Skip to main content
#sanremo #studionews #askanews #ciaousa #altrosanremo

Asi, la costellazione COSMO-SkyMed guida spedizione al Polo Nord

Asi, la costellazione COSMO-SkyMed guida spedizione al Polo NordRoma, 2 apr. (askanews) – Otto uomini e quattro mezzi pesanti, sono le componenti di una carovana che in 18 mesi, partendo da New York, puntano a circumnavigare la Terra attraversando entrambi i poli. Nella loro traversata artica si muoveranno grazie agli occhi attenti dei satelliti di COSMO-SkyMed – costellazione di satelliti realizzata dall’Agenzia Spaziale Italiana con il ministero della Difesa in orbita a partire dal 2007 – che dallo scorso 29 marzo stanno fornendo le indicazioni necessarie a scegliere il percorso della Transglobal Car Expedition.


Supporto essenziale ed unico non riuscito ad altri sistemi satellitari, le immagini della costellazione COSMO-SkyMed con la loro elevata qualità – evidenzia l’Asi – consentono all’equipaggio di muoversi sul ghiaccio con precisione e sicurezza, un traguardo assoluto essendo la prima volta per immagini di questo tipo. L’Agenzia Spaziale Italiana (Asi) in collaborazione con e-Geos, (Telespazio/Asi) concessionario unico per l’utenza commerciale dei dati satellitari acquisiti dalla costellazione COSMO-SkyMed, sta programmando e fornendo giornalmente una immagine al giorno su aree estese fino 200×200 Km. Sulla base di queste la spedizione seleziona il percorso più efficacie e migliore per arrivare al Polo Nord e raggiungere successivamente la Groenlandia.


La spedizione, dopo attento studio e indagine, ha trovato nella costellazione italiana un partner adatto alle esigenze di osservazione e fornitura dei dati necessari a supportare la scelta dell’itinerario sicuro. Dal 29 marzo l’Agenzia Spaziale Italiana ha messo a disposizione le acquisizioni della costellazione COSMO-SkyMed fornendo agli esploratori artici immagini alle altissime latitudini. La spedizione attraverserà sia il polo geografico che quello magnetico, lo scopo è quello di raccogliere dati: dallo spessore del ghiaccio ai Poli Nord e Sud al flusso di radiazioni cosmiche provenienti da regioni lontane del nostro Universo, dall’inquinamento luminoso allo studio dei cambiamenti fisiologici umani in ambienti estremi. Il programma scientifico della missione, nel totale rispetto della sostenibilità dei mezzi utilizzati e delle attrezzature coinvolte, prevede la misurazione di parametri cruciali per comprendere il cambiamento climatico che negli ultimi 5-10 anni sta investendo il nostro pianeta senza precedenti.


La costellazione italiana COSMO-SkyMed, punta di diamante nel settore dell’Osservazione della Terra, oggi vede operativi 5 satelliti, 3 della prima generazione e 2 della seconda, e presto sarà integrata da ulteriori 2 satelliti. (Crediti: COSMO-SkyMed © ASI – 2024 distributed by ASI and processed by e-GEOS)

Dall’Italia un orto marziano per missione simulata Amadee-24

Dall’Italia un orto marziano per missione simulata Amadee-24Roma, 25 mar. (askanews) – Con la simulazione dello ‘sbarco’ su Marte e l’inizio del periodo di isolamento è partita ufficialmente in Armenia la missione Amadee-24 organizzata dall’Austrian Space Forum, in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Armena, per aprire la strada alle future missioni di esplorazione dello Spazio. A fornire cibo fresco all’equipaggio sarà Hort3Space, un orto ipertecnologico realizzato da Enea in collaborazione con il Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aerospaziale di Sapienza Università di Roma. Si tratta di un sistema innovativo di coltivazione idroponica multilivello, completamente automatizzato, modulare, dotato di specifiche luci LED e di un braccio robotico integrato.


