Confcommercio: 100mila negozi spariti dal 2012 a oggi
Confcommercio: 100mila negozi spariti dal 2012 a oggi
Aumentano attività di alloggio e ristorazione. Sempre più imprese gestite da stranieri
Roma, 27 feb. (askanews) – Tra il 2012 e il 2022 sono sparite, complessivamente, oltre 99mila attività di commercio al dettaglio e 16mila imprese di commercio ambulante; in crescita alberghi, bar e ristoranti (+10.275); nello stesso periodo, cresce la presenza straniera nel commercio, sia come numero di imprese (+44mila), sia come occupati (+107mila) e si riducono le attività e gli occupati italiani (rispettivamente -138mila e -148mila).
Nelle 120 città medio-grandi, la riduzione di attività commerciali e la crescita dell’offerta turistica risultano più accentuate nei centri storici rispetto al resto del comune, con il Sud caratterizzato da una maggiore vivacità commerciale rispetto al Centro-Nord. Questi i principali risultati dell’analisi dell’Ufficio Studi di Confcommercio “Demografia d’impresa nelle città italiane”.
Cambia anche il tessuto commerciale all’interno dei centri storici con sempre meno negozi di beni tradizionali (libri e giocattoli -31,5%, mobili e ferramenta -30,5%, abbigliamento -21,8%) e sempre più servizi e tecnologia (farmacie +12,6%, computer e telefonia +10,8%), attività di alloggio (+43,3%) e ristorazione (+4%).
La modificazione e la riduzione dei livelli di servizio offerto dai negozi in sede fissa confina con il rischio di desertificazione commerciale delle nostre città dove, negli ultimi 10 anni, la densità commerciale è passata da 9 a 7,3 negozi per mille abitanti (un calo di quasi il 20%). Per evitare gli effetti più gravi di questo fenomeno, per il commercio di prossimità non c’è altra strada che puntare su efficienza e produttività anche attraverso una maggiore innovazione e una ridefinizione dell’offerta. E rimane fondamentale l’omnicanalità, cioè l’utilizzo anche del canale online che ha avuto una crescita esponenziale negli ultimi anni, con le vendite passate da 16,6 mld nel 2015 a 48,1mld nel 2022. Elemento, questo, che ha contribuito maggiormente alla desertificazione commerciale ma che rimane comunque un’opportunità per il commercio “fisico” tradizionale.
Tutte le attività considerate – sottolinea Confcommercio – ammontano a poco meno di 884mila unità che è la somma di dettaglio in sede fissa, ambulanti e alberghi e pubblici esercizi più le altre attività di commercio al di fuori dai negozi. Tanto per il totale Italia quanto per le 120 città considerate, se è possibile affermare che il tessuto produttivo e commerciale abbia tenuto molto bene durante la pandemia e abbia attraversato con successo le più difficili fasi della crisi energetica, allo stesso tempo è necessario rimarcare la perdita di tessuto commerciale in sede fissa, con una riduzione del numero di punti di vendita attorno al 4% tra il 2019 e il 2022, valore che supera il 9% per gli ambulanti. Rispetto al 2012, le perdite oggi valgono quasi 100mila unità per il dettaglio in sede fissa, di cui un quarto circa nelle 120 città considerate.
La crescita delle attività di alloggio e ristorazione non compensa le riduzioni del commercio, ma modifica in misura rilevante le caratteristiche dell’offerta nelle città e nell’economia in generale. Complessivamente, la doppia crisi pandemica ed energetica sembra avere enfatizzato i trend di riduzione della densità commerciale già presenti prima di tali shock. L’entità del fenomeno non può che destare preoccupazione.
Nelle 120 città medio-grandi, la riduzione di attività commerciali e la crescita dell’offerta turistica risultano più accentuate nei centri storici rispetto al resto del comune, con il Sud caratterizzato da una maggiore vivacità commerciale rispetto al Centro-Nord. Questi i principali risultati dell’analisi dell’Ufficio Studi di Confcommercio “Demografia d’impresa nelle città italiane”.
Cambia anche il tessuto commerciale all’interno dei centri storici con sempre meno negozi di beni tradizionali (libri e giocattoli -31,5%, mobili e ferramenta -30,5%, abbigliamento -21,8%) e sempre più servizi e tecnologia (farmacie +12,6%, computer e telefonia +10,8%), attività di alloggio (+43,3%) e ristorazione (+4%).
La modificazione e la riduzione dei livelli di servizio offerto dai negozi in sede fissa confina con il rischio di desertificazione commerciale delle nostre città dove, negli ultimi 10 anni, la densità commerciale è passata da 9 a 7,3 negozi per mille abitanti (un calo di quasi il 20%). Per evitare gli effetti più gravi di questo fenomeno, per il commercio di prossimità non c’è altra strada che puntare su efficienza e produttività anche attraverso una maggiore innovazione e una ridefinizione dell’offerta. E rimane fondamentale l’omnicanalità, cioè l’utilizzo anche del canale online che ha avuto una crescita esponenziale negli ultimi anni, con le vendite passate da 16,6 mld nel 2015 a 48,1mld nel 2022. Elemento, questo, che ha contribuito maggiormente alla desertificazione commerciale ma che rimane comunque un’opportunità per il commercio “fisico” tradizionale.
Tutte le attività considerate – sottolinea Confcommercio – ammontano a poco meno di 884mila unità che è la somma di dettaglio in sede fissa, ambulanti e alberghi e pubblici esercizi più le altre attività di commercio al di fuori dai negozi. Tanto per il totale Italia quanto per le 120 città considerate, se è possibile affermare che il tessuto produttivo e commerciale abbia tenuto molto bene durante la pandemia e abbia attraversato con successo le più difficili fasi della crisi energetica, allo stesso tempo è necessario rimarcare la perdita di tessuto commerciale in sede fissa, con una riduzione del numero di punti di vendita attorno al 4% tra il 2019 e il 2022, valore che supera il 9% per gli ambulanti. Rispetto al 2012, le perdite oggi valgono quasi 100mila unità per il dettaglio in sede fissa, di cui un quarto circa nelle 120 città considerate.
La crescita delle attività di alloggio e ristorazione non compensa le riduzioni del commercio, ma modifica in misura rilevante le caratteristiche dell’offerta nelle città e nell’economia in generale. Complessivamente, la doppia crisi pandemica ed energetica sembra avere enfatizzato i trend di riduzione della densità commerciale già presenti prima di tali shock. L’entità del fenomeno non può che destare preoccupazione.