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Thales Alenia Space fornirà strumenti radar per missione ESA Harmony

Thales Alenia Space fornirà strumenti radar per missione ESA HarmonyRoma, 15 ott. (askanews) – Thales Alenia Space, una joint venture tra Thales (67%) e Leonardo (33%), ha firmato un contratto con OHB per lo sviluppo di due strumenti radar ad apertura sintetica (SAR) per l’osservazione della Terra che saranno imbarcati sulla costellazione di due satelliti Harmony, la decima missione Earth Explorer dell’ESA che dovrebbe essere lanciata a bordo di un razzo Vega-C entro il 2029.


Thales Alenia Space – informa una nota – sarà alla guida di un consorzio industriale europeo diversificato per progettare, sviluppare e validare gli strumenti SAR in banda C e sarà anche responsabile dell’elettronica digitale in banda C e delle antenne che saranno imbarcate su entrambi i satelliti Harmony. “Questo contratto conferma l’esperienza consolidata e riconosciuta di Thales Alenia Space nella produzione di satelliti per l’osservazione della Terra basati sulla tecnologia radar – ha dichiarato Giampiero Di Paolo, Amministratore Delegato di Thales Alenia Space Italia – Lo sviluppo dei due strumenti radar consentirà a Thales Alenia Space di compiere un significativo passo avanti dal punto di vista tecnologico e dell’architettura, migliorando la competitività dei prodotti SAR sia nel mercato istituzionale che in quello commerciale dell’osservazione della Terra”.


Thales Alenia Space ha svolto un ruolo chiave nel settore nella fase preparatoria di Harmony, supportando l’ESA nella definizione di una soluzione ad alte prestazioni in grado di soddisfare pienamente gli obiettivi scientifici della missione, sviluppando in parallelo tutte le tecnologie abilitanti SAR pertinenti. Le missioni Earth Explorer formano l’elemento scientifico e di ricerca del programma FutureEO di osservazione della Terra dell’ESA. Restituendo dati critici per comprendere il pianeta e prevedere cosa ci attende, gli Earth Explorers sono fondamentali per avanzare nella scienza e, successivamente, per ripristinare l’equilibrio ambientale per un futuro sostenibile. Ognuna di queste straordinarie missioni porta con sé tecnologie spaziali innovative, dimostrando come nuove tecniche possano restituire una sorprendente ricchezza di risultati scientifici sul nostro pianeta.


Unitamente a Sentinel-1, Harmony promette di fornire un patrimonio di dati unici sulle interazioni oceano-ghiaccio-atmosfera a una risoluzione senza precedenti, per una maggiore comprensione degli scambi termici dello strato superiore degli oceani, dei fattori che determinano i fenomeni meteorologici estremi e degli impatti a lungo termine dei cambiamenti climatici. La missione getterà anche nuova luce sulle dinamiche di deformazione e di flusso ai margini delle calotte glaciali in rapida evoluzione, per una migliore comprensione dell’innalzamento del livello dei mari. Inoltre, Harmony misurerà i piccoli cambiamenti della forma del terreno causati da terremoti e attività vulcaniche, contribuendo così al monitoraggio dei rischi.


La missione Harmony consiste in due satelliti radar ad apertura sintetica (SAR) passivi bistatici per sola ricezione, potenziati da un payload ottico a infrarosso termico (TIR), che volano in formazione libera con Sentinel-1. L’utilizzo di Sentinel-1 come illuminatore di opportunità e potenziando le sue osservazioni con una configurazione multistatica per la misurazione diretta delle velocità superficiali apporterà un contributo altamente innovativo alle capacità di osservazione della Terra. (Credit: ESA)

Telespazio, contratto con Esa da 123 mln per programma Moonlight

Telespazio, contratto con Esa da 123 mln per programma MoonlightRoma, 15 ott. (askanews) – Telespazio, joint venture tra Leonardo (67%) e Thales (33%), ha firmato oggi a Milano un contratto con l’Agenzia Spaziale Europea (ESA), del valore di 123 milioni di euro, per la realizzazione della prima fase del programma Moonlight.


Alla guida di un consorzio di aziende europee, Telespazio gestirà lo sviluppo di una costellazione di satelliti dedicati a fornire servizi di navigazione e comunicazione per le future missioni lunari. Il consorzio – informa una nota – è formato da Telespazio quale prime contractor e responsabile del sistema complessivo e da un pool di aziende che comprende Hispasat, Viasat, Thales Alenia Space Italia, SSTL, Qascom, MDA, KSat, Telespazio UK, Telespazio Iberica, SDA Bocconi, PLIMI, CRAS e SI per il disegno, la realizzazione e la qualifica operativa del sistema. Posizionata in orbita cislunare, l’infrastruttura di Moonlight farà leva sull’avanzata tecnologia sviluppata dall’industria europea per la navigazione e le comunicazioni, ottimizzata per fornire connettività affidabile e posizionamento accurato anche nell’ambiente lunare. Questi servizi saranno fondamentali per garantire un’esplorazione sicura della superficie lunare, offrendo un monitoraggio continuo delle attività dalla Terra e migliorando la gestione operativa delle missioni.