Fino al 5 aprile 2024 nella regione desertica dell’Ararat, un team di 6 ‘astronauti’ altamente qualificati – tra cui l’italiano Simone Paternostro – lavoreranno in isolamento sia per testare strumenti, apparecchiature e procedure che per condurre esperimenti e progetti che coinvolgono oltre 200 scienziati provenienti da 26 Paesi in tutto il mondo. Nell’orto italiano – si legge nella notizia pubblicata sull’ultimo numero in italiano del settimanale ENEAinform@ – gli astronauti coltiveranno vegetali in grado di adeguarsi alle condizioni estreme sia terrestri che spaziali, come il ravanello rosso e il cavolo rosso, entrambi ricchi di antiossidanti, vitamine e minerali. Allestito all’interno di una camera di coltivazione in una tenda gonfiabile autoportante, Hort3Space permetterà di massimizzare la produzione e di ridurre il consumo delle risorse e il carico di lavoro dell’equipaggio, incrementando al contempo il recupero e il riciclo degli scarti.


Per raggiungere queste finalità, il team di ricerca italiano ha messo a punto un manuale operativo con le procedure per trasferire agli astronauti analoghi tutte le informazioni sull’installazione della piattaforma, l’avvio delle attività in piena autonomia, la manutenzione in caso di arresti e guasti. Il tutto sarà coordinato dal Mission Support Center di Vienna, con cui ci saranno 10 minuti di ritardo nelle comunicazioni al fine di simulare la distanza dalla Terra a Marte, come avviene nelle reali missioni spaziali. Gli esperimenti avviati sull’orto made in Italy serviranno a verificare la fattibilità dell’intero processo di coltivazione idroponica automatizzata, a comprenderne i consumi energetici di risorse idriche e fertilizzanti e a studiarne la produttività. Oltre all’italiano Simone Paternostro, gli astronauti analoghi sono: il comandante Anika Mehlis (Germania), il vice-comandante Robert Wild (Austria), Carmen Köhler (Germania), Iñigo Muñoz Elorza (Spagna) e Thomas Wijnen (Paesi Bassi).


Enea è impegnata da oltre dieci anni nelle attività di ricerca finalizzate alla realizzazione di “orti spaziali” ed è specializzata in particolare nella realizzazione di sistemi ingegnerizzati per la coltivazione di piante in assenza di suolo, di coltivazioni idonee alle condizioni spaziali, come le microverdure, e di varietà vegetali ottimizzate per la coltivazione nello spazio (“ideotipi” spaziali), come il cosiddetto pomodoro “San Marziano” e la lattuga viola. Enea inoltre sta studiando processi di bioconversione degli scarti organici di missione, che una volta trasformati possono fornire nutrienti utili a sostenere la crescita di piante nelle serre spaziali e a produrre fertilizzante o compost direttamente in situ, riducendo al tempo stesso i rifiuti e la fase del loro smaltimento.

La Luna come antenna gravitazionale: studio dei ricercatori GSSI

La Luna come antenna gravitazionale: studio dei ricercatori GSSIRoma, 25 mar. (askanews) – L’esplorazione dell’universo profondo e primordiale potrà avvenire grazie alla Luna, alla sua assenza di atmosfera e al silenzio sismico quasi completo. Lo racconta uno studio condotto dai ricercatori del GSSI – Gran Sasso Science Institute e pubblicato oggi su “Philosophical Transactions” della Royal Society A. La scuola dottorale e centro di studi avanzati dell’Aquila, è da lungo tempo in prima linea nello studio del satellite terrestre e guida una collaborazione internazionale che ha proposto sin dal 2020 all’Agenzia Spaziale Europea di utilizzare la Luna come antenna per un innovativo rivelatore di onde gravitazionali.


