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”Il clima mite del Mediterraneo è morto”, il libro Ecoshock

”Il clima mite del Mediterraneo è morto”, il libro EcoshockRoma, 10 feb. (askanews) – Presentato a Sanremo, nell’ambito del salotto letterario di Casa Sanremo, il libro “Ecoshock, come cambiare il destino dell’Italia al centro della crisi climatica”, editore Rubbettino.


“Il clima mite del Mediterraneo è morto”, ha spiegato l’autore del libro di Giuseppe Caporale, giornalista d’inchiesta e fondatore dell’Osservatorio Economico e Sociale Riparte l’Italia durante uno degli appuntamenti clou del Palafiori: “Occorre un approccio all’impatto sui cambiamenti climatici in Italia che sia pragmatico e non ideologico. Che dia ascolto alle proteste degli agricoltori che sono le prime vittime di questi stravolgimenti come testimoniano quotidianamente i dati della Coldiretti”. Siccità ed eventi alluvionali rischiano di mettere a soqquadro il 94 per cento del territorio italiano: “Territori e cittadini non possono pagare il conto della transizione. Occorrono sostegni maggiori da parte dell’Europa e l’applicazione urgente del Piano Nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici che è stato recentemente approvato dal ministero dell’Ambiente”.

Clima e habitat alterati minacciano il fringuello alpino

Clima e habitat alterati minacciano il fringuello alpinoRoma, 29 gen. (askanews) – Gli uccelli specialisti delle alte quote come fringuello alpino, sordone e pernice bianca sono fortemente minacciati dai cambiamenti climatici e dalle alterazioni degli habitat montani causate dall’uomo, come la crescente pressione turistica e le relative infrastrutture. A causa di questi fattori, le aree a loro idonee stanno diventando sempre più ridotte e frammentate. Un punto cruciale per valutare le loro possibilità di sopravvivenza a lungo termine è rappresentato dalla possibilità di scambiare individui (e quindi geni) tra zone riproduttive diverse. Con la frammentazione degli areali, le aree di presenza diventano discontinue, e questo può rendere difficile il mantenimento di un flusso genico sufficiente. In particolare, le popolazioni più piccole e periferiche possono risentire fortemente di una diminuzione dell’immigrazione.

Questo aspetto, finora poco studiato ma fondamentale per capire cosa sta succedendo e succederà alle specie alpine, è stato l’oggetto di una ricerca nata da una collaborazione tra Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige, Università Statale di Milano, Università di Oulu, Museo delle Scienze di Trento (MUSE) ed Eurac Research. I risultati, appena pubblicati sul “Journal of Biogeography”, rivelano uno scenario preoccupante per una specie particolarmente rappresentativa delle aree aperte d’alta quota, il fringuello alpino. In base ad analisi genetiche basate su decine di esemplari provenienti da varie aree riproduttive in Trentino-Alto Adige e Lombardia, – informa Unimi – è emerso che lo scambio di individui tra aree riproduttive (cioè la dispersione) risente della distanza tra di esse, con una forte diminuzione già a partire da 20-30 chilometri. In questo settore delle Alpi, molti individui rimangono a riprodursi proprio nell’area dove sono nati: hanno quindi una scarsa propensione a disperdere, cosa che limita il flusso genico e la connettività di popolazione.

Inoltre, sono stati osservati alti livelli di inincrocio: il 20% degli individui campionati è nato infatti da genitori imparentati tra loro almeno a livello di cugini di primo grado, se non addirittura più strettamente. Questo indica che nella popolazione la dispersione è già insufficiente a garantire opportunità di accoppiamento con individui non imparentati. “Questi alti livelli di inincrocio sono particolarmente allarmanti, perché possono portare all’espressione di mutazioni recessive deleterie, diminuire la probabilità di sopravvivenza degli individui e il loro successo riproduttivo. Gli effetti congiunti di riduzione dell’habitat, scarsa dispersione ed effetti dell’inincrocio possono portare facilmente ad estinzioni locali, il che riduce la dimensione complessiva della popolazione e l’estensione effettiva dell’areale riproduttivo. Infatti, estinzioni locali o forti diminuzioni di questa specie sono già state riscontrate in alcuni settori alpini” commenta Francesco Ceresa, ornitologo del Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige e primo autore dello studio.

