Banche etiche più redditizie di quelle convenzionali, da 10 anni
Banche etiche più redditizie di quelle convenzionali, da 10 anniMilano, 10 nov. (askanews) – Più redditizie dei principali colossi bancari europei, più solide, e più coerenti con le scelte strategiche dichiarate e realmente perseguite: sono le “banche etiche” – 22 in Europa – che da sole generano, attraverso le loro attività e gli investimenti, il 5 per cento del PIL dell’Unione. Il “6° Rapporto sulla finanza etica in Europa” le ha messe a confronto con 60 istituti convenzionali “significativi” – vale a dire con attivi superiore ai 30 miliardi e vigilati direttamente dalla Banca Centrale Europea; ovvero quelle che vengono anche considerate come le “to big to fail” – sotto il profilo della redditività, dell’adeguatezza patrimoniale e della performance finanziaria considerando i dieci anni dal 2011 al 2021.
Presentato a Milano, il “6° Rapporto sulla finanza etica in Europa” è il risultato del lavoro di ricerca internazionale frutto della collaborazione tra Fondazione Finanza Etica, Fundación Finanzas Éticas e Federazione Europea delle Banche Etiche e Alternative (FEBEA). Dallo studio emerge che le banche etiche europee registrano una la redditività del capitale proprio (ROE) del 5,23%, contro il 2,21% delle banche convenzionali. Un vantaggio che si rileva anche per la redditività degli attivi (ROA), che ha premiato le banche etiche con una media dello 0,46% contro lo 0,25% delle banche convenzionali. Il dato da sostanza ad una distintività positiva di carattere strutturale delle banche etiche, considerato che si è affermato lungo un decennio di rilevazioni, includendo anche l’anno 2020, quando sia le banche etiche sia gli istituti tradizionali subivano i colpi della crisi pandemica.
Le differenze si registrano anche su altre voci di gestione, mostrando non solo vocazioni e impostazioni contrapposte, ma anche dimostrando che l’alternativa “etica” nel perseguimento del profitto dell’impresa bancaria è possibile, virtuosa e solida e coerente, a cominciare dalla centralità dell’esercizio stesso dell’attività creditizia. Il credito rimane infatti di gran lunga la principale attività per le banche etiche: nel 2021 è pari al 65,4% del totale degli attivi, contro il 50,8% registrato dalle banche tradizionali; una differenza pressoché costante in quasi tutti gli anni del decennio. Questo indica che le banche etiche sono più propense all’attività bancaria ‘classica’, cioè alla raccolta di risparmi e concessione di crediti. Invece le banche “significative” associano all’attività ‘classica’, che ha un’importanza relativamente minore, attività finanziarie come investimenti in titoli, vendita di prodotti finanziari, servizi finanziari, partecipazioni in imprese. I depositi dei clienti risultano poi la fonte di maggior liquidità nelle banche etiche (81,1% delle passività totali), mentre le banche convenzionali si affidano a varie fonti di liquidità, con un conseguente rapporto depositi/patrimonio netto inferiore. Quanto alla solidità patrimoniale, le banche etiche hanno mantenuto costante nel tempo una forte capitalizzazione – con un rapporto tra patrimonio netto e passività totali pari in media all’8,2% – mentre le banche convenzionali hanno migliorato la loro posizione patrimoniale, ma partendo da una posizione più debole, crescendo dal 4,3% nel 2012 al 6,20% nel 2021. Milano, 10 nov. (askanews) – Ultimo aspetto da valutare – anch’esso capace di evidenziare la diversità d’approccio, anche valoriale tra le due tipologie di istituti – è quello della liquidità, ovvero il rapporto prestiti/depositi (LDR): questo si è mantenuto stabile e inferiore -da 77% a 81,5% di media- nelle banche etiche rispetto a quelle convenzionali, dove invece è stato incrementato negli anni – da 86% a 102,5% – mostrando per questi istituti, potenzialmente, un rischio di liquidità più elevato.
