internazionale dei grandi maestri del fumetto mondiale, il 10 marzo 2023, con il patrocinio del ministero della Cultura, inaugura l’esposizione permanente, arricchita da una bibliomediateca ed entro la fine dell’anno da un archivio con deposito climatizzato.
Il Centro punta così a completare la sua corposa offerta che dal 2018, con il sostegno della Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia e del Comune di Pordenone, coniuga cultura, formazione, educazione, didattica, ricerca e intrattenimento attraverso lo strumento divulgativo del fumetto.
Sotto la direzione artistica del suo fondatore, Giulio De Vita, il PAFF! International Museum of Comic Art diventa una realtà unica in Italia che trova analogie per concept e dimensioni solo in capitali europee come Parigi e Bruxelles.
L’esposizione permanente, curata da Luca Raffaelli (esperto e storico del fumetto), offre attraverso un allestimento multimediale e interattivo l’opportunità di ammirare circa 200 tavole originali dei più famosi fumettisti di tutti i tempi e oltre 500 fra schizzi, fogli di sceneggiatura, pubblicazioni storiche e rare, costumi di scena utilizzati in film tratti da fumetti, scenografie e filmati provenienti da tutto il mondo tramite acquisti, prestiti e donazioni.
Collocata all’interno dei 2.200 metri quadrati di spazi espositivi del PAFF!, la collezione si estende su uno dei piani del museo, è suddivisa in 9 differenti sezioni e comprende tavole originali di numerosissimi maestri e disegnatori straordinari come Carl Barks, Milton Caniff, Giorgio Cavazzano, Will Eisner, Floyd Gottfredson, Chester Gould, Benito Jacovitti, Magnus, Milo Manara, George McManus, Andrea Pazienza, Hugo Pratt, Alex Raymond, Charles M. Schulz, Art Spiegelman. Sarà inoltre esposta una scultura di Ivan Tranquilli, mentre Davide Toffolo per il Museo ha realizzato la tavola introduttiva sul protofumetto, ovvero quelle storie illustrate (che ornano la Colonna Traiana o che erano pubblicate a disegni sui periodici dell’Ottocento), che anticipano la nascita dell’industria e del successo del fumetto.
Raffaelli ha dato una chiave di lettura originale alla narrazione del percorso espositivo: quella dei diversi formati con cui il fumetto – nei suoi oltre cento anni di vita – è stato letto, conosciuto e amato in ogni angolo del pianeta, a seconda delle culture, delle condizioni economiche e delle abitudini sociali dei lettori. È così che in America sono nate prima le tavole domenicali nei supplementi a colori dei quotidiani statunitensi, poi le strisce e i comic book. In Italia troviamo invece il formato giornale (quello del primo “Corriere dei Piccoli”) e le strisce di “Tex”, poi portate al successo dal formato che porta il suo nome; in Francia i volumi chiamati “albùm” in Giappone i tankobon, libretti dove vengono pubblicati i manga di successo.
Ricca e curata è infine la componente multimediale del Museo, che comprende 56 schermi touch screen, collegamento wi-fi con server dedicato per i monitor interattivi, neckbands e tablets di ultima generazione per permettere ai visitatori di vivere un’esperienza interattiva sulle arti del fumetto unica nel suo genere.
Entro la fine del 2023, l’International Museum of Comic Art si arricchirà anche di un archivio con deposito climatizzato per la conservazione delle tavole, dei disegni e delle pubblicazioni facenti parte della collezione del Museo. “L’apertura del museo rappresenta un altro petalo nella rosa di attività espositive didattiche e di formazione proposte dal PAFF! che si conferma a soli quattro anni dalla sua nascita, realtà di spicco in Europa in ambito culturale e interlocutore internazionale nel panorama museale”, ha commentato De Vita.
