Vino, “A Montefalco”: la via nuova del Sagrantino e lo spazio ai bianchiMontefalco (Perugia), 18 giu. (askanews) – “A Montefalco” non è solo l’anteprima delle nuove annate dei vini prodotti nei territori delle Denominazioni di Montefalco e Spoleto ma la manifestazione, quest’anno andata in scena dal 12 al 14 giugno, che attraverso i suoi vini e i suoi vignaioli vuole raccontare un intero territorio. Vini non solo rossi ma anche bianchi, i vitigni oltre il Sagrantino come Sangiovese, Trebbiano Spoletino e Grechetto, e non la sola Montefalco ma anche Bevagna, Castel Ritaldi, Giano dell’Umbria e Gualdo Cattaneo. Una vetrina di vini che in questa sua decima edizione è riuscita a riunire in questo borgo storico, tanto piccolo quanto meraviglioso, circa 150 giornalisti specializzati da tutto il mondo che hanno degustato vini e incontrato i produttori. E da loro sono arrivati segnali di cambiamento, indicazioni di nuove vie, idee per il futuro prossimo venturo.
Paolo Bartoloni, 41enne titolare della Cantina Le Cimate, è stato eletto (all’unanimità) un paio di mesi fa presidente del Consorzio Tutela Vini Montefalco, ente erga omnes che conta 110 soci (di cui 68 vinificatori/imbottigliatori), che dal 1981 sovrintende alle Denominazioni Montefalco Sagrantino Docg, Montefalco Doc e Spoleto Doc e dal 2015 organizza l’anteprima. “Il territorio di Montefalco sta vivendo un momento epocale – spiega ad askanews – perché assistiamo al cambiamento del Sagrantino che dalla struttura e potenza che aveva vent’anni fa, con quegli antociani e polifenoli un po’ ‘arroganti’, è passato ad una struttura più morbida e con invecchiamenti fatti con maggiore sapienza, con il risultato che oggi un vino che esce dopo quattro anni è già pronto da bere. Tutto questo, dopo anni in cui il mercato ci diceva che questo vino non era mai pronto e bisognava aspettare a venderlo”. Già, perché il mercato oggi assorbe più che in passato il bianco e le bollicine, e chiede rossi più snelli, freschi e con un alcol contenuto, a spese dei vini di grande struttura e intensità. Per Montefalco, che storicamente fa rima con Sagrantino (dal 1992 al 2022 gli ettari vitati sono passati da 66 a 390 e negli ultimi vent’anni la produzione è quasi raddoppiata e oggi si attesta intorno al milione di bottiglie) è dunque tempo di trovare una nuova quadra in un mercato sempre più frammentato e complesso, così come succede per altri territori non solo italiani. Le bottiglie presentate all’Anteprima dell’annata 2020 (valutata “5 stelle”, dunque “eccezionale” con una classificazione in centesimi di 96 su 100) raccontano che il difficile lavoro di snellimento è iniziato in quasi tutte le Cantine e ora serve proseguire lungo questa strada guardando a finezza, eleganza e personalità, gestendo l’alcol e il legno imposti dal Disciplinare, senza “asfaltare” i tannini per non snaturarne l’importante e determinante identità. Chi in questo senso già ci lavora, un nome su tutti è quello di Giampaolo Tabarrini, è in grado di proporre oggi un ottimo e vitale Sagrantino, nuovo vino della tradizione e Docg rinnovata, che ben si pone davanti alla spontaneità rustica e “croccante” del Rosso di Montefalco. Doc quest’ultima che più di un prodottore ha reso un vino immmediato in tutta la sua piacevolezza e gastronomicità (persino nella poco comprensibile versione Riserva), esaltadone tutte le sue migliori virtù tanto da essere il best seller della Denominazione, e, per dirla con il presidente, “avere più domanda che offerta”. “Per il Sagrantino – conclude il ragionamento Bartoloni – serve un export forte, e nel nostro caso dobbiamo implementare i mercati che abbiamo aumentando i volumi, perché ora come ora manca uno sfogo significativo sul mercato nazionale”. Oggi in effetti, l’export non brilla, attestandosi complessivamente ad una media del 38% con gli Stati Uniti come primo mercato con il 13%.