Il programma Moonlight punta a fornire servizi di comunicazione e navigazione sia alle missioni istituzionali dell’Agenzia Spaziale Europea e di altre agenzie spaziali, sia agli utenti commerciali, contribuendo così alla creazione di una solida economia lunare. Inoltre, l’interoperabilità con LunaNet, uno standard condiviso tra le principali agenzie spaziali internazionali, garantirà la cooperazione tra vari fornitori di servizi, aumentando l’affidabilità dell’intero sistema. L’infrastruttura di Moonlight si articolerà su tre segmenti chiave: il Lunar Space Segment, che comprende i satelliti in orbita lunare destinati a fornire servizi di comunicazione, navigazione e sincronizzazione temporale; il Lunar Earth Ground Segment, che include le stazioni di controllo e le infrastrutture terrestri necessarie per l’erogazione del servizio e per la gestione delle attività operative, e il Lunar User Segment, composto dai terminali necessari per la validazione del servizio una volta in orbita la costellazione. Essendo il sistema basato su standard internazionali definiti da NASA, ESA e JAXA, il sistema supporterà i terminali lunari di navigazione e comunicazione aderenti allo standard.


La configurazione iniziale prevede un satellite dedicato alle comunicazioni e quattro per la navigazione, con l’obiettivo di garantire un’ampia copertura del Polo Sud lunare, area cruciale per le future missioni esplorative. L’architettura è stata sviluppata tenendo conto delle esigenze degli utenti e dei requisiti stabiliti dall’ESA, e prevede un piano di implementazione progressiva con il dispiegamento della costellazione in due fasi. “Il programma Moonlight rappresenta molto più di un’infrastruttura tecnologica per le missioni lunari,” ha dichiarato Gabriele Pieralli, Amministratore delegato di Telespazio. “Telespazio è orgogliosa di essere stata selezionata dall’Agenzia Spaziale Europea come azienda leader di Moonlight. Questo progetto segna un passo decisivo verso una nuova era dell’esplorazione spaziale, in cui la capacità di fornire servizi di comunicazione e navigazione affidabili sulla Luna diventerà il pilastro delle future economie extraterrestri. Alla guida di un prestigioso team paneuropeo, Telespazio è impegnata a creare le condizioni per una presenza stabile e sicura sulla Luna, aprendo al contempo nuove straordinarie opportunità commerciali per l’Europa nello spazio cislunare. Siamo convinti che la partecipazione di aziende provenienti dai diversi Paesi membri dell’ESA rafforzerà l’interesse e il sostegno al programma, soprattutto in vista della Conferenza Ministeriale del 2025. Siamo fieri di svolgere un ruolo cruciale in un programma che non solo rappresenterà una pietra miliare nelle sfide spaziali presenti e future, ma sarà anche un elemento chiave per promuovere sinergie tra l’ESA e le altre agenzie spaziali internazionali”.


“L’ESA sta compiendo un passo fondamentale per sostenere il futuro mercato commerciale lunare, nonché le missioni lunari in corso e future. Siamo estremamente orgogliosi di lavorare con l’industria e gli Stati membri per garantire che le nostre capacità tecnologiche possano sostenere e promuovere la cooperazione sulla Luna con i nostri partner internazionali”, ha dichiarato Josef Aschbacher, Direttore generale dell’ESA.

Con Europa Clipper a caccia di vita sulla luna ghiacciata di Giove

Con Europa Clipper a caccia di vita sulla luna ghiacciata di GioveRoma, 14 ott. (askanews) – Nelle profondità di un oceano sotto il suo guscio di ghiaccio, la luna di Giove Europa potrebbe essere temperata e ricca di sostanze nutritive, un ambiente ideale per qualche forma di vita, ciò che gli scienziati chiamerebbero “abitabile”. È quello che punta a scoprire la missione della Nasa Europa Clipper, il cui lancio è in programma oggi pomeriggio, alle 18.06 ora italiana, dal Launch Complex 39A del Kennedy Space Center della Nasa in Florida a bordo di un razzo SpaceX Falcon Heavy.


La navicella arriverà nell’orbita di Giove nel 2030 dopo aver percorso circa 2,9 miliardi di chilometri. L’orbita allungata e circolare di Europa Clipper attorno a Giove – spiega l’agenzia spaziale statunitense – ridurrà al minimo l’esposizione della sonda a radiazioni intense, consentendole al contempo di immergersi per passaggi ravvicinati di Europa. Utilizzando una formidabile serie di strumenti per ciascuno dei 49 sorvoli della missione, spingendosi fino a 25 chilometri dalla superficie, gli scienziati saranno in grado di “vedere” quanto è spesso il guscio ghiacciato della luna e di acquisire una comprensione più approfondita del vasto oceano sottostante. Faranno l’inventario del materiale sulla superficie che potrebbe essere emerso dal basso, cercheranno le impronte dei composti organici che formano i mattoni della vita e campioneranno tutti i gas espulsi dalla luna per provarne l’eventuale l’abitabilità.