Il progetto, – informa il GSSI – denominato LGWA-Lunar Gravitational Wave Antenna, coordinato dal professore del GSSI Jan Harms e ideato insieme ai ricercatori dell’Inaf, l’Istituto Nazionale di Astrofisica, è stato oggetto di un corso didattico che ha coinvolto gli studenti di dottorato, invitati poi dalla Royal Society A a contribuire al numero speciale pubblicato oggi, dal titolo “Astronomy from the Moon: the next decades”. Il numero, curato dagli astronomi e astrofisici Joseph Silk, Ian Crawford, Martin Elvis e John Zarnecki, delinea il futuro utilizzo della Luna per l’osservazione dei segnali primordiali dell’universo e contiene il anche il paper “Opportunities and limits of lunar gravitational-wave detection”, curato dagli studenti GSSI con la supervisione di Harms. “Una nuova finestra si apre sull’esplorazione lunare, dandoci l’opportunità di sfruttare le caratteristiche del nostro satellite per condurre attività scientifiche, in particolare permettendo l’osservazione delle onde gravitazionali come mai fatto prima – spiega Andrea Cozzumbo, dottorando nel corso di Astroparticle Physics e primo firmatario dell’articolo – quando abbiamo cominciato ad osservare il cielo notturno, i nostri telescopi si limitavano a guardare l’Universo attraverso la luce visibile. Ciò è rimasto così per secoli fino all’avvento della radioastronomia, che ci ha fornito la possibilità di esplorare altri tipi di luce provenienti dalla nostra galassia e oltre. Basandosi su questa analogia, la prima misura di onde gravitazionali nel 2015 può essere considerata la ‘prima luce’ in questa nuova era di esplorazione cosmica. Attualmente, la costruzione di rivelatori di onde gravitazionali sulla Luna ci può garantire l’accesso ad altri tipi di onde gravitazionali, aprendo così le porte a nuove sorgenti astrofisiche che emettono radiazione gravitazionale e, incontrovertibilmente, a nuove conoscenze scientifiche”.


Il paper – prosegue il GSSI – esplora le varie configurazioni di un rilevatore lunare di onde gravitazionali che sfrutterebbe le peculiarità del nostro satellite. La Luna, infatti, offre un ambiente freddo e stabile, utile per raggiungere le temperature criogeniche necessarie per le prestazioni ottimali dei futuri strumenti. Inoltre, la sua quasi inesistente attività sismica permette di pensare a nuovi tipi di rivelatori, come appunto LGWA. “Non soltanto siamo davanti al futuro della ricerca, ma è anche iniziato un dibattito per proteggere la Luna e usarla per scopi scientifici. La speranza è di riuscire a raggiungere il polo sud della Luna entro questo decennio. Sforzi simili sono iniziati in altre parti del mondo e stiamo assistendo ad una rapida crescita dell’interesse della comunità scientifica per il rilevamento delle onde gravitazionali lunari. Faremo del nostro meglio per rendere LGWA uno dei concetti vincenti”, conclude Jan Harms.

Progetto Terabit, primo passo per collegare Sardegna a rete Garr-T

Progetto Terabit, primo passo per collegare Sardegna a rete Garr-TRoma, 22 mar. (askanews) – Il progetto TeRABIT entra nella fase esecutiva per la componente di rete con l’acquisizione in uso esclusivo di una porzione del cavo sottomarino BlueMed di Sparkle. Questo – informa una nota – permetterà di estendere GARR-T, la nuova generazione di rete GARR, alla Sardegna unendola, così, al resto della rete della ricerca sul territorio nazionale.


Il progetto TeRABIT, finanziato dal Pnrr e con Infn e Ogs come proponenti e Cineca e Garr come partner, sta realizzando un’infrastruttura di ricerca digitale che integra una rete ad altissime prestazioni con risorse HPC e calcolo distribuito per metterla a disposizione di tutta la comunità scientifica. Grazie all’attuale acquisizione e all’uso di tecnologie all’avanguardia, sarà possibile sfruttare lo spettro ottico del sistema di cavi sottomarini BlueMed. Ciò significa che nella fibra vi saranno più corsie, gestite da Garr, ad uso esclusivo per il traffico dati della ricerca. Questa innovazione rappresenta il primo passo per realizzare il doppio collegamento superveloce in fibra ottica in Sardegna che assicurerà, al mondo della ricerca e dell’università, non solo la rapida trasmissione dei dati, ma anche una maggiore ridondanza e affidabilità che si estende a livello mondiale.


