Berlusconi, la costruzione di un impero economico e commerciale
Berlusconi, la costruzione di un impero economico e commercialeRoma, 12 giu. (askanews) – Se il suo excursus politico e le vicende giudiziarie richiedono pagine e pagine per essere raccontate, il percorso imprenditoriale di Silvio Berlusconi non è da meno. Laureato in giurisprudenza nel 1961 all’Università degli Studi di Milano con una tesi sulla pubblicità; istrione e venditore nato, le idee certo non gli mancano e le conoscenze politiche e finanziarie per realizzarle nemmeno. Dalle esperienze giovanili di intrattenitore sulle navi da crociera e come venditore di elettrodomestici, passo dopo passo inizia a costruire un impero economico che lo porterà a posizionarsi stabilmente tra i primi 10 uomini più ricchi d’Italia e tra i primi 500 al mondo, dando vita a un gruppo che resta una delle maggiori realtà imprenditoriali italiane e che tutt’oggi impiega oltre 15 mila persone e si pone tra i grandi protagonisti internazionali nei settori della comunicazione e dell’intrattenimento, sui quali dalla metà degli anni Novanta ha progressivamente concentrato il proprio impegno espandensosi anche all’estero, in particolare in Spagna. Con l’intuizione della tv commerciale, Berlusconi ha saputo cambiare il volto innanzitutto della sua città natia – divenuta capitale dell’industria pubblicitaria italiana – e poi dell’intero Paese, influenzando notevolmente la cultura di massa degli italiani in tutti i suoi aspetti.
Gli esordi nel mattone con Edilnord negli anni ’60 e ’70: le operazioni a Brugherio, poi Milano 2 a Segrate e Milano 3 a Basiglio portano la sua firma. Negli anni ’80, l’ingresso da tycoon nel settore della piccola emittenza radiotelevisiva privata, trampolino di lancio per rivoluzionare il mondo della televisione e dar vita con Canale 5, Rete 4 e Italia 1 a un gruppo in grado di competere con la rivale pubblica ‘big’, la Rai. Un gruppo che ha anche forgiato negli anni numerosi talenti nel settore radiotelevisivo, del cinema, del giornalismo. I suoi investimenti hanno spaziato in innumerevoli campi che vanno dalla finanza (con Fininvest costituita nel 1975 e in seguito con Mediolanum in jv con la famiglia Doris), alla grande distribuzione (la Standa, acquisita da Fininvest nel 1988 dal gruppo Ferruzzi-Montedison e detenuta fino al 1998, a sua volta azionista della catena di videonoleggio Blockbuster Italia), al multimediale (con Mediaset costituita nel 1993 e quotata nel 1996), all’editoria (il gruppo Mondadori, Il Giornale, per citare i più importanti), alla pubblicità (con Publitalia), al calcio (il Milan, suo dal 1986 per quasi 30 anni, e poi il Monza).
Sull’origine delle fortune di Berlusconi e sui soci originari delle holding a monte della catena di controllo di Fininvest già decine di libri sono stati scritti e probabilmente altri ne seguiranno. Qualcuno ritiene che il finanziamento dei primi affari venne favorito dal padre Luigi, divenuto dirigente della Banca Rasini dopo una lunga carriera interna. Qualcuno ha teorizzato invece fonti opache. Di certo, in seguito furono facilitate dalle relazioni politiche, mai nascoste, in area Dc e Psi. Soprattutto quella con Bettino Craxi, che fu anche testimone delle sue seconde nozze, quelle con Veronica Lario, sposata nel 1990. E’ proprio al governo Craxi che si ascrivono i decreti che favorirono il sistema di syndication tra emittenti locali che aveva consentito alle tv di Berlusconi di trasmettere in contemporanea su tutto il territorio nazionale (cosa che la legge esistente consentiva allora alla sola Rai) e che hanno poi portato nel 1990 – tra infinite polemiche – alla stesura della legge Mammì di riordino del sistema radiotelevisivo. Dalla sua famosa “discesa in campo” in prima persona nell’agone politico, nel gennaio 1994, sebbene avesse lasciato ogni incarico operativo, gli interessi economici dell’impero di Berlusconi si sono intrecciati spesso con le decisioni politiche dei suoi governi, portando sotto i riflettori il mai risolto tema del “conflitto d’interessi”. Nell’occhio del ciclone sono finiti di volta in volta provvedimenti di varia natura, da quelli sull’imposta di successione a quelli a quelli sul falso in bilancio, oltre alla Gasparri, la legge delega del 2004 che ha portato nell’anno successivo al testo unico della radiotelevisione, regolando tra l’altro i tetti di affollamento pubblicitario.