Gli scienziati della missione analizzeranno i risultati, sondando la superficie ghiacciata della luna alla ricerca di tracce di un mondo acquatico in grado di sostenere la vita. (Credits: NASA/JPL-Caltech)

Un osservatorio nel Mar Ionio per captare i suoni dagli abissi

Un osservatorio nel Mar Ionio per captare i suoni dagli abissiRoma, 14 ott. (askanews) – Una stazione sismo-acustica ad alta sensibilità realizzata da un gruppo multidisciplinare di ricercatori e ricercatrici dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) è stata appena deposta a 3.500 metri di profondità nella piana abissale del Mar Ionio, 80 chilometri a sud-est di Portopalo di Capo Passero (Siracusa). La stazione sta già acquisendo i suoni e i rumori che si propagano nelle profondità del mare, fornendo preziose informazioni sull’impatto ambientale che tali onde acustiche producono.


I dati acquisiti sono inviati in tempo reale ai server di elaborazione dell’INGV ospitati presso il Centro di elaborazione dati della sede operativa dell’INFN a Portopalo di Capo Passero, attraverso un cavo elettro-ottico sottomarino lungo circa 100 chilometri. La stazione, realizzata nell’ambito del PON Marine Hazard – “Fondo per lo Sviluppo e la Coesione” relativo alla programmazione 2014-2020, che prevedeva la realizzazione di un prototipo funzionante, grazie al lavoro del gruppo di ricerca coinvolto ha superato gli obiettivi iniziali – informa una nota – ed è stata già collegata con successo alla grande infrastruttura sottomarina KM3NeT/ARCA, il più grande telescopio abissale per neutrini nel Mar Mediterraneo.


“La deposizione di un’infrastruttura di tale portata rappresenta un grande successo, ponendo le basi per l’esplorazione in continuo di ambienti considerati inaccessibili fino a pochi anni fa, con caratteristiche uniche nel loro genere”, commenta Sergio Scirè Scappuzzo, responsabile scientifico del progetto “Marine Hazard” per l’INGV. Gianluca Lazzaro, tecnologo dell’INGV impegnato nelle attività di sviluppo e integrazione della strumentazione scientifica, aggiunge: “Questa impresa è frutto di una sinergia multidisciplinare e il suo successo dà ulteriore valore alla collaborazione scientifica e tecnologica tra INGV e INFN ed enfatizza l’importanza della cooperazione tra infrastrutture di ricerca europee, considerato anche il supporto che abbiamo ricevuto dalla ERIC EMSO”. Le Sedi coinvolte nel progetto sono, per l’INFN, i Laboratori Nazionali del Sud (INFN-LNS), la Sezione di Bari (INFN-BA) e la Sezione di Roma (INFN-RM1), mentre, per l’INGV, la Sezione di Palermo. Per realizzare questo sofisticato osservatorio scientifico, i ricercatori dell’INGV di Palermo hanno installato sulla stazione un sensore in grado di rilevare sia la conducibilità e la temperatura delle masse d’acqua, sia la pressione della colonna d’acqua sovrastante, nonché un idrofono orientato allo studio delle basse frequenze delle onde acustiche e un sismometro marino ad alta sensibilità. I ricercatori dell’INFN-LNS, invece, hanno progettato e realizzato la struttura della stazione, insieme all’elettronica di controllo e trasmissione dati, nonché i contenitori a tenuta stagna per ospitare l’elettronica, resistenti alle alte pressioni.


“L’installazione di questa stazione rafforza i già solidi legami tra l’INFN e l’INGV e sottolinea il rapporto di piena interazione tra i due Istituti di ricerca, oltre a fornire ulteriore valore multidisciplinare all’eccellenza scientifica rappresentata dall’infrastruttura KM3NeT/IDMAR”, dichiarano Simone Biagi, Site Manager di KM3NeT/ARCA, e Angelo Orlando, coordinatore tecnico del progetto della stazione. Grazie all’impiego di tecnologie e competenze avanzate, questa strumentazione – concludono gli istituti coinvolti – proietta la ricerca verso lo studio a lungo termine delle aree più profonde di mari e oceani, altrimenti scarsamente osservati. Ciò a favore della coesione di una comunità scientifica europea, che metta a fattor comune le proprie risorse e competenze, fungendo anche da volano per il trasferimento di conoscenze e tecnologie alle imprese italiane.

In Perù si scava per portare alla luce cetaceo vissuto 40 mln anni fa

In Perù si scava per portare alla luce cetaceo vissuto 40 mln anni faRoma, 11 ott. (askanews) – Nuova spedizione dei paleontologi dell’Università di Pisa nel deserto di Ica, in Perù, per ampliare lo scavo dove, nel 2023, è stato ritrovato parte dello scheletro di Perucetus colossus, il cetaceo vissuto circa 40 milioni di anni fa, che si stima possa essere stato l’animale più pesante mai esistito sulla Terra.