“Il cambiamento riguarda anche il vino bianco: il Montefalco Bianco, il Grechetto e il Trebbiano Spoletino, sono Doc che nel 2023 hanno totalizzato poco meno di 630mila bottiglie e all’interno della Doc Montefalco la produzione dei bianchi ha rappresentato il 14% (10% Grechetto e 4% Montefalco Bianco)” continua Bartoloni, ricordando che “il bianco è una tipologia sempre più apprezzata dai consumatori, è un trend, e nonostante la Denominazione produca per il 75% vino rosso, il nostro bianco sta crescendo in numeri e in qualità, anche perché queste Doc oggi rappresentano il ‘cash flow’ delle Cantine, dato che per immettere il Sagrantino sul mercato devono aspettare quattro anni. Quindi – precisa il presidente – produciamo sempre più bianchi, anche se non necessariamente di pronta beva, perché il Trebbiano Spoletino va benissimo che esca anche dopo due anni”. La fotografia dei bianchi, non tantissimi, scattata all’anteprima immortala però una maggioranza ancora un po’ anonima, in cui si fa fatica a ritrovare le caratteristiche del vitigno e del suo terroir, e l’altra metà (o quasi) che restituisce un caleidoscopio di proposte così diverse tra loro (a partire dai colori nel bicchiere) che non può che disorientare il consumatore finale. Non serve certo omologazione ma una visione comune si rende necessaria perché, come ad esempio dimostra ogni anno un “purista” come Gianluca Piernera di Cantina Ninni, l’identitario Trebbiano Spoletino (vitigno che affonda le radici nella storia), può diventare un prezioso asso nella manica per sfruttare la tendenza del mercato. Bartoloni imputa queste diversità stilistiche “alla giovinezza della Doc che risale al 2011: ognuno lo sta interpretando a modo suo e penso che con il tempo si troverà una linea comune”, ammettendo però che “con così poche bottiglie di bianchi Doc e questa molteplicità di prodotti non è proprio così facile andare in giro a venderli perché i consumatori si chiedono quale sia il Trebbiano Spoletino vero. In Consorzio – chiosa – abbiamo deciso di fare più degustazioni dei nostri vini come quella che già facciamo una volta l’anno, perché pensiamo che possa essere un modo per favorire una strada comune”.
E oltre al bianco, c’è pure il rosé. “Il trend del rosato c’è, non dico che noi siamo dei cultori di questa tipologia ma abbiamo visto che il Sagrantino si presta anche ad una versione rosa, così come è ottimo come passito” afferma il presidente, spiegando che “oggi i produttori che lo fanno sono 21, utilizzando non solo uve Sagrantino, ma anche Sangiovese, Merlot e blend”. A marzo scorso, dopo aver vagliato le intenzioni dei soci, il Cda dell’ente consortile ha avvitato l’iter in Regione per apportare una serie di modifiche al Disciplinare della Doc Spoleto, la più importante della quale è quella di allargare l’areale (che oggi si attesta intorno ai 48 ettari) fino a farlo sovrapporre con quello della Docg Sagrantino, arrivando potenzialmente ad un centinaio di ettari. “Ampliando la possibilità di produrre – precisa il presidente – i numeri sono inevitabilmente destinati a crescere e le Cantine più grandi che faranno più Trebbiano Spoletino daranno la linea da seguire, lanceranno il trend così come è stato in passato con il Sagrantino e questo permetterà di essere più coesi e presentarsi insieme con una maggiore forza sul mercato”.
Per metà ricoperta da boschi e foreste, e per circa un terzo montuosa, l’Umbria è la cartina di tornasole del vino italiano: nonostante buona parte del suo territorio agricolo sia occupato da cereali e tabacco, tra le sue dolci colline, vallate e altopiani ci sono ben 21 Dop: due Docg, 13 Doc e sei Igt, diverse delle quali sono semisconosciute agli stessi abitanti. In questo quadro i vini di Montefalco, che nascono da un migliaio di ettari vitati in una territorio di antica tradizione vitivinicola, rappresentano circa il 22% della produzione del vino Dop regionale, con il Montefalco Sagrantino Docg e il Montefalco Rosso Doc che si attestano rispettivamente all’8% e al 14%. Foto di Pier Paolo Metelli