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Autore: Redazione StudioNews

Udinese-Venezia 3-2, gol e colpi di scena

Udinese-Venezia 3-2, gol e colpi di scenaRoma, 1 feb. (askanews) – Finisce 3-2 per l’Udinese il primo anticipo del campionato di serie A. Dopo un primo tempo senza sussulti, Udinese e Venezia danno vita a una ripresa entusiasmante. Parte forte la squadra di Runjaic che in 5′ tra 48′ e il 52′ segna due reti prima con Lucca e poi con Lovric, complici due incertezze di Joronen (subentrato a Stankovic nel primo tempo). Il Venezia non ci sta e reagisce: Nicolussi Caviglia accorcia su punizione e poi il neo entrato Gytkjaer fa 2-2. Ma l’Udinese vuole vincere e trova la rete dl successo con Iker Bravo su assist di Solet.

Rugby, Sei Nazioni: Scozia-Italia 31-19

Rugby, Sei Nazioni: Scozia-Italia 31-19Roma, 1 feb. (askanews) – Debutto amaro nel Sei Nazioni per l’Italrugby di Gonzalo Quesada. Finisce 31-19 per la Scozia che vendica così la sconfitta subita lo scorso anno a Roma. Al 4′ arriva la meta di Rory Darge per il 7-0 iniziale. Soffre l’Italia. Al 9′ nuova accelerazione di van der Merwe al largo, palla al centro per Huw Jones e seconda meta scozzese per il 14-0.


Al 21′ fuorigioco scozzese e Tommaso Allan va sulla piazzola e trova i primi tre punti per l’Italia e punteggio sul 14-3. Ancora un fallo scozzese sulla metà campo, Allan va di nuovo sulla piazzola dalla distanza per il 14-6. Sugli sviluppi di una touche sui 5 metri e sulla seguente azione palla a Ben White che schiaccia per il 19-6. L’ennesimo fallo scozzese rimanda Tommaso Allan sulla piazzola per il 19-9 con cui si va al riposo. Prova a tornare a spingere la Scozia a inizio ripresa, ma finalmente una difesa avanzante dell’Italia che riconquista l’ovale. Nuova punizione, Allan che torna sulla piazzola dalla distanza per il 19-12. E al 46’ pessimo errore di Finn Russell, Brex intercetta, vola e va a schiacciare tra i pali per il 19-19. Reazione furiosa dei padroni di casa, che credevano di aver già vinto, guadagnano una punizione e vanno in touche. Gran difesa azzurra, cambiata completamente rispetto al primo tempo, e Scozia che torna indietro di 50 metri. Al 61’, però, distrazione difensiva dell’Italia e grande azione della Scozia che si invola dalla prima fase, palla per Huw Jones che va fino in fondo e padroni di casa che riprendono a correre e scappano via sul 26-19 e conquista il bonus offensivo. Dopo il grande sforzo, ora torna a faticare in difesa l’Italia e Scozia che chiude la pratica con un Huw Jones alla sua terza meta personale per il 31-19. Italia che ora va a caccia almeno del bonus difensivo, si butta in attacco con i nuovi entrati Zuliani e Gesi, ma un avanti di quest’ultimo impedisce la meta azzurra a 7’ dalla fine. Insistono gli azzurri, che chiudono il match in attacco ma non arriva la meta. 

Meloni assente a Direzione Fdi. Santanchè ‘sfida’ fuoco amico: avanti uniti

Meloni assente a Direzione Fdi. Santanchè ‘sfida’ fuoco amico: avanti unitiRoma, 1 feb. (askanews) – Parafrasando la celebre battuta cinematografica di Nanni Moretti, verrebbe da dire che in questo caso Daniela Santanché ha pensato “mi si nota di più se vengo e mi metto pure in prima fila”. Centro congressi di via Alibert, zona piazza di Spagna. Per Fratelli d’Italia questo sabato mattina che apre il mese di febbraio è dedicato alla riunione della Direzione nazionale convocata per discutere dei due anni di governo, di Sud e di sostegno alle forze dell’ordine.


Non c’è Giorgia Meloni, che non si collega nemmeno. Un po’, viene spiegato, per trascorrere la giornata con la figlia, un po’ perché è giusto che il partito cammini sulle sue gambe. C’è sua sorella Arianna, capo della segreteria politica, a cui toccano le conclusioni di quasi quattro ore di dibattito. Ma la più attesa alla fine, pure in queste ore di durissimo confronto con la magistratura, è proprio la ministra del Turismo. Da giorni, infatti, va avanti un braccio di ferro sulle sue possibili dimissioni dal governo a seguito del rinvio a giudizio già arrivato per il processo Visibilia e per quello che potrebbe arrivare entro maggio nel caso, ancora più delicato politicamente, che la vede imputata per truffa all’Inps per l’uso della cassa integrazione durante il Covid. Sono richieste che arrivano esplicitamente dalle opposizioni, ma è una scelta che in molti auspicano nel suo stesso partito sebbene nessuno – a cominciare dalla presidente del Consiglio – lo abbia mai dichiarato pubblicamente per evitare accuse di giustizialismo. Figurarsi poi in questa fase di scontro acuto con la magistratura per i casi Almasri e migranti. La diretta interessata continua a ribadire che al momento al passo indietro non ci pensa proprio, a meno che non sia proprio Giorgia Meloni a chiederglielo. Se ci si mette pure il sonoro “chi se ne frega” con cui la ministra ha replicato, in un ormai celebre audio, a chi le chiedeva delle critiche che arrivavano da Fdi, ben si capisce perché ci fossero tante aspettative intorno alla sua presenza alla Direzione. Ebbene, Daniela Santanché ha scelto di rispondere all’attesa a modo suo: arrivando a riunione già iniziata, non intervenendo – unica tra i ministri meloniani presenti – e rimanendo all’incontro giusto il tempo di farsi fotografare comodamente seduta nel posto in prima fila a lei riservato. Non una parola alla ressa di giornalisti che l’aspettavano, non una parola dal palco. Ma la ministra non sceglie comunque il silenzio. Anzi, affida a un post su X, corredato di immagini, il suo eloquente pensiero: “Orgogliosi del percorso che stiamo facendo e della fiducia che ogni giorno gli italiani ci dimostrano. Continueremo a lavorare uniti per raggiungere traguardi sempre più ambiziosi”. Insomma, come se nulla fosse accaduto. Un atteggiamento che in molti dei presenti, a taccuini chiusi, ammettono di aver considerato una sorta di sfida, uno modo per dire ‘io sono qui e qui resto’.