Grazie all’uso di un grande escavatore, i ricercatori – informa Unipi – hanno potuto espandere significativamente l’area di ricerca: partendo dall’alto, sono stati rimossi parecchi metri cubi di roccia dalla collina, fino a giungere a circa un metro al di sopra dello strato fossilifero. In questo modo è stato creato un ampio terrazzo sul quale i paleontologi peruviani potranno lavorare con maggiore facilità, rimuovendo con martelli pneumatici gli strati di roccia che ancora celano il resto dello scheletro, incluso – si spera – il cranio. Alla spedizione, svolta nell’ambito del progetto ProArcheo cofinanziato dall’Università di Pisa, hanno partecipato il professor Giovanni Bianucci, coordinatore del progetto, e altri paleontologi del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa (il professor Alberto Collareta, la dottoressa Giulia Bosio e il dottorando Francesco Nobile), insieme a geologi e micropaleontologi delle Università di Camerino e Milano Bicocca. Parte delle ricerche è stata svolta nell’ambito di un progetto PRIN coordinato da Alberto Collareta.


Lo scorso anno, il ritrovamento dei resti del gigantesco mammifero aveva suscitato un grande clamore mediatico a livello mondiale, al punto da venir considerato una delle tre scoperte scientifiche più straordinarie del 2023. Perucetus aveva catturato l’attenzione non solo per le sue imponenti dimensioni – si stima che potesse raggiungere i 20 metri di lunghezza – ma soprattutto perché potrebbe rappresentare l’animale più pesante mai esistito sulla Terra. La sua massa è stata infatti stimata poter raggiungere le 340 tonnellate, quasi il doppio di quella della più grande balenottera azzurra. I risultati dello studio del fossile erano stati pubblicati sulla rivista Nature. “I precedenti scavi, andati avanti per oltre dieci anni, – spiega Bianucci – erano stati fortemente ostacolati dalle condizioni proibitive del sito. Il fossile era infatti parzialmente sepolto in una collina situata in una delle zone più inaccessibili e inospitali del deserto di Ica e la roccia che conteneva il fossile era estremamente dura. L’utilizzo dello scavatore – continua Bianucci – è stata pertanto una soluzione estrema dettata dall’eccezionale importanza del reperto e dall’impossibilità di procedere lo scavo con i mezzi tradizionali. Quando si recuperano i reperti fossili si fa infatti molta attenzione a limitare il più possibile l’impatto su queste aree desertiche, ancora incontaminate dall’uomo”.


“La frammentarietà dello scheletro ritrovato (composto da 13 vertebre, 4 costole e parte del bacino) – spiega Collareta – ha lasciato molti interrogativi aperti su vari aspetti della morfologia e dell’ecologia di Perucetus. In particolare, l’assenza del cranio e dei denti consente solo ipotesi speculative sulla sua alimentazione: era un erbivoro, come gli odierni lamantini, oppure uno spazzino che si nutriva di carcasse di vertebrati marini?”. “Il prossimo passo sarà dunque decisivo per ottenere nuovi indizi su come fosse fatto e di cosa si cibasse l’unico esemplare finora noto alla scienza di questo straordinario gigante marino di quasi 40 milioni di anni fa”, conclude Bianucci.

Spazio, il 3 dicembre torna al volo Vega C per lancio Sentinel 1-C

Spazio, il 3 dicembre torna al volo Vega C per lancio Sentinel 1-CRoma, 10 ott. (askanews) – Il 3 dicembre Vega C tornerà a volare per portare in orbita il satellite Sentinel 1-C del programma europeo Copernicus. La missione “VV25” – annuncia Arianespace – è in programma martedì 3 dicembre 2024, alle 22.20 ora italiana dallo spazioporto europeo di Kourou, nella Guyana francese. La missione collocherà il satellite Copernicus Sentinel-1C nell’orbita sincrona del Sole a un’altitudine di circa 700 km. La separazione del veicolo spaziale avverrà 1 ora e 43 minuti dopo il decollo.


Sentinel-1C fa parte di Copernicus, la componente di osservazione della Terra del programma spaziale dell’Unione Europea. Il sistema di osservazione della Terra più avanzato al mondo, Copernicus fornisce dati e servizi di osservazione della Terra continui, gratuiti e affidabili alle autorità pubbliche, alle aziende e ai cittadini di tutto il mondo. Il programma, gestito dalla Commissione europea, è finanziato dall’Ue con un contributo dell’Esa. Thales Alenia Space è il prime contractor di Sentinel-1C, che è arrivato nella Guyana francese l’8 ottobre 2024. Durante la campagna di lancio, il satellite sarà sottoposto a una serie precisa di test pre-lancio in preparazione del suo decollo, che porterà alla Launch Readiness Review (LRR) prevista per il 2 dicembre 2024. Il completamento con successo della LRR dà il via all’approvazione per procedere alla cronologia di lancio. La missione VV25 segnerà il ritorno in volo del lanciatore Vega C, aggiornato con motori a razzo solidi più potenti per il primo e il secondo stadio, con serbatoi AVUM+ più grandi e con una carenatura più grande che aumenta significativamente la massa del carico utile (fino a 2.350 tonnellate in orbita sincrona solare) e raddoppia il volume consentito. Il lanciatore – prosegue Arianespace – risponde inoltre meglio alle esigenze specifiche dei piccoli veicoli spaziali, grazie al suo dispenser SSMS (Small Spacecraft Mission Service) migliorato e al suo motore AVUM+ che consentirà sette riaccensioni. Vega C può quindi consegnare i suoi carichi utili su tre orbite diverse nella stessa missione, invece delle due possibili in precedenza con Vega.