Dal punto di vista tecnologico, si tratta di un risultato finora unico nel panorama nazionale, come spiega Massimo Carboni, Chief Technical Officer di Garr: “Grazie alla tecnologia open cable, che offre la possibilità di gestire liberamente un’ampia gamma di spettro anziché singoli segnali ottici, questo nuovo ponte digitale in fibra ottica eliminerà la distanza dell’isola creando un’integrazione senza interruzioni tra l’infrastruttura GARR-T nella penisola e quella della Sardegna, realizzando di fatto una rete ottica unitaria su tutto il territorio nazionale. Quella di oggi è la prima pietra dell’espansione di GARR-T, che sarà completata entro il 2025 e fornirà una connettività fino a 400 Gbps”. “Siamo orgogliosi di presentare oggi questo primo risultato concreto” ha commentato Mauro Campanella, coordinatore scientifico del progetto TeRABIT. “Stiamo realizzando un’infrastruttura di ampio respiro, perfettamente armonizzata agli altri interventi in corso finanziati dal Pnrr. Una volta operativa, la nuova connessione avvicinerà infrastrutture e ricercatori della Sardegna ai sistemi di calcolo HPC di TeRABIT e alle risorse di ICSC, il Centro Nazionale di Ricerca in HPC, Big Data e Quantum Computing in fase di installazione su tutto il territorio nazionale”.


La nuova connessione di rete supporterà le esigenze delle numerose infrastrutture di ricerca e laboratori presenti in Sardegna e rafforzerà la candidatura dell’area di Sos Enattos per ospitare Einstein Telescope (ET), la futura infrastruttura che sarà realizzata in Europa dedicata alle onde gravitazionali, un rivelatore di terza generazione 10 volte più sensibile rispetto a quelli attualmente esistenti. Una volta completata l’espansione, la rete Garr-T vedrà un aumento di 5.000 km di fibra ottica, raggiungendo una capacità complessiva di circa 40 Tbps in tutta Italia.

Dall’Enea un pomodoro nano per la tavola degli astronauti

Dall’Enea un pomodoro nano per la tavola degli astronautiRoma, 21 mar. (askanews) – Un pomodoro nano arricchito di molecole antiossidanti, utili per la dieta degli astronauti nelle missioni di lunga durata e in grado di resistere alle radiazioni dell’ambiente spaziale è stato sviluppato dall’Enea nell’ambito dei progetti HORTSPACE e BIOxTREME, finanziati dall’Agenzia Spaziale Italiana. I risultati della ricerca sono stati presentati all’Asi, durante il simposio “A tavola nello spazio: produzione, conservazione e preparazione di cibo” in corso a Roma nella sede dell’Agenzia, da Silvia Massa, biotecnologa vegetale del Laboratorio di Biotecnologie del Dipartimento Sostenibilità dell’Enea.


“Siamo partiti dall’ingegnerizzazione di una varietà nana di pomodoro, MicroTom, un formato che più si adatta ai futuri sistemi di coltivazione in avamposti spaziali o sui vettori perché ha una dimensione contenuta ed è adatto a produrre elevati livelli anche in condizioni di agricoltura fuori suolo ad alta densità e sotto luce LED e ha un genoma acclarato, quindi è possibile intervenire sul genoma di questo pomodoro per cercare di fortificare la pianta e renderla più utile alla salute degli astronauti, oltre che a se stessa, perché solamente le piante che riusciranno a sopravvivere e a riprodursi nello spazio garantiranno la sopravvivenza degli astronauti”, spiega ad askanews Silvia Massa a margine del convegno. I ricercatori hanno reintrodotto nell’arsenale del pomodoro le antocianine, molecole che erano presenti nelle varietà di pomodoro ancestrale ma si erano perse durante la domesticazione. “Un pomodoro che reimpari a produrre antocianine serve sia al pomodoro a sopravvivere nello spazio sia agli astronauti”, osserva Silvia Massa.


