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Clima, Legambiente: bene approvazione Pnacc, ora stanziare risorse

Clima, Legambiente: bene approvazione Pnacc, ora stanziare risorseRoma, 3 gen. (askanews) – “Finalmente dopo sei lunghi anni dalla prima bozza e dopo ben quattro governi, l’Italia ha approvato il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, il PNACC, che raccoglie 361 azioni rivolte ai sistemi naturali, sociali ed economici. Si tratta della prima buona notizia con cui si apre questo 2024 e di un passo importante nella lotta alla crisi climatica che arriva dopo anni di ritardi e stalli”. Lo dichiara il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani.

“Era il lontano 2018 – ricorda Ciafani – quando il Governo Gentiloni e l’allora ministro dell’ambiente Gianluca Galletti presentarono la prima bozza di Piano pubblicandola sul sito del ministero. Da allora si sono succeduti tre governi – il Conte 1, il Conte 2 e il Governo Draghi – e 2 ministri – Sergio Costa e Roberto Cingolani – ma nessuno ha mai adottato il documento in questione. Solo a fine 2022 è arrivato un primo segnale di svolta con la pubblicazione sul sito del MASE, guidato dal ministro Gilberto Pichetto Fratin, della bozza aggiornata del Piano, seguita dalla fase di consultazione e dall’approvazione finale arrivata pochi giorni fa. Ora però ricordiamo al Ministro dell’ambiente e al Governo Meloni che per attuare il PNACC sarà fondamentale stanziare le risorse economiche necessarie e ad oggi ancora assenti, non previste neanche nell’ultima legge di bilancio, altrimenti il rischio è che il piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici resti solo sulla carta”. “Sarà, inoltre, importante – prosegue Ciafani – approvare un PNIEC, Piano Nazionale Integrato Energia e Clima, con obiettivi più ambiziosi di produzione di energia rinnovabile e di riduzione di gas climalteranti al 2030; una legge sullo stop al consumo di suolo che ancora manca all’appello dopo oltre 11 anni dall’inizio del primo iter legislativo, semplificando anche la demolizione e la ricostruzione degli edifici esistenti ed entro tre mesi si emani il decreto che attiva l’Osservatorio nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici, con funzione di coordinamento tra i livelli di governo del territorio e dei vari settori”.

“L’Italia – continua Ciafani – è sempre più esposta alla crisi climatica che avanza e all’intensificarsi degli eventi meteorologici estremi che nel 2023 sono arrivati a quota 378, +22% rispetto all’anno precedente. Per questo è fondamentale che metta in campo una chiara e decisa strategia di prevenzione attuando al più presto le 361 azioni individuate nel Piano, tra cui le aree e vasche di esondazione e i processi di rinaturalizzazione dei bacini idrografici e dei versanti pe ridare spazi ai fiumi, per far sì che la nostra Penisola conviva nei prossimi anni con l’emergenza climatica evitando così di rincorrere le emergenze. Solo per i danni delle due alluvioni che nel 2023 hanno colpito Romagna e Toscana, l’Italia ha speso 11 miliardi di euro, ossia oltre un terzo della legge di bilancio 2024 appena approvata dal Parlamento. Risorse economiche, che con campagne di prevenzione e azioni di adattamento e mitigazione fatte per tempo, potevano essere in parte risparmiate. Per questo nei prossimi anni sarà importante anche intensificare le politiche territoriali di prevenzione e le campagne di sensibilizzazione sulla convivenza con il rischio, per far diventare il nostro Paese dal più esposto al centro del mar Mediterraneo a un esempio per gli altri”.

Nel 2023 bollino rosso per clima con 378 eventi estremi (+22%)

Nel 2023 bollino rosso per clima con 378 eventi estremi (+22%)Milano, 31 dic. (askanews) – Il 2023 è stato un anno da bollino rosso per il clima, segnato da un trend in continua crescita degli eventi meteorologici estremi. Ne sa qualcosa l’Italia dove quest’anno gli eventi estremi sono saliti a quota 378, segnando +22% rispetto al 2022, con danni miliardari ai territori e la morte di 31 persone. Il nord Italia, con 210 eventi meteorologici estremi, si conferma l’area più colpita della Penisola, seguita dal centro (98) e dal sud (70). In aumento soprattutto alluvioni ed esondazioni fluviali (+170% rispetto al 2022), le temperature record registrate nelle aree urbane (+150% rispetto ai casi del 2022), le frane da piogge intense (+64%); e poi le mareggiate (+44%), i danni da grandinate (+34,5%), e gli allagamenti (+12,4%). Eventi che hanno segnato un 2023 che ha visto anche l’alta quota in forte sofferenza con lo zero termico che ha raggiunto quota 5.328 metri sulle Alpi e con i ghiacciai in ritirata. A fare il bilancio di fine anno è l’Osservatorio Città Clima di Legambiente, realizzato insieme al Gruppo Unipol, che traccia un quadro complessivo di quanto accaduto in Italia in un 2023 in cui la crisi climatica ha accelerato il passo.