Il Rapporto ha preso in esame, confrontandole, anche le evidenze concrete delle scelte valoriali fatte – e non solo annunciate – su tematiche come “Clima” e “Pace”. Dall’analisi dei bilanci emerge che le banche convenzionali europee non sembrano aver davvero avviato una transizione ecologica nel proprio modello di business. Offrono singoli prodotti “verdi” ma restano votate al massimo profitto e, dal 2016 al 2022, hanno finanziato con oltre 5 miliardi di euro i combustibili fossili, mentre solo il 7% dei loro finanziamenti energetici è andato alle energie rinnovabili. Le banche etiche invece adottano invece investono da anni in metriche avanzate di misurazione delle emissioni di gas serra (PCAF – Partnership for Carbon Accounting Financials), anche quelle indirette (Scope 3) , escludendo dal credito le filiere dannose per l’ambiente e il clima, allineando i portafogli di investimento alle indicazioni scientifiche e all’Accordo di Parigi sul cambiamento climatico. Banche etiche e finanza etica si impegnano inoltre a non alimentare l’industria bellica. E su questo si sono differenziate particolarmente dallo scoppio del conflitto in Ucraina nel 2022. Rapporti recenti della ong olandese PAX mostrano invece che da 15 grandi banche europee convenzionali sono giunti prestiti e obbligazioni per 87,7 miliardi di euro a imprese delle armi.
Nel Rapporto sono elencate infine anche tre proposte che le banche etiche fanno nei confronti delle istituzioni in vista anche del voto europeo di giugno 2024. Queste le proposte: -Combattere il greenwashing nel settore finanziario portando la finanza mainstream ad allineare le sue azioni alle parole della propria comunicazione e ad impegnarsi realmente a rispettare i principi dichiarati. E’ necessario costruire un quadro forte e trasparente per delineare come raggiungere le emissioni nette zero, applicarle a tutte le attività operative e facilitare forme di corretta rendicontazione così da rendere vani i numerosissimi trucchi contabili per il “net zero washing”. -Rivolgere l’attenzione principale a contrastare le disuguaglianze di ricchezza e di reddito; nell’accesso al credito e ai servizi finanziari; di genere e retributive nel settore finanziario. Inoltre le banche etiche e valoriali, che mostrano tassi di sofferenza più bassi rispetto al sistema pur finanziando in misura maggiore le realtà dell’economia sociale, chiedono l’introduzione di un social supporting factor, che riduca l’assorbimento di capitale richiesto per finanziare tali realtà. Si creerebbe così uno strumento fondamentale per lo sviluppo del settore, della microfinanza e per la lotta all’esclusione finanziaria, senza introdurre alcun costo per gli Stati. -Perseguire una maggiore trasparenza sulla governace; permangono infatti limitazioni nell’accesso pubblico alle informazioni sulle imprese e una normativa inefficace nel contrastare l’opacità del sistema finanziario favorisce soggetti finanziari che sfruttano diverse giurisdizioni per evitare le tasse ed eludere le normative generando ingiustizia sociale e competizione sleale con gli istituti finanziari che si astengono da queste pratiche non etiche. “Mentre i colossi del sistema bancario convenzionale pronunciano impegni di sostenibilità che spesso vengono poi smentiti e non scalfiscono un modello di business complessivamente orientato al massimo profitto a ogni costo, le banche etiche europee si distinguono invece per la coerenza tra azioni svolte e principi sostenuti – ha detto Teresa Masciopinto, presidente di Fondazione Finanza Etica – La ricerca sottolinea l’importanza di allontanare dal settore finanziario le ombre di greenwashing e socialwashing e offre uno spaccato di conoscenza sulla finanza etica in Europa: un movimento che lancia una sfida di trasformazione valoriale alla finanza globale. Tanto più oggi, a pochi mesi dal prossimo voto per il rinnovo dell’Europarlamento’. ‘La visione della finanza etica – sottolinea Anna Fasano, presidente di Banca Etica – sta rivoluzionando il settore bancario e finanziario in Europa. Il dialogo con le istituzioni di Bruxelles e Francoforte e con gli attori della società civile insieme alla collaborazione con i network internazionali della finanza etica, Febea e Gabv, sono gli strumenti per amplificare la nostra capacità influenzare tali processi. Vogliamo condividere valori e buone pratiche per ridurre l’arbitrarietà di ciò che l’Europa definisce ‘investimento sostenibile’, per disincentivare il greenwashing e – grazie all’attesa tassonomia sociale – per arricchire le prescrizioni di sostenibilità ambientale con le dimensioni economica e sociale. La finanza può tornare ad essere strumento al servizio dell’economia, delle persone e del pianeta in un sistema in cui i risparmiatori sono resi consapevoli dell’impatto potenziale, positivo o negativo, che può avere il denaro gestito dai diversi operatori”.