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Ai Laboratori del Gran Sasso esperimento Cosinus su materia oscura

Ai Laboratori del Gran Sasso esperimento Cosinus su materia oscuraRoma, 19 apr. (askanews) – É stato inaugurato il 18 aprile, ai Laboratori Nazionali del Gran Sasso (LNGS) dell’Infn-Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, COSINUS (Cryogenic Observatory for Signatures seen in Next-generation Underground Searches), un esperimento internazionale che mira a svelare uno dei più grandi misteri dell’universo: la materia oscura. Che si stima costituisca circa l’85% della massa totale dell’universo e rimane uno degli enigmi più affascinanti e sfuggenti della fisica moderna.


Frutto della collaborazione tra Max Planck Institute for Physics di Monaco (Germania), Technical University di Vienna, Institute of High Energy Physics of the Österreichischen Akademie der Wissenschaften (Austria), Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (Italia), e Helsinki Institute of Physics (Finlandia), COSINUS – informa l’Infn – si propone di chiarire il controverso scenario nel campo della ricerca di materia oscura cercando di conciliare risultati sperimentali apparentemente in contraddizione. L’esperimento COSINUS ospiterà un innovativo rivelatore in grado di misurare con estrema precisione l’energia che le particelle rilasciano sotto forma di calore nei materiali cristallini a temperature prossime allo zero assoluto (-273,15 °C). Il cuore del rivelatore sarà costituito da un set di cristalli di ioduro di sodio, che funzioneranno alla temperatura di 15 millesimi di grado kelvin. Ogni cristallo sarà circondato da un lettore di luce in silicio ed entrambi saranno monitorati da termometri superconduttivi. Se l’universo è permeato di materia oscura composta di particelle finora sconosciute, questo strumento potrebbe catturare le collisioni tra queste particelle e la Terra, fornendo prove concrete della loro esistenza.


“Ciò che rende COSINUS un esperimento unico nel suo genere – spiega il coordinatore internazionale Florian Reindl (ÖAW e TU Wien) – è la possibilità di misurare contemporaneamente la luce e il calore prodotti dalle particelle nello ioduro di sodio, che per la prima volta funzionerà come calorimetro criogenico scintillante. Combinare le due misure consentirà di identificare la natura delle particelle interagenti, riducendo il fondo ambientale generato da particelle diverse da quelle di materia oscura”. L’esperimento è ospitato nel più grande laboratorio sotterraneo al mondo, i Laboratori Nazionali del Gran Sasso, situati in un massiccio montuoso a circa cento chilometri da Roma. Qui, a 1400 metri di profondità, lontano dalle interferenze della radiazione cosmica, COSINUS avrà l’opportunità di osservare fenomeni che sarebbero altrimenti impossibili da rilevare. L’inaugurazione della facility sperimentale di COSINUS segna un momento significativo nella ricerca scientifica internazionale sulla materia oscura.


I primi risultati delle misure sono attesi entro il 2026, e potrebbero trasformare la nostra comprensione dell’universo.

Il team Nasa dice addio all’elicottero marziano Ingenuity

Il team Nasa dice addio all’elicottero marziano IngenuityRoma, 19 apr. (askanews) – Dopo mille sol, settantadue voli e oltre diciassette chilometri percorsi, il piccolo elicottero marziano Ingenuity non si leverà più in volo e non comunicherà più con Perseverance. Continuerà a lavorare in solitaria, però, archiviando i dati nella propria memoria, e rimanendo in attesa di una prossima missione che li prelevi.


Non è più in grado di volare già da tre mesi Ingenuity, da quell’atterraggio maldestro del 18 gennaio scorso in cui si sono danneggiate alcune pale del rotore. Tanto che la missione del primo velivolo che ha esplorato i cieli di un altro pianeta era stata dichiarata chiusa pochi giorni dopo, il 25 gennaio. Nonostante questo, – si legge su Media Inaf, il notiziario online dell’Istituto nazionale di astrofisica – Ingenuity continuava a parlare con Perseverance, il suo ponte di comunicazione anche verso Terra. Due giorni fa, però, la distanza dal rover che prosegue nelle sue attività scientifiche allontanandosi, è diventata troppo grande per continuare a comunicare. E il team della Nasa, non senza commozione, ha scaricato gli ultimi dati del piccolo velivolo e gli ha detto addio.


