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Adhd: farmaci riducono del 40% i comportamenti a rischio

Adhd: farmaci riducono del 40% i comportamenti a rischioRoma, 16 mag. (askanews) – Si calcola che solo il 4% degli atti violenti siano collegabili ad una malattia mentale e che la stragrande maggioranza di chi ne soffre non commette reati o agisce violenza. Però una scarsa aderenza terapeutica può aumentare il rischio di comportamenti impulsivi tra coloro che hanno un disturbo da deficit di attenzione/iperattività (ADHD) e favorire il loro coinvolgimento in reati minori. Uno studio condotto dal Dipartimento di Psichiatria infantile e dell’adolescenza del Centro medico universitario dell’Università di Groningen, Paesi Bassi, ha infatti dimostrato che un’elevata aderenza ai farmaci per l’ADHD è associata a una riduzione del rischio di commettere un reato minore tra il 33% e il 38% rispetto a quanto succede periodi di bassa aderenza. I risultati del lavoro svolto su quasi 20 mila ragazzi, appena pubblicati sul The Journal of Child Psychology and Psychiatry, si inseriscono nella discussione attorno alla corretta gestione dell’ADHD, tema che sarà oggetto di dibattito in occasione della terza edizione del convegno congiunto della Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia e dalla Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza (“Psicofarmacologia clinica in età evolutiva: efficacia, sicurezza e implicazioni nelle successive età della vita”) che si è aperto oggi a Cagliari e che si concluderà domani con la consegna del premio “Alessandro Zuddas”, dedicato allo stimato neuropsichiatra cagliaritano, ordinario di neuropsichiatria all’università di Cagliari, scomparso prematuramente nel luglio 2022. “L’obiettivo del convegno è di implementare e diffondere le conoscenze sulle principali classi di farmaci in psichiatria in una prospettiva trasversale di neurosviluppo che metta a confronto la realtà clinica dell’età evolutiva e quella dell’età adulta – commenta Matteo Balestrieri, co-presidente della SINPF e professore di psichiatria all’Università di Udine -. Dal confronto e dalla contaminazione di queste due realtà possono essere identificate strategie terapeutiche efficaci e personalizzate in grado dire rispondere ai bisogni ancora inevasi per la psichiatria delle diverse età della vita”.



Una diagnosi e una presa in carico precoce può infatti fare la differenza sulla qualità della vita di una persona con un disturbo da deficit di attenzione/iperattività. “L’ADHD è uno dei principali disturbi del neurosviluppo ed è una delle più comuni condizioni psichiatriche dell’infanzia – spiega Giovanni Migliarese, primario di psichiatria all’ASST di Pavia e consigliere SINPF tra i promotori del convegno -. In Italia, ha una prevalenza stimata del 2,9% nella fascia d’età tra 5 e 17 anni, in linea con la media europea. In molti casi permane nell’età adulta, dove si registra una prevalenza analoga. L’impatto del disturbo sulla qualità di vita delle persone dipende da numerose variabili e dall’interazione con l’ambiente e il contesto: alcuni periodi di vita diventano più difficili, soprattutto quando le persone affrontano dei passaggi evolutivi”. “L’ADHD può accompagnarsi a disturbi d’ansia, del sonno e dell’apprendimento se non diagnosticata e trattata correttamente – precisa Elisa Fazzi, presidente Sinpia e ordinario di neuropsichiatria infantile agli Spedali Civili – Università di Brescia -. In particolare, la sottostima della diagnosi è particolarmente frequente nella giovane popolazione femminile. perché si presenta clinicamente differente, prevalendo l’aspetto delle difficoltà dell’attenzione, piuttosto che l’iperattività marcata. Le femmine inoltre vanno più incontro nell’età successiva a problemi di uso di sostanze e autolesionismo. Il disturbo in età adulta è anche correlato a performance accademiche e lavorative inferiori alla media, con effetti sulla condizione economica”.


Uno studio pubblicato sul New England Journal of Medicine mostra che le persone con l’ADHD abbiano dalle 4 alle 7 volte di probabilità in più di infrangere la legge. Il nuovo studio olandese aggiunge un ulteriore tassello, confermando l’importanza di una corretta terapia. Utilizzando i dati presenti in due database olandesi, Statistics Netherlands (CBS) e Foundation for Pharmaceutical Statistics (SFK), i ricercatori hanno cercato di indagare l’associazione tra l’aderenza ai farmaci per l’ADHD e i reati minori registrati tra il 2005 e il 2019 che riguardano un totale di 18.234 ragazzi dai 12 ai 18 anni. “I risultati mostrano che un’elevata aderenza ai farmaci per l’ADHD si associa a una riduzione del rischio di commettere un reato minore tra il 33% e il 38% rispetto a periodi di bassa aderenza, ovvero periodi con o senza quantità sufficienti di farmaci dispensati – evidenzia Balestrieri -. La riduzione del rischio può quindi essere probabilmente associata ai farmaci per l’ADHD”. Ma guai a cedere a facili strumentalizzazioni. “Chiaramente l’uso di farmaci per l’ADHD può ridurre la tendenza a comportamenti compensativi impulsivi in persone con questo disturbo – precisa Migliarese -. Nello studio riportato bisogna sottolineare che i reati sono minori, quali atti vandalici, violazioni dell’obbligo di frequenza scolastica, minacce, risse o uso e possesso illegale di fuochi d’artificio, tendenzialmente legati a comportamenti ad alta ‘sensation seeking’ e dunque impulsivi. È importante non effettuare una connessione diretta tra ADHD e comportamenti delinquenziali che hanno altra genesi”. Diverso è infatti il caso degli autori di reato che manifestano in più occasioni un comportamento antisociale. “In questi casi – specificano gli esperti – la carica di aggressività, spesso favorita dall’uso di sostanze, è da ricondursi ad una incapacità di gestire l’aggressività su base biologica e mentale”.