Skip to main content
#sanremo #studionews #askanews #ciaousa #altrosanremo

Tornado in Pianura Padana, Cnr: dinamica simile a quella degli Usa

Tornado in Pianura Padana, Cnr: dinamica simile a quella degli UsaMilano, 17 apr. (askanews) – I tornado sul Nord Italia si formano spesso in corrispondenza di un “punto triplo”, cioè alla confluenza di tre masse d’aria provenienti da direzioni diverse e con caratteristiche differenti, come masse d’aria umida, secca e più fredda. È quanto ha messo in luce uno studio condotto dall’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Isac), in collaborazione con le Università di Bologna, Bari e Milano.


La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica statunitense Monthly Weather Review, si focalizza sui fenomeni legati ai tornado che si verificano con particolare frequenza tra Lombardia ed Emilia-Romagna. Tra questi, un evento di notevole rilevanza è quello accaduto nel settembre 2021, dove si sono sviluppati sette tornado in poche ore, causando gravi danni in numerose località della Pianura Padana. Ben quattro di questi vortici sono stati classificati di grado F2 secondo la scala Fujita (che classifica i tornado da 0, debole, a 5, danni devastanti), mentre tre sono stati classificati di grado F1. Sebbene la Pianura Padana sia ritenuta un hot-spot per lo sviluppo di tornado in Europa, per via della complessa orografia della regione dove Alpi e Appennini modulano i flussi atmosferici nei bassi strati, la sequenza registrata ha rappresentato un evento inusuale, che ha spinto i ricercatori ad approfondire i meccanismi fisici che hanno portato alla genesi dei vortici. “Lo studio delle osservazioni al suolo durante l’evento ha evidenziato come i tornado si siano sempre sviluppati a non più di 20-30 km di distanza da una dryline, ossia da un fronte di aria secca che discendeva dagli Appennini, e nei pressi di una discontinuità fredda generata da temporali sulla pedemontana alpina -, afferma Vincenzo Levizzani, dirigente di ricerca del Cnr-Isac -. Contemporaneamente, correnti da sud-est molto umide soffiavano dal Mar Adriatico verso la Pianura Padana. Significativamente, altri temporali, che si sono sviluppati durante quella giornata in Pianura Padana ma a distanza maggiore dal punto triplo, non hanno generato tornado”.


Particolarità dello studio è stato realizzare simulazioni numeriche ad alta risoluzione con il modello meteorologico MOLOCH, sviluppato presso l’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima di Bologna (Cnr-Isac), allo scopo di simulare le supercelle che hanno generato i tornado. “Il modello è stato in grado di riprodurre correttamente lo sviluppo delle supercelle tornadiche e la complessa interazione dei flussi in superficie emersa dalle osservazioni”, aggiunge Silvio Davolio, professore presso l’Università degli Studi di Milano, associato al Cnr-Isac. “Il modello ha rivelato una marcata rotazione del vento nelle vicinanze della dryline in relazione alla quota: da sud-est nei pressi del suolo, a sud-ovest sopra il primo chilometro. Questo peculiare profilo del vento ha generato la vorticità che porta allo sviluppo dei tornado – osserva Mario Marcello Miglietta, professore presso l’Università degli Studi di Bari e associato di ricerca Cnr-Isac -. Inoltre, nei pressi del punto triplo si è accumulata molta umidità, che incrementa l’instabilità potenziale, un altro elemento importante per la genesi di questi fenomeni violenti”.


“Il modello concettuale proposto, ottenuto da un’approfondita analisi di osservazioni e simulazioni numeriche, è ispirato alla dinamica osservata negli Stati Uniti nella cosiddetta ‘Tornado Alley’, dove i tornado si formano alla confluenza di masse d’aria umida provenienti dal Golfo del Messico, masse d’aria secca dalle Montagne Rocciose e masse d’aria più fredda dal Canada. Nel caso della Pianura Padana si osserva qualcosa di simile, ma a scala molto più ridotta”, conclude Francesco De Martin, dottorando dell’Università di Bologna e primo autore dell’articolo. Questo studio, grazie alla miglior comprensione delle dinamiche che generano i tornado, potrebbe contribuire a migliorarne le previsioni, anche se rimangono ancora caratterizzate da un certo grado di incertezza. Ancora oggi, infatti, è impossibile conoscere nel dettaglio se, dove e quando si svilupperà un tornado, anche a poche ore da un evento.