Nello specifico nella Penisola si sono verificati 118 casi di allagamenti da piogge intense, 82 casi di danni da trombe d’aria e raffiche di vento, 39 di danni da grandinate, 35 esondazioni fluviali che hanno causato danni, 26 danni da mareggiate, 21 danni da siccità prolungata, 20 casi di temperature estreme in città, 18 casi di frane causate da piogge intense, 16 eventi con danni alle infrastrutture e 3 eventi con impatti sul patrimonio storico. Tra le città più colpite: Roma, Milano, Fiumicino, Palermo e Prato. A livello regionale, Lombardia ed Emilia-Romagna risultano nel 2023 le regioni più in sofferenza con, rispettivamente, 62 e 59 eventi che hanno provocato danni, seguite da Toscana con 44, e da Lazio (30), Piemonte (27), Veneto (24) e Sicilia (21). C’è da sottolineare che solo nel mese di luglio la Lombardia è stata colpita da ben 28 eventi, due le vittime. Tra le province più colpite svetta al primo posto Roma con 25 eventi meteo estremi, seguita da Ravenna con 19, Milano con 17, Varese 12, Bologna e Torino 10. Un quadro preoccupante quello tracciato dall’Osservatorio Città Clima di Legambiente a cui si aggiunge il fatto che l’Italia è ancora senza un Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti climatici. Un paradosso tutto italiano che dimostra quanto l’Italia sia indietro nella lotta alla crisi climatica e nell’adottare politiche climatiche più ambiziose. Per l’associazione ambientalista il Paese continua a rincorrere le emergenze senza una chiara strategia. Serve una road map climatica nazionale non più rimandabile, fondata su tre pilastri: il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici da approvare senza più ulteriori ritardi, stanziando adeguate risorse economiche (ad oggi assenti) per attuare il Piano; una legge contro il consumo di suolo, che ancora manca all’appello dopo oltre 11 anni dall’inizio del primo iter legislativo, e per la rigenerazione urbana, snellendo le procedure per abbattimenti e ricostruzioni; superare la logica dell’emergenza agendo invece sulla prevenzione, che permetterebbe di risparmiare il 75% delle risorse spese per riparare i danni. “Gli eventi meteo estremi – dichiara Stefano Ciafani presidente nazionale di Legambiente – stanno aumentando con sempre maggiore frequenza e intensità e a pagarne lo scotto sono i territori e i cittadini. Il Governo Meloni approvi subito il Piano nazionale di adattamento al clima, stanziando anche le relative risorse economiche, che invece continuiamo a spendere per intervenire dopo i disastri, come dimostrano gli 11 miliardi di euro solo per i danni delle due alluvioni in Emilia-Romagna e Toscana. Il rischio è che l’Italia, senza il Piano e gli adeguati stanziamenti per la prevenzione, assenti anche nella Legge di bilancio in via di approvazione, continui a rincorrere le emergenze. Il Governo dovrebbe invece impegnarsi molto di più, puntando su prevenzione, politiche di adattamento al clima, campagne di sensibilizzazione sulla convivenza con il rischio, per far diventare il nostro paese dal più esposto al centro del mar Mediterraneo a un esempio per gli altri”.

Mediterraneo: tra 2022 e 2023 ondata calore più lunga ultimi 40 anni

Mediterraneo: tra 2022 e 2023 ondata calore più lunga ultimi 40 anniRoma, 21 dic. (askanews) – Nuovo allarme per il cambiamento climatico: da maggio 2022 a maggio 2023 il Mediterraneo ha subito l’ondata di calore più lunga mai registrata negli ultimi 40 anni con un aumento fino a 4°C delle temperature del mare e picchi superiori a 23°C. La parte più colpita è stata il bacino occidentale. È quanto emerge dal progetto CAREHeat, finanziato dall’Agenzia Spaziale Europea (Esa), al quale partecipano per l’Italia Enea e Cnr (coordinatore), i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista “Environmental Research Letters”.