“Per testare la conservazione dei semi e la coltivazione di queste piante sul suolo marziano siamo partiti dai dati sulle radiazioni forniti da alcuni rover presenti su Marte e altri dati sugli eventi solari e abbiamo immaginato tre scenari in cui questi semi e queste piante potevano essere schermati dalle radiazioni ionizzanti o andare incontro a eventi solari di varia entità. Durante l’esperimento – spiega la biotecnologa dell’Enea – abbiamo valutato settimanalmente le performance della fotosintesi, dell’andamento della crescita e dell’accumulo di queste molecole antiossidanti. In particolare in una delle linee generate siamo riusciti a ottenere un fenotipo particolarmente stabile in tutte le condizioni che abbiamo testato, ottenendo anche una riduzione ulteriore della taglia e un incremento della produzione di semi”. “Stiamo continuando a caratterizzare queste piante, – conclude Silvia Massa – ma abbiamo già indicazioni che questo tipo di intervento genetico possa consentire di avere una pianta ancora più adatta ad andare nello spazio”.

Negri (Asi): nuova sfida, nutrire gli astronauti sulla Luna e oltre

Negri (Asi): nuova sfida, nutrire gli astronauti sulla Luna e oltreRoma, 21 mar. (askanews) – “Se proiettiamo il futuro dell’esplorazione spaziale verso la Luna e Marte non potremo fare quello che facciamo sulla Stazione spaziale internazionale, che dista 400 km e che quindi possiamo rifornire abbastanza facilmente in continuità. Quando saremo a 380mila km dalla Terra, in una base lunare permanente, la sostenibilità dell’avamposto umano sarà fondamentale, ci sarà il problema di nutrire gli astronauti o chi in futuro magari lavorerà nella base spaziale. Quindi il problema principale è trovare il modo di coltivare in loco e di portare dalla Terra cibi che abbiano una lunga durata, e questo pone anche un problema di packaging resistente alle radiazioni, dal momento che l’ambiente lunare è davvero ostile per l’uomo e non solo. Questo simposio è stato organizzato proprio nell’ottica di guardare oltre, alle future esplorazioni umane dello spazio”. Così Barbara Negri, responsabile Volo umano e sperimentazione scientifica dell’Agenzia spaziale italiana, ad askanews a margine del convegno “A tavola nello spazio: produzione, conservazione e preparazione di cibo” in corso a Roma nella sede dell’Agenzia. Il simposio offre l’occasione a ricercatori e aziende di presentare progetti in corso e idee da sviluppare nel campo delle scienze e tecnologie alimentari per applicazioni spaziali.


“Il cibo poi – aggiunge Barbara Negri – non è solo nutrimento ma gioca un ruolo importante nella memoria dell’uomo e nel suo benessere emotivo e psicologico. Le parole chiave dunque sono sostenibilità e supporto piscologico agli astronauti per far fronte all’isolamento, al confinamento e al distacco dalla Terra che sarà veramente forte”. Come spesso accade, la ricerca in ambito spaziale porta benefici anche alla nostra vita sulla Terra che oggi si trova ad affrontare forti stress dovuti al cambiamento climatico. “Abbiamo un problema di deterioramento del nostro pianeta dovuto ai cambiamenti climatici, – prosegue Negri – ci saranno sempre più inondazioni e desertificazioni, che renderanno impossibile la coltivazione in alcune aree. Quindi dobbiamo trovare modalità alternative per garantire il cibo e rendere nuovamente fruibili terreni che per i cambiamenti climatici non lo sono più”.