L’ESA è responsabile della qualificazione del sistema di lancio Vega C ed è l’autorità contrattuale per lo sviluppo di Vega C, un programma realizzato con la partecipazione di tredici Stati membri dell’ESA. l’italiana Avio Spa è l’appaltatore principale e l’autorità di progettazione dei lanciatori Vega C, consegnando un lanciatore pronto al decollo ad Arianespace, che rimarrà il suo operatore fino al Vega C Flight 29 (VV29). La missione di immagini radar Sentinel-1 è composta da una costellazione di due satelliti in orbita polare che forniscono immagini continue per tutte le stagioni, di giorno e di notte, per il monitoraggio terrestre e marittimo. Le immagini radar ad apertura sintetica (SAR) in banda C hanno il vantaggio di operare a lunghezze d’onda che non sono ostruite dalle nuvole o dalla mancanza di illuminazione e quindi possono acquisire dati di giorno o di notte in tutte le condizioni atmosferiche.


Sentinel-1 fornisce immagini radar per numerose applicazioni. Le immagini SAR sono il modo migliore per tracciare i cedimenti del terreno e i danni strutturali: le osservazioni sistematiche e le capacità interferometriche potenziate rendono rilevabili e monitorabili i movimenti del terreno appena percepibili nella vita quotidiana. Oltre a essere una risorsa preziosa per i pianificatori urbani, questo tipo di informazioni è essenziale per monitorare gli spostamenti dovuti a terremoti, frane e sollevamenti vulcanici. Inoltre, aiuta il monitoraggio dei rischi geologici, l’industria mineraria, la geologia e la pianificazione urbana attraverso la valutazione del rischio di subsidenza. Prima dell’imminente lancio di Sentinel-1C, Sentinel-1A, Sentinel-2A, Sentinel-1B, Sentinel-2B e Sentinel-2C sono stati lanciati con successo da Arianespace. La prima generazione della famiglia Vega è stata lanciata nel 2012 e ha volato 22 volte, con un volo finale di successo il 4 settembre con Sentinel-2C a bordo.

Un nuovo modo di manipolare la casualità nei computer quantistici

Un nuovo modo di manipolare la casualità nei computer quantisticiRoma, 10 ott. (askanews) – Sfruttare le caratteristiche dei computer quantistici, come quella di rappresentare ed elaborare contemporaneamente stati di informazioni diversi grazie ai qubit, per riuscire a generare in maniera più efficace serie di numeri casuali costituisce un requisito fondamentale per avere delle applicazioni vantaggiose nei contesti di simulazione computazionale di sistemi fisici come nella crittografia. Questo è quanto sostenuto in due studi svolti nell’ambito di ICSC – Centro Nazionale di Ricerca in High Performance Computing, Big Data e Quantum Computing e dei progetti europei “PHOQUSING – PHotonic QUantum SamplING Machine” e “QU-BOSS” dal gruppo Quantum Lab della Sapienza Università di Roma, in collaborazione con l’International Iberian Nanotechnology Labs (INL) e l’Istituto di Fotonica e Nanotecnologie – Consiglio Nazionale delle Ricerche (IFN-CNR).


I risultati dei due lavori, – informa una nota – apparsi di recente sulle prestigiose riviste scientifiche “Nature Photonics” e “Science Advances”, dimostrano come una piattaforma quantistica di tipo fotonico adeguatamente progettata e controllata sia in grado di implementare l’algoritmo della Bernoulli Factory. Quest’ultimo è un noto algoritmo utilizzato per la generazione di serie di variabili casuali, definendo così una nuova tecnica per la manipolazione delle variabili aleatorie che utilizza la meccanica quantistica chiamata “quantum-to-quantum Bernoulli Factory”. Facendo ricorso all’esempio della serie di risultati derivanti dal lancio di una moneta, l’algoritmo Bernoulli factory, che svolge un ruolo centrale nell’integrazione numerica e nei metodi Monte Carlo utilizzati nei calcoli probabilistici, consente, a partire da una distribuzione di probabilità di lanci nota utilizzata in input, di generare come output lanci di moneta con una diversa distribuzione.


“Se abbiamo per esempio come obiettivo quello di creare una nuova moneta che mostri testa con una probabilità diversa da quella nota rivelata dai lanci effettuati – spiega Fabio Sciarrino, responsabile del Quantum Lab group della Sapienza e responsabile della piattaforma fotonica per lo Spoke 10 ‘Quantum Computing’ di ICSC – l’algoritmo della Bernoulli factory ci permette astutamente di lanciare la moneta originale più volte e di sfruttare i vari risultati per simulare i lanci di una nuova moneta con la distribuzione di probabilità desiderata. Nel quadro della meccanica quantistica, questo procedimento è stato tradotto codificando le distribuzioni di probabilità come stati quantistici sia in input che in output. Da qui il nome ‘quantum-to-quantum Bernoulli factory’”. Le caratteristiche uniche delle Bernoulli factory hanno quindi spinto la collaborazione tra i gruppi di ricerca autori dei due studi a esplorare vari metodi per implementare queste ‘fabbriche di casualità’ realizzando piattaforme ottiche all’interno delle quali, modificando la configurazione dei circuiti, è stato possibile far evolvere nella maniera voluta la dinamica dei fotoni e degli stati di informazione quantistica di cui sono portatori. Dato il comportamento statistico che li caratterizza, l’evoluzione dei fotoni all’interno di questi dispositivi riesce perciò a generare più efficacemente una distribuzione di risultati casuale rispetto a quanto possa fare una simulazione effettuata da un computer classico.


