Aids, Icar: 2 migranti su 3 si infettano in Italia causa condizioni vita
Aids, Icar: 2 migranti su 3 si infettano in Italia causa condizioni vitaRoma, 16 giu. (askanews) – Due migranti su tre si infettano in Italia a causa delle loro condizioni di vita. Nel caso dell’Hiv, si raggiunge il 4% di positività contro lo 0,5% della media nazionale “Tra le altre infezioni prevalenti, emerge forte il dato dei casi di sifilide, che raggiungono il 10-12% contro la media nazionale del 2%” spiega Francesco Di Gennaro, Professore Associato Malattie Infettive e Tropicali, Università degli Studi di Bari Aldo Moro Dalla XV edizione di ICAR – Italian Conference on AIDS and Antiviral Research, che conclusa a Bari, l’appello a contrastare, con formazione e informazione, un tema controverso: la popolazione migrante, infatti, non porta le infezioni direttamente dai loro paesi, nonostante luoghi comuni e pregiudizi. La letteratura, infatti, ci ha insegnato come, nel caso di positività all’Hiv, quasi 2 migranti su 3 (circa il 60%) in Europa abbiano acquisito l’infezione proprio nei paesi ospitanti.
“Nel dettaglio dell’HIV, si parla di 3,5-4% di prevalenza di positività, rispetto a una media nazionale dello 0,5% – spiega Francesco Di Gennaro, Professore Associato Malattie Infettive e Tropicali, Università degli Studi di Bari Aldo Moro -. A causare principalmente le infezioni sono le scarse condizioni di vita, (poor living conditions), in primis, povertà e sfruttamento, come le esperienze pugliesi del caporalato e dei ghetti ci insegnano. Tra le altre infezioni prevalenti, i casi di sifilide, che raggiungono il 10-12% contro la media nazionale del 2%. Anche in questo caso, la più alta prevalenza è dovuta non a un contagio avvenuto nei loro paesi, ma alle condizioni di povertà in cui questi versano. Si tenga presente che si tratta di persone che sono stabilmente in Italia da almeno 36 mesi, per lo più giovani (con una mediana intorno tra i 24-35 anni), e provenienti da paesi africani quali Ghana, Nigeria, Mali, Guinea, Marocco e Tunisia, e asiatici, quali Bangladesh e Pakistan, per lo più addetti ai lavori nei campi.
Di base – prosegue Di Gennaro – queste persone appartengono a servizi appartenenti a una bassa soglia del welfare, quindi per questo facilmente aggredibili da una serie di fenomeni sanitari. In conclusione, soprattutto grazie allo strumento dei test salivari, le attività degli screening sono diventate più semplici e accessibili. Al contempo, i migranti si dimostrano sempre più disponibili a tali monitoraggi, dimostrando quanto tengano alla loro salute e a quella altrui”.