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Tag: Internazionale

Mutilazioni genitali, allarme esperti: mancano fondi, serve sforzo congiunto

Mutilazioni genitali, allarme esperti: mancano fondi, serve sforzo congiunto

Conferenza internazionale organizzata dall’Istituto IRCCS “San Gallicano” di Roma

Roma, 7 feb. (askanews) – Per rendere veramente efficace la lotta alle Mutilazioni genitali femminili (Mgf) è necessario investire risorse finanziarie e professionali e fare in modo che ci sia un grande sforzo congiunto di operatori sanitari e istituzioni politiche a livello nazionale e internazionale. È quanto è emerso nel corso della Conferenza Internazionale contro la violenza di genere, dal titolo “Mutilazioni genitali femminili. Restituire dignità e salute alle donne tra Nord e Sud del Mondo” – che si è tenuta a Roma, presso il Ministero della Salute, in occasione della Giornata mondiale contro le Mutilazioni Genitali Femminili – e che ha messo in luce come la pandemia di Covid-19 abbia assorbito la maggior parte delle risorse finanziare, portando a un arresto nel contrasto alle Mgf e quindi a un loro aumento.
L’evento, promosso e organizzato dal Professor Aldo Morrone, direttore scientifico dell’IRCCS San Gallicano, ha voluto fare il punto sulla situazione delle Mgf in Italia e nel mondo e provare a delineare delle strategie efficaci per il loro contrasto. Su questo fronte è stata, in particolare, posta l’attenzione sulla necessità che tutti i paesi che hanno aderito all’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, attuino realmente l’obiettivo 5.3 che recita: “Eliminare tutte le pratiche nocive, come il matrimonio delle bambine, forzato e combinato e le mutilazioni dei genitali femminili”.
Fondamentale è anche aumentare la conoscenza di questa pratica tra tutti gli operatori sociosanitari. Dal convegno è infatti emerso che sono ancora troppi quelli che non sanno di cosa si tratti e che non hanno quindi gli strumenti per riconoscerla e contrastarla. Un grande aiuto verrebbe di certo dall’istituzione di una grande conferenza internazionale organizzata dalle Nazioni Unite, con un investimento finanziario strutturale e professionale come si è fatto intelligentemente per la Pandemia da Covid-19.
“Se vogliamo davvero l’eliminazione della pratica delle mutilazioni genitali femminili, dobbiamo ancora molto, molto, molto impegnarci, perché dinanzi ai piccoli miglioramenti che avevamo fino al 2019, la pandemia da Covid-19 ha definitivamente distrutto questi risultati. C’è stato un peggioramento netto in questi tre anni, c’è stato l’aumento annuale di almeno un altro milione di bambine che sono state infibulate”, ha sottolineato il professor Morrone. “Abbiamo decisamente bisogno di un investimento maggiore, perché c’è molto da fare, dal punto di vista strutturale, professionale ed economico – ha aggiunto -. Abbiamo la necessità di sensibilizzare i nostri operatori sanitari, creare corsi di formazione su queste tematiche, un investimento internazionale per porre fine definitivamente a questa pratica, soprattutto nei Paesi a forte tradizione rescissorea, in Africa, in Medioriente, in estremo Oriente”, ha aggiunto.
L’Imam Nader Akkad, della Grande Moschea di Roma, dal canto suo ha condannato in maniera netta questa pratica, affermando che “la dignità viene lesionata in modo grave da questa pratica barbarica che io posso definire in termini inequivocabili come un genocidio contro la dignità del corpo femminile. È uno sterminio, un terrorismo che viene commesso contro il corpo della donna, nelle parti più importanti. Ricordiamo che tutti noi abbiamo fatto l’esperienza di passare dal ventre di una donna. Mutilare quelle parti significa mutilare la dignità non soltanto delle donne ma di tutta l’umanità”.
All’evento è intervenuto anche il Ministro della Salute, Orazio Schillaci, che ha dichiarato: “Questa pratica deve essere contrastata con coraggio. In linea con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda ONU 2030, dobbiamo continuare a lavorare per la promozione della salute delle donne, obiettivo strategico che misura la qualità, l’efficacia e l’equità del nostro Sistema sanitario. È perciò fondamentale sostenere ogni iniziativa diretta a eliminare le disuguaglianze per difendere il diritto costituzionale alla tutela della salute di ogni cittadino”.
I numeri del fenomeno. Sono oltre 250 milioni secondo le stime dell’ONU le donne che in tutto il mondo hanno subito una Mutilazione Genitale Femminile (MGF), e sono oltre 4 milioni le bambine a rischio di essere mutilate ogni anno. Questa pratica è ancora attiva in oltre 30 Paesi tra Africa e Medio Oriente, ma il fenomeno interessa anche donne immigrate che vivono in Europa occidentale, Nord America, Australia e Nuova Zelanda. Oltre la metà delle ragazze che ha subìto una forma di MGF non aveva compiuto ancora cinque anni di vita, mentre sarebbero almeno 44 milioni le bambine e adolescenti ad averle subite entro i 14 anni. In questa fascia di età, la prevalenza maggiore è stata riscontrata in Gambia, con il 56%, in Mauritania con il 54% e in Indonesia, dove circa la metà delle bambine fino a undici anni avrebbe subito una delle diverse forme di mutilazione.
I Paesi con la più alta prevalenza tra le ragazze e le donne tra i 15 e i 49 anni sono Somalia (98%), Guinea (97%) e Djibouti (93%). Anziché diminuire con il tempo, queste pratiche sembrano diventare ancora più diffuse, anche a causa del fenomeno migratorio, con il risultato di essere oggi presenti anche in paesi dove prima erano sconosciute come nel caso degli Stati Uniti, dove il numero degli interventi è addirittura triplicato negli ultimi anni. La Commissione europea stimava a febbraio 2022 che solo in 13 paesi europei almeno 180.000 bambine continuino a essere a rischio di mutilazione, mentre 600.000 donne convivono con le conseguenze delle MGF in Europa. In Italia, una stima approssimativa delle donne che hanno subito una delle forme di MGF nei loro Paesi di origine e che vivono in Italia, indicherebbe una cifra intorno a 88 mila donne di cui oltre 7 mila minorenni.
I costi delle MGF. Le MGF comportano un onere economico di 1,4 miliardi di dollari all’anno, che salirà a 2,1 miliardi di dollari all’anno entro il 2047. Attualmente questo costo rappresenta dal 9% al 30% dell’attuale spesa sanitaria pro capite nei 27 Paesi africani con la più alta incidenza di MGF. L’abbandono completo ridurrebbe l’onere futuro a 0,8 miliardi di dollari all’anno entro il 2047. LE MGF non sono solo una violazione dei diritti umani e un problema sanitario, ma anche un notevole onere economico che può essere evitato attraverso efficaci strategie di prevenzione per giungere alla loro eliminazione definitiva.
Il ruolo del Covid-19. Se questi numeri non accennano a diminuire la colpa è anche della pandemia di Covid-19 che ha bloccato i programmi mondiali messi in atto per combattere questa terribile violenza e ha tagliato i fondi pubblici destinati al suo contrasto. Il rischio di compromettere i progressi finora raggiunti è elevato, poiché le misure adottate per contrastare la diffusione del Covid hanno costretto all’isolamento molte ragazze vulnerabili, privandole di qualsiasi tipo di protezione. Allo stesso tempo, il lockdown ha aumentato i casi di MGF praticati a domicilio, nell’impossibilità dei centri educativi di realizzare campagne di sensibilizzazione e controlli di routine.