Pubblicamente nessuno si espone. Al contrario, si sottolinea come la ministra goda di pieno sostegno, almeno quando si parla di ciò che sta facendo per il turismo. “La fiducia di Fratelli d’Italia per il lavoro di Santanchè non è mai venuta meno”, spiega infatti il responsabile Organizzazione, Giovanni Donzelli. Per il resto, la Direzione scorre via senza particolari scossoni per circa quattro ore. Ad aprire i lavori è il coordinatore Edmondo Cirielli, seguito dal capodelegazione al governo, Francesco Lollobrigida e poi dal cofondatore di Fdi, Guido Crosetto. Via via tocca a tutti gli altri ministri (tranne Santanché, appunto): Tommaso Foti, Afolfo Urso, Nello Musumeci, Andrea Abodi, Orazio Schillaci e Marina Calderone. Gli interventi – soprattutto quelli alle telecamere – sono quasi in fotocopia a difesa dell’operato del governo sui centri in Albania, dopo la nuova mancata convalida dei giudici ai trasferimenti, e sul caso Almasri. A parole si nega lo scontro con la magistratura, nella sostanza la si attacca. “C’è la sensazione che ci sia una parte minoritaria – dice per esempio il capo delegazione al Parlamento europeo, Carlo Fidanza – che persegue obiettivi politici, che utilizza il proprio potere per cercare di arginare un’azione di governo che naturalmente ha una legittimazione popolare e parlamentare forte”. Mentre il ministro Adolfo Urso parla genericamente di “aggressioni” da parte di chi “non vuole che l’Italia cambi”.


Quando la sala si è mezza svuotata, causa corse verso treni e aerei per rientrare a casa, tocca ad Arianna Meloni tirare le fila della discussione. Un discorso molto identitario e un appello alla responsabilità di tutti a essere di sostegno alla presidente del Consiglio, con tanto di riferimento all’amato capolavoro di Tolkien. Fdi – dice – ha “l’anello del potere ma quell’anello dà grandi responsabilità”, “sapendo il peso che porta” Giorgia “dobbiamo essere responsabili tutti, dal primo dirigente all’ultimo dei militanti”.

Fdi, Santanchè sfida il fuoco amico: avanti uniti. Arianna Meloni: responsabili tutti al fianco di Giorgia

Fdi, Santanchè sfida il fuoco amico: avanti uniti. Arianna Meloni: responsabili tutti al fianco di GiorgiaRoma, 1 feb. (askanews) – Parafrasando la celebre battuta cinematografica di Nanni Moretti, verrebbe da dire che in questo caso Daniela Santanchè ha pensato “mi si nota di più se vengo e mi metto pure in prima fila”. Centro congressi di via Alibert, zona piazza di Spagna. Per Fratelli d’Italia questo sabato mattina che apre il mese di febbraio è dedicato alla riunione della Direzione nazionale convocata per discutere dei due anni di governo, di Sud e di sostegno alle forze dell’ordine.