Mettere a punto sistemi per produrre cibo nello spazio può offrire dunque soluzioni applicabili in futuro anche sul nostro pianeta, risparmiando acqua ed energia, risorse che non possiamo permetterci di sprecare. La ricerca italiana in questo campo, come dimostrato anche dai molti progetti presentati durante l’evento, è molto attiva e offre risultati incoraggianti. “L’Asi, come agenzia nazionale che si occupa di spazio si pone come aggregatore, – aggiunge – ed è impegnata da tempo a preparare un percorso, una strategia in vista della possibilità di portare l’umanità oltre la Stazione spaziale internazionale, lavorando sulla ricerca e lo sviluppo e permettendo la sperimentazione nello spazio”. “In Asi abbiamo iniziato a occuparci di food spaziale 15-20 anni fa. Il rifornimento di cibo sulla Iss così come l’eliminazione delle scorie è fattibile da tempo, così come le sperimentazioni. Ora – conclude Barbara Negri – la sfida si è spostata oltre, con l’esplorazione umana che ha come obiettivo la Luna come tappa intermedia e Marte, o anche oltre, come tappa finale”.

OHB Italia: con Genesis misuriamo la Terra a livello millimetrico

OHB Italia: con Genesis misuriamo la Terra a livello millimetricoMilano, 21 mar. (askanews) – OHB Italia ha firmato un importante contratto con l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) per la missione Genesis.


L’obiettivo è la realizzazione di un osservatorio spaziale unico che misurerà dall’alto la Terra a livello millimetrico. Il satellite si avvarrà per la prima volta nella storia spaziale dell’utilizzo simultaneo di quattro tecnologie geodetiche per mappare il nostro Pianeta. OHB Italia SpA come Prime Contractor hanno sarà responsabile della gestione e del coordinamento del progetto di ingegneria di sistema, della realizzazione del Ground Segment e dell’approvvigionamento dei servizi di lancio, nonché della attività operativa satellitare biennale. Genesis sarà attivo a 6.000 km di altitudine combinando per la prima volta tutte e quattro le principali tecnologie geodetiche sulla stessa piattaforma a bordo di un satellite in orbita, ovvero: Very Long Baseline Interferometry (VLBI), per trasmettere segnali in diverse bande di frequenza al fine di eliminare i ritardi dispersivi ionosferici; Global Navigation Satellite System (GNSS) Receiver, un ricevitore spaziale multi-frequenza e multi-costellazione (Galileo e GPS) di alta qualità; Satellite Laser Ranging (SRL), uno strumento a riflettore laser passivo che assicura un campo visivo adeguato in modalità di puntamento a Terra, il tutto sincronizzato da un Ultra-Stable Oscillator (USO), uno strumento compatto di alta precisione utilizzato per fornire una frequenza stabile.


La missione Genesis fa parte del programma FutureNav approvato dal Consiglio dell’ESA a livello ministeriale lo scorso novembre a Parigi. Lo scopo è di generare un modello globale aggiornato della Terra, l’International Terrestrial Reference Frame (ITRF), con una precisione di 1 mm e una stabilità a lungo termine di 0,1 mm/anno. Questo osservatorio geodetico spaziale all’avanguardia, combinato con le misurazioni delle stazioni di posizionamento geodetico sulla Terra, consentirà di identificare e superare le distorsioni di ciascun metodo. Questo miglioramento avrà un impatto importante su molteplici applicazioni di navigazione e scienze della Terra, tra cui il sistema di navigazione Galileo e la determinazione precisa dell’orbita di tutte le altre missioni spaziali.

Enea brevetta processo per rendere autopulenti gli specchi solari

Enea brevetta processo per rendere autopulenti gli specchi solariRoma, 19 mar. (askanews) – I ricercatori Enea del Centro Ricerche di Portici (Napoli) hanno brevettato un processo a basso costo che rende autopulenti gli specchi degli impianti solari, senza comprometterne la proprietà riflettenti, riducendo il costo dell’energia elettrica prodotta e i consumi d’acqua per il lavaggio.


