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A Roma presentata la ginnastica dinamica militare italiana 1978

A Roma presentata la ginnastica dinamica militare italiana 1978Roma, 16 apr. (askanews) – Si è tenuta ieri, nella sala Caduti di Nassirya presso il Senato della Repubblica a Roma, organizzata su iniziativa del Senatore e membro 6^ commissione finanza e tesoro Marco Croatti, la conferenza stampa ‘Ginnastica Dinamica Militare Italiana – Riscopriamo la salute attraverso il movimento’. Ad accogliere i presenti il Senatore Croatti, che è intervenuto spiegando che “Il Senato è sempre orgoglioso di persone che portano avanti discipline sportive che promuovono il movimento come questa e di poterle ospitare mentre la spiegano”; a lui ha fatto eco in collegamento la Senatrice Giusy Versace, che ha sottolineato come lo sport sia stato fondamentale nel suo percorso.


Subito dopo, i presenti hanno avuto modo di entrare nel mondo della GDMI – Ginnastica Dinamica Militare Italiana ascoltando le parole di Matteo Sainaghi, che ha dato vita a questa disciplina nel 2013 insieme a Mara Uggeri: “Innanzitutto, vorrei partire spiegando il significato del nome: Ginnastica come attività che tende, mediante una serie ordinata di esercizi, a sviluppare l’apparato muscolare e a dare robustezza e agilità al corpo umano (secondo la definizione Treccani); Dinamica come opposizione di statica, quindi veloce, forte ed efficiente; Militare perché sono presenti caratteristiche di ordine e comando per ottimizzare la classe allenante, togliere le barriere sociali tra i partecipanti e dare disciplina all’esecuzione; Italiana…perché io sono nato in Italia e anche il protocollo è nato qui, con metodologia italiana, lontano dall’esterofilia che ci ha spesso colpiti nel corso del tempo. 1978 invece è l’anno in cui Mennea stabilì il record mondiale sui 200 metri con lo straordinario 19,72 – spiega Sainaghi – Vengo da uno sport come il rugby che mi ha insegnato tanto e dove il gruppo e il senso di appartenenza, la volontà e il sacrificio sono alla base della pratica sportiva e dell’allenamento e dove gli orpelli e i fattori esterni contano poco: è nata da lì l’idea di formare una squadra che si allenasse in maniera intensa e senza scuse, all’aperto, sotto la pioggia o al caldo, senza scuse e senza nessun comfort, senza nemmeno la musica. Sono partito con un centro di prova, a Brescia, con due persone, che sono poi diventate 10, 20, 50, 100; da lì l’apertura del secondo centro, la presentazione al CONI e la selezione e il continuo allenamento degli istruttori, persone caparbie e con attitudini centrate sullo sport. Oggi i centri sono 500 in tutta Italia e siamo diventati la società sportiva più grossa d’Italia e d’Europa come numero di tesserati (60.000)”. L’introduzione di Sainaghi è stata anche l’occasione per parlare di movimento e motivazione “un sistema mentale, questo, in cui prima ci si muove e poi si trova la motivazione, che ci ha dato ragione”, e di fatica, concetto che sembra oggi quasì “retrò” e autodisciplina: “Se uno non ha autodisciplina, deve essere autodisciplinato. Il proprio benessere non può essere una delega, per la mia esperienza tutti quei centri dove sembra ti dicano “non preoccuparti, ci pensiamo noi a te”, dove ogni tua scusa trova conforto nella controparte, sono progetti fallimentari. Il nostro progetto è ben diverso, quindi, si basa sull’autodisciplina delle persone. È la prestazione che è il risultato, la prestazione sportiva. La forma fisica che cambia non è il fattore principale, e, anche se cambia nel profondo, non si trova al primo posto. Una volta che tu sei prestativo a livello fisico, anche quello estetico lo seguirà a ruota”. E del fatto che, anche se si tratta di un’attività sportiva individuale, non è certo individualista: “l’altra cosa che funziona è molto è il fatto che comunque, sudando insieme e lavorando all’unisono, tutte le barriere sociali vanno velocemente a sgretolarsi. Nell’allenamento siamo tutti uguali, non c’è spazio per quello che vuole venire a sfoggiare la maglietta di ultima generazione, indossiamo tutti la stessa maglietta e gli stessi pantaloni o pantaloncini, proprio come una sorta di uniforme. Si fa tutti parte di un collettivo, ci si aiuta, e si crea una vera e propria compagnia. Che si allena a 40° sotto il sole la sera d’estate, solo bottiglietta d’acqua, e con le zanzare. Vedere che non mollano di un centimetro, vuol dire che, dal mio punto di vista, abbiamo creato una magia straordinaria a livello sportivo. Un collettivo, però, non solo circoscritto alla sede dove ci si allena ma molto più ampio. Vi faccio un esempio molto semplice, e sono sicuro che sia già successo: chi si allena con GDMI indossa sempre un bracciale verde e se, per esempio su un treno, dovesse accorgersi che la persona di fronte a lui ne indossa uno uguale, è come se davanti a sé ritrovasse un fratello o una sorella, con cui sa di condividere lo stessa sistema allenante. Una sensazione che forse può sembrare difficile da capire per chi la vede dall’esterno”.


