Imprese agricole: scelte gestionali fanno differenza più della dimensione
Imprese agricole: scelte gestionali fanno differenza più della dimensioneMilano, 18 mag. (askanews) – “Sono numerose le informazioni disponibili e puntuali sull’andamento dell’agricoltura italiana in termini di volumi di produzione e valore aggiunto, ma sono anche poche le fonti informative veramente affidabili, che riportino le informazioni economico-finaziarie delle imprese agricole italiane”. In questa frase del direttore dell’Agri Lab Sda Bocconi, Vitaliano Fiorillo, c’è, seppur implicitamente, la sintesi di molte delle caratteristiche strutturali del comparto agricolo italiano, spesso all’origine di alcuni dei limiti al suo sviluppo. Proprio nel tentativo di approfondire la conoscenza del settore, dalla collaborazione tra Crédit Agricole Italia e l’Invernizzi Agri Lab di Sda Bocconi School of management, è nato il primo libro “Agricoltura tra sostenibilità e innovazione”. Grazie ai dati raccolti in forma anonima da Credit Agricole e all’analisi da parte dell’Agri Lab dei dati aggregati di oltre 2.000 aziende agricole, lo studio restituisce un report sulla performance economico-finanziaria del settore, colmando un vuoto.
La storica assenza di dati economico-finanziari è riconducibile alla natura societaria delle imprese agricole stesse, per oltre il 90% costituita da ditte individuali o società di persone, che non avendo l’obbligo di pubblicare un bilancio non lo redigono proprio. Ma la struttura societaria rivela anche l’estrema frammentazione del tessuto imprenditoriale, fatto di medie, piccole e piccolissime imprese dove la managerializzazione è ancora un passaggio lontano dal compiersi, dove la concentrazione è difficile e dove l’età media degli agricoltori è tutt’altro che bassa. Vitaliano su questo punto smonta un’altro mito recentemente affermatosi, quello secondo cui l’agricoltura sarebbe sempre più in mano ai giovani. “Secondo l’Istat c’è una decrescita delle imprese agricole guidate da under 35, sono solo il 10% del totale” ha spiegato sottolineando come questo sia in forte correlazione inversa con l’innovazione. “Dai numeri vediamo tanti investimenti su macchine e terreni, ma l’innovazione non è solo macchine e terreni, è nuovi modo di lavorare e nuove tecnologie. Il ricambio generazionale c’è stato in parte sulla carta ma poi non si è tradotto nei fatti e questo rallenta la transizione tecnologica”. Proprio sul fronte dell’innovazione i “32 miliardi di euro investiti nel 2021 nell’agritech ci dicono che c’è qualcuno che vede un’opportunità in questo settore perchè è uno di quelli a maggior potenziale di sviluppo ma ci sono molti ostacoli come la frammentazione eccessiva, il fatto che sia esclusa la possibilità di un ingresso di nuovi soci nel capitale”. Non solo: oggi chi investe vuole informazioni sulla sostenibilità che spesso mancano. “C’è l’idea che il settore agricolo sia sostenibile per definizione ma in realtà è tra i primi otto comparti più inquinanti e se si aggiungono le attività di deforestazione per convertire territori all’agricoltura diventa il primo”. Per favorire la transizione ecologica e tecnologica del comparto il controllo dei numeri diventa improcrastinabile. E questo studio mette un punto fermo su questo fronte, perchè grazie ai dati raccolti permette di valutare la redditività operativa, la solidità e la liquidità delle imprese con risultati che in alcuni casi contraddicono le aspettative. Per esempio la redditività risulta maggiore nelle imprese più piccole, quelle fino a 30 ettari. All’aumentare della superficie coltivata, infatti, aumenta il fatturato e si riducono i costi di produzione e del personale per ettaro ma questo non si traduce in maggiore reddittività. “Ma questo – avverte Luca Ghezzi, docente di Management e control system Sda Bocconi – non vuol dire che piccolo è bello. In realtà noi siamo giunti alla conclusione che il piccolo è più che altro controllabile e quindi dal punto di vista della efficienza e della produttività è più facile da gestire. Nel piccolo non c’è un vero e proprio passaggio manageriale ma la ridotta dimensione permette di mettere un po’ più di attenzione e di controllo, sul grande serve più managerializzazione”.
Parlando sempre di redditività è interessante notare come quest’ultima premi le aziende bio (158 quelle inserite nel campione dello studio): “E’ nettamente superiore a quella delle imprese agricole convenzionali ma non è il margine maggiore a premiarle – spiega Ghezzi – ma la produttività del capitale, il rapporto tra ricavi e capitale investito”. Ecco quindi che a fare la differenza sono proprio le scelte gestionali, come emerge anche dalla scelta delle coltivazioni, con le legnose e gli ortaggi più premianti rispettoalle altre. Altre rilevazioni riguardano poi l’impatto dei contributi della PAC e la solvibilità delle aziende agricole. Su questo ultimo punto lo studio conferma che le aziende agricole sono riescono a soddisfare le obbligazioni creditizie contratte coprendo in poco tempo la loro posizione finanziaria. E questo è un indicatore utile per gli operatori finanziari, che possono contare su un ulteriore strumento per contestualizzare il settore in cui si muovono le aziende
“Crédit Agricole Italia vanta un’esperienza storica nel settore agri-agro, comparto di eccellenza per il nostro Paese – ha detto Vittorio Ratto, vicedirettore generale retail e gigital di Crédit Agricole Italia – Siamo sicuri che il nostro impegno e gli strumenti messi a disposizione dall’evoluzione digitale unitamente ad iniziative come questa, possibili grazie alla collaborazione con una grande Università come la Bocconi, ci permetteranno di realizzare indagini prospettiche decisive per comprendere e delineare l’evoluzione delle aziende del settore in termini di ottimizzazione delle risorse e sostenibilità”.