Le attività di ricerca di CAREHeat sono iniziate con lo studio dell’ondata di calore che ha interessato il Mar Mediterraneo partendo dall’analisi dai dati satellitari che per primi hanno rilevato l’anomalia termica, con valori molto più alti rispetto alla precedente ondata di calore del 2003. Le informazioni satellitari – si legge nella notizia pubblicata sull’ultimo numero in italiano del settimanale ENEAinform@ – sono state poi integrate con i dati provenienti dalle osservazioni disponibili in situ presso la Stazione Climatica di Lampedusa, che rappresenta l’unico avamposto in Europa in grado di fornire informazioni sulle interazioni fra vegetazione, atmosfera e oceano, sia negli scambi di carbonio che in tutti i processi e scambi di energia che regolano il clima della regione. Inoltre, grazie all’utilizzo di simulazioni modellistiche e sistemi di elaborazione dati all’avanguardia, i ricercatori hanno potuto caratterizzare l’anomalia che ha interessato il periodo. In particolare, dalle indagini dettagliate sul ruolo dei cosiddetti ‘forzanti atmosferici’- come, ad esempio, il vento nel condizionare l’oceano – è emerso che le anomalie della temperatura superficiale del mare sono strettamente correlate alla prevalenza delle condizioni anticicloniche nell’atmosfera; condizioni che nello stesso periodo hanno causato anche gravi siccità nella regione mediterranea. L’analisi di questi dati indica che il rimescolamento verticale del mare causato dal vento è il principale responsabile del trasporto di calore all’interno delle acque marine e che queste anomalie sotto la superficie sono durate diversi mesi.

Infine, dal confronto fra l’evoluzione dell’evento del 2022/23 con il precedente evento del 2003 sono emersi alcuni aspetti legati al cambiamento climatico della regione: fra questi, ad esempio, le temperature ben al di sopra della media stagionale dagli inizi di maggio nell’area mediterranea e anche nella prima metà di giugno che è stata caratterizzata da situazioni meteorologiche tipiche di fasi più avanzate della stagione estiva. “I risultati di CAREheat ci mettono davanti agli occhi solo alcuni dei segnali del cambiamento climatico ma dobbiamo essere consapevoli che siamo solo agli inizi di un processo più ampio e che ci troviamo di fronte a segnali di ciò che accadrà in modo sempre più frequente”, commenta Gianmaria Sannino, responsabile della Divisione Enea di Modelli e tecnologie per la riduzione degli impatti antropici e dei rischi naturali.

“In questo contesto, la ricerca è e sarà un elemento chiave per informare e guidare le politiche ambientali future, come d’altronde ha stabilito finalmente la COP28: infatti, saranno i risultati dell’ultima Conference of the Parties di Dubai a guidare l’aggiornamento dei piani d’azione climatica nazionali per il 2025, per un intervento più ambizioso e finanziamenti mirati. Tra i punti salienti della COP28 inoltre è stata sancita per la prima volta la necessità di triplicare la capacità di energia rinnovabile e raddoppiare i miglioramenti nell’efficienza energetica; abbiamo raggiunto un traguardo storico con un fondo di oltre 700 milioni di dollari per sostenere i Paesi più vulnerabili; ci siamo impegnati a ridurre le emissioni di gas serra del 43% entro il 2030 e abbiamo finalmente adottato un quadro per l’adattamento climatico e per proteggere i nostri ecosistemi naturali fermando la deforestazione entro il 2030. Studi come CareHeat rappresenteranno una risorsa inestimabile per guidare la pianificazione delle strategie di adattamento”, conclude Sannino. “Alla luce delle conclusioni raggiunte nella recente COP28, i risultati del progetto CAREHeat si fanno ancora più rilevanti divenendo elementi chiave per informare e guidare le politiche ambientali future, con un forte impegno globale contro gli effetti del cambiamento climatico”, sottolinea Ernesto Napolitano del Laboratorio Enea di Modellistica climatica e impatti.

Il progetto CAREHeat mira a sviluppare nuove metodologie per prevedere e identificare le ondate di calore, comprenderne la propagazione e gli impatti su ambiente, biodiversità e attività economiche, come pesca e acquacoltura. Oltre a Enea e Cnr, partecipano al progetto finanziato da Esa nell’ambito delle “azioni bandiera” della Commissione europea, gli istituti di ricerca francesi CLS (Collect Locatisation Satellites) e IFREMER (Institut Français de Recherche pour l’Exploitation de la Mer), le non-profit Mercator Ocean International (Francia) e +ATLANTIC CoLAB (Portogallo).