Ma l’ingegnoso elicotterino non poteva terminare così la sua carriera. Prima di ricevere il messaggio di addio da Ingenuity – contenente i nomi delle persone che hanno lavorato alla missione – il team del Jet Propulsion Laboratory ha caricato un nuovo software con le ultime (definitive) istruzioni. Fermo nella sua attuale posizione, a Valinor Hills, si sveglierà ogni giorno, attiverà i suoi computer di bordo e testerà le prestazioni del pannello solare, delle batterie e delle apparecchiature elettroniche; scatterà quindi una foto della superficie con la sua telecamera a colori e raccoglierà dati sulla temperatura dai sensori posizionati su tutto il velivolo. Secondo scienziati e ingegneri della Nasa, questa attività quotidiana potrà essere utile ai futuri progettisti di aerei e altri veicoli per il Pianeta rosso, e fornire una prospettiva a lungo termine sui modelli meteorologici marziani e sul movimento della polvere. Anche perché, se nulla dovesse guastarsi e se i pannelli non si copriranno di polvere rossa, la memoria di Ingenuity avrà la capacità di raccogliere dati per circa vent’anni. E a quel punto, qualcuno o qualcosa in viaggio verso Valinor Hills potrebbe approfittarne per recuperarli.


(Credits: NASA/JPL-Caltech/ASU/MSSS)

Scoperto il buco nero stellare più massiccio della nostra galassia

Scoperto il buco nero stellare più massiccio della nostra galassiaRoma, 16 apr. (askanews) – Alcuni astronomi hanno identificato il buco nero stellare più massiccio mai scoperto nella Via Lattea, individuato nei dati della missione Gaia dell’Agenzia spaziale europea, che impone uno strano movimento “oscillante” alla stella compagna che gli orbita intorno. I dati del VLT (Very Large Telescope) dell’ESO (Osservatorio Europeo Australe) e di altri osservatori da terra sono stati utilizzati per verificare la massa del buco nero, stimandola a ben 33 volte quella del Sole.


I buchi neri stellari si formano dal collasso di stelle massicce. Quelli finora identificati nella Via Lattea sono in media circa 10 volte più massicci del Sole. Il secondo buco nero stellare per massa che si conosce nella nostra galassia, Cygnus X-1, raggiunge solo 21 masse solari, rendendo eccezionale questa nuova osservazione di un oggetto da 33 masse solari. Sorprendentemente, – prosegue l’ESO – il buco nero è anche vicinissimo a noi: a soli 2000 anni luce di distanza nella costellazione dell’Aquila, è il secondo buco nero che si conosca più vicino alla Terra. Soprannominato Gaia BH3 o semplicemente BH3, è stato trovato mentre il gruppo di lavoro di Gaia stava rivedendo le osservazioni in vista dell’imminente rilascio di dati. “Nessuno si aspettava di trovare un buco nero di massa elevata nascosto nelle vicinanze, finora non rilevato”, afferma Pasquale Panuzzo, membro della collaborazione Gaia e astronomo dell’Osservatorio di Parigi, parte del Centro nazionale francese per la ricerca scientifica (CNRS). “Questo è il tipo di scoperta che si fa una sola volta nella propria carriera”.


Per confermare la scoperta, la collaborazione Gaia ha utilizzato dati provenienti da osservatori da terra, incluso lo strumento UVES (Ultraviolet and Visual Echelle Spectrograph) installato sul VLT dell’ESO, nel deserto di Atacama in Cile. Queste osservazioni hanno rivelato proprietà chiave della stella compagna che, insieme con i dati di Gaia, hanno permesso agli astronomi di misurare con precisione la massa di BH3. Gli astronomi hanno trovato buchi neri altrettanto massicci al di fuori dalla nostra galassia (usando un diverso metodo di osservazione) e hanno teorizzato che potrebbero formarsi dal collasso di stelle con una composizione chimica che vede solo pochissimi elementi più pesanti dell’idrogeno e dell’elio. Si ritiene che queste stelle cosiddette “povere di metalli” perdano meno massa nel corso della propria vita e quindi mantengano una quantità maggiore di materiale per produrre un buco nero di massa elevata dopo la loro morte. Ma finora non c’erano prove che collegassero direttamente le stelle povere di metalli ai buchi neri di massa elevata.