“L’idea di mostra e di museo sposata da Giulio De Vita e dal PAFF! è unica e innovativa e permetterà di vivere il fumetto come un mezzo di comunicazione completo e allo stesso tempo capace di interagire con le altre arti. Gli originali ci saranno e, come si vede dalla prestigiosa lista degli autori, sono di altissimo livello. Ma i visitatori li potranno ammirare solo dopo aver osservato le loro riproduzioni”, ha aggiunto Raffaelli.

JR alle Gallerie d’Italia di Torino: il mio lavoro è di tutti

JR alle Gallerie d’Italia di Torino: il mio lavoro è di tuttiTorino, 8 feb. (askanews) – “Io sono cresciuto nelle banlieue di Parigi e la mia arte è nata da lì, dai problemi sociali che ho visto nel mio ambiente e quando viaggio nei vari Paesi del mondo la gente non mi riconosce, ce ne sono solo uno o due che mi dicono che hanno visto il mio lavoro.Però le persone vengono lo stesso, perché è anche un modo per dare visibilità alla loro situazione. La mia arte è raggiungere la gente, anche qui a Torino, come abbiamo visto ieri; anche alla fine del mondo in Mauritania, dove sono andato senza pensare che la gente ha visto il mio lavoro, ma quando hanno visto l’immagine gigante del bambino si sono riconosciuti, non c’era bisogno di conoscere il mio lavoro”. Si è presentato così JR, uno degli artisti più noti della scena contemporanea e, al tempo stesso, soggetto anomalo e difficile da classificare nel grande e spesso problematico mare del Sistema dell’arte. Le sue azioni collettive e sociali, pur con una semplicità quasi difficile da immaginare, sono veri e propri scossoni a un palazzo che raccoglie in sé tante e spesso meravigliose contraddizioni, ma che è anche dominato in larga parte da fenomeni economici e tecnologici, più che sociali. Invece nell’artista francese, che pure è amato dai galleristi e usa la tecnologia, la dimensione sociale resta primaria.
Intelligente e delicato, ma anche molto abile nella comunicazione, JR ribadisce che “non sono una artista impegnato, sono un artista ‘ingaggiante’, che lavora con la gente, che cerca un’immagine per loro, che pone domande. Io voglio scoprire situazioni che non conosco, voglio viaggiare e trovare delle storie che abbiamo senso per le persone”. A Torino le Gallerie d’Italia di Intesa Sanpaolo ospitano la sua prima mostra personale in Italia, “Déplacés.e.s”, curata da Arturo Galansino e per l’occasione è andata in scena il 7 febbraio anche una grande performance collettiva tipica della pratica di JR. Che ha anche parlato di quando ha deciso che quella dell’arte sarebbe stata la sua strada. “Sono diventato un artista durante le proteste delle banlieue nel 2005 – ha raccontato – che ho documentato con le mie fotografie. Il mondo a quel punto ha conosciuto il mio lavoro e io ho cominciato a prendere coscienza della forza delle mie immagini”.
Poi però poi torna alle persone, alla relazione con loro invece che con la dimensione di superstar artistica, cosa che JR sicuramente è, ma che entra nel suo lavoro soprattutto come cassa di risonanza per le storie che poi va a raccontare, senza prestare, almeno a parole, troppa attenzione alla “firma” dell’artista acclamato. “Il mio lavoro è di tutti – ci ha spiegato JR – perché queste grandi immagini sono immagini dei bambini, non c’è il mio nome sopra, è solo la loro foto. E l’importante è creare questa partecipazione della gente, perché questa è l’arte: la comunione di persone che non si conoscono sono una scusa per mettere in relazione tutta questa gente”.
La mostra è curata da Arturo Galansino, direttore di Palazzo Strozzi che proprio a Firenze aveva portato durante la pandemia il lavoro dei JR “La Ferita”, sulla facciata rinascimentale del museo. E a lui abbiamo chiesto di dirci che tipo di ragionamento museologico sta alla base del progetto delle Gallerie d’Italia, a fronte di un lavoro dell’artista molto orientato all’effimero e all’azione. “JR – ci ha risposto Galansino – basa il suo lavoro sulla fotografia, sulla documentazione fotografica: il suo lavoro inizia da fotografo, ma certo è molto altro e comprende la partecipazione di persone, l’attivazione attraverso i canali social e molti altri modi. Così questa mostra è un grande ibrido nel quale tutte queste cose si sommano in questo formato difficile da categorizzare”.