“Gli uccelli specialisti delle alte quote sono un vero e proprio termometro di quanto sta accadendo negli ambienti di alta montagna. I risultati che abbiamo ottenuto sono preoccupanti ed evidenziano la necessità di una maggiore e più stretta tutela di questi ambienti” commenta Petra Kranebitter, coordinatrice dello studio e conservatrice della sezione di zoologia del Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige. “Anche per questo continueremo a monitorare e studiare queste specie particolarmente minacciate” conclude Kranebitter. Mattia Brambilla, ecologo presso il dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università degli Studi di Milano e co-autore del lavoro, da anni impegnato in ricerche sull’avifauna alpina, sottolinea come questi risultati “aggiungano ulteriori elementi al complesso mosaico di effetti dei cambiamenti climatici sulle specie d’alta quota, che già includono contrazioni di areale, alterazione degli ambienti di foraggiamento, variazioni nella fenologia delle specie e delle risorse da cui dipendono, modifiche nelle relazioni interspecifiche ed esacerbazione degli impatti delle attività umane. L’effetto combinato di tutti questi fattori, spesso superiore alla somma dei singoli elementi, è alla base dei declini che già si osservano e che diverranno ancora più marcati nei decenni a venire”.

(Credits: Mattia Brambilla)

Davos, Nappini (Slow Food Italia): crisi ambientale è dramma sociale

Davos, Nappini (Slow Food Italia): crisi ambientale è dramma socialeMilano, 19 gen. (askanews) – “È un bene che si diffonda la consapevolezza che la crisi climatica avrà conseguenze dirompenti dal punto di vista economico, perché potrebbe essere la molla che spingerà definitivamente la politica ad agire in modo rapido e incisivo. O almeno ce lo auguriamo, ma pensare di affrontare il dramma ambientale che stiamo attraversando con il solo obiettivo di scampare al collasso economico-finanziario significherebbe commettere un errore che non ci possiamo permettere”. E’ quanto ha dichiarato la presidente di Slow Food Italia, Barbara Nappini, commentando gli studi sugli effetti del cambiamento climatico presentati al World Economic Forum di Davos, che stimano 14,5 milioni di morti e perdite per 12 mila miliardi e mezzo di dollari da qui al 2050.

Secondo Nappini, non può e non deve essere soltanto la salvaguardia di interessi economici la bussola per invertire la rotta, altrimenti “il rischio è di alimentare meccanismi ancora più distorti di quelli a cui assistiamo oggi, perdendo l’ennesima preziosa occasione per ripensare il nostro rapporto col prossimo e col vivente tutto”. “Riscopriamo un briciolo della saggezza millenaria di chi ci ha preceduto: l’unica ricchezza alla quale non possiamo rinunciare, e non esiste titolo finanziario altrettanto prezioso, è quella propria del pianeta che ci dà da vivere” ha proseguito la presidente di Slow Food Italia, aggiungendo che “la biodiversità animale e vegetale, la fertilità del suolo, il bene comune delle risorse a cui attingere in modo responsabile: l’unica, vera, garanzia per la sopravvivenza della specie umana e delle altre forme di vita sulla Terra”.

Infine, Nappini ha ricordato che non vi è progresso senza equità sociale e giustizia ambientale, come sottolineato da Papa Francesco proprio in occasione del Forum in Svizzera.

Torna su Rai3 “Quinta dimensione”, prima puntata sul clima

Torna su Rai3 “Quinta dimensione”, prima puntata sul climaRoma, 12 gen. (askanews) – Cosa sta succedendo al nostro pianeta? E il suo stato di salute quanto condiziona la nostra? La qualità della nostra vita sarà compromessa dai cambiamenti climatici che lo stanno interessando? Mentre, negli ultimi mesi, si susseguivano gli allarmi per siccità, incendi e altre catastrofi naturali tutti ci siamo posti queste domande.