Transizione energetica e fragilità: un’occasione per agire

Transizione energetica e fragilità: un’occasione per agireMilano, 19 dic. (askanews) – Ascoltare i gruppi vulnerabili per capire l’impatto della transizione energetica sui più fragili. È questo il compito che si è dato il progetto internazionale FETA (Fair Energy Transition for All Listening to economically disadvantaged people”), iniziato nel 2019 e ora giunto al termine. I risultati sono stati presentati a Milano in Fondazione Cariplo che, insieme ad altre fondazioni europee, è promotrice dell’iniziativa.

“Il tema dell’inclusione dei più fragili – ha detto ad askanews Carlo Mango, direttore dell’area Ricerca scientifica di Fondazione Cariplo – è veramente lampante, è molto importante ed secondo me deve essere in cima l’agenda di chi oggi si occupa di queste problematiche. La vera questione sulla quale dobbiamo prestare molta attenzione è che la transizione energetica, la sostenibilità, non diventi un qualcosa ad appannaggio dei più ricchi che possono permetterselo. Quindi da questo punto di vista massima attenzione, che vuol dire prestare attenzione agli individui, alle persone, ma anche alle piccole comunità e, perché no, anche agli Stati che oggi hanno difficoltà nell’intraprendere questi percorsi”. Tra i risultati più importanti emersi dallo studio il fatto che sono spesso le comunità più vulnerabili a pagare i costi più alti dei cambiamenti epocali che stiamo vivendo: da qui la necessità di condividere sforzi e sacrifici in maniera più equa. Anche perché tra i soggetti socialmente ed economicamente svantaggiati prevalgono sentimenti di confusione rispetto al tema della transizione e di diffidenza verso i decisori politici. E in questo contesto sembra necessario un cambio di filosofia e di approccio.

“Fondazione Cariplo in questi anni – ha aggiunto Elena Jachia, direttrice area Ambiente della Fondazione – ha cercato di sostenere la transizione ecologica ed energetica tentando di non lasciare indietro nessuno, questo è un po’ l’obiettivo che tutti ci dovremmo dare. La Fondazione già da due anni sostiene le comunità energetiche rinnovabili, dandogli un’accezione ulteriore che è quella della solidarietà e quindi di cercare di coinvolgere i soggetti fragili all’interno delle comunità energetiche. Con il bando Alternative nel 2022 abbiamo sostenuto 17 comunità energetiche in questo senso”. In conclusione la ricerca ha evidenziato che si sta aprendo per i tutti governi europei una finestra di opportunità per la costruzione di un’economia del benessere, in cui le politiche – non solo energetiche, ma anche educative, economiche e sociali – sostengano il benessere e la resilienza delle generazioni presenti e future e del loro ambiente, ma che una particolare attenzione deve essere rivolta ai più fragili. Il rischio altrimenti è una nuova frattura, con un’altra divaricazione tra chi si difende dai cambiamenti e chi non è in grado di farlo.

Extinction Rebellion: umiliati a Venezia, ma il mare sta alzando

Extinction Rebellion: umiliati a Venezia, ma il mare sta alzandoMilano, 10 dic. (askanews) – Dopo l’azione di ieri di Extinction Rebellion, in cui sono state tinte di verde le acque del Canal Grande e di altri fiumi e canali italiani, 28 persone sono state portate in Questura, a Venezia, e rilasciate dopo 6 ore. Sono state tutte denunciate per manifestazione non preavvisata, interruzione di pubblico servizio, sversamento di sostanze pericolose in concorso. A cinque di loro è stato rilasciato un foglio di via obbligatorio di 4 anni e a 3 persone un DASPO urbano di 48 ore. Sequestrati tutti i materiali, comprese anche alcune macchine fotografiche. Lo ha fatto sapere la stessa organizzazione ambientalista.