“Al fine di implementare gli algoritmi Bernoulli factory – prosegue Sciarrino – abbiamo sviluppato due piattaforme che manipolano distinti gradi di libertà degli stati a singolo fotone. La prima, sviluppata in collaborazione con INL e IFN-CNR e che ha portato alla pubblicazione dell’articolo su ‘Nature Photonics’, lavora con i cosiddetti qubit codificati nel cammino, in cui l’informazione è scritta nel percorso di ciascun fotone. Ciò è stato reso possibile grazie all’elevato controllo e precisione ottenibile nella programmazione dei circuiti fotonici integrati in vetro realizzati da CNR-IFN, la riproducibilità dei quali è garantita dai sistemi automatizzati adottati, che agevolano l’utilizzo di questi dispositivi anche per l’implementazione di algoritmi con complessità maggiori. Nella seconda piattaforma, sviluppata in collaborazione con INL, i qubit sono invece codificati negli stati di polarizzazione di singoli fotoni. Con entrambe le piattaforme siamo stati in grado dimostrare tutti i passaggi necessari per realizzare genuini algoritmi di Bernoulli Factory quantistiche”. Questi progressi rappresentano passi in avanti significativi nell’ambito di ricerca volto a comprendere come elaborare l’informazione sfruttando le proprietà quantistiche della luce. Le quantum-to-quantum Bernoulli Factories rappresentano inoltre un’ulteriore prova a favore dei vantaggi che i dispositivi quantistici possono garantire rispetto ai loro omologhi classici. Sfruttando le proprietà uniche della luce quantistica, i ricercatori potranno infatti ricercare nuove possibilità per un calcolo efficiente e una sofisticata manipolazione delle variabili casuali, aprendo la strada ad applicazioni innovative in vari campi, dalla crittografia, al calcolo e alla simulazione.


“Da un lato, l’architettura utilizzata per la codifica su percorso dei qubit, che vengono manipolati attraverso dispositivi di ottica integrata, rappresenta la soluzione ideale per l’implementazione delle Bernoulli Factories nel contesto della computazione quantistica, potendo per esempio essere impiegata come componente di un hardware fotonico quantistico più complesso” commenta Francesco Hoch, post-doc e primo autore dell’articolo su ‘Nature Photonics’. “Dall’altro lato, la seconda piattaforma che opera sugli stati di polarizzazione dei fotoni, realizzata attraverso elementi ottici che operano sia in aria che in fibra, risulta particolarmente adatta per interfacciare il dispositivo con le reti quantistiche e, più in generale, con i complessi protocolli di comunicazione e crittografia quantistica esistenti”, conclude Giovanni Rodari, dottorando e primo autore dell’articolo su ‘Science Advances’.

Ricerca, un robot-zaino per mappare le profondità dei laghi alpini

Ricerca, un robot-zaino per mappare le profondità dei laghi alpiniRoma, 3 ott. (askanews) – Un team coordinato dall’Istituto di ingegneria del mare del Consiglio nazionale delle ricerche di Genova (Cnr-Inm) ha concluso con successo le attività preliminari di campionamento batimetrico, bio-fisico e chimico di due laghi alpini: il lago situato nei pressi del Ghiacciaio di Indren (massiccio del Monte Rosa, Valle D’Aosta) e il lago proglaciale nei pressi del Ghiacciaio di Fellaria (Valtellina, provincia di Sondrio).


I due siti pilota – informa Cnr-Inm – sono stati individuati all’interno del progetto PRIN “Modular Alpine Robotic MOnitoring Tools” (MARMOT), finanziato nell’ambito del Bando 2022 e costituito, oltre che da Cnr-Inm, dall’Istituto per la BioEconomia del Cnr di Firenze (Cnr-Ibe) e dall’Istituto di scienze polari del Cnr di Messina (Cnr-Isp), assieme all’Università degli Studi di Torino e all’Università di Udine, e con la collaborazione dell’Università della Tuscia. Obiettivo della campagna, testare una prima versione di un innovativo dispositivo robotico per l’acquisizione e la caratterizzazione di vari parametri chimico-fisici e biologici dei laghi di montagna e, in generale, di ambienti remoti, garantendo un impatto minimo sull’ecosistema circostante. In particolare, il gruppo coordinato dal ricercatore del Cnr-Inm Angelo Odetti, ha sviluppato e testato la prima versione di un robot facilmente trasportabile su sentieri di montagna semplicemente con uno zaino, minimizzando così l’impatto delle ricerche scientifiche in questi ambienti. Il prototipo sviluppato ha consentito di ottenere i primi parametri per la mappatura batimetrica dei laghi, l’analisi delle acque superficiali e dell’aria, e lo studio di elementi in traccia e della microbiologia. I dati raccolti hanno rivelato una profondità massima sorprendente di circa 45 metri lungo i transetti eseguiti nel lago del Ghiacciaio di Fellaria.


