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Elezioni nel Regno Unito, Labour a valanga ma per Starmer l’eredità è difficile

| Redazione StudioNews |

Elezioni nel Regno Unito, Labour a valanga ma per Starmer l’eredità è difficileRoma, 5 lug. (askanews) – Con 410 deputati assegnati dagli exit poll (tradizionalmente piuttosto precisi) il Partito laburista vince in modo schiacciante le elezioni britanniche e torna dopo 14 anni ad occupare Downing Street. Un esito reso ancor più sorprendente dal fatto che appena cinque anni fa il Labour era uscito con le ossa rotte dalle elezioni, raccogliendo il peggior risultato dal 1935 a questa parte.



Di converso, i Tories sarebbero ai minimi storici – e per storici, si intende dal 1830: appena 131 seggi contro il precedente minimo di 153 risalente al 1906; e non pochi ministri del governo uscente rischiano il seggio – compreso, secondo alcuni sondaggi, lo stesso premier Rishi Sunak. In una giornata di estremi, i Liberal-Democratici si avviano al miglior risultato dell’ultimo secolo con 61 deputati, mentre la destra di Reform Uk ne raccoglierebbe 13; altro grande sconfitto è l’Snp, fermo ad appena 10 deputati. I motivi di un’affermazione che se confermata dai risultati definitivi sarebbe seconda solo a quella di Tony Blair nel 1997 sono molteplici: la non certo brillante amministrazione conservatrice è il primo e più importante, cui si aggiungono sue fattori esogeni.


Il primo è il declino dell’Snp (complice una serie di scandali finanziari e un nuovo referendum di indipendenza che appare lontano) che condivide in gran parte con il Labour il proprio serbatoio di voti scozzese: molti di questi voti (e seggi) sono tornati ai Laburisti. Il secondo – meno positivo a medio termine – è l’irruzione della nuova creatura di Nigel Farage: Reform Uk ha tolto molti voti ai Tories, ma rischia di catalizzare il voto di protesta nel prossimo futuro e 13 seggi non sono affatto pochi per una formazione che fno ad ora non aveva mai messo piede a Westminster.


Ultima ma non ultima, anche la decisa virata al centro imposta dal nuovo leader Keir Starmer: negli ultimi anni il prossimo inquilino di Downing Street ha fatto di tutto per tranquillizzare imprese e mercati sulle proprie politiche economiche – quando si tratta di tenere i cordoni della borsa il Labour è affidabile, è stato il messaggio. Il problema fondamentale che si troverà di fronte Starmer tuttavia è che la borsa, se non proprio vuota, scarseggia: e per risolvere i problemi legati ai pubblici servizi e al costo della vita – quelli che maggiormente preoccupano i britannici e a cui Sunak non ha saputo dare alcuna soluzione – servono soldi, o quanto meno serve creare ricchezza.


Un obbiettivo tutt’altro che facile in un contesto economico difficile, con un conflitto europeo in corso, una situazione globale incerta e senza poter più ricorrere al proprio principale mercato: perché di fatto questo è stato l’unico effetto tangibile della Brexit. Un tema di cui peraltro tutti in campagna elettorale hanno evitato di parlare e che lo steso Starmer, a precisa domanda, ha liquidato con un “non ora, ma chissà” per poi precisare che Unione Europea, unione doganale e mercato comune non torneranno sotto il suo mandato; al massimo, il Labour cercherà di negoziare con l’Europa un accordo commerciale migliore di quello ottenuto da Boris Johnson. Sta di fatto che in mancanza di nuove risorse per risollevare le sorti economiche del Paese non vi sono che due modi: tagliare la spesa pubblica, una contraddizione in termini con gli obiettivi prefissati di miglioramento del welfare – o un aumento della pressione fiscale – proprio quello che Starmer si è impegnato a non fare. L’eredità che lo aspetta a Downing Street si presenta quindi assai difficile, e non sarà una maggioranza quasi inedita a poter risolvere i problemi; il Paese però ha votato un cambiamento e si aspetta delle politiche nuove: per il Labour accontentarsi di una gestione meno caotica di quella dei predecessori, obbiettivo non certo impossibile, potrebbe non essere sufficiente.