IIT: dalla corazza dei granchi un circuito elettronico commestibile
IIT: dalla corazza dei granchi un circuito elettronico commestibileMilano, 17 ago. (askanews) – Un circuito elettronico commestibile realizzato a partire dalle corazze dei crostacei che potrà essere utilizzato in applicazioni in ambiti diversi, dalla diagnostica medica al controllo qualità dei cibi: è l’obiettivo al quale ha lavorato il team di ricerca del laboratorio “Printed and Molecular Electronics”, coordinato da Mario Caironi, dell’Istituto Italiano di Tecnologia – IIT di Milano. I ricercatori IIt hanno infatti sviluppato un prototipo di circuito commestibile basato su oro e chitosano, dimostrando per la prima volta la possibilità di realizzare circuiti con materiali commestibili. Il prototipo è stato descritto sulla rivista Nanoscale.
L’elettronica commestibile è un campo in forte crescita con un obiettivo preciso: sviluppare dispositivi edibili in grado di entrare nel corpo senza nuocere alla salute. Le applicazioni di questo settore variano dalla diagnosi e trattamento di malattie al campo alimentare per monitorare la qualità dei cibi. Ovviamente i dispositivi in questione hanno bisogno di circuiti elettrici per poter funzionare. Tuttavia, i normali circuiti presenti nei nostri oggetti quotidiani non sono adatti, perché composti da materiali non edibili. Ecco quindi la sfida: costruire circuiti commestibili in grado di funzionare nel corpo senza danneggiarlo. E’ qui dunque l’importanza del lavoro svolto dal team IIT guidato da Caironi: dimostrare per la prima volta la possibilità di costruire circuiti con materiali commestibili. Il circuito viene stampato attraverso una tecnica a getto di inchiostro, molto simile a quella utilizzata dalle stampanti casalinghe. Al posto del normale inchiostro viene però utilizzata una soluzione di oro liquido. Questa metodologia permette di produrre circuiti complessi risultando anche più veloce ed economica di altre tecniche molto diffuse, come la fotolitografia. Inoltre, l’oro è un materiale inerte e viene infatti già utilizzato da alcuni pasticceri e da chef rinomati in tutto il mondo.
L’altro elemento fondamentale del dispositivo è il chitosano, un materiale commestibile ottenuto a partire dalla corazza dei crostacei, come granchi e gamberetti. Un sottile strato formato da questo materiale è in grado di assorbire l’acqua funzionando quindi da elettrolita per il circuito e permettendo di modularne l’attività. Una volta ingerito, il chitosano assorbirà l’acqua normalmente presente nel corpo consentendo perciò il funzionamento del dispositivo. Inoltre, il contatto diretto tra circuito e acqua fisiologica permetterà di misurare i parametri corporei, come la temperatura o l’acidità, trasformando quindi il circuito in un vero e proprio sensore. “Questi dispositivi potrebbero essere impiegati nella diagnostica per costruire pillole commestibili e digeribili in grado di eseguire una serie di analisi lungo l’intestino e, all’occorrenza, di rilasciare farmaci – dichiara Alessandro Luzio, ricercatore del gruppo “Printed and Molecular Electronics” – Ci sono poi le applicazione nel campo alimentare, per esempio per controllare la qualità del cibo o per rilevare la presenza di contraffazioni” . Può infatti capitare che un cibo abbia superato la data di scadenza, ma sia ancora commestibile. Viceversa, può succedere che un cibo sia già guasto senza averla oltrepassata. Applicando sensori commestibili sul cibo, si potrebbe monitorare il suo reale stato, riducendo gli sprechi alimentari ed evitando di incorrere in malattie.
“Questo circuito è un altro importante passo nell’elettronica commestibile, così come lo è stata la prima batteria ricaricabile e commestibile, sempre sviluppata nel nostro laboratorio – afferma Mario Caironi, coordinatore del gruppo Printed and Molecular Electronics – per il futuro stiamo già lavorando alla comunicazione tra dispositivi, fondamentale per costruire sensori in grado di trasmettere in diretta le informazioni raccolte all’interno del corpo verso l’esterno o per comunicare il rilascio di un farmaco”. Questa ricerca è stata finanziata dai fondi dello European Research Council (ERC) nell’ambito del programma europeo di innovazione “ELFO”. Fa inoltre parte del programma di gemellaggio “GREENELIT”. Ha previsto la collaborazione tra Istituto Italiano di Tecnologia, Università degli studi Milano-Bicocca e Università di Heidelberg.