“Il progetto MARMOT si propone di sviluppare un prototipo di piattaforma robotica progettata specificamente per operare nei laghi di alta montagna: questi ambienti fragili e in rapido cambiamento sono oggetto di studi in tutto il mondo come indicatori precoci dei cambiamenti climatici”, afferma Angelo Odetti (Cnr-Inm). “Abbiamo quindi messo a disposizione le nostre competenze nel settore della robotica marina per sviluppare dispositivi autonomi e portatili per l’acquisizione persistente di dati e campioni nei laghi di alta montagna: i risultati ottenuti ci consentiranno, ora, di definire meglio i limiti operativi del sistema robotico, che verrà impiegato a partire dall’estate 2025 per lo studio sistematico dei laghi alpini. L’obiettivo è ottenere una comprensione più approfondita di questi ecosistemi quasi inesplorati al di sotto della superficie”. MARMOT affianca alle attività di ricerca sul campo una strategia di analisi e condivisione dei dati basata sui principi FAIR (Findable, Accessible, Interoperable, Reusable). L’iniziativa punta, inoltre, a coinvolgere la comunità attraverso progetti di Citizen Science, rendendo i dati raccolti pubblici e accessibili su piattaforme online che permetteranno il monitoraggio remoto in tempo reale di diversi parametri. Alle missioni preliminari hanno partecipato attivamente: Angelo Odetti (Cnr-Inm), Giorgio Bruzzone (Cnr-Inm), Simona Aracri (Cnr-Inm), Federico Carotenuto (Cnr-Ibe), e Luciano Massetti (Cnr-Ibe), Nicola Colombo (Università di Torino), e Morena Rolando (Università di Torino)

Ricerca, mentre giocano i delfini si “sorridono” a vicenda

Ricerca, mentre giocano i delfini si “sorridono” a vicendaRoma, 3 ott. (askanews) – I delfini sono estremamente “giocosi”, ma poco si sa su come comunicano durante il gioco. Una nuova ricerca pubblicata il 2 ottobre sulla rivista iScience (Cell Press), realizzata dall’Università di Pisa in collaborazione con l’Università di Torino e l’Università di Renne, dimostra che i tursiopi, delfini diffusi anche nel Mar Mediterraneo, utilizzano un’espressione facciale “a bocca aperta”, analoga al sorriso, per interagire durante il gioco sociale. I delfini – spiegano i ricercatori – usano quasi sempre questa espressione facciale quando si trovano nel campo visivo dei loro compagni di gioco e, quando questi ultimi percepiscono un “sorriso”, rispondono a loro volta aprendo la bocca il 33% delle volte.


“Abbiamo scoperto la presenza di un’espressione facciale distinta, la bocca aperta, nei tursiopi e abbiamo dimostrato che questi sono anche in grado di rispondere rapidamente alle espressioni facciali degli altri”, spiega l’autrice senior ed etologa Elisabetta Palagi dell’Università di Pisa. “I segnali a bocca aperta e la mimica rapida appaiono ripetutamente in tutto l’albero genealogico dei mammiferi, il che suggerisce che la comunicazione visiva abbia svolto un ruolo cruciale nel dare forma a interazioni sociali complesse, non solo nei delfini ma in molti altri mammiferi nel corso del tempo”. Il gioco tra delfini può includere salti acrobatici, interazioni con oggetti, inseguimenti e contatti fisici, che però è importante non vengano interpretati come vere aggressioni. Molti mammiferi usano le espressioni facciali per mediare le interazioni di gioco, ma se questo comportamento fosse presente anche nei mammiferi marini non era mai stato indagato in precedenza.


“Il gesto della bocca aperta si è probabilmente evoluto dall’azione del mordere, interrompendo la sequenza del morso per lasciare solo la sua intenzione, senza contatto”, prosegue Palagi. “La bocca aperta rilassata, che si vede nei carnivori sociali, nelle facce da gioco delle scimmie e persino nelle risate umane, è un segno universale di giocosità, che aiuta gli animali a segnalare il divertimento e a evitare i conflitti”. Per verificare se i delfini utilizzassero l’apertura della bocca come espressione facciale, i ricercatori hanno studiato diversi gruppi sociali di tursiopi in ambiente controllato, mentre interagivano in coppia e mentre giocavano liberamente con i loro addestratori umani. È stato dimostrato che questi animali usano l’espressione della bocca aperta quando giocano con altri delfini, ma non sembrano usarla quando giocano con gli umani o quando giocano da soli con degli oggetti.