Non c’è Giorgia Meloni, che non si collega nemmeno. Un po’, viene spiegato, per trascorrere la giornata con la figlia, un po’ perché è giusto che il partito cammini sulle sue gambe. C’è sua sorella Arianna, capo della segreteria politica, a cui toccano le conclusioni di quasi quattro ore di dibattito. Ma la più attesa alla fine è proprio la ministra del Turismo. Da giorni, infatti, va avanti un braccio di ferro sulle sue possibili dimissioni dal governo a seguito del rinvio a giudizio già arrivato per il processo Visibilia e per quello che potrebbe arrivare entro maggio nel caso, ancora più delicato politicamente, che la vede imputata per truffa all’Inps per l’uso della cassa integrazione durante il Covid. Sono richieste che arrivano esplicitamente dalle opposizioni, ma è una scelta che in molti auspicano nel suo stesso partito sebbene nessuno – a cominciare dalla presidente del Consiglio – lo abbia mai dichiarato pubblicamente per evitare accuse di giustizialismo. Figurarsi poi in questa fase di scontro acuto con la magistratura per i casi Almasri e migranti. La diretta interessata continua a ribadire che al momento al passo indietro non ci pensa proprio, a meno che non sia proprio Giorgia Meloni a chiederglielo. Se ci si mette pur il sonoro “chi se ne frega” con cui la ministra ha replicato, in un ormai celebre audio, a chi le chiedeva delle critiche che arrivavano da Fdi, ben si capisce perché ci fossero tante aspettative intorno alla sua presenza alla Direzione. Ebbene, Daniela Santanchè ha scelto di rispondere all’attesa a modo suo: arrivando a riunione già iniziata, non intervenendo – unica tra i ministri meloniani presenti – e rimanendo all’incontro giusto il tempo di farsi fotografare comodamente seduta nel posto in prima fila a lei riservato. Non una parola alla ressa di giornalisti che l’aspettavano, non una parola dal palco. Ma la ministra non sceglie comunque il silenzio. Anzi, affida a un post su X, corredato di immagini, il suo eloquente pensiero: “Orgogliosi del percorso che stiamo facendo e della fiducia che ogni giorno gli italiani ci dimostrano. Continueremo a lavorare uniti per raggiungere traguardi sempre più ambiziosi”. Insomma, come se nulla fosse accaduto. Un atteggiamento che in molti dei presenti, a taccuini chiusi, ammettono di aver considerato una sorta di sfida, uno modo per dire ‘io sono qui e qui resto’.


Pubblicamente nessuno si espone. Al contrario, si sottolinea come la ministra goda di pieno sostegno, almeno quando si parla di ciò che sta facendo per il turismo. “La fiducia di Fratelli d’Italia per il lavoro di Santanchè non è mai venuta meno”, spiega infatti il responsabile Organizzazione, Giovanni Donzelli. Per il resto, la Direzione scorre via senza particolari scossoni per circa quattro ore. Ad aprire i lavori è il coordinatore Edmondo Cirielli, seguito dal capodelegazione al governo, Francesco Lollobrigida e poi dal cofondatore di Fdi, Guido Crosetto. Via via tocca a tutti gli altri ministri (tranne Santanchè, appunto): Tommaso Foti, Afolfo Urso, Nello Musumeci, Andrea Abodi, Orazio Schillaci e Marina Calderone. Gli interventi – soprattutto quelli alle telecamere – sono quasi in fotocopia a difesa dell’operato del governo sui centri in Albania, dopo la nuova mancata convalida dei giudici ai trasferimenti, e sul caso Almasri. A parole si nega lo scontro con la magistratura, nella sostanza la si attacca. “C’è la sensazione che ci sia una parte minoritaria – dice per esempio il capo delegazione al Parlamento europeo, Carlo Fidanza – che persegue obiettivi politici, che utilizza il proprio potere per cercare di arginare un’azione di governo che naturalmente ha una legittimazione popolare e parlamentare forte”. Mentre il ministro Adolfo Urso parla genericamente di “aggressioni” da parte di chi “non vuole che l’Italia cambi”.


Quando la sala si è mezza svuotata, causa corse verso treni e aerei per rientrare a casa, tocca ad Arianna Meloni tirare le fila della discussione. Un discorso molto identitario e un appello alla responsabilità di tutti a essere di sostegno alla presidente del Consiglio, con tanto di riferimento all’amato capolavoro di Tolkien. Fdi – dice – ha “l’anello del potere ma quell’anello dà grandi responsabilità”, “sapendo il peso che porta” Giorgia “dobbiamo essere responsabili tutti, dal primo dirigente all’ultimo dei militanti”. “Ho l’onore di essere la sorella di Giorgia Meloni, una grande donna a cui ho visto fare in questa nuova fase un salto 10 volte più alto di tutti questi durissimi anni: ha messo gli italiani prima della sua famiglia e di sè stessa. Lei è il nostro Frodo e noi siamo la Compagnia dell’Anello. L’anello è pesante, dobbiamo aiutarla nella fatica di portarlo senza mai indossarlo: è ciò che ci siamo sempre promessi. Non dobbiamo essere un’utopia, dobbiamo restare quelli che eravamo quando abbiamo iniziato a fare politica. Oggi ognuno è chiamato a fare la propria parte”, ha detto, a quanto si apprende, il capo della segreteria politica di Fratelli d’Italia, Arianna Meloni, nell’intervento conclusivo della Direzione del partito.

Appello A.Meloni a responsabilità: aiutiamo Giorgia portare anello

Appello A.Meloni a responsabilità: aiutiamo Giorgia portare anelloRoma, 1 feb. (askanews) – Un invito alla “responsabilità di tutti” e a stare al fianco di Giorgia Meloni. E l’invito che la sorella della premier e capo della segreteria politica di Fdi Arianna ha rivolto, secondo quanto viene riferito dai partecipanti, al partito chiudendo la Direzione nazionale


Citando l’amato Talkien, Arianna Meloni ha sottolineato che ora Fdi ha “l’anello del potere ma quell’anello dà grandi responsabilità”. Poi, riferendosi alla presidente del Consiglio avrebbe aggiunto “sapendo che il peso che porta dobbiamo essere responsabili tutti dal primo dirigente all’ultimo dei militanti”.