Giornata Meteo, gen. Baione (A.M.): in prima linea per il Clima

Giornata Meteo, gen. Baione (A.M.): in prima linea per il ClimaRoma, 22 mar. (askanews) – “Il nostro è un messaggio di educazione e di divulgazione nei confronti dei giovani. Valorizziamo il tema indicato dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale ‘At the Frontline of Climate Action’, ossia stare in prima linea per l’azione, per il clima. Noi vogliamo che i giovani abbiano gli strumenti, la conoscenza, la cultura per fare il loro, per dare il loro rapporto per il cambiamento climatico”. E’ il messaggio lanciato ad askanews dal Generale di Brigata Luca Baione, Rappresentante Permanente d’Italia presso l’Organizzazione Meteorologica Mondiale, a margine dell’evento “At the Frontline of Climate Action” organizzato dall’Aeronautica Militare al Palazzo della Fao, a Roma, in occasione della Giornata Meteorologica Mondiale.


“Le attenzioni sono quelle che riguardano anche l’uso quotidiano o meglio il non spreco delle risorse della Terra. Abbiamo parlato durante questa conferenza, dell’acqua – prosegue il gen. Baione – abbiamo parlato dell’elettricità, Geopop ci ha ricordato di staccare ad esempio i cellulari, i caricabatterie dopo che il cellulare è stato caricato, di chiudere l’acqua mentre non la stiamo usando e di riutilizzare possibilmente l’acqua. Sono delle risorse che non sono infinite, anzi”. Il 23 marzo si celebra la Giornata Meteorologica Mondiale. Per l’occasione, l’Aeronautica Militare ha organizzato un incontro con oltre 400 studenti delle scuole superiori di Roma e del Lazio sul tema indicato dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale per il 2024: “At the Frontline of Climate Action”, ovvero “In prima linea per l’azione sul clima”.


L’evento, che ha visto la partecipazione di rappresentanti di istituzioni, del mondo accademico e della ricerca, ha avuto l’obiettivo di avvicinare le giovani generazioni ai temi del cambiamento climatico e alle molteplici iniziative nazionali e internazionali in atto per mitigarne gli effetti e adottare i necessari provvedimenti di adattamento, nonché per illustrare i compiti delle istituzioni nazionali e, in particolare, il ruolo del Servizio Meteorologico dell’Aeronautica Militare nelle attività di monitoraggio dell’atmosfera nell’ambito delle collaborazioni esistenti a livello nazionale e mondiale sotto l’egida dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale. Gli studenti hanno avuto in particolare l’opportunità di interagire direttamente con i relatori, potendo così acquisire conoscenze e stimoli sui diversi strumenti utilizzati – dall’utilizzo dei satelliti meteorologici alla formazione universitaria, fino ad attività scientifiche dirette come ad esempio le spedizioni in Antartide- e recependo le “buone pratiche” quotidiane per diventare promotori consapevoli di iniziative che possano contribuire alle azioni nazionali e internazionali.

Giornata Meteo, Martina (Fao): lotta a crisi alimentare e climatica

Giornata Meteo, Martina (Fao): lotta a crisi alimentare e climaticaRoma, 22 mar. (askanews) – “Il messaggio è semplice ma importantissimo: crisi climatica e crisi alimentare sono due facce della stessa medaglia, soprattutto per i paesi più fragili. Quindi noi abbiamo bisogno di lavorare ancora di più sui grandi temi della lotta al cambiamento climatico, proprio perché il nesso tra questi temi e i temi dell’insicurezza alimentare è sempre più evidente”. Lo ha detto Maurizio Martina, vicedirettore generale della Fao, intervenendo all’evento “At the Frontline of Climate Action” organizzato dall’Aeronautica Militare al Palazzo della Fao, a Roma, in occasione della Giornata Meteorologica Mondiale.


Il video su askanews.it

Clima, AEA: Ue impreparata, rischi catastrofici se non si agisce

Clima, AEA: Ue impreparata, rischi catastrofici se non si agisceRoma, 11 mar. (askanews) – Nel mondo l’Europa è il continente che sta registrando i più rapidi aumenti delle temperature. I rischi climatici ne minacciano la sicurezza energetica e alimentare, gli ecosistemi, le infrastrutture, le risorse idriche, la stabilità economica e la salute dei cittadini. In base alla valutazione dell’Agenzia europea dell’ambiente (AEA), pubblicata oggi, molti di tali rischi hanno già raggiunto livelli critici, che potrebbero diventare catastrofici in assenza di interventi urgenti e decisivi.


