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Alla Cop28 le suore UISG portano le voci di chi vive ai margini

Alla Cop28 le suore UISG portano le voci di chi vive ai marginiRoma, 7 dic. (askanews) – Integrare l’azione climatica con un approccio olistico per affrontare la perdita di biodiversità, l’inquinamento ed altre sfide ambientali; integrare la cura per l’ambiente e la cura per le persone, rifiutando una visione antropocentrica che sostiene abitudini di consumo distruttivo; integrare le istanze dei più vulnerabili all’interno dei quadri istituzionali e di leadership, garantendo che le voci di chi è colpito in prima linea dal cambiamento climatico siano al centro del dibattito globale: sono questi i punti fondamentali che l’Unione Internazionale delle Superiore Generali (UISG), l’organizzazione che riunisce 1.903 membri in rappresentanza di oltre 600.000 suore nel mondo, porta a COP28, la Conferenza delle parti delle Nazioni Unite dedicata al clima, in corso a Dubai fino al 12 dicembre.

Le suore sono impegnate in ogni parte del mondo ad affrontare le sfide ambientali con l’azione e l’advocacy, in prima linea in un movimento che vuole modellare le conversazioni globali sulle tematiche di sviluppo attorno ai bisogni delle comunità locali. Nel novembre 2022, con il sostegno del Global Solidarity Fund, la UISG ha lanciato Sorelle per l’ambiente: integrare le voci dai margini, una dichiarazione che esprime la visione delle suore per una conversione ecologica radicata nella fede. Questa dichiarazione ha delineato le priorità che hanno guidato l’advocacy della UISG nel 2023, tra cui il Sister-led dialogue on the environment, diverse tavole rotonde con cui la UISG ha istaurato dialoghi con gli ambasciatori presso la Santa Sede, e le collaborazioni con nuovi partner, per culminare nella prima rappresentanza della UISG in un vertice COP. “La presenza della UISG a COP28 nasce dalla volontà di esplorare come possiamo farci tramite di uno scambio virtuoso di prospettive, idee e opportunità tra comunità locali e forum decisionali – spiega Suor Maamalifar Poreku, coordinatrice della campagna UISG Seminando speranza per il pianeta. – Come ci ricorda Papa Francesco nella Laudato Sì, ‘non ci sono due crisi separate, una ambientale e un’altra sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale’. È per questo che, come UISG, crediamo che per affrontare la crisi climatica sia necessario un approccio centrato sull’essere umano: vogliamo vedere le persone più colpite dai cambiamenti climatici influenzare direttamente le decisioni riguardanti l’allocazione delle risorse e, in particolare, dei finanziamenti. Facendo leva del profondo coinvolgimento delle suore con le comunità vulnerabili, la UISG vuole contribuire a portare le voci più marginalizzate nei forum decisionali. Allo stesso tempo, crediamo che la capillarità della nostra rete possa contribuire anche a garantire che le politiche globali siano attuate a livello locale, favorendo trasparenza e responsabilità”.

Per il prossimo 2024, la UISG focalizzerà il suo operato su tre importanti sfide: mitigare il rischio di replicare paradigmi neocoloniali nelle soluzioni di “energia pulita” e promuovere la trasparenza nelle iniziative cosiddette “green”; limitare l’espansione di nuovi progetti minerari per proteggere l’ambiente e ridurre l’impatto delle attuali industrie estrattive sui mezzi di sussistenza e sulla salute delle persone vulnerabili; promuovere finanziamenti giusti e trasparenti per un’economia rigenerativa e sostenere le comunità e le istituzioni cattoliche in un approccio agli investimenti basato sulla fede. “Per affrontare alla radice le cause profonde di questa crisi epocale, dobbiamo incoraggiare i nostri leader a cercare soluzioni radicali per sfide radicali. Come UISG, ci impegniamo a camminare fianco a fianco con le comunità che vivono ai margini globali, per muoverci insieme verso un futuro sicuro, giusto e pacifico per tutte le persone e per il nostro sacro pianeta” conclude Suor Maamalifar.

Clima, Green Building Council Italia partecipa alla Cop28 di Dubai

Clima, Green Building Council Italia partecipa alla Cop28 di DubaiMilano, 29 nov. (askanews) – Green Building Council Italia partecipa alla 28esima edizione della Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici. Dal 30 novembre al 12 dicembre 2023 si svolgerà all’Expo City di Dubai la Cop28, il più alto organo decisionale mondiale sulle questioni climatiche. Il Green Building Council Italia sarà presente per portare il proprio contributo alla comunità internazionale presente con l’obiettivo di ripensare l’ambiente costruito per il benessere delle persone e del Pianeta.