Nella prima puntata di “Quinta dimensione – Il futuro è già qui”, il programma di Rai Cultura condotto da Barbara Gallavotti, in onda sabato 13 gennaio alle 21.45 su Rai3, proveranno a dare una risposta raccontando cosa dice la ricerca in merito, ma soprattutto quali sono le tante soluzioni e progetti che si stanno pensando per rendere la nostra vita non solo più sostenibile, ma più piacevole di quando non lo sia oggi, in un mondo segnato da inquinamento e invivibilità. In studio ospiti come Giovanni Soldini, che racconterà come ha visto cambiare i mari e del contributo che egli stesso sta dando alla ricerca. All’Istituto di Oceanografia e Geofisica di Trieste si potrà vedere come i ricercatori studiano gli abissi e come raccolgono dati per conoscere il nostro “pianeta d’acqua”. Si capirà perché al riscaldamento climatico corrispondono più eventi estremi, anche freddi, e fino a che punto è possibile prevederli. Si potrà scoprire come i ricercatori svizzeri pensano di ridisegnare il traffico urbano per renderlo più efficiente di quanto non sia persino nella efficientissima Zurigo.

E ancora, come si può riciclare il calcestruzzo utilizzandolo allo stesso tempo per intrappolare anidride carbonica. Approfondiremo, poi, l’impatto dei cambiamenti climatici sulla nostra salute e come attenuarlo e andremo ad Alberobello, in Puglia, per capire cosa possono insegnarci le tecniche di costruzione tradizionali. Ci chiederemo quanto ci convengano davvero le auto elettriche, fino a che punto possono fare la differenza, quali siano i vantaggi ma anche i punti critici del solare e quanto costerà rendere la nostra presenza sul pianeta sostenibile.

Amalia Ercoli Finzi, ospite fissa di “Quinta dimensione – Il futuro è già qui”, ci ricorderà perché la Terra è unica e Gianfranco Ravasi che è nostro dovere prendercene cura e che solo così facendo potremo costruire un futuro possibile, sostenibile e che tutti auspichiamo. “Quinta dimensione – Il futuro è già qui” è un’idea di Jean Pierre el Kozeh e Barbara Gallavotti ed è da lei scritto e condotto. Hanno contribuito ai testi Maria Chiara Albicocco, Francesca Buoninconti, Paolo Conte, Fabio Mazzeo, Paola Miletich, Fiorella Ravera. Delegato Rai Giulia Lanza. La regia è di Luca Granato. Prodotto da Ballandi per Rai Cultura.

Copernicus: il 2023 l’anno più caldo di sempre, +1,48°C

Copernicus: il 2023 l’anno più caldo di sempre, +1,48°CRoma, 9 gen. (askanews) – Il 2023 si conferma come l’anno più caldo dal 1850, con un aumento della temperatura media globale di 1,48°C rispetto al livello preindustriale 1850-1900 ed è probabile che in un periodo di 12 mesi che termina a gennaio o febbraio 2024 supererà la soglia di 1,5°C. È quanto emerge dal Global Climate Highlights 2023 di Copernicus Climate Change Service – C3S, programma di Osservazione della Terra dell’Unione europea.

La temperatura media globale è stata di 14,98°C, con un aumento di 0,17°C rispetto al precedente valore annuale più alto del 2016. Nel 2023 per la prima volta ogni giorno ha superato 1°C sopra il livello preindustriale del 1850-1900, quasi il 50% dei giorni sono stati di 1,5°C più caldi rispetto al livello 1850-1900, e due giorni a novembre sono stati, per la prima volta, più caldi di 2°C. Questo, spiega Copernicus, “non significa che abbiamo superato i limiti fissati dall’Accordo di Parigi (poiché si riferiscono a periodi di almeno 20 anni in cui questa anomalia della temperatura media viene superata), ma costituisce un terribile precedente”. Ogni mese da giugno a dicembre nel 2023 è stato più caldo del mese corrispondente di qualsiasi anno precedente, in particolare luglio e agosto sono stati i due mesi più caldi mai registrati. L’estate boreale (giugno-agosto) è stata anche la stagione più calda mai registrata. Dicembre 2023 è stato il dicembre più caldo mai registrato a livello globale, con una temperatura media di 13,51°C, 0,85°C sopra la media del periodo 1991-2020 e 1,78°C sopra il livello 1850-1900 del mese.