“È la prima volta – ha aggiunto Michele Coppola, direttore delle Gallerie d’Italia ed Executive Director Arte, Cultura e Beni storici di Intesa Sanpaolo – che lui sceglie di ‘occupare’ un museo in maniera integrale e il risultato è eccezionale. Se si pensa poi che le immagini che vediamo qui riprodotte sulle pareti, i video che presenta in un certo senso impongono di condividerli a nostra volta, di diventare ambasciatori del suo messaggio, ecco, credo che il cerchio si sia chiuso perfettamente”.
In fondo quella che emerge è una storia museale quasi impossibile e, per questo, tanto interessante quanto contemporanea, nel senso proprio della “pratica” del pensare e realizzare mostre che vanno oltre lo spazio fisico che le ospita, cosa che qui a Torino è evidente. E arriva a toccare corde molto sottili, nonostante l’immediatezza delle opere di JR e la loro forza, in un certo senso “elementare”, che a volte rende dubbiosi i critici sul suo status di artista. “Credo che la cosa importante qui oggi – ha detto ancora Arturo Galansino – sia vedere come, grazie alla sua energia e alla capacità di coinvolgere migliaia e milioni di persone in questi anni riesca a fare parlare di temi importanti, di argomenti così urgenti che spesso rifiutiamo perché sappiamo dei problemi dei campi profughi, ma è difficile conoscerli dal vero. JR ce li fa conoscere in modo diverso, con uno sguardo dal basso, che non si ferma solo ai lati drammatici. I campi profughi sono un fenomeno tipico della globalizzazione e in 10 anni è decuplicato il numero dei rifugiati, che oggi sono 100 milioni. Fare questa cosa con la gioia e la freschezza con cui lo fa lui credo sia una cosa eccezionale, artista o non artista”.
E infine, ma anche questo è un tema enorme, c’è l’aspetto della banca che organizza, promuove e ospita la mostra, mettendosi in gioco insieme a JR e alle persone che lui coinvolge. “È facile ragionare sul dividendo sociale delle imprese private – ha concluso Coppola – Intesa Sanpaolo è una grande banca con una lunga storia e il suo impatto sociale, il dividendo sociale è sotto gli occhi di tutti: anziché vendere palazzi li trasforma in musei, continua ad assicurare a quegli edifici una funzione chiara per la comunità nella quale sono presenti. Ma c’è anche un dividendo sociale che è immateriale: quello che è accaduto ieri, con le persone che si sono incontrate e che hanno deciso di partecipare e di dare il loro contributo a qualcosa che aveva un messaggio, di pace, di speranza o di preoccupazione. Che questo avvenga grazie alla visione illuminata di un’impresa privata italiana che è una banca è un unicum che secondo me come Sistema Italia dobbiamo guardare, perché non ce ne sono tanti nel mondo di esempi così”.
La mostra, realizzata in collaborazione con la Fondazione Compagnia di San Paolo, è aperta al pubblico fino al 16 luglio in piazza San Carlo.
(Leonardo Merlini)

Corrado Veneziano nel Metaverso, in mostra i non-luoghi dell’artista

Corrado Veneziano nel Metaverso, in mostra i non-luoghi dell’artistaRoma, 8 feb. (askanews) – L’arte invade il Metaverso con le opere di Corrado Veneziano: a distanza di dieci anni dalla sua prima personale, la mostra antologica “Corrado Veneziano nel Metaverso” inaugura mercoledì 15 febbraio in un inedito spazio, quello della Sky Art Gallery su Spatial, ambientata sul comprensorio del Cervino, sospesa nel cielo con un panorama a 360 gradi. A curarla è Francesca Barbi Marinetti, l’architettura della galleria è realizzata da Dario Buratti, aka Colpo Wexler, la direzione artistica è di Marina Bellini, aka Mexi Lane, anche regista del video che sarà distribuito prossimamente sui canali social.
