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Ispra: 10% emissioni gas serra associate a spreco alimentare
Ispra: 10% emissioni gas serra associate a spreco alimentareRoma, 5 feb. (askanews) – L’8-10% delle emissioni globali di gas serra sono associate al cibo che non viene consumato e la riduzione delle perdite e degli sprechi alimentari è stata identificata come un mezzo essenziale per migliorare la sicurezza alimentare riducendo al contempo la pressione sulle risorse naturali. Lo sottolinea l’Ispra, che ha appena pubblicato l’aggiornamento sullo Spreco alimentare nella nuova base dati degli indicatori 2025, in occasione della Giornata nazionale di prevenzione dello spreco alimentare, che si celebra oggi 5 febbraio.
Insomma, anche le perdite e rifiuti alimentari contribuiscono alle emissioni di gas serra e quindi il fatto che quantità sostanziali di alimenti siano prodotti ma non mangiati dagli esseri umani ha impatti negativi sostanziali: ambientali, sociali ed economici. E, rileva Ispra, per affrontare seriamente lo spreco alimentare, “dobbiamo aumentare gli sforzi per misurare il cibo e le parti non commestibili sprecati non solo a livello di vendita al dettaglio e consumatore, ma tracciare la generazione di spreco alimentare nelle fasi iniziali della catena di fornitura di alimenti”. Per quanto riguarda lo spreco in Italia, i risultati dell’indagine indicano che sono sprecati circa due terzi dell’energia alimentare prodotta. Da ciò si deduce che è prodotto il triplo di quanto mediamente è necessario e viene distribuito iniquamente e sprecato. In termini di kcal/persona/giorno c’è un aumento del 17% tra il 2015 e il 2021. A fronte di una riduzione della popolazione del 2,7% lo spreco del Paese (kcal/giorno) aumenta invece del 14%.
Lo spreco edibile negli allevamenti rappresenta la componente maggiore, circa due terzi dello spreco totale, con un’inefficienza del 77% nella conversione in derivati animali. La disponibilità di prodotti animali per il consumo aumenta del 19% fino a circa un terzo di quella complessiva, ben oltre quanto raccomandato dalle Organizzazioni internazionali di tutela della salute. Gli sprechi lungo la filiera tra produzione e consumo aumentano del 6%. Gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda ONU 2030 indicano di ridurre gli sprechi produttivi e dimezzare quelli nel consumo. Invece i primi crescono del 2%, i secondi aumentano del 9%. Una caloria ogni tre disponibili al consumo viene sprecata nelle fasi di vendita e alimentazione. Inoltre, ogni 5 calorie consumate una è in eccesso rispetto ai fabbisogni medi raccomandati, con una forte crescita del 32%. In Italia, infatti, circa il 43% della popolazione adulta è in sovrappeso o obesa. Principalmente per il consumo di prodotti industriali ultraprocessati a base di cereali, zuccheri, sali e grassi insaturi.
L’impronta ecologica dei sistemi alimentari è da sola pari all’intera biocapacità italiana (possibilità del territorio di rigenerare risorse e trasformare scarti). Lo spreco sistemico ne occupa più del 50% con impatti devastanti su biodiversità, acque, suoli, clima. Ciò in gran parte nelle fasi di produzione intensiva e importazione (60%) più che in quelle di consumo o smaltimento degli sprechi. Ancora, la sicurezza alimentare è intaccata poiché il tasso di auto-approvvigionamento è sotto l’80%, addirittura circa il 50% considerando gli input per allevamenti. Le importazioni sono soprattutto olio di palma e frumento, soia e mais per mangimi, ma ormai anche frutta e verdura in parte non trascurabile. Da notare che produzione e fornitura aumentano ancora proprio grazie alle importazioni industriali, altrimenti sono da considerare in contrazione.
Di converso, rispetto ai sistemi convenzionali, si osserva un miglior uso delle risorse e una riduzione media degli sprechi del 67% nei sistemi alimentari regionali, biologici, a medio-piccola scala, per es. mercati locali degli agricoltori bio. Purtroppo, solo il 3% circa dell’alimentazione riesce a passare stabilmente dalle filiere corte, nonostante incontrino elevata preferenza da parte della popolazione.