Come si è visto già negli ultimi anni, in Europa caldo estremo, siccità, incendi boschivi e inondazioni sono destinati ad acuirsi anche in base agli scenari più ottimistici in materia di riscaldamento globale e a incidere sulle condizioni di vita in tutto il continente. L’AEA ha pubblicato i risultati della prima European Climate Risk Assessment (EUCRA) (valutazione europea dei rischi climatici) mai effettuata quale contributo all’individuazione delle priorità politiche in materia di adattamento ai cambiamenti climatici e in supporto ai settori sensibili al clima. Ne emerge che in Europa le politiche e gli interventi di adattamento non tengono il ritmo con la rapida evoluzione dei suddetti rischi. In molti casi, un adattamento incrementale non sarà sufficiente. Inoltre, poiché numerose misure volte a migliorare la resilienza ai cambiamenti climatici richiedono molto tempo, possono essere necessari interventi urgenti anche per rischi non ancora critici.


In alcune regioni d’Europa si concentrano rischi climatici multipli. L’Europa meridionale – informa AEA – è particolarmente a rischio a causa degli incendi boschivi nonché degli effetti delle ondate di calore e della scarsità di acqua sulla produzione agricola, sul lavoro all’aria aperta e sulla salute umana. Le inondazioni, l’erosione e l’infiltrazione di acqua salata minacciano le regioni costiere europee a bassa quota, comprese molte città densamente popolate. “Dalla nostra ultima analisi – dichiara Leena Ylä-Mononen, Direttrice esecutiva dell’AEA – si evince che l’Europa si trova di fronte a rischi climatici urgenti che si acuiscono più rapidamente di quanto le nostre società riescano a prepararsi. Per garantirne la resilienza i responsabili politici europei e nazionali devono agire immediatamente con interventi volti a limitare i rischi climatici, sia mediante una rapida riduzione delle emissioni sia con l’attuazione di politiche e di interventi di adattamento forti”.


La valutazione individua in Europa 36 principali rischi climatici nell’ambito di cinque grandi gruppi: ecosistemi, alimenti, salute, infrastrutture, economia e finanza. Sono già necessari interventi più incisivi per oltre la metà dei principali rischi climatici individuati dalla relazione, di cui otto da attuare con particolare urgenza, principalmente per preservare gli ecosistemi, limitare l’esposizione umana al calore, proteggere la popolazione e le infrastrutture da inondazioni e incendi boschivi e garantire la sostenibilità dei meccanismi di solidarietà europei, come il Fondo di solidarietà dell’UE. L’UE e i relativi Stati membri hanno compiuto notevoli progressi nella comprensionedei rischi climatici e nella preparazione ad affrontare tali rischi. A livello nazionale sono sempre più utilizzate valutazioni dei rischi climatici a fini di orientamento dello sviluppo delle politiche di adattamento. Tuttavia, – avverte l’AEA – la preparazione della società in generale è resa insufficiente dal ritardo nell’attuazione delle politiche rispetto al rapido aumento dei livelli di rischio.


La maggior parte dei principali rischi climatici individuati nella relazione è considerata un fattore che interessa “congiuntamente” l’UE, i relativi Stati membri e altri livelli di governo. La valutazione dell’AEA sottolinea che, per affrontare e limitare i rischi climatici in Europa, l’UE e gli Stati membri devono collaborare coinvolgendo anche i livelli regionali e locali laddove si rivelino necessari interventi urgenti e coordinati. Vi sono ancora molte lacune nelle conoscenze relative ai principali rischi climatici individuati nella relazione dell’AEA. L’UE – secondo la relazione – può svolgere un ruolo chiave nel favorire una migliore comprensione di tali rischi e dei soggetti che ne sono interessati nonché delle modalità con le quali affrontarli, sia in sede legislativa sia mediante strutture di governance, monitoraggio, finanziamenti e sostegno tecnico adeguati.

”Il clima mite del Mediterraneo è morto”, il libro Ecoshock

”Il clima mite del Mediterraneo è morto”, il libro EcoshockRoma, 10 feb. (askanews) – Presentato a Sanremo, nell’ambito del salotto letterario di Casa Sanremo, il libro “Ecoshock, come cambiare il destino dell’Italia al centro della crisi climatica”, editore Rubbettino.


