Ismea, nel 2022 aumento record spesa alimentare: è costata il 6,4% in più
Ismea, nel 2022 aumento record spesa alimentare: è costata il 6,4% in più
Prezzo pasta +25%. Famiglie con figli piccoli le più penalizzate
Milano, 27 feb. (askanews) – Il 2022 chiude con un aumento record della spesa alimentare domestica: il carrello, secondo i dati dell’Osservatorio sui consumi alimentari Ismea-NielsenIQ, lo scorso anno è costato agli italiani il 6,4% in più rispetto all’anno precedente, con dinamiche che si acuiscono nei mesi da agosto a dicembre (sempre sopra il 10%). Tale valore percentuale, inferiore all’inflazione, è frutto della diversa composizione merceologica del carrello della spesa e della riduzione delle quantità acquistate in conseguenza proprio delle strategie messe in atto dai consumatori per ridurre l’impatto dell’inflazione. L’incremento, sottolinea l’Osservatorio, va a sommarsi a quelli dei cinque anni precedenti ed è tra i più alti dopo il +7,4% dell’eccezionale anno 2020, che, tuttavia, comprendeva il limitatissimo ricorso ai canali extradomestici.
Sulla base dei dati dell’Osservatorio sui consumi Ismea-NielsenIQ, sono stati i consumatori e i nuclei familiari più giovani a fare i sacrifici maggiori. In particolare, le famiglie con figli piccoli più di altre hanno subito l’inflazione e contratto la spesa per i consumi in casa: bollette, baby-sitter, mutui o affitti, si legge nel rapporto, assorbono buona parte degli stipendi costringendo a rinunce che investono anche il comparto alimentare. Le “famiglie con figli grandi” sono meno sensibili alla crisi, mantengono il carrello quasi inalterato a fronte dell’incremento della spesa. I giovani single, infatti, hanno “alleggerito” il carrello del 6,4% rispetto al 2021 e anche per le cosiddette new families (quelle con bambini in età pre-scolare) gli acquisti si sono ridotti del 3,6% rispetto al 2021, segnando un -6,3% rispetto a Pre-covid.
Se guardiamo, invece, a come è cambiato lo scontrino notiamo un aumento della spesa per tutti i comparti alimentari ad eccezione di quelli dei prodotti ittici e del vino. Tuttavia, sottolinea il rapporto, vi sono due categorie di cibo a cui non si intende rinunciare: quello più sobrio e di base (uova, pasta, pane, tonno, mele ecc.), da un lato, cui si aggiunge quello definito “di compiacimento” come le creme spalmabili (+18%), i gelati (+16%), i dolci da ricorrenza (+14%), gli snack salati (+12,9). Un’ulteriore evoluzione riguarda le Mdd, ovvero le marche del distributore, che sempre più stanno diventando marche a tutti gli effetti. Il consumo di prodotti a “marca del distributore” raggiunge a settembre il 30% sul totale food (inclusi i discount), mantenendo stabile la crescita di questa categoria che in altri Paesi ha già toccato il 40%. Secondo quanto pubblicato nel XIV Rapporto annuale sulla marca del distributore, nei discount i prodotti private label arrivano al 57%, proprio perché la loro prima ragione d’essere è il prezzo conveniente.
Guardando alle varie categorie merceologiche, è aumentata soprattutto la spesa relativa a pasta e derivati dei cereali (+11,6): questi, infatti, sono tra i prodotti che più evidenziano l’aumento di prezzo di questi mesi. Per la pasta di semola si tratta di un +25% del prezzo medio a fronte di un volume sostanzialmente stabile rispetto al 2021. Per il pane l’aumento del prezzo del 12,9% si accompagna addirittura a un incremento dei volumi del 4%. Evidente espansione della spesa per gli oli vegetali (+16,7%) con il contributo eccezionale degli oli di semi (+34,1%); da evidenziare all’interno del comparto grassi vegetali l’aumento della spesa per il burro di arachidi (+45,8%). L’olio extravergine di oliva registra un +14% del prezzo e un -6% dei volumi. Aumenti a doppia cifra anche per bevande analcoliche (+12,4%), carni (+9,9%) e prodotti lattiero caseari (+8,6%), in molti casi in presenza di volumi di acquisto stabili o inferiori rispetto all’anno precedente. Incrementi di minore intensità hanno interessato il reparto ortofrutticolo (+3%), mentre i vini e i prodotti ittici sono gli unici a segnare una concreta riduzione della spesa, -2% nel primo caso, -3,4% nel secondo caso, con variazioni negative soprattutto per il segmento del pesce fresco, tra gli alimenti più penalizzati. Osservando più da vicino il comparto vini e bevande, si nota come, complici un’estate calda e la riapertura del “fuori casa”, gli alcolici siano in netta flessione. A soffrire la contrazione soprattutto i vini che, con una flessione di spesa del 2,2%, vedono il carrello alleggerirsi del 6,7% in volume. Di contro, si registrano +3% in volume e +11% in valore per l’acqua in bottiglia e +5,2% in volume, +12,4% in valore per le bevande analcoliche. Lievi contrazioni di volume per la birra (-2,5%), a fronte di un aumento del prezzo che mediamente si aggira attorno al 4%.
