La crisi nel terzo polo rilancia il dibattito nel Pd: chi prende voti al centro?
La crisi nel terzo polo rilancia il dibattito nel Pd: chi prende voti al centro?Roma, 14 apr. (askanews) – Nel Pd fanno battute, in tanti maramaldeggiano sul divorzio tra Matteo Renzi e Carlo Calenda, e non potrebbe essere diversamente. Ma il naufragio del progetto centrista diventerà presto un tema politico molto serio anche in casa democratica. Il Pd visto in queste prime settimane non si preoccupava troppo di parlare anche agli elettori più moderati, Elly Schlein ha vinto soprattutto restituendo entusiasmo a quella sinistra che alle politiche e alle regionali dei mesi scorsi si era rifugiata nel non voto o aveva addirittura optato per M5s, “per non regalare il nostro elettorato a Conte”, come dice uno degli esponenti della sinistra Pd.
L’obiettivo numero uno, del resto, era fermare “l’opa ostile” dei 5 stelle sull’elettorato di sinistra, consolidare il Pd riconquistando innanzitutto l’elettorato storico, la “base”, lasciando di fatto ad altri il compito di organizzare il voto di centro. Certo, il rapporto con Calenda e Renzi era assai complicato, ma del resto c’è tempo prima di doversi preoccupare di costruire un’alleanza stabile, le politiche non saranno a breve. L’implosione del terzo polo cambia il quadro e finirà per riaprire una discussione. Se non c’è un soggetto moderato a fianco del Pd, come si intercetta quell’elettorato? L’ala più moderata – quella che sosteneva Stefano Bonaccini per capirsi – tornerà a farsi sentire, a rilanciare un’impostazione simile a quella del Pd veltroniano delle origini. Enrico Borghi lo dice chiaramente: “Non c’è dubbio che quello che sta accadendo pone un tema di riflessione nel Pd. Serve la sintesi tra due culture. E’ evidente che torneremmo ad essere competitivi se dovesse nascere un partito che con Schlein copre saldamente l’arco di sinistrae attraverso altre figure è in grado anche di parlare al mondo più moderato o riformista”. Di fatto, appunto, è la “vocazione maggioritaria” dei tempi di Veltroni, lo schema che lo stesso Bonaccini aveva sostenuto durante la campagna per le primarie. Non è questa la visione della maggioranza del partito, quella che ha sostenuto Schlein alle primarie. Da Andrea Orlando a Goffredo Bettini, passando per Articolo 1, l’idea è che il Pd debba caratterizzarsi appunto come partito chiaramente di sinistra, un partito “del lavoro” come ha ripetuto anche nei giorni scorsi Sandro Ruotolo.
“Quello schema del partito che tiene dentro tutto non funziona, ha funzionato solo con Veltroni”, dice un parlamentare della sinistra. “Non si riesce a parlare ai moderati e alla sinistra allo stesso tempo”. E Arturo Scotto aggiunge: “Nel congresso Pd chi evocava la vocazione maggioritaria ha perso la partita. Prima ancora della formula politologica conta la società, che è più frantumata e impaurita di 15 anni fa e chiede alla sinistra una connotazione più netta lungo le linee di frattura con la destra”. Per Scotto “il moderatismo è stato seppellito ovunque dopo il tonfo della classe media. Ed anche il tecnopopulismo di cui sono stati teorici – agitando l’agenda Draghi manco fosse il libretto rosso di Mao – appare un feticcio identitario”. Su questo punto l’analisi coincide con quella di Borghi: “La crisi del terzo polo è la conferma della bipolarizzazione del sistema politico italiano. In Azione-Iv convivevano due ambiguità: Renzi che ammiccava al centrodestra partendo da sinistra e l’idea calendiana di porsi come terzo polo alla Macron. Hanno dovuto fare i conti col principio di realtà: il bipolarismo ha tenuto”.
Non c’è spazio per un centro che non sta “nè di qua né di là”, insomma, su questo sono tutti d’accordo. Il punto, però, è come occupare lo spazio politico “riformista”, quello più moderato che magari non si riconosce in un Pd nettamente collocato “a sinistra”, categorie peraltro abbastanza logore. Già ieri Romano Prodi – non a caso sull’Avvenire – avvertiva: “Per vincere la coalizione è vitale, i moderati vanno recuperati. Passare dal 20 al 50% è dura da soli. Serve un dialogo vero al centro e a sinistra”. Per la sinistra del partito “in politica non restano mai i vuoti, lo spazio viene sempre occupato”. Più d’uno spera che possa essere lo stesso Giuseppe Conte a ricollocarsi: “Anziché fare concorrenza al Pd a sinistra lui – che di sinistra non è – potrebbe provare a prendere voti al centro, da cattolico progressista quale è”, dice uno. E se non sarà Conte a farlo, nascerà comunque qualcosa al centro e a fianco del Pd, in uno schema un po simile all’Ulivo, ai Ds-Margherita.
Non è quello che pensano nella minoranza Pd. Dice Borghi: “Dicono che non si possono prendere sia i voti moderati che quelli di sinistra? A me non fa schifo vincere le elezioni. Una sinistra di rappresentanza non è quello di cui ha bisogno il paese”. La questione non si risolverà in un giorno e la Schlein sa di avere davanti a sé del tempo, visto che la prima grande prova elettorale – le europee del prossimo anno – non richiede alleanze. Ma, come dice Prodi, senza conquistare anche il voto moderato la sfida alla destra sarà impossibile.