Cara scatoletta di tonno: prezzi spingono fatturato 2022 a 1,55 mld (+12%)
Cara scatoletta di tonno: prezzi spingono fatturato 2022 a 1,55 mld (+12%)Milano, 26 mag. (askanews) – L’aumento dei costi delle materie prime e l’inflazione, che erode il potere d’acquisto dei consumatori, non hanno risparmiato il settore dell’industria conserviera ittica italiana. Parliamo di un comparto da 1.500 addetti che ha un prodotto simbolo su tutti, il tonno in scatola, un alimento che ci ha accompagnato a tavola nei lunghi mesi della pandemia e che ora risente, come molti settori, della congiuntura economica.
Lo scorso anno, secondo le elaborazioni dell’Associazione nazionale conservieri ittici, la produzione nazionale di tonno in scatola è scesa a 77.411 tonnellate, il 7,7% in meno sul 2021 e il volume del prodotto totale disponibile per il mercato italiano ha toccato le 150.660 tonnellate (-5% sul 2021). Gli acquisti domestici di tonno in scatola, tuttavia, secondo il rapporto Ismea-NielsenIQ sul 2022, hanno tenuto (+0,1% in volume sul 2021) malgrado l’aumento del prezzo medio del 7%. Da qui un aumento più marcato a valore del mercato, cresciuto di quasi un 12% rispetto all’anno prima, a 1,55 miliardi di euro. Che, se si allarga lo sguardo a tutto il comparto, che oltre al tonno, comprende anche sgombri, acciughe e sardine in scatola, salgono – è una stima – 1,875 miliardi (+5,33% sul 2021). “I fatturati sono aumentati ma i volumi no. C’è stato un leggero calo dei volumi complessivi rispetto al 2021 ma è un assestamento fisiologico dopo il boom del Covid”, ci ha detto Simone Legnani, presidente di Ancit. Si consumano più pasti fuori casa e si è un po’ sgonfiato l’effetto dispensa che aveva caratterizzato i periodi del lockdown, spiega Legnani che aggiunge: “Oggi possiamo dire che i consumi sono tornati leggermente sopra il pre-Covid. Dall’altra parte, invece, i fatturati sono aumentati per effetto dell’inflazione”. Legnani imputa questo risultato all’aumento dei costi delle materie prime, che per il comparto oscilla tra il 20 e il 30%: “Ci siamo trovati investiti da una serie di aumenti, partiamo dalle confezioni: noi utilizziamo vetro, metallo e carta, prodotti da aziende molto energivore che hanno chiesto aumenti dei prezzi. In più c’è stata la perturbazione dell’olio di girasole che non è un olio usato direttamente dal nostro settore, però ha concorso all’aumento dei prezzi del settore oli, incluso quindi l’olio d’oliva” che è quello utilizzato nel 90% dei casi della produzione italiana di tonno in scatola. C’è poi l’effetto del super dollaro a partire dalla metà del 2022: “Noi acquistiamo il tonno all’estero, pagandolo in dollari, il fatto che il dollaro si sia apprezzato sull’euro per noi ha avuto un grosso impatto – spiega ancora Legnani – Ora una parte di questi costi è stata assorbita dalle aziende ma si sono erosi i margini anche perchè la gdo ha cercato di resistere, rifiutando rialzi a listino. L’anno scorso siamo riusciti a tamponare, mantenendo i volumi, aumentando il fatturato ma perdendo in marginalità”. Anche le esportazioni hanno subito un arresto riportando un calo del 4,5% a quota 31.824 tonnellate e un conseguente incremento delle importazioni arrivate a 100.613 tonnellate (+7,86%).
Al consumatore, come si diceva, tutto questo quanto è costato un 7% in più di media: “Rispetto all’aumento dei costi del 30% che ha registrato l’industria sta a significare che più della metà di questi aumenti è stata assorbita dalle aziende, poi una parte è stata riversata sul consumatore e una parte, minima, sulla grande distribuzione”, afferma Legnani. E anche per il 2023 Ancit non vede grandi schiarite all’orizzonte. “Quello che ci preoccupa è che per quanto riguarda il nostro settore non c’è una prospettiva radiosa: l’olio d’oliva costava intorno ai 4 euro oggi ci sono previsioni che parlano di 7 euro al chilo, fino a 9, per noi che produciamo il tonno con olio d’oliva è un problema”. Non solo anche “il prezzo del tonno non scende” e questo, spiega Legnani, è una diretta conseguenza del cambiamento climatico. “Ormai si fa fatica a pescare i tonni perché il riscaldamento dell’acqua spinge il pesce a cercare acque sempre più fredde e le nostre reti non riescono ad arrivare così in profondità”. Conseguenza diretta della scarsità della materia prima è l’aumento del prezzo. “Se sono un po’ rientrati i costi degli imballaggi perchè i costi energetici sono scesi, nel 2023 non ci sono molti sorrisi tra i nostri associati – constata il presidente dell’Ancit – Oggi siamo abbastanza preoccupati perché il rischio è che il consumatore scelga prodotti che arrivano dall’estero con olio di girasole, magari attratto dalla promozione. Si potrebbe innescare la classica spirale per cui i margini delle aziende si riducono e non possono sostenere promozioni, investimenti e, di conseguenza, anche la capacità di sostenere momenti di difficoltà si riduce”. A tal proposito, il settore chiede anche un aiuto alle istituzioni, in materia di aiuti di Stato “de minimis”, per le industrie che trasformano e commercializzano prodotti ittici. “Dobbiamo poter beneficiare degli stessi massimali previsti per le altre imprese, a partire dal quadro temporaneo di aiuti alle imprese concesse a seguito dell’aggressione della Russia all’Ucraina” è la richiesta che arriva dall’Ancit che ritiene “ingiusta” questa penalizzazione per il comparto.