“Porterò il pensiero dell’Associazione in questo importante contesto internazionale – afferma Fabrizio Capaccioli, Presidente di Gbc Italia – Intendo portare a conoscenza di policy e decision makers, che chi si occupa di edilizia sostenibile non è guidato esclusivamente da preoccupazioni di carattere ambientale. In Gbc Italia siamo convinti che per garantire standard di vita di qualità per i cittadini a livello globale non sia sufficiente affrontare solo la crisi ecologica, ma è anche indispensabile fare i conti con altre istanze, altrettanto urgenti, come le disuguaglianze e le iniquità sociali. La filiera edile e quella immobiliare sono fortemente coinvolte in questo cambiamento – conclude Capaccioli -. Siamo alla Cop28 per fare in modo che la nostra voce sia, nel mondo, sempre più diffusa ed ascoltata”. Focus specifico di questa edizione della Conferenza sarà indagare se le azioni ad oggi intraprese e programmate siano in grado di generare – entro il 2030 – risultati utili alla riduzione del 43% delle emissioni, al contenimento dell’innalzamento delle temperature a 1.5°C ed a mitigare gli effetti degli eventi meteorologici estremi, sempre più intensi e frequenti. Relatori, nazionali e internazionale, saranno chiamati a riflettere e confrontarsi su come, anche in Italia si possa, nell’arco dei prossimi anni, conseguire una effettiva riduzione degli impatti e delle emissioni dei gas serra per una maggiore sostenibilità dell’intero Sistema Paese. Gestione del territorio e idrica, progettazione delle opere, logistica, consumo di energia saranno tra i principali temi di analisi dell’incontro.

Clima, Ispra: in 54 comuni italiani erosione costiera oltre il 50%

Clima, Ispra: in 54 comuni italiani erosione costiera oltre il 50%Roma, 13 nov. (askanews) – Tra i 644 comuni costieri italiani, l’Ispra ha individuato quelli che presentano alti tassi di erosione. Sono 54 quelli che ad oggi hanno visto arretrare il loro tratto di costa di più del 50% dell’intero tratto di competenza; sono 22 i comuni che presentano un superamento compreso tra il 50% e il 60% della costa; sono 16 quelli tra 60% e 70%, otto tra 70% e 80% e sette tra 80% e 90%. Rotondella in Basilicata risulta essere l’unico comune caratterizzato da un’erosione diffusa sull’intero tratto costiero.

Se il numero dei comuni appare limitato, a fronte di un numero totale di 644 comuni costieri, – informa l’Ispra – va considerato che le percentuali riportate riguardano l’intera costa di ciascun comune, occupata anche da tratti che non sono spiagge e che non possono quindi andare in erosione, come i tratti di costa rocciosa, le foci fluviali e tutte le opere antropiche. Inoltre, le percentuali non mostrano un andamento “naturale” della dinamica costiera, ma a valle di tutte le opere di difesa costiera e dei ripascimenti effettuati. Sono i dati aggiornati e pubblicati da Ispra sull’erosione costiera relativi al 2020, che rappresentano un punto di riferimento per l’analisi ambientale di tutto l’assetto costiero nazionale. La nuova versione contiene l’integrazione dell’analisi spaziale rispetto al periodo 2006-2020 per tutto il territorio nazionale ed apporta alcune modifiche di dettaglio che riguardano sia “Linea di Costa”, sia lo strato “Linea di Retrospiaggia”, quella che separa la spiaggia dalla zona retrostante dove comincia la colonizzazione vegetale, oppure dove sono presenti opere antropiche.

I dati portano anche qualche buona notizia: 16 sono i comuni che presentano tratti di costa in avanzamento di lunghezza superiore all’80% della costa di competenza: Altidona, Camaiore, Campofilone, Camporosso, Curinga, Grisolia, Mondragone, Montebello Jonico, Numana, Pietrasanta, Porto Viro, Sant’Alessio Siculo, Satriano, Stilo, Viareggio, Villafranca Tirrena. La pubblicazione e la libera distribuzione della versione 2.0 rendono disponibili i dati per lo studio della dinamica litoranea su qualsiasi tratto costiero italiano, arricchiti dall’analisi spaziale. In seguito a questo ulteriore aggiornamento e attraverso il confronto fra i dati del 2006 e del 2020, Ispra fornisce un quadro dello stato attuale della linea di costa nazionale a livello comunale, mettendo in relazione l’estensione del tratto in arretramento rispetto all’intera estensione del litorale costiero comunale.