La mostra ripropone le opere più emblematiche della prima personale dell’artista, quella di Roma del 2013 (“L’anima dei non luoghi”), integrate con una selezione di quelle successive, presentate in gallerie e musei pubblici nazionali e internazionali: dai codici a barre ISBN agli alfabeti Morse che traducono testi filosofici e letterari, dai QR code che mimano i mosaici aztechi alle serialità vagamente warholiane. E ancora grafie moderne (cinesi, giapponesi, russe, indiane) e antichissime (l’aramaico, il sanscrito) che sacrificano il proprio significato per desemantizzarsi, diventando pura forma e astrazione.
“Per la prima volta nel Metaverso, Veneziano non poteva che considerare questo ambiente altro e parallelo del percorso umano un contesto che lo attendeva, proprio in considerazione dei temi che permeano la sua ampia produzione artistica: un reiterato confronto, costante e differenziato, con l’immensa foresta di linguaggi che qualificano il passaggio dell’esistere – ha spiegato la curatrice Francesca Barbi Marinetti – poeticamente l’uomo abita la terra, scriveva Hölderlin, e Veneziano si dedica interamente allo studio e rappresentazione della complessa struttura linguistica, simbolica visiva di questo abitare, sperimentandosi con i codici, (ISBN, QRcode, Morse) i “non luoghi” e i simboli della modernità (marchi commerciali compresi). Antico e contemporaneo dialogano costruendo prodigiosamente nuovi ponti e sentieri, in singolar tenzone tra tela e pennello, verso e prosa, miti e loghi, codici e visioni.”
Artista internazionalmente e istituzionalmente riconosciuto, i suoi celebri omaggi ai maestri della poesia e della pittura, da Dante Alighieri a Leonardo da Vinci, sono sempre ricerca innovativa e tentativo di risposta ai grandi quesiti passati e presenti. Ma in questa mostra la sua produzione artistica si sublima: in un ambiente di ricerca che crea e interconnette informazioni, soggetti, avatar e oggetti, i “non luoghi” di Corrado Veneziano assumono nuovo senso e significato. Veneziano ha esposto per la prima volta le sue opere dedicandole proprio ai “non luoghi”. La sua mostra del 2013 godeva dei testi critici di Achille Bonito Oliva e dell’antropologo e filosofo francese Marc Augé, che aveva inventato e battezzato la locuzione “non luoghi”, denunciandone la pericolosa invadenza. E se Bonito Oliva scriveva che “Veneziano lavora sulla riqualificazione dei luoghi per ridare presenza a un passato spaziale, a un’architettura abbandonata”, Marc Augé dichiarava in modo inequivoco che “Veneziano trasforma i non luoghi in spazi vitali”. E aggiungeva che “Veneziano è capace con la sua arte di portare luoghi apparentemente senza identità alla loro essenza più vera”. L’accezione di non luogo era forse per la prima volta resa più poetica, spirituale, umana. Oggi, invece, si sublima in un contesto innovativo, il Metaverso, “luogo non luogo” per antonomasia.
“Superando i concetti di realtà virtuale e realtà aumentata la costruzione di un essere in presenza, ovvero avatar, attraverso la tecnologia sociale, si avvale dell’interoperabilità fra mondi e piattaforme, in un ambiente di ricerca che crea e interconnette informazioni, soggetti, avatar e oggetti”, ha spiegato Marina Bellini.
“Le gallerie d’arte nei metaversi stanno trasformando il modo in cui percepiamo l’arte contemporanea – ha aggiunto Dario Buratti – Questi universi virtuali, come Second Life, Spatial e Sansar, offrono un’esperienza immersiva che va oltre ciò che è possibile in una galleria tradizionale. Essi rappresentano un vero e proprio territorio sperimentale: gli artisti hanno la possibilità di sfruttare la tecnologia per creare esposizioni interattive e coinvolgenti, che catturano l’immaginazione dei visitatori in modo dinamico, offrendo esperienze uniche ed immersive e permettendo di raggiungere un pubblico sempre più vasto”.

