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Largo consumo: la sostenibilità è una questione di categorie merceologiche

Largo consumo: la sostenibilità è una questione di categorie merceologicheMilano, 14 ott. (askanews) – Tutte le aziende del largo consumo intraprendono azioni per la sostenibilità ma quante di queste sono realmente utili? Fare qualcosa per la sostenibilità ormai non è più sufficiente. Per ridurre l’impatto ambientale di prodotti che utilizziamo tutti i giorni occorre un approccio scientifico basato sulla collaborazione tra produttori, distributori e consumatori. E’ quello che ha messo in luce il progetto condotto da GS1 Italy, in ambito Ecr, con l’Istituto di management della Scuola superiore Sant’Anna di Pisa e Adf Consulting: un progetto che parte dalle categorie di prodotto per analizzare la sostenibilità, e non dalla singola azienda, responsabile solo di una parte dell’impatto ambientale complessivo.



“La sostenibilità soprattutto intesa nella sua accezione ambientale è un tema di filiera – ci ha detto Silvia Scalia, Ecr & training director di GS1 Italy – Con il progetto che abbiamo condotto in ambito Ecr denominato ‘La sostenibilità delle categorie’ abbiamo voluto fornire alle aziende un set di strumenti azionabili semplici una cassetta degli attrezzi a cui attingere per ancorare questo dialogo ad una visione comune e quindi portare la sostenibilità nel dialogo tra industria e distribuzione fino al consumatore finale, ma anche portare le competenze di sostenibilità fuori dallo stretto alveo delle competenze dei tecnici della csr per contaminare l’intera azienda”. Il progetto ‘La sostenibilità nelle categorie’, presentato a Milano nell’ambito del Salone della Csr, ha analizzato 29 categorie merceologiche, alimentari e non, che rappresentano il 91,5% del totale a valore del largo consumo confezionato. E lo ha fatto utilizzando un metodo scientifico consolidato, quello del Life cycle assessment, che ha permesso di individuare per ogni categoria merceologica le fasi del ciclo di vita del prodotto a più elevato impatto ambientale, quelle su cui concentrare gli interventi.


“La scelta di operare per categorie merceologiche è quella giusta – ci ha detto Fabio Iraldo, professore ordinario di management Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa – perché all’interno delle categorie merceologiche ci sono molti aspetti comuni dal punto di vista degli impatti ambientali e molte informazioni che riguardano l’impatto durante il ciclo di vita del prodotto che possono essere utilissime per le aziende che operano in quelle filiere. I risultati ci hanno confermato che ogni categoria di prodotto ha le proprie specificità e quindi i propri impatti ambientali da gestire, le proprie peculiarità, ma abbiamo anche trovato il modo di associare a ciascuno degli impatti ambientali dei suggerimenti su dove agire per poter ottenere dei miglioramenti ambientali significativi e siamo riusciti a misurare o almeno a stimare gli impatti ambientali e il miglioramento ottenibile”. Nell’analisi per categorie, che hanno insito il concetto stesso di filiera, punto di partenza per ogni valutazione è il consumatore finale, diretto responsabile di una parte dell’impatto ambientale soprattutto per alcune categorie: “Come per per esempio per i soft drinks – ha detto Iraldo – in quel caso abbiamo trovato che soluzioni che consentono al consumatore di restituire il vuoto della bibita, soprattutto quando è in vetro, e quindi riutilizzarlo, possono portare a dei miglioramenti ambientali che abbattono le diverse categorie di impatto fino al 42-43%. Oppure, per quanto riguarda i cosmetici come shampoo e altri prodotti a risciacquo, se vengono usati seguendo le istruzioni che consigliano di chiudere l’acqua durante l’applicazione o di utilizzare basse temperature per il lavaggio, si ottengono risparmi ambientali molto significativi, dell’ordine del 18-20%”.


Lo studio, però, non è solo un approfondimento teorico ma ha visto la partecipazione attiva di 20 aziende, 12 del mondo dell’industria e otto della distribuzione, cinque delle quali, Carrefour, Coop, Ferrero, gruppo Lactalis e Procter & Gamble hanno portato la propria testimonianza durante il convegno. “In P&G per primi abbiamo lavorato in questa direzione avviando nel 2020, con Scuola Superiore Sant’Anna, Sda Bocconi, Wwf e l’European institute for innovation and sustainability, il Category management sostenibile, un metodo, basato sul modello standard di category management di Ecr Italia e sull’analisi Lca, – ha raccontato Mario Galietti, senior director di Procter & Gamble Italia – Una prima esperienza concreta è stata proprio la collaborazione tra Procter & Gamble e Crai per la gestione operativa e sostenibile della categoria detergenti per il bucato con i prodotti del nostro marchio Dash, fondata su 3 pilastri: l’approccio scientifico alla sostenibilità, la coniugazione di obiettivi di business e sostenibilità, l’educazione degli stakeholders per la promozione di scelte di acquisto e consumo più consapevoli. Il category management, infatti, può definirsi sostenibile quando anche i consumatori offrono il proprio contributo compiendo scelte di acquisto e di utilizzo dei prodotti più responsabili”. “In uno scenario caratterizzato da una complessità crescente, che porta con sé tante contraddizioni, il ruolo delle aziende nel favorire un futuro sostenibile, assume sempre maggiore importanza – ha aggiunto Gianmarco Tammaro, corporate communication & sustainability manager di Lactalis – Riguardo al packaging Lactalis lavora su tre direttrici per ridurre il suo impatto, in particolare sulla circolarità, sulla scelta del giusto pack e sulla promozione di una comunicazione che possa sensibilizzare la comunità in cui opera. Con la partecipazione alla pubblicazione ‘La sostenibilità nelle categorie’, il metodo del Life cycle assessment ci ha permesso di avere dei parametri affidabili e rendicontabili molto più facilmente veicolabili, come la quantità di acqua e di emissioni risparmiate in un processo di produzione. Tutto questo all’interno di una strategia che si è posta obiettivi di gruppo sempre più sfidanti, tra cui uno dei più rilevanti, la riciclabilità nella pratica entro il 2033”. L’analisi, come dimostrato dalle testimonianze portate dalle aziende, è quindi anche un manuale pratico per le aziende del largo consumo all’interno del quale i modelli di collaborazione partono dai consumatori come il category management insegna: “In questo modo è più facile per le aziende impattare sulla filiera perchè iniziano approcciando la csr internamente ma poi la mettono a fattor comune in una logica di filiera che arriva al consumatore finale – Antonella Altavilla, owner Adf Consulting e consulente category management per l’Academy GS1 Italy – che è quello che decide e per numerica impatta. Questo consente di avere tre vincitori: il category dice che sono tre i vincitori: il consumatore finale che è soddisfatto, industria e distribuzione perchè performano meglio e in questo caso anche l’ambiente è il quarto vincitore”.