“Denunce completamente pretestuose, che non hanno nessun legame con i fatti realmente commessi. Denunce notificate indiscriminatamente a tutte le persone identificate” secondo Extinction Rebellion. “Tra le persone portate in questura vi era infatti anche un turista, che si trovava a Venezia per due giorni, e quattro persone dell’ufficio stampa, compresi i fotografi e videomaker. Ad eccezione del turista (graziato nonostante le 6 ore di fermo in questura), tutte le altre persone sono state denunciate per tutti e quattro i capi d’accusa. Anche chi dava volantini o, appunto, faceva foto e video. Il fatto più grave, tuttavia, è che cinque persone siano state espulse da Venezia per 4 anni, nonostante alcune di loro siano studentesse alla Ca’ Foscari di Venezia. Si tratta infatti di una applicazione illegittima di un provvedimento pensato per reati di mafia e che, secondo la legge stessa, non può essere notificata a chi ha un legame con la città”. Nonostante le accuse, Extinction Rebellion non si ferma: “A Venezia il livello del mare si sta alzando sempre di più. Tre persone si sono calate con imbraghi da un ponte per ricordarlo a tutti i cittadini, e sono state denunciate, espulse dalla città per 4 anni e umiliate pubblicamente dal sindaco e da un ministro del Governo italiano. Chi accuseranno quando il Canal Grande sarà davvero bloccato perché il mare avrà invaso Venezia?”

Alla Cop28 le suore UISG portano le voci di chi vive ai margini

Alla Cop28 le suore UISG portano le voci di chi vive ai marginiRoma, 7 dic. (askanews) – Integrare l’azione climatica con un approccio olistico per affrontare la perdita di biodiversità, l’inquinamento ed altre sfide ambientali; integrare la cura per l’ambiente e la cura per le persone, rifiutando una visione antropocentrica che sostiene abitudini di consumo distruttivo; integrare le istanze dei più vulnerabili all’interno dei quadri istituzionali e di leadership, garantendo che le voci di chi è colpito in prima linea dal cambiamento climatico siano al centro del dibattito globale: sono questi i punti fondamentali che l’Unione Internazionale delle Superiore Generali (UISG), l’organizzazione che riunisce 1.903 membri in rappresentanza di oltre 600.000 suore nel mondo, porta a COP28, la Conferenza delle parti delle Nazioni Unite dedicata al clima, in corso a Dubai fino al 12 dicembre.

Le suore sono impegnate in ogni parte del mondo ad affrontare le sfide ambientali con l’azione e l’advocacy, in prima linea in un movimento che vuole modellare le conversazioni globali sulle tematiche di sviluppo attorno ai bisogni delle comunità locali. Nel novembre 2022, con il sostegno del Global Solidarity Fund, la UISG ha lanciato Sorelle per l’ambiente: integrare le voci dai margini, una dichiarazione che esprime la visione delle suore per una conversione ecologica radicata nella fede. Questa dichiarazione ha delineato le priorità che hanno guidato l’advocacy della UISG nel 2023, tra cui il Sister-led dialogue on the environment, diverse tavole rotonde con cui la UISG ha istaurato dialoghi con gli ambasciatori presso la Santa Sede, e le collaborazioni con nuovi partner, per culminare nella prima rappresentanza della UISG in un vertice COP. “La presenza della UISG a COP28 nasce dalla volontà di esplorare come possiamo farci tramite di uno scambio virtuoso di prospettive, idee e opportunità tra comunità locali e forum decisionali – spiega Suor Maamalifar Poreku, coordinatrice della campagna UISG Seminando speranza per il pianeta. – Come ci ricorda Papa Francesco nella Laudato Sì, ‘non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale’. È per questo che, come UISG, crediamo che per affrontare la crisi climatica sia necessario un approccio centrato sull’essere umano: vogliamo vedere le persone più colpite dai cambiamenti climatici influenzare direttamente le decisioni riguardanti l’allocazione delle risorse e, in particolare, dei finanziamenti. Facendo leva del profondo coinvolgimento delle suore con le comunità vulnerabili, la UISG vuole contribuire a portare le voci più marginalizzate nei forum decisionali. Allo stesso tempo, crediamo che la capillarità della nostra rete possa contribuire anche a garantire che le politiche globali siano attuate a livello locale, favorendo trasparenza e responsabilità”.