Biennale Danza: Leone d’oro a Simone Forti, leggenda americana

Biennale Danza: Leone d’oro a Simone Forti, leggenda americanaMilano, 8 feb. (askanews) – E’ Simone Forti, figura seminale della postmodern dance americana e della performance che ha rinnovato costantemente investendo tutte le arti, il Leone d’oro alla carriera della Biennale Danza 2023. Alla compagnia TAO Dance Theater, fondata nel 2008 a Pechino e in breve tempo contesa dai maggiori festival e teatri, è attribuito il Leone d’argento. I Leoni sono stati approvati dal Consiglio di Amministrazione della Biennale di Venezia accogliendo la proposta di Wayne McGregor, direttore del settore Danza, e verranno consegnati nel corso del 17. Festival Internazionale di Danza Contemporanea che si svolgerà a Venezia dal 13 al 29 luglio 2023.
Scrive Wayne McGregor nella motivazione del premio a Simone Forti: “Simone Forti ha dato vita a un corpus di opere – performance, disegni, film, video, fotografia, installazioni e scritti – sorprendente per varietà e unico per capacità visionaria. Innovatrice su vasta scala e specialista dell’improvvisazione nella danza, l’arte di Simone Forti ha spesso unito elementi quali il movimento, il suono e gli oggetti in nuove e sorprendenti articolazioni ibride – lavoro che è stato tanto fondamentale nello sviluppo della postmodern dance quanto illuminante per il minimalismo. Autodefinitasi artista o movement artist, così da non costringersi nelle convenzioni e ortodossie dell’essere una ‘coreografa’, Simone Forti si è sempre mossa liberamente e senza confini tra mondi creativi, intrecciando diverse discipline e – facendo questo – ha sostenuto la superiorità del corpo, o piuttosto ‘il pensare con il corpo’ come forza di sperimentazione, azione e (re)invenzione.
Le opere di Simone Forti sono esposte nei più importanti musei e collezioni del mondo; le sue tecniche di improvvisazione della danza, ispirate al mondo naturale e a lei trasmesse inizialmente da Anna Halprin, vengono insegnate a studenti desiderosi di connettersi con il loro potenziale essenziale di danzatori, un potere che indubbiamente è il fulcro della danza coraggiosa della Forti; e la forza concettuale della sua traiettoria – lunga 60 anni – il rigore del suo pensiero e la semplicità di esecuzione, il suo spirito impertinente, la curiosità infinita – tutto contribuisce a consolidare l’eredità di Simone Forti quale vero genio artistico, che sorprende l’immaginazione e motiva noi, il pubblico, a guardare al passato (della Forti) per andare oltre, verso il futuro (della Forti). Un’eredità impareggiabile di cui essere grati”.
Simone Forti partecipa alla 39. Biennale Arte del 1980 nella sezione dedicata a L’arte negli anni Settanta – film e videoproduzioni di artisti che lavorano in performance curata da Achille Bonito Oliva, Michael Compton, Martin Kunz, Harald Szeemann; mentre alla Biennale Danza del 2018 viene presentato An Evening of Dance Construction (2009), il film che ripropone quelle danze radicalmente nuove che la Forti aveva presentato nel loft/studio di Yoko Ono nel 1961, serie poi ricostruita per il Museum of Contemporary Art (MOCA) nel 2004.
Hanno attraversato oltre 40 Paesi di 5 continenti i componenti del TAO Dance Theater guidati da Tao Ye e Duan Ni, presentando i loro lavori in istituzioni e festival come il Lincoln Center Art Festival di New York, l’Edinburgh International Art Festival, la Sydney Opera House, il Théâtre de la Ville di Parigi, l’American Dance Festival, affascinando le platee della danza e 500 milioni di tiktoker con una scrittura al grado zero della danza.