“Il clima mite del Mediterraneo è morto”, ha spiegato l’autore del libro di Giuseppe Caporale, giornalista d’inchiesta e fondatore dell’Osservatorio Economico e Sociale Riparte l’Italia durante uno degli appuntamenti clou del Palafiori: “Occorre un approccio all’impatto sui cambiamenti climatici in Italia che sia pragmatico e non ideologico. Che dia ascolto alle proteste degli agricoltori che sono le prime vittime di questi stravolgimenti come testimoniano quotidianamente i dati della Coldiretti”. Siccità ed eventi alluvionali rischiano di mettere a soqquadro il 94 per cento del territorio italiano: “Territori e cittadini non possono pagare il conto della transizione. Occorrono sostegni maggiori da parte dell’Europa e l’applicazione urgente del Piano Nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici che è stato recentemente approvato dal ministero dell’Ambiente”.

Clima e habitat alterati minacciano il fringuello alpino

Clima e habitat alterati minacciano il fringuello alpinoRoma, 29 gen. (askanews) – Gli uccelli specialisti delle alte quote come fringuello alpino, sordone e pernice bianca sono fortemente minacciati dai cambiamenti climatici e dalle alterazioni degli habitat montani causate dall’uomo, come la crescente pressione turistica e le relative infrastrutture. A causa di questi fattori, le aree a loro idonee stanno diventando sempre più ridotte e frammentate. Un punto cruciale per valutare le loro possibilità di sopravvivenza a lungo termine è rappresentato dalla possibilità di scambiare individui (e quindi geni) tra zone riproduttive diverse. Con la frammentazione degli areali, le aree di presenza diventano discontinue, e questo può rendere difficile il mantenimento di un flusso genico sufficiente. In particolare, le popolazioni più piccole e periferiche possono risentire fortemente di una diminuzione dell’immigrazione.

Questo aspetto, finora poco studiato ma fondamentale per capire cosa sta succedendo e succederà alle specie alpine, è stato l’oggetto di una ricerca nata da una collaborazione tra Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige, Università Statale di Milano, Università di Oulu, Museo delle Scienze di Trento (MUSE) ed Eurac Research. I risultati, appena pubblicati sul “Journal of Biogeography”, rivelano uno scenario preoccupante per una specie particolarmente rappresentativa delle aree aperte d’alta quota, il fringuello alpino. In base ad analisi genetiche basate su decine di esemplari provenienti da varie aree riproduttive in Trentino-Alto Adige e Lombardia, – informa Unimi – è emerso che lo scambio di individui tra aree riproduttive (cioè la dispersione) risente della distanza tra di esse, con una forte diminuzione già a partire da 20-30 chilometri. In questo settore delle Alpi, molti individui rimangono a riprodursi proprio nell’area dove sono nati: hanno quindi una scarsa propensione a disperdere, cosa che limita il flusso genico e la connettività di popolazione.

Inoltre, sono stati osservati alti livelli di inincrocio: il 20% degli individui campionati è nato infatti da genitori imparentati tra loro almeno a livello di cugini di primo grado, se non addirittura più strettamente. Questo indica che nella popolazione la dispersione è già insufficiente a garantire opportunità di accoppiamento con individui non imparentati. “Questi alti livelli di inincrocio sono particolarmente allarmanti, perché possono portare all’espressione di mutazioni recessive deleterie, diminuire la probabilità di sopravvivenza degli individui e il loro successo riproduttivo. Gli effetti congiunti di riduzione dell’habitat, scarsa dispersione ed effetti dell’inincrocio possono portare facilmente ad estinzioni locali, il che riduce la dimensione complessiva della popolazione e l’estensione effettiva dell’areale riproduttivo. Infatti, estinzioni locali o forti diminuzioni di questa specie sono già state riscontrate in alcuni settori alpini” commenta Francesco Ceresa, ornitologo del Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige e primo autore dello studio.