“L’idea dell’ortodinamica – prosegue Sainaghi, rispondendo alle domande della giornalista di San Marino Rtv Sara Bucci – è nata diversi anni fa perché all’università, quando ho fatto la tesi, l’ho fatta sulla rieducazione e sull’ortodinamica, quindi il movimento nell’anziano, non con patologie degenerative. Un allenamento che ha alla sua base i concetti di equilibrio, forza, flessibilità e resistenza, per cui abbiamo fatto uno studio molto attento su degli esercizi specifici, sul modo di camminare, le camminate in cerchio, coordinate, gli scambi di direzione, la capacità visiva della persona “molto adulta” che tende inevitabilmente a diminuire. Anche qui siamo partiti con un solo centro e, oggi, in poco meno di un anno, siamo arrivati a 30 centri in tutta Italia, con iscritti che si trovano benissimo; l’età media è tra i 60 e i 65 anni, ma abbiamo anche persone di 40 anni che, a causa di traumi o incidenti, ha dei grossi problemi deambulatori. Abbiamo dato vita a questo protocollo e l’abbiamo “donato” un po’ a tutti nel settore perché, onestamente, non mi sembrava giusto che una persona anziana pagasse una cifra spropositata per 10 sedute specifiche; è attività civica, attività motoria, per questo l’abbiamo portata un po’ “al popolo”, con grande odio di alcuni miei colleghi”. Adulti, quindi, molto adulti, ma anche bambini: in GDMI trova spazio anche uno speciale protocollo studiato apposta per i più piccoli, “in cui, partendo dal concetto del gioco e con slide che si ispirano ai personaggi dei cartoni animati, trasmettiamo loro anche messaggi importanti come l’importanza della fatica nel raggiungimento di un risultato e riusciamo a invogliarli a partecipare anche se mancano elementi come lo spirito di competizione di una squadra contro l’altra – spiega Giorgio Bucci, Responsabile Centro e Sud Est GDMI e proprio del protocollo bambini – Il progetto è nato una sera, durante il corso istruttori, quindi in un momento di allenamento di soli adulti: più si andava e si va tutt’ora indietro con le fasce di età e più il problema di coordinazione, motivazione, attenzione e propensione allo sport si fa sentire. Quindi, perché una disciplina sportiva possa dirsi completa, deve pensare sia ai più piccoli che ai non più giovani (come fa con l’ortodinamica). È così che nasce il protocollo bambini: l’esigenza di provare a risolvere un problema che, più passa il tempo, più si fa grave. I bambini fino a qualche anno fa erano semplicemente scoordinati, così come i ragazzini; oggi ci troviamo con giovani adulti che non conoscono il proprio corpo e non capiscono come muoverlo, oltre che a doversi confrontare con patologie come l’obesità giovanile, che è aumentata di dieci volte dagli anni ’70, anche a causa di social media, impegni scolastici, minore frequentazione di comunità, attività motoria libera e abitudini alimentari errate. Facendo uno studio con specialisti del settore, abbiamo sviluppato un protocollo, tutto basato sul gioco, che innanzitutto va a lavorare su propriocezione e socializzazione, insegnando al bambino a capire come interagire con gli altri, a conoscere il suo corpo e le sue emozioni. Una ginnastica di eccellenza per bambini, che gli insegnasse anche il movimento che deve fare il proprio corpo e a cimentarsi con le prime sfide, capire come accettare eventuali “sconfitte” e a gestire il senso di vittoria. Lavoriamo su due fasce di età: dai 3 a 6 anni che è un protocollo di specializzazione, per bambini molto piccoli, e dai 5-6 fino agli 11-12 anni, quando poi, con le dovute precauzioni, possono iniziare a essere inseriti nell’allenamento adulto”.


