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Con crisi climatica e ungulati a rischio tartufo bianco toscano

Con crisi climatica e ungulati a rischio tartufo bianco toscanoRoma, 15 nov. (askanews) – I cambiamenti climatici con il caldo eccessivo e la siccità e l’enorme presenza di ungulati che rovistano il terreno stanno mettendo a rischio il tartufo bianco toscano. E se la politica non interverrà incentivando chi lavora nelle tartufaie, e in primis contrassegnando le zone tartufigene del bianco pregiato come terreni agricoli, “rischiamo di fare promozione del nostro territorio con i tartufi che entrano dalla Croazia: mi pare controproducente”. Lo ha detto ad Askanews Paolo Valdambrini, presidente dell’Associazione tartufai senesi.

“L’annata 2023, come le altre 3 precedenti – spiega Valdambrini – è direttamente proporzionale a un clima che sta facendo di anno in anno diminuire produzione e raccolta”. Per quanto riguarda la qualità, è “abbastanza buona, ma per migliorarla servirebbe più freddo”. Tasto dolente la quantità, “decisamente non in linea con le annata migliori”. Complessa la dinamica dei prezzi, che quest’anno a inizio novembre oscillavano tra 1.800 e 3.500 euro a secondo delle pezzature. Adesso, “il prezzo sta scendendo perhé le fiere e le mostre mercato del tartufo bianco sono quasi finite e tra una o due settimane potrebbero aggirarsi sui 2.800 euro al chilo. Nelle annate con una quantità adeguata di prodotto, invece, i prezzi si aggirano sui 1.500-2.000 euro: insomma, l’aspetto climatico è dannosissimo anche per il consumatore, che si trova davanti a un prodotto a prezzi molto alti”.

“I cambiamenti climatici – sottolinea Valdambrini – riducono la raccolta di circa il 60% e il danno prodotto dall’emergenza ungulati influisce per un altro 30%. I cinghiali devastano totalmente le aree tartufigene e stanno aumentando a dismisura. Le buche che fanno nelle tartufaie distruggono il micelio che si forma circa 15 centimetri sotto terra e così distruggono le radici e la fase iniziale della nascita del tartufo è compromessa”. Cosa potrebbe fare la politica per far sì che una eccellenza tutta italiana come il tartufo bianco non si perda? “Bisogna capire che la manutenzione e i miglioramento dei terreni che servono per migliorare l’habitat naturale del tartufo sono vere e proprie colture agricole – dice Valdambrini – Le lavorazioni nelle tartufaie sono lavori agricoli a tutti gli effetti: pulizia, irrigazione, messa a dimora di nuove piantine tartufigene. In questo non c’è differenza tra tartufo nero e bianco pregiato. Chiedo alla politica di incentivare chi lavora, altrimenti rischiamo di non avere più tartufo italiano”.

Insomma, considerando che “in Italia entra tartufo dalla Croazia, credo sia controproducente fare promozione dei nostri territori con tartufi croati. Le aree tartufigene vanno salvate, serve un cambio di mentalità della politica in Italia”. Sotto accusa, ad esempio, la legge regionale toscana, secondo la quale “le aree tartufigene del bianco non sono terreno agricolo, invece devono esserlo e si deve incentivare la lavorazione di queste aree. Bisogna inziare a parlare seriamente di coltivazione del tartufo bianco – avverte il presidente dei tartufai senesi – la differenza tra tartuo nero e bianco è che per il nero io posso comprare le piante e piantarle in un terreno ex seminativo, per il bianco questo non lo si può fare. Ma le altre attività sono tutte agricole: irrigazione, messa a dimora, cura del verde. E la tutela dei boschi tartufigeni va messa al primo posto”, ha concluso.