“Gli uccelli specialisti delle alte quote sono un vero e proprio termometro di quanto sta accadendo negli ambienti di alta montagna. I risultati che abbiamo ottenuto sono preoccupanti ed evidenziano la necessità di una maggiore e più stretta tutela di questi ambienti” commenta Petra Kranebitter, coordinatrice dello studio e conservatrice della sezione di zoologia del Museo di Scienze Naturali dell’Alto Adige. “Anche per questo continueremo a monitorare e studiare queste specie particolarmente minacciate” conclude Kranebitter. Mattia Brambilla, ecologo presso il dipartimento di Scienze e Politiche Ambientali dell’Università degli Studi di Milano e co-autore del lavoro, da anni impegnato in ricerche sull’avifauna alpina, sottolinea come questi risultati “aggiungano ulteriori elementi al complesso mosaico di effetti dei cambiamenti climatici sulle specie d’alta quota, che già includono contrazioni di areale, alterazione degli ambienti di foraggiamento, variazioni nella fenologia delle specie e delle risorse da cui dipendono, modifiche nelle relazioni interspecifiche ed esacerbazione degli impatti delle attività umane. L’effetto combinato di tutti questi fattori, spesso superiore alla somma dei singoli elementi, è alla base dei declini che già si osservano e che diverranno ancora più marcati nei decenni a venire”.

(Credits: Mattia Brambilla)

Davos, Nappini (Slow Food Italia): crisi ambientale è dramma sociale

Davos, Nappini (Slow Food Italia): crisi ambientale è dramma socialeMilano, 19 gen. (askanews) – “È un bene che si diffonda la consapevolezza che la crisi climatica avrà conseguenze dirompenti dal punto di vista economico, perché potrebbe essere la molla che spingerà definitivamente la politica ad agire in modo rapido e incisivo. O almeno ce lo auguriamo, ma pensare di affrontare il dramma ambientale che stiamo attraversando con il solo obiettivo di scampare al collasso economico-finanziario significherebbe commettere un errore che non ci possiamo permettere”. E’ quanto ha dichiarato la presidente di Slow Food Italia, Barbara Nappini, commentando gli studi sugli effetti del cambiamento climatico presentati al World Economic Forum di Davos, che stimano 14,5 milioni di morti e perdite per 12 mila miliardi e mezzo di dollari da qui al 2050.

Secondo Nappini, non può e non deve essere soltanto la salvaguardia di interessi economici la bussola per invertire la rotta, altrimenti “il rischio è di alimentare meccanismi ancora più distorti di quelli a cui assistiamo oggi, perdendo l’ennesima preziosa occasione per ripensare il nostro rapporto col prossimo e col vivente tutto”. “Riscopriamo un briciolo della saggezza millenaria di chi ci ha preceduto: l’unica ricchezza alla quale non possiamo rinunciare, e non esiste titolo finanziario altrettanto prezioso, è quella propria del pianeta che ci dà da vivere” ha proseguito la presidente di Slow Food Italia, aggiungendo che “la biodiversità animale e vegetale, la fertilità del suolo, il bene comune delle risorse a cui attingere in modo responsabile: l’unica, vera, garanzia per la sopravvivenza della specie umana e delle altre forme di vita sulla Terra”.

Infine, Nappini ha ricordato che non vi è progresso senza equità sociale e giustizia ambientale, come sottolineato da Papa Francesco proprio in occasione del Forum in Svizzera.

Torna su Rai3 “Quinta dimensione”, prima puntata sul clima

Torna su Rai3 “Quinta dimensione”, prima puntata sul climaRoma, 12 gen. (askanews) – Cosa sta succedendo al nostro pianeta? E il suo stato di salute quanto condiziona la nostra? La qualità della nostra vita sarà compromessa dai cambiamenti climatici che lo stanno interessando? Mentre, negli ultimi mesi, si susseguivano gli allarmi per siccità, incendi e altre catastrofi naturali tutti ci siamo posti queste domande.

Nella prima puntata di “Quinta dimensione – Il futuro è già qui”, il programma di Rai Cultura condotto da Barbara Gallavotti, in onda sabato 13 gennaio alle 21.45 su Rai3, proveranno a dare una risposta raccontando cosa dice la ricerca in merito, ma soprattutto quali sono le tante soluzioni e progetti che si stanno pensando per rendere la nostra vita non solo più sostenibile, ma più piacevole di quando non lo sia oggi, in un mondo segnato da inquinamento e invivibilità. In studio ospiti come Giovanni Soldini, che racconterà come ha visto cambiare i mari e del contributo che egli stesso sta dando alla ricerca. All’Istituto di Oceanografia e Geofisica di Trieste si potrà vedere come i ricercatori studiano gli abissi e come raccolgono dati per conoscere il nostro “pianeta d’acqua”. Si capirà perché al riscaldamento climatico corrispondono più eventi estremi, anche freddi, e fino a che punto è possibile prevederli. Si potrà scoprire come i ricercatori svizzeri pensano di ridisegnare il traffico urbano per renderlo più efficiente di quanto non sia persino nella efficientissima Zurigo.