Le stelle che vivono in coppia tendono ad avere composizioni simili, il che significa che la compagna di BH3 contiene importanti indizi sulla stella che è collassata per formare questo buco nero eccezionale. I dati di UVES hanno mostrato che la compagna è una stella molto povera di metalli, indicando che anche la stella collassata per formare BH3 dovesse essere povera di metalli, proprio come previsto. Il risultato della ricerca guidata da Panuzzo viene pubblicato oggi su “Astronomy & Astrophysics”. “Abbiamo compiuto il passo eccezionale di pubblicare questo articolo sulla base di dati preliminari, prima dell’imminente rilascio dei risultati di Gaia proprio a causa della natura unica della scoperta”, afferma la coautrice Elisabetta Caffau, membro della collaborazione Gaia e scienziata dell’Osservatorio di Parigi del CNRS. Rendere disponibili i dati in anticipo consentirà ad altri astronomi di iniziare a studiare questo buco nero da subito, senza dover attendere il rilascio dei dati completi, previsto non prima della fine del 2025.


Ulteriori osservazioni di questo sistema potrebbero aver molto da dire sulla sua storia e sul buco nero stesso. Lo strumento GRAVITY installato sul VLTI (l’interferometro del VLT) dell’ESO, per esempio, – conclude l’ESO – potrebbe aiutare gli astronomi a scoprire se questo buco nero sta attirando materia dall’ambiente circostante e a comprendere meglio questo oggetto emozionante. Crediti: ESO/L. Calçada

Un tripudio di galassie in tre nuove immagini del telescopio VST

Un tripudio di galassie in tre nuove immagini del telescopio VSTRoma, 16 apr. (askanews) – Galassie, lontane e lontanissime. Galassie interagenti, la cui forma è stata scolpita dalla reciproca influenza gravitazionale, ma anche galassie che formano gruppi e ammassi, tenute insieme dalla mutua gravità. Sono le protagoniste di tre nuove immagini rilasciate dal VLT Survey Telescope (VST) in occasione del convegno dedicato alle attività scientifiche del telescopio, in corso dal 16 al 18 aprile presso l’Auditorium nazionale dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (Inaf) a Napoli.


Il VST è un telescopio ottico dal diametro di 2,6 metri, costruito completamente in Italia e operativo dal 2011 presso l’osservatorio dello European Southern Observatory (ESO) di Paranal, in Cile. Da ottobre 2022, il telescopio è gestito interamente da Inaf attraverso il Centro Italiano di Coordinamento per VST presso la sede Inaf di Napoli, con il 90% del tempo osservativo dedicato alla comunità astronomica italiana. Il VST – spiega l’Inaf – è specializzato nelle osservazioni di grandi aree del cielo grazie alla sua fotocamera a grande campo, OmegaCAM, un vero e proprio “grandangolo celeste” in grado di immortalare, in ciascuna ripresa, un grado quadrato di cielo, ovvero una porzione della volta celeste larga due volte il diametro apparente della Luna piena. Oltre alle immagini raccolte per la ricerca astrofisica, che per il VST spazia dalle stelle alle galassie fino alla cosmologia, nell’ultimo anno il telescopio ha condotto un nuovo programma dedicato al grande pubblico, osservando nebulose, galassie e altri oggetti celesti iconici durante alcune notti di Luna piena, nelle quali la luminosità del nostro satellite naturale disturba l’acquisizione dei dati scientifici. Nuove immagini saranno pubblicate nei prossimi mesi.


“Oltre alla ricerca scientifica, uno degli obiettivi del centro VST è quello di disseminare la conoscenza scientifica e condividere le meraviglie dell’universo con i non-esperti del settore. In particolare, ci piacerebbe che le nuove generazioni di ragazze e ragazzi, attraverso queste fantastiche immagini, possano scoprire ed alimentare l’interesse per l’astrofisica”, commenta Enrichetta Iodice, ricercatrice Inaf a Napoli e responsabile del Centro Italiano di Coordinamento per VST. L’immagine qui riportata ritrae ESO 510-G13, una curiosa galassia lenticolare a circa 150 milioni di anni luce da noi, in direzione della costellazione dell’Idra. Spicca il rigonfiamento centrale della galassia, su cui si staglia la silhouette scura del disco di polvere visto di taglio, che ne oscura parte della luce. La forma distorta del disco ricorda vagamente una S rovesciata, indice del passato turbolento di ESO 510-G13, che potrebbe aver acquisito la sua attuale conformazione a seguito di una collisione con un’altra galassia.