Ispra arricchisce ed implementa le coperture pubblicate sul suo Portale delle Coste proprio a supporto della pianificazione e della programmazione, tanto più necessarie oggi, in cui sono ben note le conseguenze sulle coste degli effetti dei cambiamenti climatici (erosione costiera, sfruttamento della “risorsa spiaggia”, artificializzazione delle coste, degrado del paesaggio).

Clima: per il 45% degli italiani l’umanità è a rischio estinzione

Clima: per il 45% degli italiani l’umanità è a rischio estinzioneMilano, 13 set. (askanews) – L’umanità a rischio rischio estinzione a causa della crisi climatica e ambientale? Più del 45% degli italiani ritiene che la scomparsa di quasi ogni essere umano sia “abbastanza” o molto “probabile”. Mentre per l’86% la crisi climatica e ambientale può comunque mettere a repentaglio le società umane, se non si cambia decisamente rotta. È il dato più sconvolgente che emerge dall’indagine “Le emergenze ambientali e il rischio di estinzione secondo gli italiani”, effettuata da AstraRicerche per Greenpeace Italia, su un campione di 800 italiani di età compresa tra i 15 e i 70 anni.

Le più spaventate dalle prospettive di estinzione completa o parziale dell’umanità sono le donne della Gen Z e quelle della Gen X: se il 48,7% del campione pensa che tali scenari siano molto probabili, la percentuale sale in questi segmenti al 60%, a conferma di quella che ormai viene definita “ecoansia”, ovvero la crescente preoccupazione delle giovani generazioni verso gli impatti della crisi climatico-ambientale. Dalla ricerca emerge in modo ancora più netto la percezione del rischio di estinzione delle specie animali, che è molto/abbastanza probabile per il 93% degli intervistati (con solo un 2,6% che la considera per nulla probabile). Un dato che d’altra parte riflette i risultati del monitoraggio scientifico: il recente aggiornamento della lista rossa dell’Unione internazionale per la conservazione della natura) comprende ben 150.388 specie, delle quali 42.108 sono minacciate di estinzione. E la crisi climatica è uno dei maggiori fattori di rischio: oltre 1.550 dei 17.903 animali e piante marini valutati, per esempio, sono a rischio di estinzione, con il cambiamento climatico che colpisce almeno il 41% delle specie marine minacciate. Secondo la maggioranza degli italiani, il compito di intervenire per scongiurare il rischio degli scenari più catastrofici spetta in primo luogo a governi e agli Stati (67,4%), seguiti dalle istituzioni mondiali (57,3%): al terzo posto vengono indicati i cittadini e le famiglie (40%), seguite da enti locali che operano sul territorio (37,9%), imprese, aziende e loro associazioni (35,7%) e, in ultimo, dalle organizzazioni della società civile, gli enti del non profit/del terzo settore (34,1%).

“La fusione dei ghiacciai montani, la siccità ricorrente, gli eventi estremi del 2023 indicano che la crisi climatica è evidente anche in Italia – commenta Giuseppe Onufrio, Direttore Esecutivo di Greenpeace Italia -. I segnali ci sono tutti. Dobbiamo ascoltare questi campanelli d’allarme non per disperarci, ma per investire sulle soluzioni. Dobbiamo finalmente invertire la rotta e avviare quella transizione ecologica che è l’unico antidoto possibile alla crisi ambientale. Il ruolo di Greenpeace è quello di suggerire la rotta e spingere il mondo politico e quello economico ad andare nella giusta direzione. Lo dobbiamo a noi, e alle generazioni future”.

ClimaMeter svela in tempo reale l’origine degli eventi estremi

ClimaMeter svela in tempo reale l’origine degli eventi estremiRoma, 12 set. (askanews) – Mentre il mondo affronta le sfide crescenti del cambiamento climatico, un team internazionale di ricercatori ha lanciato una piattaforma all’avanguardia per affrontare direttamente una delle domande più pressanti: fino a che punto il cambiamento climatico modifica gli eventi meteorologici estremi?

