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Dazi, il complicato puzzle Usa-Giappone tra commercio e sicurezza

Dazi, il complicato puzzle Usa-Giappone tra commercio e sicurezzaRoma, 16 apr. (askanews) – Sono due le principali linee di negoziato che si affiancheranno nelle trattative che partiranno domani a Washington tra Stati uniti e Giappone in merito al contenimento dei dazi imposti e minacciati dal presidente americano Donald Trump: i dazi commerciali veri e propri e la questione del Trattato di sicurezza Usa-Giappone con la spesa militare di Tokyo. Differenti però gli approcci: Washington punterà a farle intersecare, Tokyo a mantenerle parallele.



Il ministro dell’Economia giapponese Ryosei Akazawa è diretto verso gli Stati uniti per avviare le trattative prioritarie con l’Amministrazione Trump, rappresentata dal segretario al Tesoro Scott Bessent. Si tratta di trattative su cui sono puntati gli occhi di tanti altri alleati degli Stati uniti, compresi quelli europei, perché potrebbero rappresentare una cartina di tornasole di quale sarà la tattica negoziale di Trump. Il capo di gabinetto Yoshimasa Hayashi, principale portavoce del governo nipponico, ha dichiarato ieri ai giornalisti che il Giappone “solleciterà il lato americano a rivedere le proprie misure tariffarie, adottando un approccio globale dal governo per ottenere risultati nel più breve tempo possibile”.


Il primo ministro nipponico Shigeru Ishiba, che non ha nascosto nelle settimane scorse il suo disappunto per non aver ottenuto un’esenzione per lo storico alleato nipponico, piattaforma cruciale del potere americano sul Pacifico, ha dichiarato oggi che sta seguendo “meticolosamente” i preparativi dei negoziati commerciali. Durante una seduta della commissione del bilancio della Camera bassa della Dieta, Ishiba ha aggiunto che i due paesi affronteranno anche il tema della cooperazione in materia di sicurezza. Si tratta di due temi strettamente legati nella visione di Tokyo. “E’ importante costruire una nuova relazione di alleati e riflettere su cosa possano fare i due Paesi per il mondo,” ha dichiarato Ishiba. “Non credo che si debba semplicemente cercare di raggiungere compromessi e concludere rapidamente i negoziati.”


Trump ha annunciato dazi “reciproci” del 24% sulle importazioni giapponesi, sebbene poi siano stati parzialmente sospesi per 90 giorni, mantenendo l’aliquota al 10%. Inoltre, il Giappone è stato colpito da una tariffa del 25% su automobili e componenti. In prospettiva, un ulteriore danno potrebbe venire dai dazi sui semiconduttori, che Trump ha annunciato di voler presentare la prossima settimana, e rispetto ai quali il capo di gabinetto nipponico Hayashi ha già espresso il disappunto, definendoli “estremamente deplorevoli” e minacciando una “risposta appropriata”. Ishiba vuole che Trump tenga in considerazione il ruolo del Giappone come alleato rispetto alla minaccia della Cina, principale obiettivo di Washington, ma anche l’impegno che Tokyo ha messo nel promuovere massicci investimenti negli Stati uniti, con la creazione di un numero importante di posti di lavoro.