La seconda immagine mostra un piccolo gruppo formato da quattro galassie, chiamato Hickson Compact Group 90 (HGC 90), che dista circa 100 milioni di anni luce di distanza dalla Terra, verso la costellazione del Pesce Australe. Il quartetto di galassie HGC 90 è immerso in una struttura molto più vasta, che comprende decine di galassie, alcune delle quali visibili in questa immagine. La terza immagine mostra un raggruppamento di galassie molto più ricco e ancora più distante: l’ammasso di galassie Abell 1689, che si può osservare nella costellazione della Vergine. Abell 1689 contiene più di duecento galassie, visibili per lo più come macchie di colore giallo-arancio, la cui luce ha viaggiato per circa due miliardi di anni prima di raggiungere il VST. L’enorme massa, che oltre alle galassie comprende anche enormi quantità di gas caldo e della misteriosa materia oscura, deforma lo spazio-tempo in prossimità dell’ammasso, che funge così da “lente gravitazionale” sulle galassie ancora più lontane, amplificando la loro luce e creando immagini distorte, in modo non dissimile da quanto farebbe una comune lente ottica. Alcune di queste galassie si possono distinguere sotto forma di puntini e di minuscoli trattini dalla forma leggermente curva, in particolare intorno alle regioni centrali dell’ammasso.


Crediti: INAF/VST. Acknowledgment: M. Spavone (INAF), R. Calvi (INAF)

Con “Star Bottle” chiunque può inviare un messaggio nello spazio

Con “Star Bottle” chiunque può inviare un messaggio nello spazioRoma, 12 apr. (askanews) – Siamo soli nell’Universo? Da questa domanda, che l’umanità si pone da sempre, è nato il progetto italiano “Star Bottle” che offre la possibilità a chiunque nel mondo di inviare un messaggio nello spazio profondo.


A 50 anni dall’invio dal radiotelescopio di Arecibo di un messaggio radio verso potenziali civiltà aliene, i tentativi di comunicazione con altri mondi sono andati avanti su iniziativa ad esempio della Nasa con le sonde Pioneer e Voyager che hanno trasportato messaggi e simboli della nostra civiltà. La differenza, ha spiegato Domenico Zambarelli, editore di “Cosmo 2050” e responsabile di “Star Bottle” durante l’evento di presentazione, è che il progetto italiano “vuole dare a tutti la possibilità di inviare un messaggio (testo, immagine, audio o video) verso la Via Lattea. Un modo per avvicinare le persone allo spazio, un’iniziativa di democratizzazione dello spazio”. L’iniziativa, complessa dal punto di vista tecnico e scientifico, è stata realizzata grazie alla partnership tra l’operatore europeo di telecomunicazioni M3Sat e Telespazio, società del gruppo Leonardo, che ha messo a disposizione un’antenna presso il centro spaziale del Fucino ed è sostenuta in parte dalla Simest, che, ha aggiunto Zambarelli, “ha partecipato e parteciperà agli investimenti promozionali esteri in quanto marchio mondiale del Made in Italy”.


I messaggi saranno raccolti a partire dal prossimo primo maggio sulla piattaforma online di Star Bottle, convertiti in codice binario, ha detto Zambarelli “che per noi è un linguaggio universale” e poi “trasferiti sulla piattaforma di Telespazio al Fucino per essere lanciati verso la Via Lattea il 10 agosto”, notte di San Lorenzo quando per tradizione si scruta il cielo a caccia di stelle cadenti, lo sciame di Perseidi, frammenti di cometa che attraversano le notti in quel periodo. Quest’anno è previsto un secondo lancio il 21 dicembre, in occasione del solstizio d’inverno. “È nostra convinzione che scegliere due date astronomicamente importanti rafforzi il progetto ma offra anche lo spunto a chi, magari semplicemente incuriosito dall’opportunità di spedire un messaggio verso lo spazio, voglia saperne di più sulla scienza del cielo”, ha detto Walter Riva, direttore responsabile di Cosmo 2050. Altri due lanci sono in programma l’anno prossimo e si sta lavorando per individuare target più specifici all’interno della nostra galassia per l’invio di messaggi punto a punto. La trasmissione verso lo spazio profondo avverrà sulla frequenza di 2115 MHZ che il Ministero delle Imprese e del Made in Italy ha assegnato, per 20 anni, a Star Bottle.