E ancora, come si può riciclare il calcestruzzo utilizzandolo allo stesso tempo per intrappolare anidride carbonica. Approfondiremo, poi, l’impatto dei cambiamenti climatici sulla nostra salute e come attenuarlo e andremo ad Alberobello, in Puglia, per capire cosa possono insegnarci le tecniche di costruzione tradizionali. Ci chiederemo quanto ci convengano davvero le auto elettriche, fino a che punto possono fare la differenza, quali siano i vantaggi ma anche i punti critici del solare e quanto costerà rendere la nostra presenza sul pianeta sostenibile.

Amalia Ercoli Finzi, ospite fissa di “Quinta dimensione – Il futuro è già qui”, ci ricorderà perché la Terra è unica e Gianfranco Ravasi che è nostro dovere prendercene cura e che solo così facendo potremo costruire un futuro possibile, sostenibile e che tutti auspichiamo. “Quinta dimensione – Il futuro è già qui” è un’idea di Jean Pierre el Kozeh e Barbara Gallavotti ed è da lei scritto e condotto. Hanno contribuito ai testi Maria Chiara Albicocco, Francesca Buoninconti, Paolo Conte, Fabio Mazzeo, Paola Miletich, Fiorella Ravera. Delegato Rai Giulia Lanza. La regia è di Luca Granato. Prodotto da Ballandi per Rai Cultura.

Copernicus: il 2023 l’anno più caldo di sempre, +1,48°C

Copernicus: il 2023 l’anno più caldo di sempre, +1,48°CRoma, 9 gen. (askanews) – Il 2023 si conferma come l’anno più caldo dal 1850, con un aumento della temperatura media globale di 1,48°C rispetto al livello preindustriale 1850-1900 ed è probabile che in un periodo di 12 mesi che termina a gennaio o febbraio 2024 supererà la soglia di 1,5°C. È quanto emerge dal Global Climate Highlights 2023 di Copernicus Climate Change Service – C3S, programma di Osservazione della Terra dell’Unione europea.

La temperatura media globale è stata di 14,98°C, con un aumento di 0,17°C rispetto al precedente valore annuale più alto del 2016. Nel 2023 per la prima volta ogni giorno ha superato 1°C sopra il livello preindustriale del 1850-1900, quasi il 50% dei giorni sono stati di 1,5°C più caldi rispetto al livello 1850-1900, e due giorni a novembre sono stati, per la prima volta, più caldi di 2°C. Questo, spiega Copernicus, “non significa che abbiamo superato i limiti fissati dall’Accordo di Parigi (poiché si riferiscono a periodi di almeno 20 anni in cui questa anomalia della temperatura media viene superata), ma costituisce un terribile precedente”. Ogni mese da giugno a dicembre nel 2023 è stato più caldo del mese corrispondente di qualsiasi anno precedente, in particolare luglio e agosto sono stati i due mesi più caldi mai registrati. L’estate boreale (giugno-agosto) è stata anche la stagione più calda mai registrata. Dicembre 2023 è stato il dicembre più caldo mai registrato a livello globale, con una temperatura media di 13,51°C, 0,85°C sopra la media del periodo 1991-2020 e 1,78°C sopra il livello 1850-1900 del mese.

Le temperature medie globali della superficie del mare (SST) – segnala Copernicus – sono rimaste persistentemente e insolitamente elevate, raggiungendo livelli record per il periodo dell’anno da aprile a dicembre. Gli elevati SST nella maggior parte dei bacini oceanici, e in particolare nel Nord Atlantico, hanno svolto un ruolo importante nei record di SST globali. Le SST senza precedenti sono state associate a ondate di caldo marino in tutto il mondo, comprese alcune parti del Mediterraneo, Golfo del Messico e Caraibi, Oceano Indiano e Pacifico settentrionale e gran parte del Nord Atlantico. Nel 2023 il ghiaccio marino antartico ha raggiunto estensioni minime record per il corrispondente periodo dell’anno in 8 mesi. Sia l’estensione giornaliera che quella mensile hanno raggiunto i minimi storici nel febbraio 2023.