Caso Al-Masri, Meloni e governo contro Cpi e Germania. Imbarazzo in Ue

Caso Al-Masri, Meloni e governo contro Cpi e Germania. Imbarazzo in UeRoma, 1 feb. (askanews) – Complotto europeo contro l’Italia, complotto dei giudici contro il governo. E’ una guerra su tutti i fronti quella dichiarata dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni e dal governo sul caso Al-Masri, il generale libico, conosciuto come il “torturatore di Mitiga”, arrestato in Italia su mandato della Corte penale internazionale e poi scarcerato e rimpatriato su un Falcon di Stato.


Una vicenda ancora tutta da chiarire (su cui il governo starebbe anche valutando l’apposizione del segreto di Stato) che ormai è stata oscurata dalla polemica politica dopo che lo scorso 28 gennaio, con un video pubblicato sui social, la premier ha annunciato di aver ricevuto un avviso di garanzia – che in realtà è un avviso di procedimento, una cosa diversa – dalla Procura di Roma insieme ai ministri dell’Interno Matteo Piantedosi e della Giustizia Carlo Nordio e al sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano, autorità delegata alla sicurezza. Il procedimento è nato da una denuncia presentata da Luigi Li Gotti, avvocato, già sottosegretario alla giustizia nel governo Prodi II (in quota Italia dei Valori) ma con una formazione politica di destra, prima del Movimento sociale italiano poi in Alleanza nazionale. Meloni e gli altri esponenti del governo hanno scelto come avvocato Giulia Bongiorno, senatrice leghista e presidente della commissione Giustizia che ha suggerito di tenere bassi i toni. Evidentemente inascoltata. Sul fronte interno la linea è quella dell’attacco alla cosiddetta “giustizia a orologeria”. In primo luogo contro il procuratore capo di Roma Francesco Lo Voi che – va ricordato – non è una ‘toga rossa’ ma viene dalla corrente di destra di Magistratura Indipendente, la stessa di Mantovano. Per Meloni quello di Lo Voi è stato un atto non “dovuto” ma “chiaramente voluto”. E Fratelli d’Italia, con una “batteria” di comunicati, ha anche adombrato – neanche velatamente – il motivo: sarebbe stata una “vendetta giudiziaria” perché Palazzo Chigi (Mantovano) gli ha tolto l’uso del volo di Stato per tornare a Palermo dalla capitale. E’ comunque, per la premier, un attacco di parte della magistratura al governo, magari per cercare di fermare la riforma della giustizia. Ma “se alcuni giudici vogliono governare, si candidino alle elezioni”, avverte, mentre consulta con un sondaggio la base del partito su eventuali manifestazioni di piazza.


Ma per questa newsletter quel che interessa di più è il fronte “esterno”, tutto europeo. E qui nel mirino ci sono la Cpi (peraltro istituita a Roma nel 1998), e anche la Germania. L’idea di Meloni, che ha chiesto “chiarimenti” ai giudici dell’Aia, è che la tempistica della richiesta di arresto sia “sospetta” perchè la Corte “ci ha messo mesi a spiccare il mandato di arresto ed è stato spiccato quando aveva già attraversato almeno 2-3 nazioni europee”. Dunque – è l’ipotesi accreditata – potrebbe essere stato un modo per mettere in difficoltà proprio l’Italia. Anche una “colomba” come il ministro degli Esteri Antonio Tajani parla di possibile “attacco politico, anche con il sostegno di qualcun altro all’estero”. E sul banco degli accusati c’è la Germania, il Paese in cui era transitato Al-Masri prima di arrivare in Italia. Proprio Berlino avrebbe segnalato il passaggio del generale (che avrebbe legami con vari servizi segreti) alla Cpi, che ha quindi diramato l’ordine di arresto. “Se i sospetti che gli 007 tedeschi abbiano tramato contro l’Italia per bloccarne l’ascesa fossero confermati, sarebbe un fatto gravissimo”, attacca Andrea Delmastro (Fdi), sottosegretario alla Giustizia, fedelissimo di Meloni, che chiede “un chiarimento immediato in Europa”. Europa che, al momento, appare chiaramente imbarazzata. In questi casi, in cui vi sono posizioni controverse assunte da un governo nazionale e sottoposte a forti critiche dalle opposizioni, per i portavoce della Commissione è chiara la linea da tenere (si chiama proprio così, “line to take”, ed è fissata per iscritto nelle riunioni quotidiane in cui si cerca di prevedere le domande dei giornalisti) nelle risposte ai giornalisti: “Non commentiamo”. Ma in questo caso, nonostante l’usuale prudenza e le frasi paludate, la Commissione ha tenuto comunque a sottolineare due caratteristiche fondamentali della Corte penale internazionale, proprio quelle che le accuse del governo italiano sembrano mettere in dubbio: la sua indipendenza e la sua imparzialità. “Quello che possiamo dire, come Commissione europea e come Unione europea, è che sosteniamo la Corte penale internazionale e i principi stabiliti nello Statuto di Roma”, con cui è stata istituita, “e rispettiamo l’indipendenza e l’imparzialità della Corte”, ha affermato il portavoce per la Politica estera dell’Esecutivo comunitario, Anouar El Anouni, rispondendo a una domanda sul caso Almasri venerdì 31, durante il briefing di mezzogiorno per la stampa. La domanda riguardava specificamente le accuse da parte di esponenti del governo italiano, secondo cui la Cpi avrebbe deliberatamente emesso il mandato di cattura per Almasri solo dopo che il generale libico aveva lasciato la Germania ed era arrivato in Italia. Il portavoce della Commissione ha quindi ribadito le posizioni espresse dal Consiglio Ue nelle sue conclusioni del 26 giugno 2023, nel 25esimo anniversario dell’adozione dello Statuto di Roma. In quell’occasione, ha ricordato, “il Consiglio ha invitato tutti gli Stati membri a garantire la piena cooperazione con la Corte internazionale”, e questo, ha puntualizzato, “anche tramite la rapida esecuzione dei mandati di arresto in sospeso”.