“Star Bottle vuole essere portavoce di socialità universale”, ha spiegato il responsabile del progetto aggiungendo che prima di lasciare il proprio messaggio sulla piattaforme bisognerà aderire a un codice etico perché non sono ammessi messaggi di odio o di violenza. Si tratta di messaggi a pagamento (si va dai 14,50 euro per un testo ai 29 euro per un video) e una parte del ricavato andrà a finanziare borse di studio per l’Italia e l’estero con l’ambizione di costruire in futuro un alfabeto universale. “L’umanità cerca da tempo di comunicare con l’esterno, di superare i confini con vari segnali. Mandare un messaggio nello spazio – ha detto l’astrofisico e divulgatore Luca Perri – serve soprattutto a noi, qui sulla Terra, per capire cosa siamo e cosa vogliamo essere. Comunicare con il Deep Space ci permette di lasciare un segno indelebile, un nostro segno tangibile nell’Universo: l’umanità c’è stata. Più siamo a mandare questi messaggi, più democratizzeremo lo Spazio, più avremo possibilità di mandare il messaggio giusto. La speranza è che ognuno di noi costruisca un pezzetto di questa inedita comunicazione, un compito che spero possa avvicinare più persone possibili allo Spazio”.

Da COSMO-SkyMed istantanee della Transglobal Car Expedition al Polo

Da COSMO-SkyMed istantanee della Transglobal Car Expedition al PoloRoma, 9 apr. (askanews) – Là dove nessuno è mai riuscito prima, hanno fatto centro i radar a bordo dei satelliti COSMO-SkyMed, costellazione di proprietà dell’Agenzia Spaziale Italiana e del Ministero della Difesa, che hanno catturato – grazie al supporto di e-GEOS – i mezzi della Transglobal Car Expedition parcheggiati a circa 700 metri dal Polo Nord. Dove altri occhi satellitari non sono arrivati, i radar di COSMO-SkyMed hanno messo a segno un nuovo a incredibile risultato per il sistema italiano.


L’immagine riportata a Terra mostra chiaramente i quattro veicoli della carovana che sta circumnavigando la Terra parcheggiati, e rileva tutta la complessità e la differenza degli stati in cui si trova attualmente il ghiaccio nell’area acquisita. Quello che sembra un complesso paesaggio quasi “vegetativo” è in realtà la differente reazione al segnale del SAR dei diversi stati del ghiaccio, dal solido al liquido passando dalle fasi di scioglimento. Riprendere i quattro veicoli pesanti, mentre sono nei pressi della loro tappa più settentrionale, nell’ampia e desolata distesa dell’artico in perenne movimento ed evoluzione, – informa l’Asi – è stato possibile grazie alla modalità Spotlight-2B (area 10km x 10km, risoluzione spaziale 0.6 m) acquisita in doppia polarizzazione (HH+HV) da uno dei satelliti COSMO-SkyMed di Seconda Generazione.


“Siamo molto orgogliosi di questo risultato che conferma – sottolinea il presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana, Teodoro Valente – ancora una volta la leadership italiana, a livello mondiale, nel campo dell’Osservazione della Terra. Pur nella complessità dell’acquisizioni realizzate, i satelliti di COSMO-SkyMed hanno acquisito immagini uniche e inedite che pongono il sistema satellitare COSMO-SkyMed capace di rispondere alle più avanzate esigenze di monitoraggio del nostro Pianeta”. La Transglobal Car Expedition ha numerosi obiettivi scientifici e nella loro scelta del percorso migliore verso il Polo e passaggio poi in Groenlandia, sono ‘aiutati’ dai satelliti di COSMO-SkyMed che ogni giorno acquisiscono una immagine necessaria a trovare la giusta via.