“Abbandonata la narrativa, la trasmissione di un messaggio e le scenografie elaborate – afferma Wayne McGregor nella motivazione -, Tao Ye e Duan Ni hanno creato un genere di danza unica ed evoluzionistica che cattura con la sua forza ipnotica e minimalista. La loro compagnia, TAO Dance Theater, fondata nel 2008, è impegnata in un’estetica di ‘danza pura’, essenziale, che elimini ogni categorizzazione del movimento e, per estensione, di loro stessi. Il corpo viene presentato come elemento da percepire in quanto affascinante alla vista – privo di rappresentazione, narrativa, contesto: semplicemente esistente come oggetto. Esso viene amplificato solo dall’uso della luce e del suono, così da consentire agli spettatori di essere messi a confronto – e alla prova – con tecniche, vocabolario e forme rigorosamente focalizzate sul corpo. E’ questa fiducia nel potere del solo movimento (sviluppato tramite il loro innovativo Circular Movement System) con tutto il suo potenziale ed espressività latente, le sue sfumature, la sua eleganza, idiosincrasia, limiti e restrizioni che ci chiede di guardare e guardare ancora – di apprendere la sintassi nascosta e di ‘vedere’ davvero come se facessimo esperienza del corpo e della danza per la prima volta – in tutta la sua meraviglia spettacolare, eleganza e comunicatività diretta, viscerale, cinestetica.
TAO Dance Theater è una compagnia eccezionale, con una visione, una missione e uno scopo. Come i grandi della danza del passato, comprendono la vera natura del corpo quale ‘microcosmo dell’universo’ e hanno individuato il loro territorio particolare da esplorare ed espandere. Immergersi qui, in questo territorio ignoto, è originale, importante ed edificante e noi veniamo allo stesso tempo avvolti e provocati dalla loro genialità”.

Milano Bicocca, dottorato honoris causa a Stefano Boeri

Milano Bicocca, dottorato honoris causa a Stefano BoeriMilano, 7 feb. (askanews) – L’Università degli Studi di Milano-Bicocca ha conferito a Stefano Boeri, architetto e presidente di Triennale Milano, il Dottorato di Ricerca Honoris Causa in Scienze Chimiche, Geologiche e Ambientali.
Per l’occasione Stefano Boeri ha tenuto una lectio magistralis intitolata L’ambiente geniale, che riflette sui concetti di paesaggio e ambiente e sul loro ruolo nell’architettura. La cerimonia si è svolta nell’aula magna dell’ateneo, alla presenza di Giovanna lannantuoni, rettrice dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, che ha tenuto l’introduzione e di Marco Emilio Orlandi, pro-rettore Vicario dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca, che ha pronunciato la Laudatio.
“Ambiente Geniale – ha dichiarato Boeri – è un modo per ricordare come la nozione di ambiente possa essere rigenerata da una concezione della natura come forza vivente e sovversiva. E come la nozione di ambiente, intesa come sfera percorsa e scompigliata dalla vita, come trama di vite imprevedibili, possa rigenerare le pratiche e le teorie dell’architettura e dell’urbanistica”.