Le concentrazioni atmosferiche di anidride carbonica e metano hanno continuato ad aumentare e hanno raggiunto livelli record nel 2023, raggiungendo rispettivamente 419 ppm (parti per milione) e 1902 ppb (parti per miliardo). Le concentrazioni di anidride carbonica nel 2023 sono state di 2,4 ppm superiori rispetto al 2022 e le concentrazioni di metano sono aumentate di 11 ppb. In tutto il mondo sono stati registrati numerosi eventi estremi, tra cui ondate di caldo, inondazioni, siccità e incendi. Le emissioni globali stimate di carbonio degli incendi boschivi nel 2023 sono aumentate del 30% rispetto al 2022, in gran parte a causa degli incendi persistenti in Canada.

Clima, Legambiente: bene approvazione Pnacc, ora stanziare risorse

Clima, Legambiente: bene approvazione Pnacc, ora stanziare risorseRoma, 3 gen. (askanews) – “Finalmente dopo sei lunghi anni dalla prima bozza e dopo ben quattro governi, l’Italia ha approvato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, il PNACC, che raccoglie 361 azioni rivolte ai sistemi naturali, sociali ed economici. Si tratta della prima buona notizia con cui si apre questo 2024 e di un passo importante nella lotta alla crisi climatica che arriva dopo anni di ritardi e stalli”. Lo dichiara il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani.

“Era il lontano 2018 – ricorda Ciafani – quando il Governo Gentiloni e l’allora ministro dell’ambiente Gianluca Galletti presentarono la prima bozza di Piano pubblicandola sul sito del ministero. Da allora si sono succeduti tre governi – il Conte 1, il Conte 2 e il Governo Draghi – e 2 ministri – Sergio Costa e Roberto Cingolani – ma nessuno ha mai adottato il documento in questione. Solo a fine 2022 è arrivato un primo segnale di svolta con la pubblicazione sul sito del MASE, guidato dal ministro Gilberto Pichetto Fratin, della bozza aggiornata del Piano, seguita dalla fase di consultazione e dall’approvazione finale arrivata pochi giorni fa. Ora però ricordiamo al Ministro dell’ambiente e al Governo Meloni che per attuare il PNACC sarà fondamentale stanziare le risorse economiche necessarie e ad oggi ancora assenti, non previste neanche nell’ultima legge di bilancio, altrimenti il rischio è che il piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici resti solo sulla carta”. “Sarà, inoltre, importante – prosegue Ciafani – approvare un PNIEC, Piano Nazionale Integrato Energia e Clima, con obiettivi più ambiziosi di produzione di energia rinnovabile e di riduzione di gas climalteranti al 2030; una legge sullo stop al consumo di suolo che ancora manca all’appello dopo oltre 11 anni dall’inizio del primo iter legislativo, semplificando anche la demolizione e la ricostruzione degli edifici esistenti ed entro tre mesi si emani il decreto che attiva l’Osservatorio nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici, con funzione di coordinamento tra i livelli di governo del territorio e dei vari settori”.

“L’Italia – continua Ciafani – è sempre più esposta alla crisi climatica che avanza e all’intensificarsi degli eventi meteorologici estremi che nel 2023 sono arrivati a quota 378, +22% rispetto all’anno precedente. Per questo è fondamentale che metta in campo una chiara e decisa strategia di prevenzione attuando al più presto le 361 azioni individuate nel Piano, tra cui le aree e vasche di esondazione e i processi di rinaturalizzazione dei bacini idrografici e dei versanti pe ridare spazi ai fiumi, per far sì che la nostra Penisola conviva nei prossimi anni con l’emergenza climatica evitando così di rincorrere le emergenze. Solo per i danni delle due alluvioni che nel 2023 hanno colpito Romagna e Toscana, l’Italia ha speso 11 miliardi di euro, ossia oltre un terzo della legge di bilancio 2024 appena approvata dal Parlamento. Risorse economiche, che con campagne di prevenzione e azioni di adattamento e mitigazione fatte per tempo, potevano essere in parte risparmiate. Per questo nei prossimi anni sarà importante anche intensificare le politiche territoriali di prevenzione e le campagne di sensibilizzazione sulla convivenza con il rischio, per far diventare il nostro Paese dal più esposto al centro del mar Mediterraneo a un esempio per gli altri”.