La volta che l’umanità rischiò l’estinzioneRoma, 1 set. (askanews) – Tra 930 e 813 mila anni fa la popolazione dei nostri antenati si ridusse di circa il 98,7%, arrivando a contare solo circa 1.300 individui fertili: un numero paragonabile alle specie a rischio di estinzione. A causare la drammatica crisi demografica alla fine del Pleistocene Inferiore sarebbero stati i drastici cambiamenti climatici di quel periodo.
É quanto emerge da uno studio genetico e antropologico internazionale pubblicato sulla rivista internazionale “Science”, alla quale hanno partecipato un gruppo di ricercatori cinesi e italiani, tra cui esperti dell’Accademia Cinese delle Scienze, dell’Università Normale Orientale di Shanghai, dell’Università del Texas, della Sapienza Università di Roma e dell’Università di Firenze.Grazie a un innovativo metodo bioinformatico, chiamato “FitCoal” – informa Sapienza – i ricercatori hanno esaminato i genomi completi di 3.154 individui attuali, appartenenti a 50 diverse popolazioni umane, e hanno combinato questi dati con informazioni paleoambientali (clima) e paleoantropologiche (fossili) che consentissero di risalire a periodi preistorici precedenti all’apparizione della nostra specie, come spiega il prof. Haipeng Li che ha coordinato la ricerca. I risultati dello studio hanno infatti rivelato che tra 930 e 813 mila anni fa la popolazione dei nostri antenati si ridusse di circa il 98,7%, arrivando a contare solo circa 1.300 individui fertili: un numero paragonabile alle specie a rischio di estinzione, come sono ad esempio gli attuali panda.
Tale fenomeno, noto come “collo di bottiglia” (bottleneck) genetico, è stato con ogni probabilità dovuto ai drastici cambiamenti climatici che caratterizzano la cosiddetta “transizione medio-pleistocenica”. Successivamente a un milione di anni fa i cicli glaciali e interglaciali si ampliarono a livello planetario, portando a condizioni di estrema aridità in Africa e a estinzioni di intere comunità di grandi mammiferi. Queste avverse condizioni climatiche e ambientali resero la sopravvivenza estremamente difficile anche per i nostri antenati, portandoli sull’orlo dell’estinzione. L’evento sarebbe stato tanto catastrofico quanto generativo, dando probabilmente origine a una specie che viene ritenuta ancestrale all’evoluzione di noi Homo sapiens (cosa che avvenne successivamente in Africa).Questi risultati genetici trovano conferma nell’assenza di fossili umani in quel periodo. È stata infatti rilevata una lacuna di circa 300 mila anni che coincide quasi perfettamente con il periodo del collasso demografico rilevato dallo studio. Precedentemente a circa un milione di anni fa ci sono abbondanti evidenze paleoantropologiche, ma intorno a 950 mila anni fa queste scompaiono quasi completamente dall’intero continente africano (come anche in Eurasia), per tornare ad aumentare solo dopo 650.000 anni fa con reperti che vengono solitamente attribuiti alla specie Homo heidelbergensis.
“Questo periodo di crisi demografica – spiega Giorgio Manzi della Sapienza Università di Roma – potrebbe aver giocato un ruolo fondamentale nell’evoluzione umana. Durante un bottleneck, i normali equilibri ecologici e genetici vengono sconvolti, aumentando la probabilità che si vengano a fissare varianti genetiche inattese, contribuendo all’emergere di una nuova specie”.“Questa nuova specie è probabilmente Homo heidelbergensis – sottolinea Fabio Di Vincenzo dell’Università di Firenze – che possiamo considerare un vero e proprio ultimo antenato comune, ossia la forma umana che si diffuse dall’Africa in Eurasia, dando origine all’evoluzione di tre diverse specie: Homo sapiens in Africa, i Neanderthal in Europa e i Denisova in Asia”.