Di Alberto Ferrarese e Lorenzo Consoli

Ue, voto Afd con Cdu-Csu mette a rischio il “cordone sanitario”?

Ue, voto Afd con Cdu-Csu mette a rischio il “cordone sanitario”?Roma, 1 feb. (askanews) – “Cuando se gana con la derecha, es la derecha la que gana”. Friedrich Merz ha forse dimenticato l’avvertimento che Radomiro Tomic, esponente di primo piano della Democrazia cristiana cilena, lanciò nell’aprile del 1973 al suo partito, qualche mese prima del colpo di Stato del generale Pinochet. Senza voler essere troppo drammatici, il “patto” che per la prima volta ha visto votare insieme Cdu-Csu e Afd in Germania è un segnale che spaventa l’Europa, una piccola ma significativa lacerazione del “cordone sanitario” che fino a oggi ha tenuto le destre estreme fuori dalle stanze decisionali. E che infatti fa gioire, tra gli altri, Viktor Orban e il generale Vannacci.


Mercoledì, a tre settimane dalle elezioni, il Bundestag ha approvato una mozione della Cdu-Csu per rafforzare i controlli alle frontiere e concedere maggiori poteri alla polizia, anche in violazione delle norme di Schengen. Un atto – che non impegna il governo ma fortemente simbolico – passato con i consensi determinati di Alternative Fur Deutschland, formazione di estrema destra che i sondaggi accreditano di oltre il 20%. In Europa Afd è collocato nel gruppo “Europa delle Nazioni Sovrane”, dopo essere stato espulso nel maggio dell’anno scorso dal gruppo di estrema destra “Identità e Democrazia”. Venerdì, invece, il Bundestag ha bocciato una proposta di legge che avrebbe introdotto una stretta sui migranti. Il testo, presentato da Cdu-Csu e sostenuto da Afd, non è passato per alcuni “franchi tiratori” centristi. La mossa di Merz è chiaramente elettorale: il tema dei “migranti” in Germania come altrove è considerato determinante per il voto. Ma la fuga in avanti del candidato cancelliere non è piaciuta a molti. Se è scontato che il gruppo dei Socialisti & Democratici abbia denunciato il “segnale pericoloso”, un “errore imperdonabile” frutto di un “meschino calcolo politico” di Merz, clamorosa è stata la pubblica sconfessione arrivata da Angela Merkel.


L’ex cancelliera, compagna di partito di Merz (che notoriamente è stata la mentore della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen) in un comunicato ha parlato di scelta “sbagliata” e pur dicendo di condividere la linea del leader Cdu ha espresso l’auspicio che “tutti i partiti democratici lavorino insieme al di là dei confini partitici, non tatticamente, ma onestamente, con toni moderati e sulla base del diritto europeo”. L’inedita maggioranza fa invece gioire i sovranisti. “Buongiorno Germania, benvenuta nel club!” ha scritto su X il primo ministro ungherese Viktor Orban, mentre per il generale leghista Roberto Vannacci “il mondo si sta raddrizzando”. Il Carroccio, con Anna Maria Cisint, ha fatto un passo ufficiale, con una interrogazione in cui chiede a von der Leyen se dopo la Germania (il suo Paese) pensi di far cadere anche in Europa il “grave e antidemocratico cordone sanitario che anche a livello Ue ha discriminato il gruppo dei Patrioti di cui fa parte la Lega e ha dato vita a un’alleanza contro natura con le sinistre”. I Fratelli d’Italia al momento mantengono una linea di equilibrio, auspicando una “evoluzione” di Afd. Intanto però hanno risposto positivamente all’appello di Jordan Bardella, presidente del Rassemblement national (Rn) francese, per “costruire ponti attraverso le divisioni partitiche”. Ovvero per creare una maggioranza di centrodestra dal Ppe ai Patrioti (e magari oltre), sul modello italiano. Forza Italia, che pochi giorni fa aveva lanciato un appello a sostenere la Cdu-Csu, “nel solco dei comuni valori del Partito popolare europeo”, sulla questione tace.