Il recente rapporto del Gruppo Intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite (Intergovernmental Panel on Climate Change – IPCC) ha sottolineato l’urgente necessità di affrontare il cambiamento climatico globale, evidenziando un’accelerazione dei fenomeni estremi e il loro impatto sugli ecosistemi vitali e sulla società. In questa cornice, il team dei ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv), in collaborazione con il Centre National de la Recherche Scientifique (Cnrs), l’Università svedese di Uppsala e il Centro Internazionale di Fisica Teorica Abdus Salam (Ictp) di Trieste, si è concentrato su alcuni eventi estremi avvenuti questa estate come la tempesta extratropicale Poly che ha colpito l’Europa centrale, l’eccezionale ondata di calore Cerberus che ha investito il Mediterraneo centrale e le intense precipitazioni di fine agosto sulle isole del Mediterraneo e nel Nord Italia. “L’obiettivo principale del progetto è fornire una rapida analisi del ruolo del cambiamento climatico e della variabilità naturale in un evento estremo meteorologico, con un’attenzione particolare a specifici fenomeni quali cicloni, ondate di calore e intense precipitazioni”, spiega Tommaso Alberti, ricercatore dell’Ingv. “Ciò permette di ottenere informazioni chiare e precise sulle influenze delle emissioni antropogeniche sull’evento estremo, offrendo una prospettiva rapida immediatamente dopo l’evento, nonché una descrizione e discussione più tecnica quando esso si è concluso”.

ClimaMeter, – informa Ingv – con una rappresentazione grafica, fornisce una visione chiara e dettagliata sull’origine naturale o antropica dell’evento estremo. In tal modo, si offre un tool facile da consultare per capire la dimensione spesso sottovalutata del cambiamento del clima. “La piattaforma appena lanciata rappresenta un passo significativo verso una comprensione più profonda del legame tra il cambiamento climatico e gli eventi meteorologici estremi. Alimentiamo il database con eventi estremi avvenuti negli anni scorsi e contiamo di fornire, utilizzando dati in tempo reale di pressione alla superficie terrestre, velocità del vento, quantità di precipitazioni e temperatura, ottenute dal MSWX, un database con i parametri meteorologici ad alta risoluzione temporale, offrendo una base solida per analisi future e per le previsioni”, aggiunge il ricercatore.

“La nostra metodologia si basa sulla ricerca di condizioni meteorologiche simili a quelle che hanno causato l’evento estremo di interesse utilizzando i dati disponibili nella cosiddetta ‘era satellitare’, vale a dire il periodo a partire dal 1979 ovvero da quando sono diventate disponibili osservazioni diffuse delle variabili climatiche dai satelliti. Analizziamo separatamente i primi decenni dell’era satellitare (1979-2000, “passato”) e i decenni più recenti (2001-2022, “presente”) e, poi, li confrontiamo per capire come sono cambiate le condizioni meteorologiche selezionate tra i due periodi e se tali cambiamenti sono probabilmente dovuti alla variabilità climatica naturale o al cambiamento climatico antropogenico. Utilizzando dati storici e non simulazioni di modelli numerici, abbiamo la possibilità di avere il quadro rapido e riproducibile degli effetti”, prosegue Tommaso Alberti. La piattaforma, raggiungibile all’indirizzo https://www.climameter.org/home, offre informazioni dettagliate e intuitive a beneficio di tutti: comunità scientifica, professionisti dell’informazione, autorità istituzionali e cittadini.

“Nel futuro la piattaforma potrà essere utilizzata per fornire informazioni fondamentali per l’elaborazione delle strategie di mitigazione e l’adattamento agli effetti in continua evoluzione del cambiamento climatico”, conclude Alberti.

Clima: ghiacciai austriaci a rischio, nel 2022 record di fusione

Clima: ghiacciai austriaci a rischio, nel 2022 record di fusioneRoma, 6 set. (askanews) – Come i ghiacciai alpini italiani, anche i ghiacciai austriaci negli ultimi due decenni sono in piena emorragia, tanto che gli esperti ipotizzano che entro il XXI secolo potrebbero ridursi significativamente o scomparire del tutto. Secondo i dati del Club Alpino Austriaco i ghiacciai delle Alpi austriache hanno raggiunto nel 2022 il record di fusione, perdendo in media circa 29 metri di lunghezza, 2,6 volte l’arretramento registrato nel 2021.