Le temperature medie globali della superficie del mare (SST) – segnala Copernicus – sono rimaste persistentemente e insolitamente elevate, raggiungendo livelli record per il periodo dell’anno da aprile a dicembre. Gli elevati SST nella maggior parte dei bacini oceanici, e in particolare nel Nord Atlantico, hanno svolto un ruolo importante nei record di SST globali. Le SST senza precedenti sono state associate a ondate di caldo marino in tutto il mondo, comprese alcune parti del Mediterraneo, Golfo del Messico e Caraibi, Oceano Indiano e Pacifico settentrionale e gran parte del Nord Atlantico. Nel 2023 il ghiaccio marino antartico ha raggiunto estensioni minime record per il corrispondente periodo dell’anno in 8 mesi. Sia l’estensione giornaliera che quella mensile hanno raggiunto i minimi storici nel febbraio 2023.

Le concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica e metano hanno continuato ad aumentare e hanno raggiunto livelli record nel 2023, raggiungendo rispettivamente 419 ppm (parti per milione) e 1902 ppb (parti per miliardo). Le concentrazioni di anidride carbonica nel 2023 sono state di 2,4 ppm superiori rispetto al 2022 e le concentrazioni di metano sono aumentate di 11 ppb. In tutto il mondo sono stati registrati numerosi eventi estremi, tra cui ondate di caldo, inondazioni, siccità e incendi. Le emissioni globali stimate di carbonio degli incendi boschivi nel 2023 sono aumentate del 30% rispetto al 2022, in gran parte a causa degli incendi persistenti in Canada.

Clima, Legambiente: bene approvazione Pnacc, ora stanziare risorse

Clima, Legambiente: bene approvazione Pnacc, ora stanziare risorseRoma, 3 gen. (askanews) – “Finalmente dopo sei lunghi anni dalla prima bozza e dopo ben quattro governi, l’Italia ha approvato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, il PNACC, che raccoglie 361 azioni rivolte ai sistemi naturali, sociali ed economici. Si tratta della prima buona notizia con cui si apre questo 2024 e di un passo importante nella lotta alla crisi climatica che arriva dopo anni di ritardi e stalli”. Lo dichiara il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani.

“Era il lontano 2018 – ricorda Ciafani – quando il Governo Gentiloni e l’allora ministro dell’ambiente Gianluca Galletti presentarono la prima bozza di Piano pubblicandola sul sito del ministero. Da allora si sono succeduti tre governi – il Conte 1, il Conte 2 e il Governo Draghi – e 2 ministri – Sergio Costa e Roberto Cingolani – ma nessuno ha mai adottato il documento in questione. Solo a fine 2022 è arrivato un primo segnale di svolta con la pubblicazione sul sito del MASE, guidato dal ministro Gilberto Pichetto Fratin, della bozza aggiornata del Piano, seguita dalla fase di consultazione e dall’approvazione finale arrivata pochi giorni fa. Ora però ricordiamo al Ministro dell’ambiente e al Governo Meloni che per attuare il PNACC sarà fondamentale stanziare le risorse economiche necessarie e ad oggi ancora assenti, non previste neanche nell’ultima legge di bilancio, altrimenti il rischio è che il piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici resti solo sulla carta”. “Sarà, inoltre, importante – prosegue Ciafani – approvare un PNIEC, Piano Nazionale Integrato Energia e Clima, con obiettivi più ambiziosi di produzione di energia rinnovabile e di riduzione di gas climalteranti al 2030; una legge sullo stop al consumo di suolo che ancora manca all’appello dopo oltre 11 anni dall’inizio del primo iter legislativo, semplificando anche la demolizione e la ricostruzione degli edifici esistenti ed entro tre mesi si emani il decreto che attiva l’Osservatorio nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici, con funzione di coordinamento tra i livelli di governo del territorio e dei vari settori”.