L’abolizione del “cordone sanitario” nel parlamento europeo è un obiettivo politico che unisce tutti i gruppi a destra del Ppe. Le rare volte in cui proprio il Ppe non ha rispettato il “cordone”, formando la cosiddetta “maggioranza Venezuela”, non bastano ancora a certificare la sua fine. Ma quello che sta indebolendo questo accordo non scritto tra le forze democratiche ed europeiste a Bruxelles e a Strasburgo è oggi l’ambiguità del Ppe. I popolari, riconoscendo la patente di destra “moderata” e non anti europea al gruppo Ecr, accettano la collaborazione con i conservatori su molti temi, ma non pongono loro la condizione di non fare accordi a loro volta sugli stessi temi con le destre estreme. E’ questa sua applicazione per così dire “asimmetrica” che sta indebolendo e svuotando di senso il cordone sanitario. Finora il Ppe ha sempre mantenuto la linea di condanna per Afd. Dopo le elezioni tedesche, risultati alla mano, probabilmente il quadro sarà più chiaro. Di Alberto Ferrarese e Lorenzo Consoli

Auto, un nuovo piano d’azione industriale europeo

Auto, un nuovo piano d’azione industriale europeoRoma, 1 feb. (askanews) – L’annuncio di un possibile nuovo sistema armonizzato europeo di sussidi all’acquisto di veicoli elettrici, fatto dalla vicepresidente esecutiva della Commissione Teresa Ribera in una intervista al Financial Times dal Forum di Davos, il 23 gennaio, potrebbe far cambiare senso all’attuale controversia sulla crisi del settore dell’automotive e sulla sua elettrificazione a tappe forzate, prevista dal Green Deal con l’obiettivo delle auto nuove a zero emissioni entro il 2035. E in questa nuova direzione sembra andare il ‘dialogo strategico’ sul futuro dell’industria automotive europea che la Commissione ha avviato giovedì 30 gennaio a Bruxelles, e che sarà alla base di un ‘action plan’ industriale per il settore, che Ursula von der Leyen ha annunciato sarà pronto per il 5 marzo prossimo.


Finora, la controversia è stata focalizzata soprattutto sull’obiettivo normativo per il 2035, che tutte le forze politiche di centro-destra (incluso il Ppe, partito di von der Leyen) volevano rimettere in discussione. Ma la nuova Commissione non ha mai preso seriamente in considerazione la revisione di questo traguardo finale; così come, d’altra parte, una richiesta tanto radicale non è mai stato avanzata in modo esplicito neanche dall’industria dell’automotive e dall’organizzazione che la rappresenta nell’Ue, l’Acea. Anche perché non c’era una identità di vedute tra le diverse case automobilistiche, che comunque in gran parte si sono già impegnate nella conversione graduale all’elettrico. I costruttori europei chiedono invece da mesi che si trovi una soluzione per ritardare, ridurre o annullare le multe che dovranno pagare nel caso (molto probabile) in cui non riescano a rispettare gli obiettivi intermedi di riduzione delle emissioni di CO2 dalle auto, da conseguire già a partire dalla fine di quest’anno (il 20% in meno rispetto al 2021).


In una lettera inviata il 16 gennaio dall’Acea alla presidenza della Commissione e a quella del Parlamento europeo, questa richiesta è molto chiara: per il 2025 e gli anni immediatamente seguenti, si chiede di rivedere la tabella di marcia per la decarbonizzazione con ‘un percorso realistico’, che sia ‘guidato dal mercato e non dalle multe’; ma non viene mai messa in questione la fine del percorso, al 2035. Una posizione non diversa da quella espressa, il 10 gennaio, da Jean-Philippe Imparato, Chief Operating Officer per l’Europa del gruppo Stellantis, al ‘Motor Show’, di Bruxelles. ‘Il 2035 – aveva sottolineato Imparato parlando con alcuni giornalisti – non è un problema per me oggi. La questione per noi non è il 2035, ma sono i prossimi tre o cinque anni’.


Si è giunti così a una situazione piuttosto paradossale, in cui i rappresentanti politici del centro destra chiedono, a nome dell’industria, di cancellare l’obiettivo 2035, che è molto più di quanto chieda l’industria stessa. Come appare evidente dalle dichiarazioni di un importante esponente di Fratelli d’Italia, il co-presidente del gruppo dei Conservatori europei all’Europarlamento (Ecr), Nicola Procaccini, il 14 gennaio, a margine dell’elezione dell’ex premier polacco Mateusz Morawiecki come nuovo presidente del Partito europeo Ecr, al posto di Giorgia Meloni. Parlando ai giornalisti, Procaccini ha ribadito che bisogna tornare indietro sull’obiettivo 2035 per le auto a zero emissioni, nonostante quanto affermato pochi giorni prima da Imparato, e nonostante il fatto che tutta l’industria europea stia già lavorando per quell’obiettivo. ‘Ritengo – ha detto il co-presidente del gruppo Ecr – che ci sia una non comprensione di quanto detto da Stellantis, e in generale da tutte le case automobilistiche europee, o quantomeno quelle che hanno una presenza in Europa. Il bando dei motori termici al 2035, e in particolare le multe che dovranno scattare già da quest’anno, sono una iattura per tutti’. ‘Ma – ha continuato Procaccini – sgombriamo il campo da ogni dubbio: che ci sia una azienda che produce automobili in Europa che sia favorevole a quanto stabilito nella scorsa legislatura, relativamente al bando dei motori termici, è falso. Non ne esiste una. Questa è una vulgata che si continua a perpetrare a danno della verità’, ha assicurato. Le imprese dell’automotive, ha aggiunto, ‘noi le abbiamo incontrate, le abbiamo audite ufficialmente all’interno del Parlamento europeo, e tutte dicono la stessa cosa: per noi andrebbe rivista questa’ scadenza, ‘tutto andrebbe rivisto, a cominciare dalle multe, naturalmente’.