Eclissi totale di Sole, diretta Inaf per seguirla in Italia

Eclissi totale di Sole, diretta Inaf per seguirla in ItaliaRoma, 8 apr. (askanews) – È il giorno dell’eclissi totale di Sole. Un evento straordinario in cui la Luna oscurerà completamente il disco solare. Non visibile dall’Italia, il fenomeno produrrà una zona d’ombra che attraverserà il Nord America, dal Messico al Canada. Rispetto agli orari italiani, l’eclissi inizierà quando da noi saranno le 17.42 e si concluderà alle 22.52. La massima durata della fase di totalità sfiorerà i quattro minuti e mezzo.


Per l’occasione l’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) sarà sui luoghi che verranno attraversati dall’eclissi con vari gruppi di ricercatrici e ricercatori, per svolgere una serie di attività scientifiche e riprendere in tempo reale il fenomeno con telescopi e fotocamere. Chi non avrà la possibilità di assistere dal vivo allo straordinario evento, potrà seguirlo via streaming con due dirette online pensate sia per il grande pubblico che per gli studenti delle scuole. In particolare l’Inaf segnala una diretta speciale di Nuovi Mondi – Astronomia e Scienza in collaborazione con Inaf, sui canali Facebook e Youtube e una di EduInaf, il magazine di didattica e divulgazione dell’Inaf, con una diretta speciale della serie “Il cielo in salotto” pensata appositamente per docenti e studenti delle scuole di ogni ordine e grado.


Grazie alla partnership con il sito web TimeAndDate, la trasmissione seguirà l’eclissi al telescopio in diretta a partire dalle 19 ora italiana fino a conclusione del fenomeno. A partire dalle 20, una serie di ospiti, tra cui le ricercatrici Inaf Ilaria Ermolli e Mariarita Murabito e il professor Francesco Berrilli dell’Università di Roma Tor Vergata, commenteranno in diretta le immagini in arrivo dall’America e risponderanno, come di consueto, alle domande del pubblico. La registrazione della diretta – informa l’Inaf – sarà disponibile già dai giorni successivi in formato school edition per poter portare in classe la meraviglia di questo fenomeno astronomico, accompagnata dalle spiegazioni degli esperti.

Asi, la costellazione COSMO-SkyMed guida spedizione al Polo Nord

Asi, la costellazione COSMO-SkyMed guida spedizione al Polo NordRoma, 2 apr. (askanews) – Otto uomini e quattro mezzi pesanti, sono le componenti di una carovana che in 18 mesi, partendo da New York, puntano a circumnavigare la Terra attraversando entrambi i poli. Nella loro traversata artica si muoveranno grazie agli occhi attenti dei satelliti di COSMO-SkyMed – costellazione di satelliti realizzata dall’Agenzia Spaziale Italiana con il ministero della Difesa in orbita a partire dal 2007 – che dallo scorso 29 marzo stanno fornendo le indicazioni necessarie a scegliere il percorso della Transglobal Car Expedition.


Supporto essenziale ed unico non riuscito ad altri sistemi satellitari, le immagini della costellazione COSMO-SkyMed con la loro elevata qualità – evidenzia l’Asi – consentono all’equipaggio di muoversi sul ghiaccio con precisione e sicurezza, un traguardo assoluto essendo la prima volta per immagini di questo tipo. L’Agenzia Spaziale Italiana (Asi) in collaborazione con e-Geos, (Telespazio/Asi) concessionario unico per l’utenza commerciale dei dati satellitari acquisiti dalla costellazione COSMO-SkyMed, sta programmando e fornendo giornalmente una immagine al giorno su aree estese fino 200×200 Km. Sulla base di queste la spedizione seleziona il percorso più efficacie e migliore per arrivare al Polo Nord e raggiungere successivamente la Groenlandia.