Per il prossimo 2024, la UISG focalizzerà il suo operato su tre importanti sfide: mitigare il rischio di replicare paradigmi neocoloniali nelle soluzioni di “energia pulita” e promuovere la trasparenza nelle iniziative cosiddette “green”; limitare l’espansione di nuovi progetti minerari per proteggere l’ambiente e ridurre l’impatto delle attuali industrie estrattive sui mezzi di sussistenza e sulla salute delle persone vulnerabili; promuovere finanziamenti giusti e trasparenti per un’economia rigenerativa e sostenere le comunità e le istituzioni cattoliche in un approccio agli investimenti basato sulla fede. “Per affrontare alla radice le cause profonde di questa crisi epocale, dobbiamo incoraggiare i nostri leader a cercare soluzioni radicali per sfide radicali. Come UISG, ci impegniamo a camminare fianco a fianco con le comunità che vivono ai margini globali, per muoverci insieme verso un futuro sicuro, giusto e pacifico per tutte le persone e per il nostro sacro pianeta” conclude Suor Maamalifar.

Clima, Green Building Council Italia partecipa alla Cop28 di Dubai

Clima, Green Building Council Italia partecipa alla Cop28 di DubaiMilano, 29 nov. (askanews) – Green Building Council Italia partecipa alla 28esima edizione della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Dal 30 novembre al 12 dicembre 2023 si svolgerà all’Expo City di Dubai la Cop28, il più alto organo decisionale mondiale sulle questioni climatiche. Il Green Building Council Italia sarà presente per portare il proprio contributo alla comunità internazionale presente con l’obiettivo di ripensare l’ambiente costruito per il benessere delle persone e del Pianeta.

“Porterò il pensiero dell’Associazione in questo importante contesto internazionale – afferma Fabrizio Capaccioli, Presidente di Gbc Italia – Intendo portare a conoscenza di policy e decision makers, che chi si occupa di edilizia sostenibile non è guidato esclusivamente da preoccupazioni di carattere ambientale. In Gbc Italia siamo convinti che per garantire standard di vita di qualità per i cittadini a livello globale non sia sufficiente affrontare solo la crisi ecologica, ma è anche indispensabile fare i conti con altre istanze, altrettanto urgenti, come le disuguaglianze e le iniquità sociali. La filiera edile e quella immobiliare sono fortemente coinvolte in questo cambiamento – conclude Capaccioli -. Siamo alla Cop28 per fare in modo che la nostra voce sia, nel mondo, sempre più diffusa ed ascoltata”. Focus specifico di questa edizione della Conferenza sarà indagare se le azioni ad oggi intraprese e programmate siano in grado di generare – entro il 2030 – risultati utili alla riduzione del 43% delle emissioni, al contenimento dell’innalzamento delle temperature a 1.5°C ed a mitigare gli effetti degli eventi meteorologici estremi, sempre più intensi e frequenti. Relatori, nazionali e internazionale, saranno chiamati a riflettere e confrontarsi su come, anche in Italia si possa, nell’arco dei prossimi anni, conseguire una effettiva riduzione degli impatti e delle emissioni dei gas serra per una maggiore sostenibilità dell’intero Sistema Paese. Gestione del territorio e idrica, progettazione delle opere, logistica, consumo di energia saranno tra i principali temi di analisi dell’incontro.

Clima, Ispra: in 54 comuni italiani erosione costiera oltre il 50%

Clima, Ispra: in 54 comuni italiani erosione costiera oltre il 50%Roma, 13 nov. (askanews) – Tra i 644 comuni costieri italiani, l’Ispra ha individuato quelli che presentano alti tassi di erosione. Sono 54 quelli che ad oggi hanno visto arretrare il loro tratto di costa di più del 50% dell’intero tratto di competenza; sono 22 i comuni che presentano un superamento compreso tra il 50% e il 60% della costa; sono 16 quelli tra 60% e 70%, otto tra 70% e 80% e sette tra 80% e 90%. Rotondella in Basilicata risulta essere l’unico comune caratterizzato da un’erosione diffusa sull’intero tratto costiero.

Se il numero dei comuni appare limitato, a fronte di un numero totale di 644 comuni costieri, – informa l’Ispra – va considerato che le percentuali riportate riguardano l’intera costa di ciascun comune, occupata anche da tratti che non sono spiagge e che non possono quindi andare in erosione, come i tratti di costa rocciosa, le foci fluviali e tutte le opere antropiche. Inoltre, le percentuali non mostrano un andamento “naturale” della dinamica costiera, ma a valle di tutte le opere di difesa costiera e dei ripascimenti effettuati. Sono i dati aggiornati e pubblicati da Ispra sull’erosione costiera relativi al 2020, che rappresentano un punto di riferimento per l’analisi ambientale di tutto l’assetto costiero nazionale. La nuova versione contiene l’integrazione dell’analisi spaziale rispetto al periodo 2006-2020 per tutto il territorio nazionale ed apporta alcune modifiche di dettaglio che riguardano sia “Linea di Costa”, sia lo strato “Linea di Retrospiaggia”, quella che separa la spiaggia dalla zona retrostante dove comincia la colonizzazione vegetale, oppure dove sono presenti opere antropiche.