A diffondere i dati è Legambiente che per la quinta tappa della Carovana dei ghiacciai – campagna promossa dall’associazione con la partnership scientifica del Comitato Glaciologico Italiano (CGI) – ha assunto una dimensione internazionale con la collaborazione con CIPRA (Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi) e dal 4 al 10 settembre è in Austria focalizzandosi sui ghiacciai del gruppo del Silvretta e in particolare sul Ghiacciaio Ochsentaler nel Vorarlberg che, dal 1850 ad oggi, è arretrato di circa 2400 metri (World Glaciers Monitory Service) e ha registrato dei ritiri particolarmente drammatici negli anni del 2018/2019 (-86,7 Metri) e 2021/2022 (-42,8 Metri) secondo i dati del Club Alpino Austriaco. In generale, dal 1850 ad oggi, la superficie complessiva di tutti i 49 ghiacciai del gruppo del Silvretta si è ridotta del 68% passando da 40,94 km² al 13,13 km² (dati elaborati da Andrea Fischer, Bernd Seiser, Martin Stocker-Waldhuber, Institute for Interdisciplinary Mountain Research, Austrian Academy of Sciences, Innsbruck, Austria). Di questo gruppo i tre ghiacciai più grandi per estensione – Ochsentaler, Vermunt e Jamtalferner – tra il 2015 e il 2020 hanno registrato una perdita media di spessore tra i 6 e i 7 metri (fonte World Glaciers Monitory Service) e una regressione superiore ai 2 km dal 1850 ad oggi.

“La crisi climatica non conosce confini, specie se si parla dei ghiacciai alpini, loro sentinella principale – dichiara Vanda Bonardo, responsabile nazionale Alpi di Legambiente e presidente CIPRA Italia – . Per la quarta edizione della ‘Carovana dei ghiacciai’ ci siamo per la prima volta spinti oltreconfine, in Austria e poi in Svizzera. Una decisione ambiziosa, per verificare lo stato di salute anche dei ghiacciai svizzeri e austriaci che, come per il versante italiano, sono in forte sofferenza e sempre più sotto scacco della crisi climatica. Da qui lanciamo la necessità di una governance europea condivisa per tutelare e proteggere i nostri ghiacciai, mettendo in campo politiche climatiche più ambiziose, interventi di mitigazione e adattamento e replicando quelle buone pratiche già in atto in alcuni territori. Una partita per il futuro del Pianeta che, se giocata insieme, crediamo di poter vincere”. La protezione del clima e dei ghiacciai ha riunito il team della Carovana dei Ghiacciai composto da ricercatori, esperti e volontari con il gruppo di giovani attivisti del progetto “Alpine Climate Camps” di CIPRA International che coniuga gli sport di montagna con la mitigazione della crisi climatica. I giovani hanno percorso un tour in bicicletta dal Lago di Costanza al ghiacciaio dell’Ochsental, per trarre energia dalla straordinaria natura delle Alpi, praticare sport di montagna sostenibili e verificare in loco gli effetti del cambiamento climatico.

“Copertura detritica, perdita delle lingue vallive e innalzamento delle fronti – commenta Federico Cazorzi, Comitato Glaciologico Italiano -. Queste le caratteristiche che hanno accumunato i ghiacciai oggetto dei monitoraggi di ‘Carovana dei Ghiacciai’ in Italia con quelli condotti in Austria, con il prezioso contributo della professoressa Andrea Fischer. Il Ghiacciaio dell’Ochsentaler, in particolare, per via dell’importante arretramento frontale sta perdendo la sua caratteristica di ghiacciaio vallivo”. La tappa ha incluso anche un incontro pubblico con gli amministratori locali per promuovere la “Carta di Budoia per l’adattamento locale ai cambiamenti climatici”, dichiarazione volontaria dei comuni alpini promossa dalla Delegazione italiana in Convenzione delle Alpi e dal Network di comuni Alleanza nelle Alpi in Italia che ha l’obiettivo di fare delle Alpi un territorio esemplare nel settore della prevenzione e dell’adattamento ai cambiamenti climatici. Un’occasione per chiedere di raccontare lo straordinario lavoro che gli amministratori e le amministratrici del Vorarlberg hanno fatto soprattutto nel campo dell’efficienza energetica, regione pioniera su questo tema, per trasferire in Italia queste esperienze virtuose.

La campagna, che si pone l’obiettivo di monitorare il drammatico ritiro dei ghiacciai a causa dei cambiamenti climatici, ha già fatto tappa sul Ghiacciaio del Rutor (Valle D’Aosta), Belvedere (Piemonte), Dosdè (Lombardia) e Mandrone (Trentino-Alto-Adige) e concluderà il suo viaggio il 10 settembre in Svizzera, a Grigioni, sul Ghiacciaio del Morteratsch.