“Il processo che abbiamo sviluppato permette di affrontare un problema fin qui insoluto grazie ad un processo di rivestimento che modifica la bagnabilità degli specchi, cioè la capacità di entrare in contatto con l’acqua, preservandone le proprietà ottiche e possibilmente svolgendo una funzione protettiva rispetto ad erosione e corrosione”, spiega la referente del progetto Anna Castaldo, ricercatrice del Laboratorio Enea di Energia e accumulo termico e autrice del brevetto insieme ai colleghi Emilia Gambale e Giuseppe Vitiello. Gli impianti solari – si legge nella notizia pubblicata sull’ultimo numero in otaliano del settimanale ENEAinform@ – sono generalmente localizzati in aree semiaride dove l’irraggiamento è molto alto e si sporcano con sabbia, polveri, pollini e deiezioni di volatili; il loro lavaggio, indispensabile per un corretto ed efficiente funzionamento, comporta che il costo dell’energia elettrica prodotta includa le operazioni di pulizia e manutenzione facendo del consumo di acqua uno dei fattori per valutare la profittabilità degli impianti stessi.


“Per ovviare a questo problema abbiamo pensato di cambiare ‘pelle’ agli specchi solari avvalendoci di una tecnica semplicissima quale lo spray a bassa pressione di un materiale proveniente dal settore automobilistico e di una filiera ben consolidata come quella della verniciatura. Infatti, come gli specchi solari, le auto sono esposte alle intemperie, ma vengono lavate usualmente senza che questo ne determini un’usura. Da qui l’idea di selezionare alcuni componenti delle loro vernici, quelli con i requisiti ottici idonei, e adoperarli per rivestire gli specchi”, prosegue Castaldo. “La linea di prodotti di cui si propone un cambio di destinazione d’uso è già presente in commercio e la tecnica spray ad elevato volume d’aria e bassa pressione, nota come HVLP, è una tecnica ampiamente adoperata in quanto ecosostenibile, cioè, scevra dalle problematiche legate alla presenza di propellenti inquinanti. Questo significa che esiste una filiera industriale ben consolidata che la implementa, come ad esempio quella delle vernici per autocarrozzeria e che il processo nella sua interezza è facilmente fruibile dalle aziende interessate”, conclude Castaldo.


L’invenzione è applicabile in tutti quei settori, come fotovoltaico, anti-ghiaccio/brina e illuminazione per esterni, dove è richiesta una modulazione della bagnabilità abbinata a trasparenza e resistenza alle intemperie. Il brevetto, che ha un indice di trasferimento tecnologico elevato su specchi nuovi (TRL 7-8), copre anche la possibilità del retrofitting, ossia l’applicazione su specchi solari già installati.

Julie Lenoir e Maela Guyomarc’h nel comitato esecutivo di Arianespace

Julie Lenoir e Maela Guyomarc’h nel comitato esecutivo di ArianespaceRoma, 18 mar. (askanews) – Julie Lenoir è stata nominata Direttrice della Comunicazione e del Marchio di Arianespace con effetto dal 18 marzo 2024. Dopo aver iniziato a ricoprire ruoli di comunicazione e marketing nella consulenza e nell’industria, in particolare presso Saint-Gobain e Dassault Aviation, Julie Lenoir è entrata in Safran nel 2017. Dal 2022 è stata responsabile delle comunicazioni spaziali all’interno del dipartimento comunicazioni di Safran Electronics & Defense, dove ha svolto un ruolo chiave nel promuovere Safran come fornitore sovrano e indipendente dell’industria spaziale. È stata inoltre responsabile degli eventi di gestione del Presidente e della strategia di comunicazione per le principali acquisizioni.


Julie Lenoir, 34 anni, è laureata all’Ecole Supérieure de Commerce (ESC) di Montpellier e contribuisce alla rete “Elles bougent”, che incoraggia le giovani donne a diventare ingegneri. Maëla Guyomarc’h diventa Direttore delle Risorse Umane di Arianespace a partire dal 4 marzo 2024. Con 20 anni di esperienza nella gestione di progetti HR, Maëla Guyomarc’h (51) ha lavorato con diverse aziende multisettoriali in Francia e all’estero, tra cui EDF, Loto-Québec, IFP Energies Nouvelles e, più recentemente, Arianespace come HR Development Manager e poi Deputy HR Director.