“L’Italia – continua Ciafani – è sempre più esposta alla crisi climatica che avanza e all’intensificarsi degli eventi meteorologici estremi che nel 2023 sono arrivati a quota 378, +22% rispetto all’anno precedente. Per questo è fondamentale che metta in campo una chiara e decisa strategia di prevenzione attuando al più presto le 361 azioni individuate nel Piano, tra cui le aree e vasche di esondazione e i processi di rinaturalizzazione dei bacini idrografici e dei versanti pe ridare spazi ai fiumi, per far sì che la nostra Penisola conviva nei prossimi anni con l’emergenza climatica evitando così di rincorrere le emergenze. Solo per i danni delle due alluvioni che nel 2023 hanno colpito Romagna e Toscana, l’Italia ha speso 11 miliardi di euro, ossia oltre un terzo della legge di bilancio 2024 appena approvata dal Parlamento. Risorse economiche, che con campagne di prevenzione e azioni di adattamento e mitigazione fatte per tempo, potevano essere in parte risparmiate. Per questo nei prossimi anni sarà importante anche intensificare le politiche territoriali di prevenzione e le campagne di sensibilizzazione sulla convivenza con il rischio, per far diventare il nostro Paese dal più esposto al centro del mar Mediterraneo a un esempio per gli altri”.

Nel 2023 bollino rosso per clima con 378 eventi estremi (+22%)

Nel 2023 bollino rosso per clima con 378 eventi estremi (+22%)Milano, 31 dic. (askanews) – Il 2023 è stato un anno da bollino rosso per il clima, segnato da un trend in continua crescita degli eventi meteorologici estremi. Ne sa qualcosa l’Italia dove quest’anno gli eventi estremi sono saliti a quota 378, segnando +22% rispetto al 2022, con danni miliardari ai territori e la morte di 31 persone. Il nord Italia, con 210 eventi meteorologici estremi, si conferma l’area più colpita della Penisola, seguita dal centro (98) e dal sud (70). In aumento soprattutto alluvioni ed esondazioni fluviali (+170% rispetto al 2022), le temperature record registrate nelle aree urbane (+150% rispetto ai casi del 2022), le frane da piogge intense (+64%); e poi le mareggiate (+44%), i danni da grandinate (+34,5%), e gli allagamenti (+12,4%). Eventi che hanno segnato un 2023 che ha visto anche l’alta quota in forte sofferenza con lo zero termico che ha raggiunto quota 5.328 metri sulle Alpi e con i ghiacciai in ritirata. A fare il bilancio di fine anno è l’Osservatorio Città Clima di Legambiente, realizzato insieme al Gruppo Unipol, che traccia un quadro complessivo di quanto accaduto in Italia in un 2023 in cui la crisi climatica ha accelerato il passo.