Clima, Green Building Council Italia: imbarazzante il negazionismo

Clima, Green Building Council Italia: imbarazzante il negazionismoMilano, 2 ago. (askanews) – Il negazionismo climatico oscilla in Europa tra l’1 e il 2% (dati European Social Survey), ma si arriva all’8% includendo la quota di coloro che pensano che il cambiamento climatico non sia frutto del comportamento umano. In Italia, il negazionismo climatico si attesta invece su una percentuale del 16% (Rapporto ItalCommunications-Censis). “Imbarazzante, dal mio punto di vista, anche se fosse una percentuale ad una sola cifra, specie alla luce delle ultime inconfutabili, quanto violente, manifestazioni dello squilibrio climatico che hanno travolto il Paese”, commenta Fabrizio Capaccioli, amministratore delegato di Asacert e presidente del Green Building Council Italia.

“L’Italia sta facendo la sua parte – la riflessione di Capaccioli – ciò nonostante, la comunità internazionale, senza distinguo, dovrebbe apportare il proprio contributo, ben più significativo degli sforzi e dei risultati – in termini planetari – che il nostro Paese può produrre”. Un’azione globale che deve partire anche una considerazione: “Il fenomeno che nega il cambiamento climatico e la sua origine antropogenica continua a trovare adepti e spazi, alimentati dalla ricerca di un consenso che cavalca l’onda del: ‘la crisi climatica è una bufala per mettere le mani nelle tasche della povera gente’ – prosegue Capaccioli – Il tema ‘clima’ deve, dunque, essere affrontato a partire dalle disuguaglianze, perché la povertà esiste esattamente come il cambiamento climatico, ma se non si affronta la prima, il secondo non avrà soluzione. I cambiamenti, quelli che producono davvero effetti significativi, cominciano dal basso, ne sono convinto. Non si può più pensare di ‘vincere facile’ – come recitava un fortunato claim di una pubblicità di qualche anno fa – coinvolgendo solo quei pochi che possono permettersi un approccio di vita votato al benessere sostenibile”. “Dobbiamo concentrarci sul concetto di giusta transizione che risiede anche nella nostra capacità e responsabilità, così come dei decisori pubblici – a tutti i livelli – di mettere le persone socialmente più vulnerabili in condizione di affrontare un cambio di stile di vita repentinamente, perché questo è quanto è necessario fare – afferma l’imprenditore e presidente del Green Building Council Italia – Gli strumenti, a partire dall’edilizia sostenibile ci sono, occorre metterli a disposizione di tutti i cittadini, cominciando proprio dalle fasce meno abbienti”.

“La sfida dei prossimi anni – conclude Capaccioli – è, perciò, recuperare dalla rete negazionista, che pesca di frodo nel mare della disinformazione e della paura, prede spaventate sì dal problema del cambiamento climatico, ma soprattutto dal timore che le soluzioni, i costi, gli sconvolgimenti sociali, possano essere peggiori dei benefici di una giusta ed assistita transizione green”.

Clima, da Enea le mappe delle aree costiere a rischio inondazione

Clima, da Enea le mappe delle aree costiere a rischio inondazioneRoma, 31 lug. (askanews) – Enea ha sviluppato un nuovo servizio in grado di mappare le aree costiere a rischio inondazione per il cambiamento climatico che abbina modelli ad alta risoluzione, tecnologie satellitari e rilievi sul campo. Il nuovo servizio climatico è stato messo a punto da un team di ricercatori composto da climatologi, esperti GIS, oceanografi e geologi ed è stato presentato al XXI Congresso International Union for Quaternary Research (INQUA), una delle più importanti conferenze internazionali sulle scienze del Quaternario che si è svolta di recente a Roma. Ad oggi, sono state completate le mappe di Follonica-Piombino e Marina Di Campo in Toscana, Fertilia-Alghero in Sardegna e Parco Nazionale del Circeo (Latina-Sabaudia) nel Lazio, mentre sono in via di definizione quelle dei litorali della Spezia, Roma, Napoli, Brindisi, Taranto e Cagliari.