Giornata Internazionale Donne e Ragazze nella Scienza, lavoratrici discriminate nel settore economico-scientifico

Giornata Internazionale Donne e Ragazze nella Scienza, lavoratrici discriminate nel settore economico-scientifico

Babbel: Ampie le differenze di genere percepite in fatto di salario, promozioni e distribuzione del potere

Roma, 7 feb. (askanews) – Nonostante siano numerose le conquiste ottenute negli ultimi anni nell’ambito dei diritti delle donne, gli stereotipi di genere non sono ancora stati debellati, anzi continuano ad essere ancora presenti, soprattutto in ambienti tradizionalmente a predominanza maschile come quello tecnico-scientifico. In occasione della Giornata Internazionale delle Donne e delle Ragazze nella Scienza che si celebra l’11 febbraio, informa una nota, Babbel, piattaforma multiprodotto per l’apprendimento delle lingue che offre lezioni su app e live, si è unita a SheTech e Fosforo allo scopo di invitare a riflettere sulla situazione attuale in merito alla presenza femminile negli ambiti STEM in Italia (l’acronimo inglese viene utilizzato per indicare le discipline scientifico-tecnologiche Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica). In particolare, il focus della ricerca verte sugli stereotipi di genere insiti nel linguaggio, così come sulla necessità di sensibilizzare su questo tema sin dall’infanzia. Già in ambito scolastico, infatti, si tende a sottovalutare la predisposizione alle materie scientifiche delle bambine che, spesso, non sono incoraggiate a seguire questo percorso a livello accademico. Di conseguenza, sia alle scuole superiori che all’università, si evidenzia la minore presenza delle donne nel settore scientifico-tecnologico. In particolare, secondo l’Annuario Statistico Istat del 2022, negli ultimi 5 anni le immatricolate a corsi universitari dell’area STEM, si sono sempre attestate attorno al 21% del totale delle immatricolate, mentre per gli uomini la percentuale ha superato sistematicamente il 40%. In più, anche se le ragazze iscritte a corsi STEM presentano risultati accademici più elevati, i tassi di occupazione e di retribuzione femminili rimangono più bassi rispetto a quelli maschili.
“Le parole sono lo specchio di categorie concettuali attraverso cui si divide e comprende la realtà; è quindi necessario lavorare su un linguaggio più inclusivo per combattere le ben radicate diseguaglianze di genere. L’eliminazione dal proprio vocabolario quotidiano delle espressioni sessiste, che veicolano una violenza costante e onnipresente – verbale e psicologica – rappresenta un primo passo da compiere sulla strada verso l’equità in tutti i settori lavorativi” – ha commentato Sara Garizzo, Principal Content Strategist di Babbel.
Un passo necessario per poter combattere la sottorappresentanza femminile in ambito STEM è senz’altro quello di lavorare su una maggiore consapevolezza linguistica, partendo dal riconoscimento dell’esistenza di pregiudizi di genere nel linguaggio, spesso relativi al ruolo delle donne nel mondo del lavoro.
Basti pensare ai preconcetti e alle frasi discriminatorie, tutt’oggi troppo comuni, riscontrati dalle lavoratrici del settore scientifico intervistate nell’ambito di una ricerca condotta da SheTech in collaborazione con IDEM. “Le donne lavoratrici in ambito STEM sono tutte ‘nerd’” è un pregiudizio riscontrato dal 63,7% delle rispondenti. O, ancora, l’utilizzo indiscriminato dell’appellativo di “Signora/Signorina”, a prescindere dal titolo di studio e dai risultati raggiunti sul lavoro è segnalato dal 71,5% delle intervistate, secondo le quali il titolo di Dottore/Ingegnere spetta di default al collega uomo, anche a parità di merito. Un altro luogo comune, individuato dal 73,9% delle rispondenti, è quello secondo cui le donne avrebbero bisogno di una migliore work-life balance rispetto agli uomini, difficilmente conciliabile con i ritmi competitivi dell’ambito tecnico-scientifico. Ma non solo: l’irrazionalità e l’emotività sono stereotipicamente ritenute emozioni femminili e in netto contrasto con la razionalità e il pensiero analitico necessari per lavorare nelle STEM (63,4%). Tutto ciò fa sì che le donne non siano mai considerate sullo stesso piano in termini di bravura ed efficienza degli uomini, tanto che è frequente la convinzione secondo cui “una donna nelle discipline STEM non sarà mai brava quanto un uomo” (69,4%).