Nello specifico nella Penisola si sono verificati 118 casi di allagamenti da piogge intense, 82 casi di danni da trombe d’aria e raffiche di vento, 39 di danni da grandinate, 35 esondazioni fluviali che hanno causato danni, 26 danni da mareggiate, 21 danni da siccità prolungata, 20 casi di temperature estreme in città, 18 casi di frane causate da piogge intense, 16 eventi con danni alle infrastrutture e 3 eventi con impatti sul patrimonio storico. Tra le città più colpite: Roma, Milano, Fiumicino, Palermo e Prato. A livello regionale, Lombardia ed Emilia-Romagna risultano nel 2023 le regioni più in sofferenza con, rispettivamente, 62 e 59 eventi che hanno provocato danni, seguite da Toscana con 44, e da Lazio (30), Piemonte (27), Veneto (24) e Sicilia (21). C’è da sottolineare che solo nel mese di luglio la Lombardia è stata colpita da ben 28 eventi, due le vittime. Tra le province più colpite svetta al primo posto Roma con 25 eventi meteo estremi, seguita da Ravenna con 19, Milano con 17, Varese 12, Bologna e Torino 10. Un quadro preoccupante quello tracciato dall’Osservatorio Città Clima di Legambiente a cui si aggiunge il fatto che l’Italia è ancora senza un Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti climatici. Un paradosso tutto italiano che dimostra quanto l’Italia sia indietro nella lotta alla crisi climatica e nell’adottare politiche climatiche più ambiziose. Per l’associazione ambientalista il Paese continua a rincorrere le emergenze senza una chiara strategia. Serve una road map climatica nazionale non più rimandabile, fondata su tre pilastri: il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici da approvare senza più ulteriori ritardi, stanziando adeguate risorse economiche (ad oggi assenti) per attuare il Piano; una legge contro il consumo di suolo, che ancora manca all’appello dopo oltre 11 anni dall’inizio del primo iter legislativo, e per la rigenerazione urbana, snellendo le procedure per abbattimenti e ricostruzioni; superare la logica dell’emergenza agendo invece sulla prevenzione, che permetterebbe di risparmiare il 75% delle risorse spese per riparare i danni. “Gli eventi meteo estremi – dichiara Stefano Ciafani presidente nazionale di Legambiente – stanno aumentando con sempre maggiore frequenza e intensità e a pagarne lo scotto sono i territori e i cittadini. Il Governo Meloni approvi subito il Piano nazionale di adattamento al clima, stanziando anche le relative risorse economiche, che invece continuiamo a spendere per intervenire dopo i disastri, come dimostrano gli 11 miliardi di euro solo per i danni delle due alluvioni in Emilia-Romagna e Toscana. Il rischio è che l’Italia, senza il Piano e gli adeguati stanziamenti per la prevenzione, assenti anche nella Legge di bilancio in via di approvazione, continui a rincorrere le emergenze. Il Governo dovrebbe invece impegnarsi molto di più, puntando su prevenzione, politiche di adattamento al clima, campagne di sensibilizzazione sulla convivenza con il rischio, per far diventare il nostro paese dal più esposto al centro del mar Mediterraneo a un esempio per gli altri”.

Mediterraneo: tra 2022 e 2023 ondata calore più lunga ultimi 40 anni

Mediterraneo: tra 2022 e 2023 ondata calore più lunga ultimi 40 anniRoma, 21 dic. (askanews) – Nuovo allarme per il cambiamento climatico: da maggio 2022 a maggio 2023 il Mediterraneo ha subito l’ondata di calore più lunga mai registrata negli ultimi 40 anni con un aumento fino a 4°C delle temperature del mare e picchi superiori a 23°C. La parte più colpita è stata il bacino occidentale. È quanto emerge dal progetto CAREHeat, finanziato dall’Agenzia Spaziale Europea (Esa), al quale partecipano per l’Italia Enea e Cnr (coordinatore), i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista “Environmental Research Letters”.

Le attività di ricerca di CAREHeat sono iniziate con lo studio dell’ondata di calore che ha interessato il Mar Mediterraneo partendo dall’analisi dai dati satellitari che per primi hanno rilevato l’anomalia termica, con valori molto più alti rispetto alla precedente ondata di calore del 2003. Le informazioni satellitari – si legge nella notizia pubblicata sull’ultimo numero in italiano del settimanale ENEAinform@ – sono state poi integrate con i dati provenienti dalle osservazioni disponibili in situ presso la Stazione Climatica di Lampedusa, che rappresenta l’unico avamposto in Europa in grado di fornire informazioni sulle interazioni fra vegetazione, atmosfera e oceano, sia negli scambi di carbonio che in tutti i processi e scambi di energia che regolano il clima della regione. Inoltre, grazie all’utilizzo di simulazioni modellistiche e sistemi di elaborazione dati all’avanguardia, i ricercatori hanno potuto caratterizzare l’anomalia che ha interessato il periodo. In particolare, dalle indagini dettagliate sul ruolo dei cosiddetti ‘forzanti atmosferici’- come, ad esempio, il vento nel condizionare l’oceano – è emerso che le anomalie della temperatura superficiale del mare sono strettamente correlate alla prevalenza delle condizioni anticicloniche nell’atmosfera; condizioni che nello stesso periodo hanno causato anche gravi siccità nella regione mediterranea. L’analisi di questi dati indica che il rimescolamento verticale del mare causato dal vento è il principale responsabile del trasporto di calore all’interno delle acque marine e che queste anomalie sotto la superficie sono durate diversi mesi.

