Milano, 5 apr. (askanews) – Mentre è ancora caldo il dibattito sul cibo coltivato (o sintetico come viene più spesso impropriamente definito), su cui è recentemente intervenuto anche il governo con un provvedimento, arrivano i dati di mercato di un prodotto nato come alternativa al cibo di origine animale, quello del cibo a base vegetale. Secondo i dati diffusi da Gruppo prodotti a base vegetale di Unione italiana food nel 2022, un anno particolarmente complesso dal punto di vista dei consumi, il comparto è riuscito a crescere a volume del 2,8% mentre a valore, spinto dall’inflazione, la crescita è stata dell’8% toccando 490 milioni.
Ma di cosa parliamo quando ci riferiamo ai cibi a base di proteine vegetali? La gamma presente sul mercato è molto ampia e si va dai burger e piatti pronti ai gelati e dessert, passando per i prodotti al cucchiaio fermentati alle bevande vegetali: tutti prodotti realizzati partendo da proteine vegetali, ovvero di verdura, legumi, cereali, semi o alghe. Diversi per natura dalla cosiddetta carne sintetica o più correttamente coltivata, come ha tenuto a precisare Lucilla Titta, biologa nutrizionista e ricercatrice presso l’Istituto europeo di oncologia di Milano che è stata chiara: “La scienza nel merito può dir poco su questi alimenti innovativi, del futuro perchè non ci sono ancora e non ci si può pronunciare. Certo la scienza non è contro l’innovazione. Quello che però occorre fare è definire bene questo alimento che è carne coltivata perchè deriva da cellule animali che sono state estratte dall’animale e coltivate in laboratorio ma non c’è nessuna operazione di sintesi”. Diverso il discorso dei prodotti a base vegetale, la cui novità “risiede nel modo in cui ingredienti di origine vegetale vengono usati per creare qualcosa che prima non esisteva e che i consumatori hanno dimostrato apprezzare”, ha aggiunto Titta. In affetti i dati dicono che oggi oltre un italiano su due li acquista con regolarità e il 25% di chi non li ha mai provati dichiara che lo farà. A fronte di un aumento complessivo delle confezioni vendute pari quasi al 3%, spiccano gli incrementi a volume a 2 cifre di burger e piatti pronti (gastronomia e salumi +11,7%); il +2,6% messo a segno da gelati e dessert e la tenuta delle bevande vegetali (+0,4%).
“I plant-based sono entrati nelle scelte alimentari di moltissime famiglie in Italia – ha spiegato Salvatore Castiglione, presidente Gruppo prodotti a base vegetale di Unione Italiana Food – Oggi sono oltre 22 milioni i consumatori che li hanno provati e poi inseriti regolarmente nella propria dieta. Una scelta forte e indiscutibilmente consapevole. La ricerca lo conferma: chi li acquista sa bene cosa sono i plant-based e cosa sta mangiando”. In effetti secondo un’indagine Astraricerche per il Gruppo prodotti a base vegetale di Unionfood il 75,5% di chi già conosce questi prodotti sa esattamente di cosa sono fatti i plant-based (con punte dell’80% tra i consumatori abituali e nelle fasce d’età più adulta) e solo l’1,4% dichiara di non saperlo (il restante 23,1% dimostra di avere una conoscenza parziale di questi prodotti). Il merito di tutto questo è attribuibile alle etichette a cui nove consumatori abituali su 10 (8 su 10 per i consumatori in generale) prestano attenzione, dimostrando di sapere esattamente quello che mangiano.
Fra gli italiani che conoscono i plant-based, due su tre li consuma abitualmente e uno su quattro li ha introdotti nel proprio regime alimentare su base settimanale mentre solo 2 su 10 non li hanno mai consumati. Tra le ragioni di questo successo, la bontà (71,3%), la digeribilità (71,1%), un aiuto per una corretta nutrizione (71%) e la sostenibilità (70,3%). Spingono il consumo di questi prodotti l’esigenza di variare l’alimentazione quotidiana (41,8%, percentuale che sale tra gli over 55) e la voglia di ridurre il consumo di proteine animali (32,2%). “I plant-based incontrano e appagano le richieste di tanti consumatori – spiega Castiglione – Non dimentichiamo che prodotti come le polpette di melanzane, le panelle di ceci o il latte di mandorle (solo per citarne alcuni) fanno parte da sempre della nostra cultura culinaria. Il mondo delle aziende ha risposto in questi anni a una richiesta crescente del consumatore”.
Anche sulla sostenibilità dei plant-based quasi otto conoscitori su 10 (77,5%) sono concordi. Restano dubbi solo tra un 15,6% che pensa erroneamente che questi prodotti siano realizzati consumando molta acqua e producendo ingenti quantità di anidride carbonica. “È una credenza errata: numerosi studi hanno dimostrato che i prodotti vegetali hanno un ridotto impatto ambientale – conferma Ludovica Principato, professoressa aggregata in Gestione sostenibile di impresa, Università Roma Tre – Il cibo che consumiamo ha un impatto diretto sul Pianeta e sull’uso delle sue risorse naturali: in Italia, l’adozione diffusa di una dieta flexitariana, più ricca di alimenti di origine vegetale (come verdura, frutta, cereali integrali, legumi), avrebbe effetti molto positivi in termini di minori emissioni di gas serra e maggiore risparmio idrico, rispetto all’attuale regime alimentare seguito nel nostro Paese: si produrrebbero gas serra equivalenti a 106 Mt CO2eq, anziché 187; verrebbero utilizzati terreni coltivati pari a 15.000 campi di calcio, anziché 20.000; l’acqua consumata sarebbe pari a 17 km cubi, anziché 26, con un risparmio idrico equivalente a 3 milioni e 600 mila piscine olimpioniche”.