La stessa decisione di entrare in politica sulle ceneri della prima Repubblica demolita da Tangentopoli, secondo i suoi detrattori, fu spinta da necessità personali, per salvare le proprie aziende dal fallimento. Il gruppo in capo a Fininvest aveva accumulato oltre 5mila miliardi di lire di debiti finanziari ed era stato di fatto “commissariato” dalle banche creditrici che avevano imposto la presenza del manager Franco Tatò (nel ruolo di Ad Fininvest dal 1993 al 1995) per riequilibrare i conti della società. Ad affiancare il Cavaliere negli affari nel corso degli anni è stata una manciata di fedelissimi. Primo tra tutti, di nome e di fatto, il top manager Fedele Confalonieri (amico sin dai tempi del liceo dai Salesiani), tuttora presidente di Mediaset; Ennio Doris (che fu suo partner in Mediolanum), Adriano Galliani (Ad del Milan dal 1986 al 2017 e di Mediaset dal 1986 al 1998, ora dell’A. C. Monza) e l’avvocato Vittorio Dotti (legale di Berlusconi e della Fininvest dal 1980 fino al 1996), con il quale si sciolsero i legami dopo che nel 1995 la fidanzata di allora di Dotti, Stefania Ariosto, divenne la “teste Omega” nel processo Sme contro lo stesso Berlusconi e l’avvocato Cesare Previti.
Ma anche il discusso Marcello Dell’Utri (condannato nel 2014 a 7 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa in quanto ritenuto mediatore tra Cosa Nostra e lo stesso Berlusconi), che ebbe incarichi apicali in Publitalia e Fininvest. Molti, inoltre, i manager del gruppo di Berlusconi che hanno ricoperto anche incarichi politici tra le fila di Forza Italia, tanto da ispirare fiumi d’inchiostro sull’inedito binomio “azienda-partito”/”partito-azienda”. Tra i principali antagonisti di Berlusconi nel mondo del business, invece, non si può tralasciare Carlo De Benedetti, “l’Ingegnere”, già “patron” dell’Olivetti e poi del gruppo Cir-Cofide-Sorgenia, oltre che per lunghi anni dell’editoriale l’Espresso e del quotidiano La Repubblica. De Benedetti e Berlusconi si sono scontrati in un interminabile duello per oltre trent’anni, tra vicende personali e vicende imprenditoriali. Una su tutte la guerra di Segrate, le cui origini risalgono all’anno 1984 e della quale il Lodo-Mondadori fu un episodio centrale. La vicenda si arricchisce negli anni successivi di nuovi intricati capitoli giudiziari, fino ad arrivare al Lodo Mondadori-bis che si chiuse nel 2015. Mentre De Benedetti aveva accesso ai salotti dell’alta borghesia e dell’intellighenzia milanese, Berlusconi ha a lungo sofferto per l’esclusione dal “salotto buono” della finanza, ovvero Mediobanca. L’ostracismo da parte di Enrico Cuccia e Vincenzo Maranghi (e degli azionisti bancari) lo tenne fuori per molto tempo. Ma, dopo una lunga anticamera, sdoganata anche da Doris e dagli allora amici del Cavaliere Tarak Ben Ammar e Vincent Bollorè, la Fininvest entrò a fine 2005 nel capitale di Mediobanca, con una piccolissima quota che venne poi arrotondata fino al 2% e apportata al patto di sindacato, dove la famiglia Berlusconi è stata rappresentata prevalentemente da Marina. Fininvest è poi uscita dall’azionariato di Mediobanca nel 2021. Quanto a Bollorè, da cordiali relazioni d’affari, i suoi rapporti con Berlusconi si trasformarono in uno scontro acceso quando il timoniere della rivale francese Vivendi giunse a minacciare il cuore stesso dell’impero berlusconiano tentando nel 2016 la scalata, non riuscita, a Mediaset.