Giornata Internazionale Donne e Ragazze nella Scienza, lavoratrici discriminate nel settore economico-scientifico

Giornata Internazionale Donne e Ragazze nella Scienza, lavoratrici discriminate nel settore economico-scientifico

Babbel: Ampie le differenze di genere percepite in fatto di salario, promozioni e distribuzione del potere

Roma, 7 feb. (askanews) – Nonostante siano numerose le conquiste ottenute negli ultimi anni nell’ambito dei diritti delle donne, gli stereotipi di genere non sono ancora stati debellati, anzi continuano ad essere ancora presenti, soprattutto in ambienti tradizionalmente a predominanza maschile come quello tecnico-scientifico. In occasione della Giornata Internazionale delle Donne e delle Ragazze nella Scienza che si celebra l’11 febbraio, informa una nota, Babbel, piattaforma multiprodotto per l’apprendimento delle lingue che offre lezioni su app e live, si è unita a SheTech e Fosforo allo scopo di invitare a riflettere sulla situazione attuale in merito alla presenza femminile negli ambiti STEM in Italia (l’acronimo inglese viene utilizzato per indicare le discipline scientifico-tecnologiche Scienza, Tecnologia, Ingegneria e Matematica). In particolare, il focus della ricerca verte sugli stereotipi di genere insiti nel linguaggio, così come sulla necessità di sensibilizzare su questo tema sin dall’infanzia. Già in ambito scolastico, infatti, si tende a sottovalutare la predisposizione alle materie scientifiche delle bambine che, spesso, non sono incoraggiate a seguire questo percorso a livello accademico. Di conseguenza, sia alle scuole superiori che all’università, si evidenzia la minore presenza delle donne nel settore scientifico-tecnologico. In particolare, secondo l’Annuario Statistico Istat del 2022, negli ultimi 5 anni le immatricolate a corsi universitari dell’area STEM, si sono sempre attestate attorno al 21% del totale delle immatricolate, mentre per gli uomini la percentuale ha superato sistematicamente il 40%. In più, anche se le ragazze iscritte a corsi STEM presentano risultati accademici più elevati, i tassi di occupazione e di retribuzione femminili rimangono più bassi rispetto a quelli maschili.
“Le parole sono lo specchio di categorie concettuali attraverso cui si divide e comprende la realtà; è quindi necessario lavorare su un linguaggio più inclusivo per combattere le ben radicate diseguaglianze di genere. L’eliminazione dal proprio vocabolario quotidiano delle espressioni sessiste, che veicolano una violenza costante e onnipresente – verbale e psicologica – rappresenta un primo passo da compiere sulla strada verso l’equità in tutti i settori lavorativi” – ha commentato Sara Garizzo, Principal Content Strategist di Babbel.
Un passo necessario per poter combattere la sottorappresentanza femminile in ambito STEM è senz’altro quello di lavorare su una maggiore consapevolezza linguistica, partendo dal riconoscimento dell’esistenza di pregiudizi di genere nel linguaggio, spesso relativi al ruolo delle donne nel mondo del lavoro.
Basti pensare ai preconcetti e alle frasi discriminatorie, tutt’oggi troppo comuni, riscontrati dalle lavoratrici del settore scientifico intervistate nell’ambito di una ricerca condotta da SheTech in collaborazione con IDEM. “Le donne lavoratrici in ambito STEM sono tutte ‘nerd’” è un pregiudizio riscontrato dal 63,7% delle rispondenti. O, ancora, l’utilizzo indiscriminato dell’appellativo di “Signora/Signorina”, a prescindere dal titolo di studio e dai risultati raggiunti sul lavoro è segnalato dal 71,5% delle intervistate, secondo le quali il titolo di Dottore/Ingegnere spetta di default al collega uomo, anche a parità di merito. Un altro luogo comune, individuato dal 73,9% delle rispondenti, è quello