Infine, dal confronto fra l’evoluzione dell’evento del 2022/23 con il precedente evento del 2003 sono emersi alcuni aspetti legati al cambiamento climatico della regione: fra questi, ad esempio, le temperature ben al di sopra della media stagionale dagli inizi di maggio nell’area mediterranea e anche nella prima metà di giugno che è stata caratterizzata da situazioni meteorologiche tipiche di fasi più avanzate della stagione estiva. “I risultati di CAREheat ci mettono davanti agli occhi solo alcuni dei segnali del cambiamento climatico ma dobbiamo essere consapevoli che siamo solo agli inizi di un processo più ampio e che ci troviamo di fronte a segnali di ciò che accadrà in modo sempre più frequente”, commenta Gianmaria Sannino, responsabile della Divisione Enea di Modelli e tecnologie per la riduzione degli impatti antropici e dei rischi naturali.

“In questo contesto, la ricerca è e sarà un elemento chiave per informare e guidare le politiche ambientali future, come d’altronde ha stabilito finalmente la COP28: infatti, saranno i risultati dell’ultima Conference of the Parties di Dubai a guidare l’aggiornamento dei piani d’azione climatica nazionali per il 2025, per un intervento più ambizioso e finanziamenti mirati. Tra i punti salienti della COP28 inoltre è stata sancita per la prima volta la necessità di triplicare la capacità di energia rinnovabile e raddoppiare i miglioramenti nell’efficienza energetica; abbiamo raggiunto un traguardo storico con un fondo di oltre 700 milioni di dollari per sostenere i Paesi più vulnerabili; ci siamo impegnati a ridurre le emissioni di gas serra del 43% entro il 2030 e abbiamo finalmente adottato un quadro per l’adattamento climatico e per proteggere i nostri ecosistemi naturali fermando la deforestazione entro il 2030. Studi come CareHeat rappresenteranno una risorsa inestimabile per guidare la pianificazione delle strategie di adattamento”, conclude Sannino. “Alla luce delle conclusioni raggiunte nella recente COP28, i risultati del progetto CAREHeat si fanno ancora più rilevanti divenendo elementi chiave per informare e guidare le politiche ambientali future, con un forte impegno globale contro gli effetti del cambiamento climatico”, sottolinea Ernesto Napolitano del Laboratorio Enea di Modellistica climatica e impatti.

Il progetto CAREHeat mira a sviluppare nuove metodologie per prevedere e identificare le ondate di calore, comprenderne la propagazione e gli impatti su ambiente, biodiversità e attività economiche, come pesca e acquacoltura. Oltre a Enea e Cnr, partecipano al progetto finanziato da Esa nell’ambito delle “azioni bandiera” della Commissione europea, gli istituti di ricerca francesi CLS (Collect Locatisation Satellites) e IFREMER (Institut Français de Recherche pour l’Exploitation de la Mer), le non-profit Mercator Ocean International (Francia) e +ATLANTIC CoLAB (Portogallo).

Transizione energetica e fragilità: un’occasione per agire

Transizione energetica e fragilità: un’occasione per agireMilano, 19 dic. (askanews) – Ascoltare i gruppi vulnerabili per capire l’impatto della transizione energetica sui più fragili. È questo il compito che si è dato il progetto internazionale FETA (Fair Energy Transition for All Listening to economically disadvantaged people”), iniziato nel 2019 e ora giunto al termine. I risultati sono stati presentati a Milano in Fondazione Cariplo che, insieme ad altre fondazioni europee, è promotrice dell’iniziativa.