Le lavoratrici percepiscono ancora ampie differenze di genere in fatto di salario, promozioni e potere. Tra le percezioni più diffuse emerse dal report SheTech-IDEM, troviamo infatti: “le donne vengono pagate meno degli uomini” (86% delle rispondenti), “di fronte ad una promozione, un uomo ha più probabilità di essere promosso” (84%), “l’aumento salariale che viene proposto alle donne in fase di promozione è inferiore a quello proposto ad un uomo” (78%) e “gli uomini che lavorano nelle STEM fanno resistenza ad accettare una responsabile donna” (58%). Ciò che emerge è quindi una propensione a pensare i campi scientifico, tecnologico, ingegneristico o matematico come aree di competenza prettamente maschili.
Sempre secondo Sara Garizzo di Babbel, il fatto che in molti casi si contribuisca, anche se talvolta inconsapevolmente, alla reiterazione di tale stereotipo attraverso il proprio linguaggio, è sintomo della persistenza, nella nostra società, di una mentalità ancora fortemente sessista. Inoltre, non aiuta la sottigliezza di certe frasi e espressioni che, seppur in apparenza non violente, nascondono ad una più attenta analisi sottotoni misogini e dispregiativi.
“I cosiddetti micromachisimi caratterizzano il mondo STEM e, anche se meno percettibili rispetto ad altre forme di violenza, compromettono le opportunità professionali delle donne. Cambiare questi modelli di comportamento permetterà di delineare un ambiente più equo e meritocratico all’interno delle discipline STEM, favorendo così un avanzamento di questi ambiti. Penso che dovremmo iniziare a concentrare le nostre energie su alcuni punti nevralgici per ridurre le differenze di genere che possono essere riassunti in 2 parole estremamente importanti quali supporto e condivisione” – afferma Chiara Brughera, Managing Director di SheTech.
I passi verso il futuro: largo alle nuove generazioni! I “role models” femminili in ambito STEM, le cui storie potrebbero ispirare le più giovani, non mancano; eppure ricevono ancora poca visibilità – e questo contribuisce, senz’altro, a perpetuare la presenza di un gap di genere. Ne deriva, pertanto, l’importanza di confrontarsi con le nuove generazioni, raccontando loro sempre più storie di successo di modelli femminili in questo settore e insegnando a mettere in discussione gli stereotipi di genere.
“È fondamentale promuovere il protagonismo femminile in ambito STEM e ciò fa parte della missione di Fosforo: instillare la scintilla della meraviglia e il piacere della scoperta scientifica sin dall’infanzia, aiutando così allo stesso modo bambine e bambini a trovare la propria strada. Sebbene l’attuale situazione ci ricordi che abbiamo statistiche insoddisfacenti da questo punto di vista, occorre sempre ricordare a tutti, specialmente alle menti più giovani, gli straordinari risultati che si possono ottenere nella ricerca scientifica da uno sforzo comune, senza distinzione di genere. Non dimentichiamoci che la prima persona a vincere due premi Nobel, rispettivamente nella fisica e nella chimica, è stata una donna: Marie Curie!” – commenta Mattia Crivellini di Fosforo.

Comunità Nuovi Orizzonti: vicinanza a popolo della Turchia

Comunità Nuovi Orizzonti: vicinanza a popolo della TurchiaMilano, 6 feb. (askanews) – “Nuovi Orizzonti esprime la propria vicinanza all’intero popolo della Turchia e della Siria, che in queste ore stanno vivendo una terribile tragedia”. Lo scrive Chiara Amirante, scrittrice italiana nominata dal Presidente della Repubblica Ufficiale dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, autrice di numerosi bestseller, nonchè fondatrice e presidente della Comunità Nuovi Orizzonti dedita al disagio sociale.
“Un’intera comunità colpita da una potentissima scossa di terremoto di magnitudo 7.8, mille volte superiore a quello di Amatrice” aggiunge. “La nostra comunità assicura la preghiera e la vicinanza con il cuore spezzato per le vittime, i familiari, i feriti e le conseguenze di questa drammatica realtà. Ci auguriamo che la forza di questi popoli resilienti, capaci di unire culture così diverse, affrontino questa sfida importante. Ci stringiamo con affetto”.