secondo cui le donne avrebbero bisogno di una migliore work-life balance rispetto agli uomini, difficilmente conciliabile con i ritmi competitivi dell’ambito tecnico-scientifico. Ma non solo: l’irrazionalità e l’emotività sono stereotipicamente ritenute emozioni femminili e in netto contrasto con la razionalità e il pensiero analitico necessari per lavorare nelle STEM (63,4%). Tutto ciò fa sì che le donne non siano mai considerate sullo stesso piano in termini di bravura ed efficienza degli uomini, tanto che è frequente la convinzione secondo cui “una donna nelle discipline STEM non sarà mai brava quanto un uomo” (69,4%).
Le lavoratrici percepiscono ancora ampie differenze di genere in fatto di salario, promozioni e potere. Tra le percezioni più diffuse emerse dal report SheTech-IDEM, troviamo infatti: “le donne vengono pagate meno degli uomini” (86% delle rispondenti), “di fronte ad una promozione, un uomo ha più probabilità di essere promosso” (84%), “l’aumento salariale che viene proposto alle donne in fase di promozione è inferiore a quello proposto ad un uomo” (78%) e “gli uomini che lavorano nelle STEM fanno resistenza ad accettare una responsabile donna” (58%). Ciò che emerge è quindi una propensione a pensare i campi scientifico, tecnologico, ingegneristico o matematico come aree di competenza prettamente maschili.
Sempre secondo Sara Garizzo di Babbel, il fatto che in molti casi si contribuisca, anche se talvolta inconsapevolmente, alla reiterazione di tale stereotipo attraverso il proprio linguaggio, è sintomo della persistenza, nella nostra società, di una mentalità ancora fortemente sessista. Inoltre, non aiuta la sottigliezza di certe frasi e espressioni che, seppur in apparenza non violente, nascondono ad una più attenta analisi sottotoni misogini e dispregiativi.
“I cosiddetti micromachisimi caratterizzano il mondo STEM e, anche se meno percettibili rispetto ad altre forme di violenza, compromettono le opportunità professionali delle donne. Cambiare questi modelli di comportamento permetterà di delineare un ambiente più equo e meritocratico all’interno delle discipline STEM, favorendo così un avanzamento di questi ambiti. Penso che dovremmo iniziare a concentrare le nostre energie su alcuni punti nevralgici per ridurre le differenze di genere che possono essere riassunti in 2 parole estremamente importanti quali supporto e condivisione” – afferma Chiara Brughera, Managing Director di SheTech.
I passi verso il futuro: largo alle nuove generazioni! I “role models” femminili in ambito STEM, le cui storie potrebbero ispirare le più giovani, non mancano; eppure ricevono ancora poca visibilità – e questo contribuisce, senz’altro, a perpetuare la presenza di un gap di genere. Ne deriva, pertanto, l’importanza di confrontarsi con le nuove generazioni, raccontando loro sempre più storie di successo di modelli femminili in questo settore e insegnando a mettere in discussione gli stereotipi di genere.
“È fondamentale promuovere il protagonismo femminile in ambito STEM e ciò fa parte della missione di Fosforo: instillare la scintilla della meraviglia e il piacere della scoperta scientifica sin dall’infanzia, aiutando così allo stesso modo bambine e bambini a trovare la propria strada. Sebbene l’attuale situazione ci ricordi che abbiamo statistiche insoddisfacenti da questo punto di vista, occorre sempre ricordare a tutti, specialmente alle menti più giovani, gli straordinari risultati che si possono ottenere nella ricerca scientifica da uno sforzo comune, senza distinzione di genere. Non dimentichiamoci che la prima persona a vincere due premi Nobel, rispettivamente nella fisica e nella chimica, è stata una donna: Marie Curie!” – commenta Mattia Crivellini di Fosforo.