Curiosamente, la posizione dell’eurodeputato di Fdi sembra divergere, almeno in parte, anche da quella di un suo collega di partito, membro del governo Meloni: Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, che mercoledì 29 gennaio ha incontrato a Bruxelles il commissario per la Mobilità sostenibile, Apostolos Tzitzikostas, il commissario per l’Azione per il clima, Wopke Hoekstra, e la vicepresidente esecutiva Teresa Ribera. Incontrando i giornalisti alla fine della giornata, Urso ha negato che il governo italiano sia contrario all’obiettivo del 2035. ‘Assolutamente: in tutti i nostri documenti – ha riferito – riaffermiamo il target del 2035’. Ma, ha aggiunto, ‘vogliamo raggiungerlo con le imprese europee, e quindi con il lavoro europeo in pieno vigore. Noi chiediamo – ha precisato – di rivedere in maniera complessiva, strutturale e strategica le modalità con cui raggiungere questo obiettivo. Per questo ho detto con estrema chiarezza che vogliamo rivedere i meccanismi infernali delle multe alle case automobilistiche’ che non rispetteranno i limiti alle emissioni. Ma questo, ha avvertito il ministro, ‘non è sufficiente: non basta rimuovere questo ostacolo infernale per rendere competitiva l’industria europea’; farlo ‘è necessario ma non sufficiente. Perciò – ha continuato – ho detto che noi siamo favorevoli a un piano di incentivi europeo omogeneo e duraturo nel tempo, per facilitare l’acquisto di auto ecologicamente sostenibili. Noi non vogliamo aggirare la questione: l’elefante è nella stanza già da molto tempo, non possiamo nasconderlo sotto il tappeto’. ‘Abbiamo bisogno di un piano complessivo, strutturale e strategico su tutti i fronti, per rendere sostenibile l’industria e il lavoro europeo rispetto alla grande sfida, titanica, della Cina e degli Stati Uniti’, ha concluso Urso, che queste cose le ha scritte da mesi in un ‘non paper’ sull’automotive, sostenuto da diversi altri Stati membri. Il nuovo Piano d’azione industriale europeo, che il 5 marzo sarà presentato dal commissario Tzitzikostas, dovrebbe rispondere almeno in parte alle aspettative di Urso e del suo ‘non paper’, e a quelle dell’Acea, con una nuova tabella di marcia, che, non si sa fino a che punto e con quanta ‘flessibilità’ (l’altra parola chiave, accanto a ‘competitività’ di questa nuova fase politica europea), rivedrà le scadenze e gli obblighi previsti in questi primi anni del percorso verso il 2035. L’aspettativa è che proponga anche qualche soluzione alternativa alle multe, o che ne mitighi l’impatto sull’industria (anche se i portavoce della Commissione hanno puntualizzato che la ‘flessibilità’ promessa da von der Leyen non significa necessariamente eliminare le sanzioni); comunque, nessuno si attende, realisticamente, che sia rimesso in discussione il traguardo finale di questo percorso, al 2035, come invece continuano a chiedere i gruppi europei del centro-destra. Ma soprattutto, come si diceva all’inizio, il piano conterrà probabilmente delle proposte di ‘stimolo della domanda’, con ‘il potenziamento e l’armonizzazione degli incentivi all’acquisto’ negli Stati membri, come suggerisce una ‘concept note’ che fa parte dei documenti preparatori del ‘dialogo strutturato’ pubblicati dalla Commissione. Nella sua intervista al ‘Financial Times’, Ribera osservava che ‘ha senso cercare di capire come facilitare le misure (ovvero gli incentivi, ndr) in una prospettiva paneuropea, invece di passare attraverso sussidi nazionali’, che rischierebbero di portare alla competizione di ‘un modello nazionale contro l’altro’; ma avvertiva anche che per definire la portata e le modalità degli incentivi ‘la discussione è ancora in corso’. Un altro segnale di rilievo è venuto da una dichiarazione recente, piuttosto sibillina, di Olaf Scholz all’agenzia Bloomberg, in cui il cancelliere tedesco si è detto ‘compiaciuto del fatto che la presidente della Commissione abbia ora accettato la mia proposta di incentivi all’acquisto armonizzati a livello europeo per le auto elettriche’. Infine, oltre agli incentivi all’acquisto, c’è da aspettarsi che il piano d’azione per l’auto contenga delle misure per accelerare la diffusione delle infrastrutture di ricarica, che in molti paesi membri sono ancora troppo poche. Lo aveva detto chiaro Imparato al Motor Show di Bruxelles: visto che stanno ormai scomparendo gli incentivi nazionali all’acquisto di auto elettriche (laddove c’erano, come in Germania e in Francia, ndr), il ‘messaggio inviato’ alle autorità nazionali ed europee, aveva osservato, è che almeno provvedano a completare la diffusione adeguata e capillare delle infrastrutture necessarie per le ricariche, con una ‘accelerazione in termini di regolamentazione’. I consumatori, aveva rilevato in sostanza il responsabile di Stellantis per l’Europa, non comprano auto elettriche non solo perché costano troppo, ma anche perché sanno che non ci sono abbastanza colonnine, e perché la ricarica dura due ore invece di una ventina di minuti. La ‘Concept Note’ del dialogo strutturato riconosce proprio questo: che, rispetto a quanto sarebbe necessario per il decollo della domanda di auto elettriche, ‘i consumatori si trovano ad affrontare ancora costi iniziali dei veicoli più elevati e una minore rapidità nella diffusione delle infrastrutture di ricarica’. In realtà una normativa Ue sulle infrastrutture, con obiettivi obbligatori, è già in vigore, e prevede che entro il 31 dicembre di quest’anno siano installate stazioni di ricarica con potenza di uscita minima di 400 kW, almeno ogni 60 chilometri sugli assi stradali più importanti (quelli della rete centrale transeuropea Rte-T), in ciascuna direzione di viaggio. Un’accelerazione della diffusione delle infrastrutture potrebbe venire da una revisione di questa normativa. Di Lorenzo Consoli e Alberto Ferrarese