La spedizione, dopo attento studio e indagine, ha trovato nella costellazione italiana un partner adatto alle esigenze di osservazione e fornitura dei dati necessari a supportare la scelta dell’itinerario sicuro. Dal 29 marzo l’Agenzia Spaziale Italiana ha messo a disposizione le acquisizioni della costellazione COSMO-SkyMed fornendo agli esploratori artici immagini alle altissime latitudini. La spedizione attraverserà sia il polo geografico che quello magnetico, lo scopo è quello di raccogliere dati: dallo spessore del ghiaccio ai Poli Nord e Sud al flusso di radiazioni cosmiche provenienti da regioni lontane del nostro Universo, dall’inquinamento luminoso allo studio dei cambiamenti fisiologici umani in ambienti estremi. Il programma scientifico della missione, nel totale rispetto della sostenibilità dei mezzi utilizzati e delle attrezzature coinvolte, prevede la misurazione di parametri cruciali per comprendere il cambiamento climatico che negli ultimi 5-10 anni sta investendo il nostro pianeta senza precedenti.


La costellazione italiana COSMO-SkyMed, punta di diamante nel settore dell’Osservazione della Terra, oggi vede operativi 5 satelliti, 3 della prima generazione e 2 della seconda, e presto sarà integrata da ulteriori 2 satelliti. (Crediti: COSMO-SkyMed © ASI – 2024 distributed by ASI and processed by e-GEOS)

Dall’Italia un orto marziano per missione simulata Amadee-24

Dall’Italia un orto marziano per missione simulata Amadee-24Roma, 25 mar. (askanews) – Con la simulazione dello ‘sbarco’ su Marte e l’inizio del periodo di isolamento è partita ufficialmente in Armenia la missione Amadee-24 organizzata dall’Austrian Space Forum, in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Armena, per aprire la strada alle future missioni di esplorazione dello Spazio. A fornire cibo fresco all’equipaggio sarà Hort3Space, un orto ipertecnologico realizzato da Enea in collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale di Sapienza Università di Roma. Si tratta di un sistema innovativo di coltivazione idroponica multilivello, completamente automatizzato, modulare, dotato di specifiche luci LED e di un braccio robotico integrato.


Fino al 5 aprile 2024 nella regione desertica dell’Ararat, un team di 6 ‘astronauti’ altamente qualificati – tra cui l’italiano Simone Paternostro – lavoreranno in isolamento sia per testare strumenti, apparecchiature e procedure che per condurre esperimenti e progetti che coinvolgono oltre 200 scienziati provenienti da 26 Paesi in tutto il mondo. Nell’orto italiano – si legge nella notizia pubblicata sull’ultimo numero in italiano del settimanale ENEAinform@ – gli astronauti coltiveranno vegetali in grado di adeguarsi alle condizioni estreme sia terrestri che spaziali, come il ravanello rosso e il cavolo rosso, entrambi ricchi di antiossidanti, vitamine e minerali. Allestito all’interno di una camera di coltivazione in una tenda gonfiabile autoportante, Hort3Space permetterà di massimizzare la produzione e di ridurre il consumo delle risorse e il carico di lavoro dell’equipaggio, incrementando al contempo il recupero e il riciclo degli scarti.


Per raggiungere queste finalità, il team di ricerca italiano ha messo a punto un manuale operativo con le procedure per trasferire agli astronauti analoghi tutte le informazioni sull’installazione della piattaforma, l’avvio delle attività in piena autonomia, la manutenzione in caso di arresti e guasti. Il tutto sarà coordinato dal Mission Support Center di Vienna, con cui ci saranno 10 minuti di ritardo nelle comunicazioni al fine di simulare la distanza dalla Terra a Marte, come avviene nelle reali missioni spaziali. Gli esperimenti avviati sull’orto made in Italy serviranno a verificare la fattibilità dell’intero processo di coltivazione idroponica automatizzata, a comprenderne i consumi energetici di risorse idriche e fertilizzanti e a studiarne la produttività. Oltre all’italiano Simone Paternostro, gli astronauti analoghi sono: il comandante Anika Mehlis (Germania), il vice-comandante Robert Wild (Austria), Carmen Köhler (Germania), Iñigo Muñoz Elorza (Spagna) e Thomas Wijnen (Paesi Bassi).


Enea è impegnata da oltre dieci anni nelle attività di ricerca finalizzate alla realizzazione di “orti spaziali” ed è specializzata in particolare nella realizzazione di sistemi ingegnerizzati per la coltivazione di piante in assenza di suolo, di coltivazioni idonee alle condizioni spaziali, come le microverdure, e di varietà vegetali ottimizzate per la coltivazione nello spazio (“ideotipi” spaziali), come il cosiddetto pomodoro “San Marziano” e la lattuga viola. Enea inoltre sta studiando processi di bioconversione degli scarti organici di missione, che una volta trasformati possono fornire nutrienti utili a sostenere la crescita di piante nelle serre spaziali e a produrre fertilizzante o compost direttamente in situ, riducendo al tempo stesso i rifiuti e la fase del loro smaltimento.