I dati portano anche qualche buona notizia: 16 sono i comuni che presentano tratti di costa in avanzamento di lunghezza superiore all’80% della costa di competenza: Altidona, Camaiore, Campofilone, Camporosso, Curinga, Grisolia, Mondragone, Montebello Jonico, Numana, Pietrasanta, Porto Viro, Sant’Alessio Siculo, Satriano, Stilo, Viareggio, Villafranca Tirrena. La pubblicazione e la libera distribuzione della versione 2.0 rendono disponibili i dati per lo studio della dinamica litoranea su qualsiasi tratto costiero italiano, arricchiti dall’analisi spaziale. In seguito a questo ulteriore aggiornamento e attraverso il confronto fra i dati del 2006 e del 2020, Ispra fornisce un quadro dello stato attuale della linea di costa nazionale a livello comunale, mettendo in relazione l’estensione del tratto in arretramento rispetto all’intera estensione del litorale costiero comunale.

Ispra arricchisce ed implementa le coperture pubblicate sul suo Portale delle Coste proprio a supporto della pianificazione e della programmazione, tanto più necessarie oggi, in cui sono ben note le conseguenze sulle coste degli effetti dei cambiamenti climatici (erosione costiera, sfruttamento della “risorsa spiaggia”, artificializzazione delle coste, degrado del paesaggio).

Clima: per il 45% degli italiani l’umanità è a rischio estinzione

Clima: per il 45% degli italiani l’umanità è a rischio estinzioneMilano, 13 set. (askanews) – L’umanità a rischio rischio estinzione a causa della crisi climatica e ambientale? Più del 45% degli italiani ritiene che la scomparsa di quasi ogni essere umano sia “abbastanza” o molto “probabile”. Mentre per l’86% la crisi climatica e ambientale può comunque mettere a repentaglio le società umane, se non si cambia decisamente rotta. È il dato più sconvolgente che emerge dall’indagine “Le emergenze ambientali e il rischio di estinzione secondo gli italiani”, effettuata da AstraRicerche per Greenpeace Italia, su un campione di 800 italiani di età compresa tra i 15 e i 70 anni.

Le più spaventate dalle prospettive di estinzione completa o parziale dell’umanità sono le donne della Gen Z e quelle della Gen X: se il 48,7% del campione pensa che tali scenari siano molto probabili, la percentuale sale in questi segmenti al 60%, a conferma di quella che ormai viene definita “ecoansia”, ovvero la crescente preoccupazione delle giovani generazioni verso gli impatti della crisi climatico-ambientale. Dalla ricerca emerge in modo ancora più netto la percezione del rischio di estinzione delle specie animali, che è molto/abbastanza probabile per il 93% degli intervistati (con solo un 2,6% che la considera per nulla probabile). Un dato che d’altra parte riflette i risultati del monitoraggio scientifico: il recente aggiornamento della lista rossa dell’Unione internazionale per la conservazione della natura) comprende ben 150.388 specie, delle quali 42.108 sono minacciate di estinzione. E la crisi climatica è uno dei maggiori fattori di rischio: oltre 1.550 dei 17.903 animali e piante marini valutati, per esempio, sono a rischio di estinzione, con il cambiamento climatico che colpisce almeno il 41% delle specie marine minacciate. Secondo la maggioranza degli italiani, il compito di intervenire per scongiurare il rischio degli scenari più catastrofici spetta in primo luogo a governi e agli Stati (67,4%), seguiti dalle istituzioni mondiali (57,3%): al terzo posto vengono indicati i cittadini e le famiglie (40%), seguite da enti locali che operano sul territorio (37,9%), imprese, aziende e loro associazioni (35,7%) e, in ultimo, dalle organizzazioni della società civile, gli enti del non profit/del terzo settore (34,1%).

“La fusione dei ghiacciai montani, la siccità ricorrente, gli eventi estremi del 2023 indicano che la crisi climatica è evidente anche in Italia – commenta Giuseppe Onufrio, Direttore Esecutivo di Greenpeace Italia -. I segnali ci sono tutti. Dobbiamo ascoltare questi campanelli d’allarme non per disperarci, ma per investire sulle soluzioni. Dobbiamo finalmente invertire la rotta e avviare quella transizione ecologica che è l’unico antidoto possibile alla crisi ambientale. Il ruolo di Greenpeace è quello di suggerire la rotta e spingere il mondo politico e quello economico ad andare nella giusta direzione. Lo dobbiamo a noi, e alle generazioni future”.