“Il tema dell’inclusione dei più fragili – ha detto ad askanews Carlo Mango, direttore dell’area Ricerca scientifica di Fondazione Cariplo – è veramente lampante, è molto importante ed secondo me deve essere in cima l’agenda di chi oggi si occupa di queste problematiche. La vera questione sulla quale dobbiamo prestare molta attenzione è che la transizione energetica, la sostenibilità, non diventi un qualcosa ad appannaggio dei più ricchi che possono permetterselo. Quindi da questo punto di vista massima attenzione, che vuol dire prestare attenzione agli individui, alle persone, ma anche alle piccole comunità e, perché no, anche agli Stati che oggi hanno difficoltà nell’intraprendere questi percorsi”. Tra i risultati più importanti emersi dallo studio il fatto che sono spesso le comunità più vulnerabili a pagare i costi più alti dei cambiamenti epocali che stiamo vivendo: da qui la necessità di condividere sforzi e sacrifici in maniera più equa. Anche perché tra i soggetti socialmente ed economicamente svantaggiati prevalgono sentimenti di confusione rispetto al tema della transizione e di diffidenza verso i decisori politici. E in questo contesto sembra necessario un cambio di filosofia e di approccio.

“Fondazione Cariplo in questi anni – ha aggiunto Elena Jachia, direttrice area Ambiente della Fondazione – ha cercato di sostenere la transizione ecologica ed energetica tentando di non lasciare indietro nessuno, questo è un po’ l’obiettivo che tutti ci dovremmo dare. La Fondazione già da due anni sostiene le comunità energetiche rinnovabili, dandogli un’accezione ulteriore che è quella della solidarietà e quindi di cercare di coinvolgere i soggetti fragili all’interno delle comunità energetiche. Con il bando Alternative nel 2022 abbiamo sostenuto 17 comunità energetiche in questo senso”. In conclusione la ricerca ha evidenziato che si sta aprendo per i tutti governi europei una finestra di opportunità per la costruzione di un’economia del benessere, in cui le politiche – non solo energetiche, ma anche educative, economiche e sociali – sostengano il benessere e la resilienza delle generazioni presenti e future e del loro ambiente, ma che una particolare attenzione deve essere rivolta ai più fragili. Il rischio altrimenti è una nuova frattura, con un’altra divaricazione tra chi si difende dai cambiamenti e chi non è in grado di farlo.

Extinction Rebellion: umiliati a Venezia, ma il mare sta alzando

Extinction Rebellion: umiliati a Venezia, ma il mare sta alzandoMilano, 10 dic. (askanews) – Dopo l’azione di ieri di Extinction Rebellion, in cui sono state tinte di verde le acque del Canal Grande e di altri fiumi e canali italiani, 28 persone sono state portate in Questura, a Venezia, e rilasciate dopo 6 ore. Sono state tutte denunciate per manifestazione non preavvisata, interruzione di pubblico servizio, sversamento di sostanze pericolose in concorso. A cinque di loro è stato rilasciato un foglio di via obbligatorio di 4 anni e a 3 persone un DASPO urbano di 48 ore. Sequestrati tutti i materiali, comprese anche alcune macchine fotografiche. Lo ha fatto sapere la stessa organizzazione ambientalista.

“Denunce completamente pretestuose, che non hanno nessun legame con i fatti realmente commessi. Denunce notificate indiscriminatamente a tutte le persone identificate” secondo Extinction Rebellion. “Tra le persone portate in questura vi era infatti anche un turista, che si trovava a Venezia per due giorni, e quattro persone dell’ufficio stampa, compresi i fotografi e videomaker. Ad eccezione del turista (graziato nonostante le 6 ore di fermo in questura), tutte le altre persone sono state denunciate per tutti e quattro i capi d’accusa. Anche chi dava volantini o, appunto, faceva foto e video. Il fatto più grave, tuttavia, è che cinque persone siano state espulse da Venezia per 4 anni, nonostante alcune di loro siano studentesse alla Ca’ Foscari di Venezia. Si tratta infatti di una applicazione illegittima di un provvedimento pensato per reati di mafia e che, secondo la legge stessa, non può essere notificata a chi ha un legame con la città”. Nonostante le accuse, Extinction Rebellion non si ferma: “A Venezia il livello del mare si sta alzando sempre di più. Tre persone si sono calate con imbraghi da un ponte per ricordarlo a tutti i cittadini, e sono state denunciate, espulse dalla città per 4 anni e umiliate pubblicamente dal sindaco e da un ministro del Governo italiano. Chi accuseranno quando il Canal Grande sarà davvero bloccato perché il mare avrà invaso Venezia?”