Immobili, oltre 80% organismi sportivi aderisce a progetto Sestante

Immobili, oltre 80% organismi sportivi aderisce a progetto SestanteRoma, 1 feb. (askanews) – Oltre l’80 per cento degli organismi sportivi ha aderito alla prima fase di “Sestante”, il progetto di valorizzazione del patrimonio immobiliare nella disponibilità di Sport e Salute.


È questo il dato assai positivo – sottolinea una nota – che emerge alla scadenza della prima fase del cronoprogramma che ha previsto l’aggiornamento, da parte degli organismi sportivi, dei rispettivi fabbisogni degli spazi necessari. Da adesso, sino al 28 febbraio, si avvieranno le interlocuzioni per il perfezionamento degli atti contrattuali con la stipula delle singole convenzioni. “Un riscontro così ampio al nostro progetto è un segnale forte di comprensione del percorso tracciato che punta all’ottimizzazione delle risorse pubbliche – ha commentato il presidente di Sport e Salute, Marco Mezzaroma – Le Federazioni e tutti gli organismi sportivi hanno accolto il nostro intento che è quello di eliminare le inefficienze, potendo concentrare così gli investimenti sullo sviluppo del movimento sportivo italiano”.


“Il mondo dello sport dimostra di essere una squadra unita – ha detto l’amministratore delegato, Diego Nepi Molineris – Questa risposta corale evidenzia la maturità del sistema e la volontà, insita nei valori dello sport, di evolvere sempre in maniera dinamica verso il futuro. Sestante non segna infatti solo un cambiamento sul modello immobiliare, ma definisce una nuova visione di sport nel territorio. Ringraziamo gli Organismi sportivi per i diversi spunti emersi, anche critici ma sempre costruttivi, e per aver scelto di essere parte integrante di un modello più ampio che si articola su tre pilastri: M.A.C. (Modello Algoritmico dei Contributi), Sestante e Illumina. Un unico sistema circolare capace di generare risorse e ulteriori opportunità per ampliare la comunità sportiva”. Il patrimonio immobiliare nella disponibilità di Sport e Salute è costituito da 131 immobili (di cui la maggior parte in locazione passiva) in 105 città, che ospitano le sedi nazionali e locali dei vari organismi sportivi. Sestante, attraverso la valorizzazione degli immobili, rappresenta un percorso di ottimizzazione delle risorse pubbliche e segna l’avvio della razionalizzazione dei costi e delle spese che il mondo dello sport affronta. Si innesca così un circolo virtuoso che, partendo dalla definizione degli spazi realmente necessari per gli Organismi e passando dall’ottimizzazione ed efficientamento degli stessi, arriva a generare risorse che saranno investite sulle esigenze dello sport, a partire dall’impiantistica.

Centri migranti in Albania, fonti del Viminale: il governo andrà avanti

Centri migranti in Albania, fonti del Viminale: il governo andrà avantiMilano, 1 feb. (askanews) – Il governo italiano “andrà avanti” con il modello Albania “nella convinzione che il contrasto all’immigrazione irregolare che si avvantaggia dell’utilizzo strumentale delle richieste di asilo sia la strada da perseguire per combattere gli affari dei trafficanti senza scrupoli”. E’ quanto si apprende da fonti del Viminale pronte a sottolineare che quello dei centri in Albania “è il modello da cui partire per la realizzazione di veri e propri hub regionali sui quali c’è stata piena convergenza da parte dei Ministri europei” riuniti a Varsavia per consiglio dell’Ue degli Affari Interni.


Sul tema dei trattenimenti nei centri per le procedure accelerate alla frontiera, siano essi in Italia o in Albania, si sta sviluppando in Italia “una giurisprudenza che appare di corto respiro destinata a essere superata dagli eventi, visto che le corti di Appello scelgono di rinviare alla Corte di Giustizia europea sostanzialmente per prendere tempo, quando si tratta di un sistema già previsto dal nuovo Patto europeo immigrazione e asilo che entrerà al più tardi in vigore nel 2026”, annotano fonti del Viminale ricordando che, proprio dal recente consiglio dell’Ue degli Affari Interni tenutosi a Varsavia questa settimana, “la posizione del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, è stata largamente condivisa dai colleghi presenti”. “I partner europei in piena sintonia con la Commissione stanno pensando di rafforzare le norme dell’Ue che sostengono le procedure in frontiera applicate anche in Albania non solo con una anticipazione dell’entrata in vigore di alcune norme del Patto ma anche con soluzioni innovative – spiegano dal Viminale – Gli stessi documenti discussi a Varsavia contengono un esplicito riferimento proprio al Protocollo Italia Albania come valido esempio di cooperazione innovativa con un Paese terzo”.