Milano, 21 mar. (askanews) – Il Parmigiano Reggiano Dop ha chiuso il 2022 con un giro d’affari al consumo che ha toccato i 2,9 miliardi di euro, un massimo storico, contro i 2,7 miliardi del 2021, con un aumento del 6,9%, a volume invece la crescita è stata pari al 2,6% con 156.620 tonnellate contro le 152.690 del 2021. A tracciare il quadro per il 2022 il Consorzio di tutela della Dop che a Milano ha illustrato i risultati positivi raggiunti nonostante un contesto di mercato in cui i consumi alimentari sono scesi del 4,2% e quelli di formaggi del 3% a volume. E fornito una anticipazione sui primi due mesi del 2023 in Italia, quando la crescita a volume nella Gda è stata del 15,1% e a valore del 18,4%.
“Nel 2022 la filira del Parmigiano Reggiano Dop ha dimostrato una grande maturità – ha detto il presidente del Consorzio, Nicola Bertinelli – coi costi dei mangimi che sono esplosi, i tassi elevati il prezzo al consumatore è aumentato solo del 4-5%. A sopportare i costi quindi sono stati i produttori, per questo auspico che 2023 e 2024 non siano come il 2022. Quest’anno sarebbe stato un grande errore fermare il processo, iniziato prima del Covid, di proporre un prezzo equo per i consumatori”. Nei mercati, la quotazione del Parmigiano Reggiano ha registrato nel 2022 una media annua di 10,65 euro al chilo (Parmigiano Reggiano 12 mesi da caseificio produttore), in aumento rispetto al 2021, quando si era attestata a 10,34 euro al chilo. La produzione è in lieve calo rispetto al 2021, anno nella storia in cui si sono prodotte più forme in assoluto, 4,002 milioni di forme contro 4,091 milioni (-2,2%). “Nel 2022 la produzione di formaggio è stata lievemente in contrazione – ha spiegato il direttore marketing, Carlo Mangini – e questo ci ha un po’ rasserenati dopo anni di incremento medio del 4-5%: il problema della Dop è valorizzare la produzione perchè per venderlo non c’è dubbio che lo vendi”.
Se si guarda ai mercati internazionali, anche qui i volumi sono cresciuti del 3% (64.202 tonnellate vs 62.351) mentre il valore generato alla produzione è salito a 1,8 miliardi di euro contro gli 1,71 miliardi del 2021. A livello di consumi, si allarga la fetta export che è salita di due punti percentuali rispetto al 2021, toccando il 47%. “Dal 2017 al 2022 il numero di forme collocate è aumentato di 60mila unità un aumento che racconta la resilienza del sistema Parmigiano Reggiano Dop – ha detto Mangini – pensiamo che entro due anni supereremo il 50% di quota di export perchè i mercati internazionali sono lo sbocco naturale con Paesi che cresceranno anche a doppia cifra”. Proprio sul fronte dei mercati internazionali, il direttore Mangini ha espresso qualche insoddisfazione, a fronte di un mercato italiano che ha dato soddisfazioni. “L’Italia è andata bene e sta andando molto bene. C’è stato un buon risultato nel terzo trimestre del 2022 che ha portato a un miglioramento della quota. Non siamo invece soddisfatti dello sviluppo di alcuni mercati internazionali”.
Nel 2022 ci sono stati mercati cresciuti anche a doppia cifra in Europa come la Spagna (+11,3% con 1.602 tonnellate vs 1.439 nel 2021), la Grecia (+31,4% con 1.382 tonnellate) e la stessa Francia (+7,2% con 12.944 tonnellate vs 12.077 tonnellate) o fuori dall’Europa con il Giappone, che cresce del +38,8% (1.010 tonnellate vs 728) e l’Australia, che segna un +22,7% (713 tonnellate vs 581). Buone performance anche in Canada, con un +6,3% (3.556 tonnellate vs 3.345 e negli Stati Uniti, primo mercato estero per la Dop salito dell’8,7% con 13.981 tonnellate vs 12.867). Ma c’è un mercato come la Germania che ha perso il 13,8% con 1.477 tonnellate in meno pari a 37.000 forme. “In Germania ha pesato l’effetto inflativo – ha spiegato Mangini – lì l’inflazione è il grande nemico che ha avuto un enorme impatto sulla spesa di beni alimentari. Noi però pensiamo sia una reazione impulsiva, una congiuntura. Quello è un mercato su cui dobbiamo insistere perchè quelle 1.500 tonnellate vanno recuperate subito”. Per quanto riguarda i canali distributivi, la GDA rimane il primo (62,3%), seguita dall’industria (17,5%), che beneficia della crescente popolarità dei prodotti caratterizzati dalla presenza di Parmigiano Reggiano tra gli ingredienti, e dalle vendite dirette dei caseifici, che registrano un forte aumento (+5,3%). A proposito delle vendite dirette, che oggi rappresentano il 15%, Mangini ha spiegato che da lì si aspettano una crescita nel medio-lungo periodo: “Fosse per me il percorso per arrivare al 20% di vendite dirette potrebbe essere accelerato – ha detto – L’arco temporale a cui fare riferimento per arrivare al 20% è inevitabilmente nel lungo termine, sarei felice se si potesse conseguire in 5-7 anni”. E questo perchè per raggiungere quell’obiettivo occorre “generare competenze all’interno delle nostre aziende, perchè servono capacità commerciali, finanziarie, percorsi virtuosi che devono essere generati da risorse dedicate. Quest’anno abbiamo previsto investimenti per inserire competenze commerciali, avere temporary manager, export manager, sui quali contribuiamo fino al 50% dell’investimento dei nostri soci per renderli più autonomi nella diversificazione del rischio”. Sul fronte dei canali distributivi, il canale Horeca rimane il fanalino di coda, attestandosi al 9,2% del totale.
Per il 2023 il Consorzio ha stanziato 18,6 milioni di euro per lo sviluppo dei mercati, puntando a diventare sempre più un brand globale, pronto ad affrontare sfide come quella dell’italian sounding. “Il Consorzio deve assumersi sempre più la responsabilità di diventare la cabina di regia dell’intera filiera, lavorando con gli operatori e le catene distributive per sostenere i consumi nel corso di un anno in cui viene commercializzato il picco di produzione più alto nella storia della Dop, quello del 2021, con un piano articolato di investimenti in comunicazione e sviluppo domanda sia in Italia, sia soprattutto sui mercati esteri – ha concluso il presidente del Consorzio – Dobbiamo continuare a mantenere il Parmigiano Reggiano a un prezzo concorrenziale, in modo che sia accessibile alle famiglie, e a difendere la redditività delle aziende, che hanno già subito l’aumento dei costi di produzione”.