Santoro (Limes): anche senza Erdogan luna di miele con Ue sarà breve
Santoro (Limes): anche senza Erdogan luna di miele con Ue sarà breveRoma, 10 mag. (askanews) – La vera incognita del post-presidenziali in Turchia, al di là dell’attesa per i risultati del primo turno e del probabile ballottaggio, che dovrebbe vedere la sfida tra il leader dell’opposizione unita Kemal Kilicdaroglu e il presidente uscente Recep Tayyip Erdogan, sarà la tenuta del Paese, la stabilità o instabilità che verrà generata dal cambio al vertice di uno stato che negli ultimi 20 anni Erdogan ha dipinto a sua immagine e somiglianza. In questo contesto, spiega l’analista Daniele Santoro, coordinatore Turchia e mondo turco di Limes, la strategia geopolitica turca, che si basa sulla riconquista della centralità e della leadership regionale non cambierebbe ma nel breve periodo, se vincesse Kilicdaroglu ‘si potrebbe verificare un riavvicinamento tra Ankara e l’Ue, una breve luna di miele analoga a quella avuta con Erdogan all’inizio del suo mandato, dal 2002 al 2011’ ma, avverte, ‘ma se guardassimo al medio e lungo periodo scopriremmo che il problema non è Erdogan e il suo autoritarismo ma la Turchia con le sue grandissime ambizioni, che cerca di portare avanti e realizzare destabilizzando’ l’area geografica che la circonda, tra cui Mediterraneo e Balcani.
‘Questo desiderio di recuperare lo status perso con la fine dell’Impero ottomano non verrebbe meno, perché è un sentimento molto presente anche nell’elettorato dell’opposizione’, spiega Santoro ad askanews. Per le presidenziali di domenica, Erdogan ‘è partito più svantaggiato nei sondaggi ma nelle ultime settimane è in rimonta’ anche se ‘la cosa più probabile è che vinca il suo rivale’. Nell’eventualità di una riconferma di Erdogan al potere, ‘sul piano internazionale verrebbe confermata e anche accentuata la postura turca degli ultimi anni, perché il successo del capo di stato uscente sarebbe la conferma e la legittimazione della strategia internazionale dal Caucaso alla Libia’. Nel caso in cui, invece, dovesse prevalere Kilicdaroglu, candidato dei sei partiti di opposizione che si sono uniti in una sola coalizione nazionale, ‘in termini strategici cambierebbe poco’. L’opposizione, sul fronte della politica estera, ‘ha fatto da spalla a Erdogan e al suo governo e alla politica della Patria blu: sull’Ucraina, anche il Partito Repubblicano del popolo (Chp) concorda che si debba mantenere una posizione bilanciata, Kiev è un partner strategico di grande importanza anche nell’industria della Difesa, in cui sono state sviluppate molte collaborazioni come per i droni Bayraktar, e per la sua collocazione geografica. D’altra parte Ankara non potrebbe alienarsi i rapporti con la Russia anche per ragioni energetiche’.
L’esperto aggiunge che cambierebbe poco anche per quanto riguarda ‘il sostegno all’Azerbaigian contro l’Armenia in Caucaso, o ancora per le dispute con la Grecia, perché Kilicdaroglu ha ribadito più volte che la proiezione della ‘Turchia Blu’ e le sue rivendicazioni sulle zone marittime sono sacrosante’. Da tenere d’occhio, però, la ‘fase di assestamento’ in caso di vittoria del rivale di Erdogan, ‘l’incognita maggiore’: ‘L’instabilità interna che potrebbe seguirne avrebbe ripercussioni sulla capacità della Turchia di preservare le sue posizioni nei vari quadranti, di respingere attacchi in Libia o di gestire la presenza militare in Siria. Kilicdaroglu dovrebbe gestire apparati statali a lui ostili, perché Erdogan in 20 anni ha colonizzato lo stato. Si rischiano forti tensioni interne, possiamo immaginare azioni di disturbo dei servizi segreti legati fortemente a Erdogan, tentati colpi di stato. Di certo la cosa più difficile da immaginare, infatti, è che Erdogan accetti la sconfitta e si ritiri’. Un altro elemento che potrebbe variare, ma soltanto nel breve periodo, è il rapporto tra Ankara e Bruxelles: secondo Santoro Kilicdaroglu ‘cercherebbe di riavvicinarsi all’Ue, come fece Erdogan nella vittoria del 2003, facendo riforme interne che soddisfacevano le richieste europee, ma che il capo di stato usò per smantellare il potere dei militari e affermare il suo. Il candidato dell’opposizione farebbe allo stesso modo, presentando politiche di democratizzazione e ripristino dello stato di diritto per purgare gli elementi più vicini a Erdogan e predisporre apparati di intelligence e militari più affidabili’.
