L’Ucraina entra nel terzo anno di guerra contro la Russia tra incognite e speranze
L’Ucraina entra nel terzo anno di guerra contro la Russia tra incognite e speranzeRoma, 23 feb. (askanews) – La guerra in Ucraina entra domani nel terzo anno, con nessuna soluzione in vista, una crescente contrapposizione tra Russia e Occidente e il G7 con presidenza italiana significativamente riunito a Kiev. Molte incognite, nella generale convinzione che, in un modo o nell’altro, il 2024 sarà l’anno decisivo per l’esito del conflitto scatenato dall’invasione russa due anni fa.
DOPO MESI DI STALLO I RUSSI SPINGONO, KIEV SPERA NEGLI AIUTI OCCIDENTALI Sulla linea del fronte, dopo fasi ad alterne sorti, vige una sorta di stallo che sembra favorire la parte russa. L’invasione russa del 24 febbraio 2022 mirava a prendere il controllo di Kiev e probabilmente a ottenere un cambio di regime: fallimento su entrambi i punti, sulla scia di una reazione ucraina inattesa in termini di efficacia e resilienza. Così da marzo di due anni fa le forze russe hanno ripiegato verso Sud e Sud-est, arrivando a controllare, non senza difficoltà, la maggioranza del Donbass e la fascia litoranea luogo il mar Nero, da Mariupol a Kherson, corridoio di continuità territoriale con la Crimea a cui difficilmente Mosca vorrà rinunciare.
A fine estate del 2022 l’esercito ucraino ha condotto con successo una controffensiva a Kaherson e nell’oblast di Kharkiv, costringendo i russi a ritirarsi da diverse città nelle regioni dichiarate annesse alla Federazione russa a settembre. In vista di una maggiore controffensiva ucraina nel 2023, la Federazione russa è poi passata sulla difensiva, costruendo le famose ‘linee Surovikin’ dal nome del generale a capo delle operazione all’epoca, poi allontanato per i suoi rapporti con Evgenij Prigozhin, il capo del gruppo paramilitare Wagner morto la scorsa estate in un misterioso incidente aereo. Le fortificazioni hanno limitato fortemente l’azione di manovra ucraina e contribuito al fallimento della tanto annunciata controffensiva dell’estate 2023. E la recente presa di Avdijvka permette ai russi di rafforzare le linee difensive sopra Donetsk e preparare, in teoria, altri affondi.
In questa fase la situazione è considerata da gran parte degli analisti militari favorevole alla Russia, che conta di sfruttare il vantaggio in termini di uomini, munizioni ed equipaggiamenti. Il Cremlino avrebbe ordinato di sfondare le linee di difesa ucraine prima che gli ucraini possano contrare sul campo su nuovi aiuti occidentali: almeno 60 cacciabombardieri F16, artiglieria e cannoni da 155 MM e altri equipaggiamenti che potrebbero fare la differenza, ma che non sembrano poter arrivare a Kiev prima della fine dell’anno in corso. I russi sono d’altra parte in difficoltà sul fronte marittimo, che ha visto le navi della Flotta del Mar Nero ripetutamente nel mirino degli attacchi ucraini, con consistenti successi. IL PROBLEMA DEI FRONTI INTERNI
E’ diffusa opinione tra gli analisti militari che, in assenza di uno sfondamento da parte russa, il conflitto durerà ancora a lungo. Una prospettiva che chiama in causa la tenuta del fronte interno sia da parte russa che ucraina. Mosca ha virato verso l’economia di guerra e ogni minimo dissenso viene represso: su questo sfondo, la morte in carcere dell’oppositore Aleksey Navalny fa temere al Cremlino nuove fibrillazioni, che sembravano esaurite dopo la fuga di centinaia di migliaia di russi in seguito alla prima ondata di mobilitazione. Le prossime elezioni presidenziali a marzo porteranno alla rielezione di Vladimir Putin per un quinto mandato non consecutivo, che verrà tradotto in plebiscito per il leader e per la guerra da lui iniziata e dichiarata esistenziale per la Federazione russa. Sul versante ucraino, il recente licenziamento del capo delle forze armate segnala tensioni ai vertici, mentre la nuova legge sulla mobilitazione evidenzia un’emergenza in termini di effettivi da mandare al fronte. Al posto di Valerij Zaluzhny ora è Oleksandr Syrsky. Il 2024 sarà un anno difficile per Kiev, e probabilmente decisivo per l’esito del conflitto. L’Ucraina conta di resistere sino all’arrivo degli aiuti europei, 50 miliardi per scopi civili fino al 2027, munizioni e aerei F16. E spera che alla fine il Congresso americano sbloccherà il pacchetto da 60 miliardi di dollari. Diversi Paesi europei hanno firmato accordi bilaterali con l’Ucraina sulla sicurezza, ma non vincolanti giuridicamente: l’Italia potrebbe seguire a breve. QUALE NEGOZIATO POSSIBILE? Vladimir Putin dice di essere aperto a negoziati, ma su quali basi? Il Cremlino non perde occcasione per ribadire che gli obiettivi iniziali restano invariati, compresa la “denazificazione” che sottitende un cambio di regime e la smilitarizzazione dell’Ucraina. Kiev insiste sull’obiettivo di riconquistare il suo intero territorio ai confini del 1991, quindi Cirmea inclusa, vuole che Putin sia portato davanti a un tribunale e la Russia risarcisca per la distruzione causata. Insomma, salvo implosione di uno dei due fronti, non pare giunto il momento di trattare. LE SANZIONI E LA RESILIENZA (PER ORA) DELL’ECONOMIA RUSSA L’Unione europea ha varato oggi il 13esimo pacchetto di sanzioni nei confronti della Russia, e nuove misure restrittive sono state annunciate dagli Usa. L’economia russa ha stupito per resilienza e capacità di riorganizzazione e quest’anno il pil è previsto in crescita del 2,6% dal Fmi. Ma l’iper attività del settore militare industriale minaccia squilibri macroeconomici, inflazione in primis e porrà problemi una volta terminato il conflitto, se e quando avverrà. Quest’anno nel bilancio russo sono previste spese militari per 140 miliardi di dollari. L’Europa ha drasticamente ridotto gli acquisti di gas e ufficialmente tagliato ogni ponte commerciale. Le ‘triangolazioni’ con Paesi terzi, poi, tengono in vita un flusso di importazioni che restano vitali per la Russia, soprattutto nel comparto tecnologico. Nel cosiddetto “Sud globale” nessun Paese d’altronde applica le sanzioni contro la Russia. E Mosca ha reindirizzato le sue esportazioni energetiche e di materie prime verso l’Asia, in particolare di idrocarburi verso India e Cina, che coprono quasi il 40% delle importazioni energetiche totali dalla Russia.