I Motus e Cassandra, che non era previsto sopravvivesse
I Motus e Cassandra, che non era previsto sopravvivesseMilano, 1 mar. (askanews) – I codici espressivi sono riconoscibili: la visione artistica dei Motus attraversa come una struttura neurale complessa la performance. Ci sono le luci al neon, le musiche, il richiamo all’epica e la sua costante destrutturazione operata dalle donne, tragiche e poderose sulla scena. In questo caso la sola Stefania Tansini, una Cassandra preziosa e frenetica, carica di energia performativa e di consapevolezza dello spazio del palco, che il suo corpo occupa senza ingombrarlo, anzi lasciando che le piume, le luci o l’albero siano soggetti di realtà, intorno a i quali si muove una presenza inafferrabile, sfocata come ogni vita condannata alla lucidità della visione. Lo spettacolo è “Of the Nightingale I Envy the Fate” e lo scenario è il FOG Festival in Triennale a Milano.
“Dell’usignolo invidio la sorte” dice Cassandra nell’Orestea e tutto, nell’opera dei Motus, ruota intorno a questa dimensione animale: metamorfosi, ibridazione, crasi (e da qui anche crisi). Tutto torna nel fuoco di un racconto danzato che è breve, intenso, ripensandoci dopo lo spettacolo sovviene anche l’aggettivo “fulminante”, ma forse sarebbe più corretta la forma “fulmineo”. Perché colpisce rapido, improvviso, come un fremito del corpo della profetessa avvolta dalle piume. Ma lascia delle cicatrici, della cui esistenza noi spettatori ci accorgiamo dopo, una volta lasciato il nostro posto, una volta usciti dalla Triennale e tornati in quel mondo che Cassandra ha visto più (forte) di noi. Cicatrici che affondano nel nostro Tempo e nella nostra Cultura, che nasce sempre da una ferita originale.
La performance si muove con il tono e il ritmo di un rituale, con tutto ciò che di selvaggio e violento questa dimensione porta con sé, come ha ben insegnato René Girard nelle sue riflessioni sul sacro. Ma il sacrifico è anche un modo per allontanare disgrazie ulteriori, quelle stesse che Cassandra/Tansini ha visto, con i suoi occhi mentali e noi vediamo attraverso il suo corpo frenetico e plurale. Il destino, quello della tragedia, è comunque segnato, non c’è scampo al Fato (e alla grandezza della letteratura greca potremmo aggiungere) e a ricordarcelo, con un crogiuolo di sensazioni tipico della pratica di Daniela Nicolò ed Enrico Casagrande, sono anche i versi di Audre Lorde, poetessa caraibico-americana, che fanno da contorcampo all’intero spettacolo, per arrivare poi sul proscenio a fine performance.
La “Litania per la sopravvivenza” è un canto “per quelle di noi che vivono sul margine” ed è una forma di poetica dello sguardo di questa Cassandra, questa donna che – come succedeva in un altro importante spettacolo dei Motus, “Tutto brucia” – si pone al di fuori della struttura storico-politico-culturale, al di fuori anche dello spazio rigidamente umano, ibridandosi con la natura. E in questo “porsi fuori” alimenta lo scandalo del femminino (sacro, molto probabilmente) che la Storia ha deciso di combattere. Da qui la violenza anche della risposta, sotto forma di danza, di suoni, di irrinunciabile, seppur destinata al fallimento, affermazione del sé. Avendo comunque ben presente, come canta la poetessa, “che non era previsto che noi sopravvivessimo”. Ma in qualche modo Cassandra è ancora qui, e noi spettatori davanti a lei.
(Leonardo Merlini)