‘Questo – avverte l’analista – comporterebbe anche un rischio per l’Occidente: se oggi la narrazione delle relazioni tra Turchia e Ue racconta che Erdogan è un dittatore e il suo autoritarismo fa sì che il processo di adesione sia stato bloccato, con la sconfitta del presidente turco mancherebbe questo pretesto’ e diventerebbe evidente ‘che il problema non è Erdogan ma la Turchia’. A quel punto ‘respingere nuovamente la Turchia’ guidata da Kilicdaroglu, ‘avrebbe conseguenze deleterie’ e ‘per i turchi sarebbe chiaro che il problema non è l’autocrazia del suo attuale capo di stato ma la Turchia stessa’. Venendo a mancare ‘il capro espiatorio’ dopo aver perso la Turchia ‘perderemmo anche i turchi e ci troveremmo nel giro di 3-4 anni un paese più incattivito’ alle porte dell’Europa.
Prima di questo l’arrivo di un nuovo leader potrebbe portare a ‘una ventata di aria fresca nelle relazioni turco-europee’, ‘faciliterebbe nuovi accordi, frenati oggi dalla figura di Erdogan’, ma nel medio e lungo periodo ‘non ci sarebbe un cambiamento strutturale’. Altro elemento è quello delle relazioni con gli Stati uniti, in cui ‘i problemi sono di lunga data, partendo dal sostegno palese di Washington al Pkk e alle milizie curde in Siria, la maggioranza dei turchi, quasi il 90%, considera gli Stati uniti il principale nemico della Turchia e al contrario tre quarti pensano che la Russia sia un Paese amico. Quindi al di là dell’impostazione personale di Kilicdaroglu diventa difficile adottare una politica filoamericana e antirussa: l’equilibrio tra le due potenze è nel pieno interesse di Ankara. La riconciliazione tra Usa e Turchia non dipende dall’esito delle elezioni – spiega ancora – La Turchia si percepisce come una grande potenza, intende recuperare quello status e come qualunque Paese abbia queste ambizioni non può non avere un atteggiamento ostile rispetto all’ ‘egemone’, cioè gli Stati uniti’.
Subentra in questo quadro a pieno titolo l’importanza della questione energetica: ‘Per la Turchia avere un ruolo centrale nel settore energetico e del transito delle merci è un obiettivo storico in termini strategici, sfruttare la posizione dell’Anatolia fa parte del progetto turco dalla dottrina kemalista come il piano di diventare ponte tra Est e Ovest. La Turchia sta portando avanti il progetto del Corridoio centrale, che si sovrappone alla nuova Via della Seta cinese, e che, soprattutto dopo lo scoppio della guerra in Ucraina ha aumentato esponenzialemnte il volume delle merci che vi transitano, collegando la Cina, il Kzakistan, il Mar Caspio e la Turchia’.
La scoperta dei nuovi maxigiacimenti nel Mar Nero non fa altro che aumentare e rafforzare questa visione: ‘Già nelle settimane prima delle elezioni le prime forniture dei nuovi giacimenti sono state pompate nelle abitazioni e secondo le stime in 5-6 anni Ankara dovrebbe riuscire a coprire un terzo dei prori consumi interni riducendo la dipendenza da Iran e Russia’. Ma, sottolinea Santoro, Ankara ‘non ha manifestato l’interesse a ridurre le forniture dai suoi partner, perché intende far affluire inAanatolia quanto più gas possibile per poi destinarlo ai mercati europei. In questa cornice si inserisce la proposta di Putin di costruire in Tracia orientale un hub dove far affluire il gas russo che non può più essere esportato via Nord stream: mescolato al gas dell’Azerbaigian e del Qatar, Ankara lo potrrebbe esportare verso l’Europa traendone ingenti benefici economici’ ribaltando nello stesso tempo ‘il rapporto di dipendenza, non più la Turchia dipendente dalle importanzioni di gas russo, ma la Russia dipendente da Ankara per le sue esportazioni’.
La Turchia quindi, indipendentemente dal prossimo presidente, ‘sta cercando di porsi come hub energetico’: ‘Se gran parte del gas che affluisce in Europa passa per la Turchia, quest’ultima acquisisce un potere di ricatto nei confronti di molti paesi europei tra cui l’Italia’, avverte Santoro. L’importanza della Turchia per l’Italia ‘sta aumentando esponenzialmente’, sia per la questione energetica, sia per quella migratoria e libica: ‘La presenza turca in Libia permette ad Ankara di interferire su forniture energetiche e sulla questioni migranti, non dimentichiamo poi la Tunisia, Paese a rischio collasso dove l’influenza turca è molto forte. E’ evidente come il potere di ricatto turco è potenzialmente alto, è un Paese con il quale dobbiamo giocoforza interloquire’.
(di Daniela Mogavero)