Atletica, Jacobs: “Volevo mollare, tornerò più forte di Tokyo”
Atletica, Jacobs: “Volevo mollare, tornerò più forte di Tokyo”Roma, 29 ago. (askanews) – “Sono contentissimo di essere tornato a correre. La cosa che mi è mancata di più è stata proprio gareggiare perché alla fine il miglior allenamento è la gara, tutto quello che in questi ultimi mesi non riuscito a vivere. Sono molto contento di questi campionati del Mondo perché ho ritrovato me stesso e questa forse era la parte più importante”. Parola di Marcell Jacobs intervistato da “SportMediaset”. “Non ritornerò il Marcell di Tokyo ma posso tornare a essere molto meglio. Credo che quello sia stato un anno in cui è andato tutto veramente bene, ma si poteva anche fare tanto altro. Quindi io sono dell’idea che tornerò molto più forte di quello che sono stato a Tokyo. Sicuramente Tokyo mi ha cambiato. Mi ha dato molte più responsabilità, io sono arrivato a Tokyo come un outsider, uno che poteva correre forte e arrivare in finale ma dopo che vinci è normale che tutti si aspettano tanto da me. Ma io sono il primo che si aspetta tanto da me stesso”. Sui prossimi obiettivi, aggiunge: “Il mio obiettivo è quello di arrivare a Parigi l’anno prossimo da campione olimpico e voglio andarmene da Parigi da campione olimpico nuovamente. Se arrivare al massimo della forma quando più conta significa perdere tutte le gare prima di un campionato del mondo o di un’Olimpiade io sono disposto a perdere tutte le gare prima di un campionato del mondo o di un’Olimpiade per vincere quelle competizioni”. Una stagione condizionata dagli infortuni subiti: “Quello che ho imparato quest’anno è che purtroppo il corpo ha dei limiti e quando ho iniziato a sentire i primi segnali che il corpo mi mandava come avvertimento, come a dire che forse stavo spingendo troppo, io non li ho ascoltati e non ci ho dato peso. Pensavo fosse solo una questione mentale, volevo spingere e volevo dimostrare che quest’anno doveva essere il mio anno dopo le difficoltà dell’anno scorso. Sono una persona che dedica tutto a me stesso, togliendo tempo alla famiglia e a tante cose che mi potrebbero piacere per dare spazio all’atletica, al mio sport. Fosse per me, farei una gara ogni weekend ma il mio corpo non me lo permetteva proprio. C’è stato un momento in cui ho avuto un blackout, in cui non capivo neanche io cosa dovessi fare. La parte più difficile è stata il primo mese perché non si capiva quale fosse l’infortunio, non si capiva da dove arrivasse la problematica. Quando si tratta di nervo sciatico si fa sempre fatica perché una volta ti dà dei segnali sotto il piede, un’altra volta al polpaccio, una volta al bicipite, alla schiena o al gluteo. Non si riesce mai a individuare un punto preciso per risolverlo. Non siamo dei robot o delle macchine che sostituisci un pezzo quando non funziona più ma dobbiamo cercare di trovare un equilibrio”. Sulle tante critiche ricevute dopo Tokyo: “Non saremo mai al 100% perché c’è sempre qualcosa che succede e in più ci sono persone che si sentono sempre in diritto di poter dire la loro pensando che a noi non arriva niente di tutto questo, quando invece questa è la parte più difficile: cercare di estraniarsi da tutto, non vedere queste cose anche se poi è difficile far finta che non esistano. Ho cercato di resettare, ho fatto una settimana in cui veramente non volevo più saperne niente, in cui volevo mollare tutto perché non stavo bene. Invece poi, da un giorno all’altro, ho capito che non potevo arrendermi in quel modo, dovevo continuare a spingere perché sapevo benissimo che questo non ero io e sapevo che potevo tornare a essere anche migliore rispetto a prima. Così mi sono rimesso in gioco, mi sono rimesso in linea sia a livello mentale che fisico. Ho ricominciato ad allenarmi e a fare tutto quello che potevo fare per portare a casa il miglior risultato. Le persone parlano ma Tokyo non è stato un episodio, è stato un evento che ho costruito in anni di lavoro, di difficoltà, di infortuni, di problematiche e delusioni. Lì a Tokyo stavo bene, a livello mentale e fisico, non avevo problemi e riuscivo a essere me stesso”. Gli avversari americani in cui parlano sempre di lui: “E’ un po’ il loro modo di fare e di essere, perché comunque devono attirare l’attenzione su di loro, devono cercare di essere un po’ i duri della situazione, quelli che non hanno paura di niente. Poi però appunto, come hai detto tu, fa ridere che nominano sempre me, che gli fanno sempre una domanda su di me perché io sono quello che ha vinto l’Olimpiade dopo Bolt e sono quello che ha vinto la medaglia nei 100 metri. Sia Carnes lo scorso anno che Lyles quest’anno hanno vinto ma con un tempo più alto rispetto al mio di Tokyo, quindi, è normale che loro vogliano sempre mettermi in mezzo, o cercare di sminuirmi, ma sanno benissimo che quando io sono in forma, rischiano”. Infine un messaggio da mandare a chi l’ha attaccato e che ha detto che non vincerà più i 100 metri: “Quando qualcosa va male, essere attaccati è una cosa che viene facile da fare ma bisognerebbe mettersi nei panni di quella persona e provare a capire perché è successa o non è successa quella cosa. Bisognerebbe capire che dietro quello schermo c’è comunque una persona fisica che legge e che vive di emozioni, di gioie, di paure e di tensioni. Bisogna sempre ricordarsi sempre questo. Nella mia testa c’è la voglia di tornare a vincere ma non voglio continuare a dirlo, voglio dimostrarlo e quando lo dimostrerò rifaremo l’intervista e ti dirò che sono tornato a vincere”.