I ricercatori hanno registrato un totale di 1288 eventi di bocca aperta durante le sessioni di gioco sociale e il 92% di questi eventi si è verificato durante le sessioni di gioco tra delfini. I delfini erano anche più propensi ad assumere l’espressione della bocca aperta quando il loro volto era nel campo visivo del compagno di gioco – l’89% delle espressioni a bocca aperta registrate sono state emesse in questo contesto – e quando questo “sorriso” è stato percepito, il compagno di gioco ha ricambiato il sorriso il 33% delle volte. “Qualcuno potrebbe obiettare che i delfini imitano le espressioni a bocca aperta degli altri per puro caso, dato che sono spesso coinvolti nella stessa attività o nello stesso contesto, ma questo non spiega perché la probabilità di imitare la bocca aperta di un altro delfino entro un secondo sia 13 volte più alta quando il ricevente vede effettivamente l’espressione originale”, continua Palagi. “Le percentuali di risposta osservate nei delfini sono coerenti con quanto osservato in alcuni carnivori, come i suricati e gli orsi”.


I ricercatori non hanno registrato i segnali acustici dei delfini durante il gioco, ma affermano che gli studi futuri dovrebbero indagare sul possibile ruolo delle vocalizzazioni e dei segnali tattili durante le interazioni ludiche. “I delfini possiedono uno dei repertori vocali più vasti e complessi del regno animale e la funzione di molte vocalizzazioni emesse da questi animali è ancora sconosciuta” dichiara lo zoologo Livio Favaro, docente di Biologia Marina presso il Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino. “Le nostre future ricerche si concentreranno sull’utilizzo dei segnali acustici da parte dei tursiopi durante le sessioni di gioco e su come questi complementino i segnali visivi, in quello che ci aspettiamo essere un complesso sistema di comunicazione multimodale”. (Copyright Zoomarine Roma)

Ricerca, IIT: un transistor edibile a base di dentifricio

Ricerca, IIT: un transistor edibile a base di dentifricioRoma, 30 set. (askanews) – Un transistor a base di dentifricio è l’ultima invenzione del gruppo di ricerca all’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) di Milano nell’ambito dell’elettronica edibile. Il nuovo nano-dispositivo, infatti, è pensato per diventare in futuro componente di pillole intelligenti da ingerire per monitorare lo stato di salute, che vengono digerite alla fine della loro attività. La ricerca è stata descritta sulla rivista scientifica “Advanced Science”.


Diverse formulazioni commerciali di dentifricio contengono cristalli di ftalocianina di rame, un pigmento blu che funge da sbiancante. La sostanza, infatti, si deposita sui denti e agisce come filtro ottico, facendoli sembrare più bianchi. Nel corso della giornata – informa IIT – la ftalocianina viene rimossa dalla saliva e ingerita: il gruppo di ricerca del Center for Nano Science and Technology (CNST) dell’IIT a Milano, in collaborazione con un ricercatore dentista dell’Università di Novi Sad in Serbia, ha studiato le caratteristiche di tale sostanza e calcolato, tramite simulazioni di laboratorio e analisi dei test clinici disponibili, che in media, durante il lavaggio dei denti, ne ingeriamo inavvertitamente 1 milligrammo. “Con la quantità di ftalocianina di rame che ingeriamo quotidianamente potremmo realizzare circa 10.000 transistor edibili”, commenta Elena Feltri, prima autrice dell’articolo e studentessa di dottorato al CNST di IIT a Milano. Infatti, un aspetto interessante è che la struttura chimica del pigmento, che favorisce una conduzione di carica all’interno dei suoi cristalli, permette di usare la ftalocianina anche come ottimo semiconduttore in applicazioni di elettronica organica.


Il nuovo ingrediente, in quantità piccolissime, è stato quindi utilizzato come semiconduttore nella ricetta già sperimentata dal gruppo di ricerca per costruire circuiti edibili: un substrato in etilcellulosa su cui vengono stampati i contatti elettrici con una tecnica a getto di inchiostro, dove però viene utilizzata una soluzione di particelle di oro (materiale ampiamente utilizzato in ambito culinario come decorazione); a questa si aggiunge un “gate” realizzato con un gel elettrolitico a base di chitosano (gelificante alimentare estratto da diversi crostacei, come i granchi blu), che permette il pilotaggio a basso voltaggio (meno di 1V) del transistor. Il transistor edibile nasce nel laboratorio di Printed and Molecular Electronics coordinato da Mario Caironi, e arriva subito dopo l’invenzione della batteria edibile, realizzata lo scorso anno dallo stesso gruppo. L’attività del laboratorio di Caironi si concentra sullo studio delle proprietà elettroniche degli alimenti e dei suoi derivati, al fine di realizzare dispositivi elettronici commestibili, per future applicazioni sia in ambito sanitario sia per il controllo qualità del mercato alimentare. Nel 2019 Caironi ha vinto un finanziamento di 2 milioni di euro da parte dell’European Research Council per il progetto ELFO, che esplora il campo dell’elettronica alimentare. Inoltre, dal 2021 il suo gruppo fa parte del progetto europeo RoboFood, che è volto alla realizzazione di robot commestibili.


Il prossimo passo del gruppo di ricerca sarà individuare altre sostanze edibili che possano avere le giuste caratteristiche chimico-fisiche utili a creare un dispositivo elettronico intelligente e commestibile, da utilizzare in ambito sanitario, come per esempio il monitoraggio dei parametri corporei del tratto gastrointestinale. (Credits: Istituto Italiano di Tecnologia – © IIT, all rights reserved)