Accordo maggioranza-M5s-Terzo polo sui giudici, Pd attacca
Accordo maggioranza-M5s-Terzo polo sui giudici, Pd attaccaRoma, 28 apr. (askanews) – Alla fine sulla partita dei membri laici delle magistrature speciali (magistratura amministrativa, tributaria e Corte dei conti) prevale l’accordo tra M5s-Terzo polo e centrodestra che fa portare a casa alle due forze di opposizione 3 uomini di loro scelta. Il Pd resta all’asciutto e attacca, in particolare il partito di Giuseppe Conte da cui non si aspettava questo “tradimento”.
Alla Camera vengono eletti al consiglio di presidenza della giustizia amministrativa Eva Sonia Sala e Francesco Urraro; nel consiglio della Corte dei Conti: Filippo Bari e Vito Mormando. Infine nel consiglio della Corte della giustizia tributaria sono stati eletti Carolina Lussana e Alfonso Bonafede con 210 voti. Al Senato ieri sono stati eletti i componenti del Consiglio di Presidenza della Giustizia tributaria Giorgio Fiorenza e Alessio Lanz; ai Consigli di Presidenza della Giustizia amministrativa e della Corte dei conti sono risultati eletti Giovanni Doria e Carmela Margherita Rodà. E oggi si sono aggiunti Francesco Cardarelli e Gian Giacomo Palazzolo. Da tempo l’elezione dei giudici veniva rimandata o non andava in porto, una vacatio che non era passata inosservata al più alto livello istituzionale perchè rischiava di indebolire le sentenze che queste magistrature esprimono. Per settimane le trattative si sono arenate sulle richieste, come era già successo per il Csm, di rispettare la prassi di dividere più equamente le nomine con le opposizioni. Alla fine il centrodestra ha preferito trattare con Conte che, approfittando probabilmente dello stallo, è riuscito a fare en plein: non solo il suo ex ministro della Giustizia, Bonafede, ma anche l’avvocato Cardarelli. Mentre Palazzolo, sindaco di Cinisi, è in quota Azione.
Questo però complica i già difficili rapporti tra le tre opposizioni. E se con il Terzo polo i dem hanno ormai preso strade sempre più distanti, con i pentastellati, partner privilegiati di una possibile futura alleanza, questo strappo potrebbe avere conseguenze. Francesco Boccia lo dice senza mezzi termini manifestando il disagio dei vertici democratici: “Il Pd di Schlein – dice il capogruppo in Senato ribadendo l’importanza della parità di genere – non fa mediazioni sui principi, non ci sediamo ai tavoli così e se dovessero essere eletti solo uomini sarà un fatto grave”. Il Pd ha deciso di non partecipare alle votazioni per segnalare la propria contrarietà al metodo scelto: “Noi non abbiamo deciso di fare opposizione con l’Aventino, ma tenendo il punto su questioni fondamentali. Oggi la maggioranza ha votato i giudici rompendo qualsiasi consuetudine – ha spiegato Chiara Braga -. Noi ci siamo tirati fuori. Abbiamo lavorato fino all’ultimo, ma non veniva garantito il rapporto di 7 a 5. In aggiunta hanno forzato sul tema della parità di genere. Oggi è stato ancora una volta negato questo tema, con la complicità di Terzo Polo e M5s”.
“Oggi un pezzo di opposizione ha deciso, nonostante questi rilievi, di fare accordi con la maggioranza su questioni di potere”, ha rincarato Walter Verini puntando il dito proprio nei confronti dei Cinque stelle. A far notare la “stranezza” dell’accordo però sono gli stessi esponenti del Terzo polo: “Questa bizzarra maggioranza. Ieri non trova 200 voti per il Def – segnala Enrico Costa, deputato di Az-Iv -, oggi garantisce ben 210 preferenze per eleggere Alfonso Bonafede nel Consiglio di Presidenza della Giustizia Tributaria”. “Il simbolo vivente del giustizialismo ottiene un prestigioso incarico grazie ai voti del centrodestra sedicente garantista”, aggiunge il senatore di Azione- Italia Viva Ivan Scalfarotto. Ma i pentastellati non si scompongono: “Ci siamo battuti per rappresentare alle forze di maggioranza che quando sono in gioco organi di garanzia e di autogoverno delle magistrature speciali, è doveroso che ci sia un’adeguata rappresentanza delle forze di opposizione – osserva Francesco Silvestri, capogruppo M5S alla Camera -. Ma non condividiamo questa reazione del Pd: se tutte le forze politiche di minoranza avessero abbandonato la votazione in Aula, non avrebbero fatto altro che lasciare alla maggioranza la totalità della rappresentanza laica negli organi di autogoverno”.