Il nuovo servizio di mappatura – si legge nella notizia pubblicata sull’ultimo numero in italiano del settimanale ENEAinform@ – intende fornire a decisori pubblici e pubbliche amministrazioni centrali e locali le tendenze evolutive del territorio, in modo da pianificare le strategie di adattamento al cambiamento climatico. “I risultati dei nostri studi hanno dimostrato che entro la fine del secolo, i beni maggiormente esposti al rischio di inondazione sono le zone umide, le aree di retrospiaggia e retroduna e alcune infrastrutture marittime”, sottolinea Sergio Cappucci del Laboratorio Enea di Tecnologie per la dinamica delle strutture e la prevenzione del rischio sismico e idrogeologico. “Per ciò che riguarda le zone umide e le aree di retrospiaggia – aggiunge – il rischio di inondazione rispetto all’attuale livello medio del mare è dovuto alla bassa quota e alla subsidenza, mentre per le infrastrutture costiere come porti, opere di difesa, moli, casse di colmata, la causa sembra riconducibile al naturale affondamento sul fondo marino”.

Nello specifico, l’approccio innovativo si compone di tre fasi: nella prima, grazie all’utilizzo dei modelli digitali del terreno di alcune delle piattaforme nazionali ed europee (come il Portale Cartografico Nazionale per i modelli digitali e il programma Copernicus per i movimenti verticali della superficie terrestre), vengono individuate le aree costiere che nei prossimi decenni saranno più vulnerabili alle variazioni del livello del mare. La seconda fase riguarda la valutazione approfondita delle categorie di beni più esposte alle inondazioni. “Grazie alla disponibilità di Modelli Digitali Terrestri (DTM) del periodo 2008-2012 con dati ad altissima risoluzione per quasi tutto il territorio nazionale (da 5x5m fino a 1x1m), siamo in grado di effettuare analisi preliminari su vaste porzioni di territorio, in tempi relativamente brevi”, spiegano Gaia Righini e Lorenzo Moretti della Divisione Enea di Modelli e tecnologie per la riduzione degli impatti antropici e dei rischi naturali.

“Nelle proiezioni di aumento del livello del mare dell’IPCC mancano i dettagli regionali che sono fondamentali per lo studio di un’area così ‘speciale’ come quella del Mediterraneo”, evidenzia Roberto Iacono, del Laboratorio Enea di Modellistica climatica. “In questo contesto la messa a punto del nuovo approccio consente di valorizzare gli sforzi che la comunità scientifica ed europea stanno facendo per condividere piattaforme di dati e informazioni ambientali e per realizzare un servizio climatico open access ad alta risoluzione, con scenari sempre più affidabili e realistici, al fine di valutare gli impatti futuri del cambiamento climatico e pianificare opportune strategie di prevenzione e adattamento”. La terza fase consiste nei rilievi sul campo. Misure, campionamenti, datazioni e rilievi geologici consentono, infatti, di migliorare la qualità dei dati e dei modelli digitali della superficie terrestre, ma anche di individuare le diverse componenti che contribuiscono agli scenari indicati nelle mappe di inondazione e che i satelliti non sono ancora in grado di rilevare singolarmente, vale a dire tettonica, subsidenza, carico e compattazione dei sedimenti litosferici, aggiustamento glaciale e variazioni delle falde acquifere conseguenti allo sfruttamento delle risorse idriche.

“Come ricorda il titolo ‘Time for change’ del Congresso INQUA 2023, è tempo di cambiare e, grazie a questo nuovo approccio, Enea può fornire in tempi rapidi un contributo a un inevitabile cambio di passo rispetto alle metodologie utilizzate fino ad oggi. Ad esempio, attraverso valutazioni e calibrazioni in tutto il territorio nazionale che consentirebbero di arrivare a una più puntuale definizione di quelle aree in cui la probabilità di inondazione deve essere considerata in dettaglio al fine di evitare rischi per le popolazioni e gli insediamenti produttivi”, conclude Sergio Cappucci.

Amato: sulla crisi del clima serve una voce politica concorde

Amato: sulla crisi del clima serve una voce politica concordeMilano, 31 lug. (askanews) – “Davanti al terrorismo del clima serve una voce politica concorde, così come solo nella concordia riuscimmo a sconfiggere il terrorismo politico cinquant’anni fa”. Lo ha detto a La Repubblica Giuliano Amato, presidente emerito della Corte costituzionale ed ex presidente del Consiglio, che vede nella crisi climatica la sfida più importante e ritiene che il vero tema del futuro sia “come fare in modo che la politica si adoperi a convincere le persone che è meglio rinunciare a qualche produzione agricola piuttosto che perdere completamente la terra”. Amato è anche convinto che in Italia “non c’è più tempo per una transizione ecologica graduale”.