Di nazionalità franco-canadese, Maela Guyomarc’h ha conseguito una laurea in management presso l’Università di Parigi-Dauphine e un diploma post-laurea in gestione delle risorse umane presso l’Università di Parigi 1 Panthéon-Sorbonne. Stéphane Israël, Amministratore Delegato di Arianespace, ha dichiarato: “Julie e Maëla entrano a far parte del Comitato esecutivo di Arianespace in un momento chiave per l’azienda e i suoi clienti, caratterizzato dall’avvio delle operazioni di Ariane 6 e dalla preparazione di una nuova struttura di governance a fianco di ArianeGroup. La loro esperienza e la loro energia saranno preziose per noi nel sostenere questa trasformazione e garantirne il successo”.

Da Enea biostampante 3D per accelerare la ricerca sui tumori

Da Enea biostampante 3D per accelerare la ricerca sui tumoriRoma, 15 mar. (askanews) – Enea ha messo a punto una biostampante a basso costo, denominata BioVERVE in grado di ‘riprodurre’ modelli in 3D di tumori, con l’obiettivo di affinare la ricerca di nuove terapie oncologiche. È stata realizzata in collaborazione con l’azienda toscana Kentstrapper Srl, grazie a un finanziamento POC (Proof of Concept), e le sue prestazioni sono paragonabili a quelle di una biostampante professionale, permettendo di ottenere strutture cellulari tridimensionali con precisione e rapidità di stampa (poche decine di secondi per costrutto).


“Rispetto alle tradizionali culture in vitro, i modelli 3D biostampati sono in grado di mimare in maniera più efficace il tessuto umano, sano o patologico, fornendo un modello complementare per studi sugli effetti delle radiazioni e delle terapie chemioterapiche sui tumori”, spiega Francesca Antonelli, ricercatrice del Laboratorio Enea di Tecnologie biomediche, che ha seguito il progetto insieme alla responsabile della Divisione Enea di Tecnologie e metodologie per la salvaguardia della salute, Mariateresa Mancuso, e ai colleghi Paolo D’Atanasio, Antonio Rinaldi, Alessandro Zambotti. “Sebbene negli ultimi dieci anni ci sia stato un incremento significativo nell’utilizzo di modelli 3D da parte dei ricercatori impegnati nella lotta contro il cancro, l’impatto è stato limitato dai costi elevati delle biostampanti professionali in commercio (tra i 50 e 200 mila dollari). Ecco, quindi, la nostra idea di trasformare una stampante 3D a basso costo in una biostampante 3D home-made in grado di stampare con ottimi risultati un modello tridimensionale di medulloblastoma, il principale tumore cerebrale pediatrico”, prosegue la ricercatrice.


Attualmente, – si legge nella notizia pubblicata sull’ultimo numero in italiano del settimanale ENEAinform@ – nonostante gli intensi sforzi dedicati ai test preclinici, molte promettenti terapie faticano a passare con successo dalla fase di laboratorio a quella della pratica clinica. Una spiegazione plausibile della discrepanza osservata tra i risultati ottenuti in fase preclinica e quelli clinicamente riportati potrebbe derivare proprio dalla mancanza di modelli cellulari preclinici in grado di replicare fedelmente la complessità del contesto clinico. Grazie alle ottime prestazioni e ai bassi costi garantiti dalla biostampante 3D sviluppata da Enea, i ricercatori potranno mettere a punto e, soprattutto, testare nuovi approcci terapeutici per migliorare la sopravvivenza dei pazienti affetti da cancro. “La possibilità di modificare le stampanti 3D non professionali per adattarle ai processi di biostampa è in grado di ridurre in modo considerevole i costi di acquisizione della strumentazione da parte dei laboratori, consentendo l’accesso alla tecnologia da parte di una più vasta platea di ricercatori e, di conseguenza, aprendo la strada a nuove linee di ricerca biomedica”, conclude Francesca Antonelli.