Le pagelle europee del 2024, per Draghi nuova delusione: voto 7-
Le pagelle europee del 2024, per Draghi nuova delusione: voto 7-Roma, 27 dic. (askanews) – E’ brillante e preparatissimo ma nella pratica da quando ha lasciato la Bce la sua è la storia di un desiderio non soddisfatto.
L’ultimo capitolo europeo di Draghi ci ha ricordato il gennaio del 2022 quando era in corsa per la Presidenza della Repubblica. Diciamocelo chiaramente. A Draghi di fare il presidente del Consiglio italiano importava veramente poco: la capacità di mediazione e di ascolto che il ruolo richiede non appare proprio nelle sue corde. Era però quello il necessario passaggio verso il Quirinale. Il patto con Sergio Mattarella – se c’è stato, ma non lo sappiamo – sembrava essere questo: ‘gestisci il Paese in un momento di emergenza e poi vieni al mio posto’. Draghi lo ha fatto, con lui l’Italia ha sicuramente riconquistato prestigio e autorevolezza a livello internazionale (la foto con Emmanuel Macron e Olaf Scholz a bordo del treno per Kiev ne fu la plastica rappresentazione) con un grande beneficio anche sulla stabilità finanziaria. Al momento dell’elezione del presidente della Repubblica, però, Draghi ha mostrato tutti i suoi limiti come politico, a cominciare dall’autocandidatura del “nonno al servizio delle istituzioni”. Il cronista che in quei giorni passeggiava in Transatlantico scambiando due parole con i peones capiva subito che non sarebbe “mai” (il virgolettato è di uno di loro) stato eletto. Solo Draghi non se ne rendeva conto, non avendo pensato di attivare delle “antenne” in quel Parlamento che aveva sempre trattato con un distacco percepito come disgusto. Quando se ne è accorto, tardi, si è mosso molto ma abbastanza scompostamente, bruciandosi definitivamente. Rieletto Mattarella, si è capito che il suo periodo a Palazzo Chigi era finito, è andato avanti galleggiando per qualche mese ma quando si è presentato al Senato il 20 luglio 2022 per la fiducia ha pronunciato un discorso che suonava come: “Mandatemi a casa”. Così è stato.
Anche nel cambio di legislatura europea ci è parso di vedere l’ambizione di Draghi di avere un ruolo nell’Unione. Ursula von der Leyen gli aveva commissionato un Rapporto sulla competitività che l’ex banchiere ha scritto con la consueta competenza, con scrupolo, con grande capacità di ascolto degli attori economici e anche con una visione “politica” dell’Europa. Lo ha presentato con la stessa presidente della Commissione, poi è stato ospite in varie capitali (a Parigi il 13 novembre Macron lo ha accolto al Collège de France con tutti gli onori), ogni volta tenendo discorsi che sono suonati come gli interventi programmatici di un candidato leader. Se nel 2022 era effettivamente candidato alla presidenza della Repubblica, in questo caso partiva “di rincorsa” come la carta da giocare in caso di emergenza. L’emergenza sarebbe stata rappresentata da una clamorosa bocciatura di von der Leyen per il suo secondo mandato. A quel punto l’Europa in crisi politica, stretta da una parte da Putin e dall’altra da Trump, chi altri avrebbe potuto chiamare se non SuperMario? Ci sembra che abbia accarezzato questa prospettiva, ma stando attento, questa volta, ad evitare passi falsi. Soprattutto Macron sembrava contare su di lui piuttosto che su von der Leyen, anche per riconfermare la sua linea contraria al sistema dello “spitzenkandidat”, ovvero alla presidenza della Commissione attribuita automaticamente al “candidato guida” del partito europeo uscito vincente dalle elezioni. Ma poi Macron è entrato nel tunnel della crisi politica francese e la storia è andata in un altro modo, anche questa volta. Come consolazione, Draghi ha visto gran parte delle idee e conclusioni del suo Rapporto sul futuro della competitività dell’Ue copiate e incollate da von der Leyen nelle lettere di missione dei nuovi commissari europei. Voto: 7-
di Alberto Ferrarese e Lorenzo Consoli