In generale l’aumento della spesa risulta maggiore per i prodotti confezionati rispetto a quelli sfusi (+6,9% vs il +5,2% dello sfuso), per effetto dei rincari che hanno colpito anche i materiali di confezionamento e la logistica.
Sulla base dei dati dell’Osservatorio sui consumi Ismea-NielsenIQ, sono stati i consumatori e i nuclei familiari più giovani a fare i sacrifici maggiori. In particolare, le famiglie con figli piccoli più di altre hanno subito l’inflazione e contratto la spesa per i consumi in casa: bollette, baby-sitter, mutui o affitti, si legge nel rapporto, assorbono buona parte degli stipendi costringendo a rinunce che investono anche il comparto alimentare. Le “famiglie con figli grandi” sono meno sensibili alla crisi, mantengono il carrello quasi inalterato a fronte dell’incremento della spesa. I giovani single, infatti, hanno “alleggerito” il carrello del 6,4% rispetto al 2021 e anche per le cosiddette new families (quelle con bambini in età pre-scolare) gli acquisti si sono ridotti del 3,6% rispetto al 2021, segnando un -6,3% rispetto a Pre-covid.
Se guardiamo, invece, a come è cambiato lo scontrino notiamo un aumento della spesa per tutti i comparti alimentari ad eccezione di quelli dei prodotti ittici e del vino. Tuttavia, sottolinea il rapporto, vi sono due categorie di cibo a cui non si intende rinunciare: quello più sobrio e di base (uova, pasta, pane, tonno, mele ecc.), da un lato, cui si aggiunge quello definito “di compiacimento” come le creme spalmabili (+18%), i gelati (+16%), i dolci da ricorrenza (+14%), gli snack salati (+12,9). Un’ulteriore evoluzione riguarda le Mdd, ovvero le marche del distributore, che sempre più stanno diventando marche a tutti gli effetti. Il consumo di prodotti a “marca del distributore” raggiunge a settembre il 30% sul totale food (inclusi i discount), mantenendo stabile la crescita di questa categoria che in altri Paesi ha già toccato il 40%. Secondo quanto pubblicato nel XIV Rapporto annuale sulla marca del distributore, nei discount i prodotti private label arrivano al 57%, proprio perché la loro prima ragione d’essere è il prezzo conveniente.
Guardando alle varie categorie merceologiche, è aumentata soprattutto la spesa relativa a pasta e derivati dei cereali (+11,6): questi, infatti, sono tra i prodotti che più evidenziano l’aumento di prezzo di questi mesi. Per la pasta di semola si tratta di un +25% del prezzo medio a fronte di un volume sostanzialmente stabile rispetto al 2021. Per il pane l’aumento del prezzo del 12,9% si accompagna addirittura a un incremento dei volumi del 4%. Evidente espansione della spesa per gli oli vegetali (+16,7%) con il contributo eccezionale degli oli di semi (+34,1%); da evidenziare all’interno del comparto grassi vegetali l’aumento della spesa per il burro di arachidi (+45,8%). L’olio extravergine di oliva registra un +14% del prezzo e un -6% dei volumi. Aumenti a doppia cifra anche per bevande analcoliche (+12,4%), carni (+9,9%) e prodotti lattiero caseari (+8,6%), in molti casi in presenza di volumi di acquisto stabili o inferiori rispetto all’anno precedente. Incrementi di minore intensità hanno interessato il reparto ortofrutticolo (+3%), mentre i vini e i prodotti ittici sono gli unici a segnare una concreta riduzione della spesa, -2% nel primo caso, -3,4% nel secondo caso, con variazioni negative soprattutto per il segmento del pesce fresco, tra gli alimenti più penalizzati. Osservando più da vicino il comparto vini e bevande, si nota come, complici un’estate calda e la riapertura del “fuori casa”, gli alcolici siano in netta flessione. A soffrire la contrazione soprattutto i vini che, con una flessione di spesa del 2,2%, vedono il carrello alleggerirsi del 6,7% in volume. Di contro, si registrano +3% in volume e +11% in valore per l’acqua in bottiglia e +5,2% in volume, +12,4% in valore per le bevande analcoliche. Lievi contrazioni di volume per la birra (-2,5%), a fronte di un aumento del prezzo che mediamente si aggira attorno al 4%.
In generale l’aumento della spesa risulta maggiore per i prodotti confezionati rispetto a quelli sfusi (+6,9% vs il +5,2% dello sfuso), per effetto dei rincari che hanno colpito anche i materiali di confezionamento e la logistica.