“Più del negazionismo – ha aggiunto Amato – mi preoccupa la rimozione dovuta a opportunismo politico. La transizione ecologica comporta un cambiamento radicale nelle abitudini, nelle case che abitiamo, nelle automobili con cui ci muoviamo, nelle pratiche agricole, nei metodi di allevamento e pesca. Questo suscita la protesta immediata di chi vede lesi i propri interessi. E la destra tende a farsene istintivamente paladina. Basta seguire con attenzione i telegiornali d’area, con le costanti proteste contro le misure europee della Coldiretti e dei pescatori a strascico. Ma per evitare di perdere del tutto la tua terra, non ti conviene cambiare qualcosa di quello che oggi ci fai? O la politica è in grado non di echeggiare, ma di convincere chi resiste, oppure ci avviamo verso un autentico disastro”.

Studio, ondate di calore impossibili senza cambiamento climatico

Studio, ondate di calore impossibili senza cambiamento climaticoRoma, 25 lug. (askanews) – Le ondate di calore di luglio in Europa e Nord America sarebbero state pressoché impossibili senza il cambiamento climatico. É quanto sostiene uno studio della collaborazione accademica World Weather Attribution (Wwa) – che studia l’attribuzione degli eventi estremi, calcola cioè la probabilità che il verificarsi, l’intensità e la durata dell’evento siano dovuti al cambiamento climatico – citato dal Wwf.

Tali eventi non sono più insoliti a causa del riscaldamento globale provocato dall’uso di combustibili fossili, dalla deforestazione e da altre attività umane. Lo studio – riporta il Wwf – ha anche evidenziato che il cambiamento climatico ha reso l’ondata di calore in Cina almeno 50 volte più probabile. Secondo gli scienziali, le emissioni di gas serra hanno anche fatto sì che le ondate di calore fossero più calde di quanto sarebbero state altrimenti: l’ondata di calore europea è stata più calda di 2,5°C, quella nordamericana di 2°C e quella cinese di 1°C a causa del cambiamento climatico. Sebbene i ricercatori rilevino che lo sviluppo di El Niño, un fenomeno climatico naturale, abbia probabilmente contribuito con calore aggiuntivo alle ondate di calore in alcune regioni, l’aumento delle temperature globali dovuto alla combustione di combustibili fossili è la ragione principale per cui le ondate di calore sono così gravi.

Secondo il Wwf l’analisi dovrebbe porre fine al triste e inutile dibattito (non scientifico) fomentato da coloro, soprattutto lobbisti, che in questi giorni hanno posto in dubbio la stessa gravità degli eventi in corso. Si conferma invece che è interesse precipuo del nostro Paese che l’azione climatica sia accelerata. É infatti noto da anni – evieenzia l’associazione – che il Mediterraneo costituisce un hot spot climatico, esposto a eventi climatici sempre più estremi e ripetuti in presenza di un aumento globale delle temperature medie: gli scienziati prevedono che in futuro ondate di calore come quelle di quest’anno diventeranno ancora più frequenti e potrebbero verificarsi ogni 2-5 anni. Per il Wwf il Governo e il Parlamento devono assumere la crisi climatica come una priorità e dedicarsi ad accelerare l’abbattimento delle emissioni climalteranti e a perseguire il contenimento del riscaldamento globale entro 1,5°C. “I prossimi banchi di prova saranno il PNIEC (Piano Nazionale Integrato Energia Clima) e il varo del Piano di Adattamento – ha sottolineato Mariagrazia Midulla, responsabile Clima ed Energia del Wwf Italia – Nel caso del PNIEC, bisogna mostrare molto più coraggio e cambiare strada davvero, andando verso l’uscita rapida da tutti i combustibili fossili e il 100% energia rinnovabile, abbiamo dimostrato che nel settore elettrico è possibile farlo entro dieci anni. Per il Piano di Adattamento, servono scelte precise e risorse: dobbiamo preparare il sistema a gestire le conseguenze su persone ed ecosistemi in ogni ambito. Le città devono avere una pianificazione volta a prevenire il caldo e le isole di calore, per esempio: è proprio un cambiamento di mentalità e di approccio.

Il Wwf, insieme a Greenpeace, Legambiente, Kyoto Club e Transport&Environment, chiede anche l’approvazione di una Legge sul Clima che renda strutturale e sistemica la lotta alla crisi climatica, ne assicuri la governance, fissi l’obiettivo della neutralità climatica prima della metà del secolo e gli obiettivi intermedi, stabilisca un budget di carbonio anche per i singoli settori produttivi e istituisca un Consiglio Scientifico per il Clima.