La Luna come antenna gravitazionale: studio dei ricercatori GSSI

La Luna come antenna gravitazionale: studio dei ricercatori GSSIRoma, 25 mar. (askanews) – L’esplorazione dell’universo profondo e primordiale potrà avvenire grazie alla Luna, alla sua assenza di atmosfera e al silenzio sismico quasi completo. Lo racconta uno studio condotto dai ricercatori del GSSI – Gran Sasso Science Institute e pubblicato oggi su “Philosophical Transactions” della Royal Society A. La scuola dottorale e centro di studi avanzati dell’Aquila, è da lungo tempo in prima linea nello studio del satellite terrestre e guida una collaborazione internazionale che ha proposto sin dal 2020 all’Agenzia Spaziale Europea di utilizzare la Luna come antenna per un innovativo rivelatore di onde gravitazionali.


Il progetto, – informa il GSSI – denominato LGWA-Lunar Gravitational Wave Antenna, coordinato dal professore del GSSI Jan Harms e ideato insieme ai ricercatori dell’Inaf, l’Istituto Nazionale di Astrofisica, è stato oggetto di un corso didattico che ha coinvolto gli studenti di dottorato, invitati poi dalla Royal Society A a contribuire al numero speciale pubblicato oggi, dal titolo “Astronomy from the Moon: the next decades”. Il numero, curato dagli astronomi e astrofisici Joseph Silk, Ian Crawford, Martin Elvis e John Zarnecki, delinea il futuro utilizzo della Luna per l’osservazione dei segnali primordiali dell’universo e contiene il anche il paper “Opportunities and limits of lunar gravitational-wave detection”, curato dagli studenti GSSI con la supervisione di Harms. “Una nuova finestra si apre sull’esplorazione lunare, dandoci l’opportunità di sfruttare le caratteristiche del nostro satellite per condurre attività scientifiche, in particolare permettendo l’osservazione delle onde gravitazionali come mai fatto prima – spiega Andrea Cozzumbo, dottorando nel corso di Astroparticle Physics e primo firmatario dell’articolo – quando abbiamo cominciato ad osservare il cielo notturno, i nostri telescopi si limitavano a guardare l’Universo attraverso la luce visibile. Ciò è rimasto così per secoli fino all’avvento della radioastronomia, che ci ha fornito la possibilità di esplorare altri tipi di luce provenienti dalla nostra galassia e oltre. Basandosi su questa analogia, la prima misura di onde gravitazionali nel 2015 può essere considerata la ‘prima luce’ in questa nuova era di esplorazione cosmica. Attualmente, la costruzione di rivelatori di onde gravitazionali sulla Luna ci può garantire l’accesso ad altri tipi di onde gravitazionali, aprendo così le porte a nuove sorgenti astrofisiche che emettono radiazione gravitazionale e, incontrovertibilmente, a nuove conoscenze scientifiche”.


Il paper – prosegue il GSSI – esplora le varie configurazioni di un rilevatore lunare di onde gravitazionali che sfrutterebbe le peculiarità del nostro satellite. La Luna, infatti, offre un ambiente freddo e stabile, utile per raggiungere le temperature criogeniche necessarie per le prestazioni ottimali dei futuri strumenti. Inoltre, la sua quasi inesistente attività sismica permette di pensare a nuovi tipi di rivelatori, come appunto LGWA. “Non soltanto siamo davanti al futuro della ricerca, ma è anche iniziato un dibattito per proteggere la Luna e usarla per scopi scientifici. La speranza è di riuscire a raggiungere il polo sud della Luna entro questo decennio. Sforzi simili sono iniziati in altre parti del mondo e stiamo assistendo ad una rapida crescita dell’interesse della comunità scientifica per il rilevamento delle onde gravitazionali lunari. Faremo del nostro meglio per rendere LGWA uno dei concetti vincenti”, conclude Jan Harms.