ClimaMeter svela in tempo reale l’origine degli eventi estremi

ClimaMeter svela in tempo reale l’origine degli eventi estremiRoma, 12 set. (askanews) – Mentre il mondo affronta le sfide crescenti del cambiamento climatico, un team internazionale di ricercatori ha lanciato una piattaforma all’avanguardia per affrontare direttamente una delle domande più pressanti: fino a che punto il cambiamento climatico modifica gli eventi meteorologici estremi?

Il recente rapporto del Gruppo Intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (Intergovernmental Panel on Climate Change – IPCC) ha sottolineato l’urgente necessità di affrontare il cambiamento climatico globale, evidenziando un’accelerazione dei fenomeni estremi e il loro impatto sugli ecosistemi vitali e sulla società. In questa cornice, il team dei ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), in collaborazione con il Centre National de la Recherche Scientifique (Cnrs), l’Università svedese di Uppsala e il Centro Internazionale di Fisica Teorica Abdus Salam (Ictp) di Trieste, si è concentrato su alcuni eventi estremi avvenuti questa estate come la tempesta extratropicale Poly che ha colpito l’Europa centrale, l’eccezionale ondata di calore Cerberus che ha investito il Mediterraneo centrale e le intense precipitazioni di fine agosto sulle isole del Mediterraneo e nel Nord Italia. “L’obiettivo principale del progetto è fornire una rapida analisi del ruolo del cambiamento climatico e della variabilità naturale in un evento estremo meteorologico, con un’attenzione particolare a specifici fenomeni quali cicloni, ondate di calore e intense precipitazioni”, spiega Tommaso Alberti, ricercatore dell’Ingv. “Ciò permette di ottenere informazioni chiare e precise sulle influenze delle emissioni antropogeniche sull’evento estremo, offrendo una prospettiva rapida immediatamente dopo l’evento, nonché una descrizione e discussione più tecnica quando esso si è concluso”.

ClimaMeter, – informa Ingv – con una rappresentazione grafica, fornisce una visione chiara e dettagliata sull’origine naturale o antropica dell’evento estremo. In tal modo, si offre un tool facile da consultare per capire la dimensione spesso sottovalutata del cambiamento del clima. “La piattaforma appena lanciata rappresenta un passo significativo verso una comprensione più profonda del legame tra il cambiamento climatico e gli eventi meteorologici estremi. Alimentiamo il database con eventi estremi avvenuti negli anni scorsi e contiamo di fornire, utilizzando dati in tempo reale di pressione alla superficie terrestre, velocità del vento, quantità di precipitazioni e temperatura, ottenute dal MSWX, un database con i parametri meteorologici ad alta risoluzione temporale, offrendo una base solida per analisi future e per le previsioni”, aggiunge il ricercatore.

“La nostra metodologia si basa sulla ricerca di condizioni meteorologiche simili a quelle che hanno causato l’evento estremo di interesse utilizzando i dati disponibili nella cosiddetta ‘era satellitare’, vale a dire il periodo a partire dal 1979 ovvero da quando sono diventate disponibili osservazioni diffuse delle variabili climatiche dai satelliti. Analizziamo separatamente i primi decenni dell’era satellitare (1979-2000, “passato”) e i decenni più recenti (2001-2022, “presente”) e, poi, li confrontiamo per capire come sono cambiate le condizioni meteorologiche selezionate tra i due periodi e se tali cambiamenti sono probabilmente dovuti alla variabilità climatica naturale o al cambiamento climatico antropogenico. Utilizzando dati storici e non simulazioni di modelli numerici, abbiamo la possibilità di avere il quadro rapido e riproducibile degli effetti”, prosegue Tommaso Alberti. La piattaforma, raggiungibile all’indirizzo https://www.climameter.org/home, offre informazioni dettagliate e intuitive a beneficio di tutti: comunità scientifica, professionisti dell’informazione, autorità istituzionali e cittadini.

“Nel futuro la piattaforma potrà essere utilizzata per fornire informazioni fondamentali per l’elaborazione delle strategie di mitigazione e l’adattamento agli effetti in continua evoluzione del cambiamento climatico”, conclude Alberti.