Trump, dal canto suo, continua a etichettare il trattato di sicurezza Usa-Giappone come squilibrato nel tentativo di ottenere concessioni commerciali maggiori, mentre raddoppia gli sforzi per far pagare a Tokyo un contributo più alto per la difesa. Lo scorso giovedì, nel bel mezzo di un ciclo di notizie altalenanti riguardante tariffe scatenate da Washington, Trump ha rinnovato le sue critiche verso il trattato di sicurezza, in vigore da decenni, proprio mentre entrambi i Paesi si preparavano a negoziare le tariffe. “Paghiamo centinaia di miliardi di dollari per difenderli, ma loro non pagano nulla”, ha dichiarato il presidente statunitense ai giornalisti riuniti per una riunione del gabinetto. “Se mai fossimo attaccati, loro non dovrebbero fare nulla per proteggerci”, ha aggiunto, definendo il trattato come un “accordo meraviglioso”. Firmato la prima volta nel 1960 e poi rivisto e rinnovato, il trattato bilaterale conferisce agli Stati uniti il diritto di stabilire basi militari in Giappone e impegna Washington a venire in aiuto del Giappone in caso di attacco al suo alleato asiatico. In virtù dell’accordo, più di 50.000 militari statunitensi sono schierati in Giappone. In realtà, diversamente da quanto dice Trump, sotto i precedenti governi Abe, il Giappone ha allargato le maglie della sua Costituzione pacifista (tra l’altro imposta alla fine della guerra dagli Stati uniti), inserendo il concetto di difesa collettiva con gli alleati, il che vuol dire che, in caso di attacco a interessi Usa, il Giappone deve intervenire. Per quanto riguarda il bilancio militare, Tokyo si sta muovendo in una linea di convergenza con le richieste di Trump, ma a una velocità che probabilmente non soddisfa la Casa bianca. La spesa per la difesa del Giappone e i relativi costi per l’anno fiscale 2025 dovrebbero ammontare a 9.900 miliardi di yen (60,8 miliardi di euro), equivalenti all’1,8 percento del prodotto interno lordo registrato tre anni fa, secondo quanto ha dichiarato ieri il ministro della Difesa Gen Nakatani. L’impegno giapponese è quello di raggiungere il 2% del Pil entro l’anno fiscale 2027. Gli Stati uniti spendono circa 1,9-2,5 miliardi di dollari all’anno per le operazioni delle basi in Giappone. Durante la sua prima amministrazione, Trump aveva richiesto che il Giappone pagasse 8 miliardi di dollari all’anno, pena il rischio di un ritiro delle truppe. Verso la fine del mese scorso, il segretario alla Difesa statunitense, Pete Hegseth, ha visitato il Giappone, ma non ha toccato il tema della spesa per la difesa. Al contrario, ha ribadito che Tokyo è un “partner indispensabile” per “contrastare l’aggressione militare del comunista cinese”. In vista dei colloqui commerciali Usa-Giappone tra Akazawa e Bessent, un elemento di discussione potrebbe essere anche la preoccupazione per l’ammontare dei titoli del Tesoro detenuti dal Giappone. Il Giappone ha affermato che non dovrebbero essere una leva di negoziato, ma la preoccupazione da parte americana c’è. In vista dei colloqui commerciali USA-Giappone, Itsunori Onodera, influente responsabile politico del Partito liberaldemocratico di maggioranza, ha dichiarato che il Giappone non dovrebbe vendere intenzionalmente le proprie partecipazioni in titoli del Tesoro Usa – le più consistenti al di fuori degli Stati uniti – in risposta alle tariffe imposte da Trump. “Provocare disordini nel mercato certamente non è una buona idea”, ha affermato Onodera. Altra leva negoziale, questa volta a favore di Trump, è il riso. In Giappone c’è stato un incremento forte del prezzo dell’alimento base per la dieta nipponica e il riso della California, che pure è poco apprezzato da giapponesi (a causa delle regole meno rigide vigenti negli Usa sull’uso di fertilizzanti e anticrittogamici), potrebbe essere messo sul piatto. Bisognerà, inoltre, capire come potrebbe incastrarsi la questione-Cina nei colloqui. Secondo il Wall Street Journal una delle condizioni che il presidente Usa Donald Trump presenterà nei negoziati con oltre 70 paesi per dazi più lievi sarà quella di isolare la Cina. La Casa Bianca punta a convincere i paesi a proibire alla Cina di trasportare merci attraverso i loro territori, ha riportato il giornale economico, aggiungendo che Washington vuole anche vietare alle aziende cinesi di stabilirsi in questi paesi per eludere le tariffe statunitensi e impedire l’ingresso nei loro mercati di beni industriali cinesi a basso costo. Bessent è uno dei principali artefici di questa strategia, segnala il WSJ. Nel prossimo futuro, tali accordi – nell’idea americana – potrebbero essere raggiunti principalmente con Regno unito, Australia, Corea del Sud, India e, ovviamente, Giappone. Tuttavia l’interscambio commerciale Giappone-Cina e gli investimenti reciproci sono consistenti e il sacrificio che verrebbe richiesto è importante. Bisognerà quindi aspettare per comprendere quanto Tokyo è disposta a seguire questa linea.