E che feedback ricevete dai genitori dei bimbi che allenate? “Un feedback di altissimo gradimento, tant’è che proprio grazie a loro, e questo, almeno all’inizio, non era il nostro intento, siamo entrati nelle scuole – prosegue Bucci – abbiamo iniziato a ricevere un sacco di convocazioni ufficiali dagli istituti scolastici. Al momento siamo in quattro distretti scolastici nel riminese, perché il protocollo bambini è nato lì, dove viene fatta ginnastica dinamica militare protocollo bambini proprio come materia scolastica. Gli stessi dirigenti scolastici e professori, hanno apprezzato da subito il nostro modo di lavorare con i ragazzi. Essendo partiti da poco, oggi, oltre al riminese, abbiamo una ventina di centri attivi tra Veneto, Lombardia e Centro Italia, ma abbiamo l’intenzione di far crescere la struttura”. Con Alessio Franchina, Coordinatore Nazionale Area Comunicazione e Innovazione Tecnologica CSI, c’è stato invece modo di vedere quali sono i capisaldi della relazione tra GDMI e CSI, che ha certificato e promosso Ginnastica Dinamica Militare Italiana come disciplina sportiva: “Abbiamo avvicinato la GDMI qualche anno fa, e, già nei primi incontri, ci siamo accorti che rispecchiasse in pieno il motto del CSI, educare attraverso lo sport con un’attenzione alla parte più giovanile e alle persone più fragili. Quindi è subito nata una sinergia che stiamo portando avanti e, con il lavoro straordinario che è stato fatto in questi anni, la cosa è cresciuta e si è diffusa, con un impatto molto positivo. Una volta, anche nei piccoli paesi, non solo nelle grandi città, i ragazzi tendevano a scegliere sport come il calcio o lo sci, per esempio, se in montagna. Secondo l’ultimo report della Federazione Italiana Gioco Calcio, negli ultimi 10 anni c’è stato un calo di 11.000 squadre: questo non vuol dire che la gente ha smesso di fare sport, ma che ha cambiato modo di farlo. Quindi penso sia una cosa preziosissima se ci sono queste nuove discipline che emergono e riescono a intercettare anche le persone più giovani e dare lor questa opportunità nel panorama sportivo – prosegue Franchina, parlando della volontà di contrastare l’esigenza di arrivare a buoni risultati in tempo zero – Associazioni e società, proprio come GDMI, ci danno una grossa mano perché, purtroppo, anche nei giovani di oggi c’è un po’ questa ambizione, come per i ragazzi che iniziano a giocare a calcio. C’è la cultura del tutto facile, tutto subito, tutto dovuto, che porta un po’ ad abbassare un po’ l’asticella. Quindi quando è stato sottolineato il significato di militare nel nome della disciplina, effettivamente ci siamo ritrovati assolutamente, perché purtroppo manca un po’ lo spirito di sacrificio che è fondamentale per riuscire a raggiungere i risultati nello sport come nella vita. Come federazioni, il nostro obiettivo chiaramente non è creare campioni; chiaro che può succedere, però l’obiettivo è creare delle persone, cittadini di oggi, ma soprattutto i cittadini di domani. Quindi dobbiamo lavorare su questo ed è fondamentale che ci siano sinergie come questa, che ci aiutano a raggiungere questo obiettivo”.


Con il Dott. Nicola Romeo, neonatologo e pediatra, si è tornati a parlare di bambini, analizzando quale potrebbe essere l’età giusta per iniziare a praticare uno sport: “Negli anni scorsi sono uscite le linee guida dell’Organizzazione Mondiale della Sanità sull’attività motoria e lì non viene fatta nessuna specifica sull’età d’inizio, parla anzi di come far fare attività già nel primo anno di vita per almeno 30 minuti, proponendo la posizione prona nei bambini, e tutta una serie di indicazioni per le fasce di età da 1 a 3 anni, da 3 a 6 e così via, già convogliate nel protocollo bambini di GDMI. Approfitto dell’occasione per condividere una riflessione: nel 1998, un quarto di secolo fa e più, l’Organizzazione Mondiale della Sanità diceva che l’obesità sarebbe stata l’epidemia del nuovo secolo. Se voi andate a guardare, malgrado tanto impegno, le tante azioni, attività, rimane ancora un problema serio. Quindi per noi andare a riflettere e impegnarci nel promuovere attività motorie e corretta alimentazione vuol dire realmente fare della sanità pubblica e investire in salute – prosegue il Dott. Romeo – Quando noi ci impegniamo sui bambini bisogna che ci impegniamo anche sul mondo del degli adulti nelle sue diverse categorie, che è quello dei genitori, che quello dei nonni o meno, bisogna che dei messaggi passino in una maniera coerente, perché i bambini sono delle spugne più che le parole guardano i comportamenti. Quindi per noi la questione importante è riuscire nelle diverse fasi di età di trovare opportunità per portare i bambini a muoversi dal divano piuttosto che dalla televisione o dal cellulare, sia per una questione di salute fisica e che di salute sociale e anche salute mentale. Il promuovere un’attività che fa stare i bambini all’aperto, che li fa stare insieme, che li motiva e che li impegna è un ulteriore investimento per cercare di contenere questo che è veramente una nuova epidemia”. Ha chiuso l’incontro il Senatore Croatti, ringraziando i presenti per il loro tempo e GDMI per “il fatto che continuate a cercare di raccontare alle persone che la salute dipende, per la maggior parte, dalle proprie forze. Voi questo lo state facendo, lo state facendo nelle famiglie e avete iniziato a farlo nelle scuole, state quindi contribuendo a dare una buona cultura al nostro paese”.

Al Senato l’evento “La Bellezza come cura”

Al Senato l’evento “La Bellezza come cura”Roma, 16 apr. (askanews) – Si è tenuto lunedì 14 aprile, al Senato della Repubblica, l’evento “La Bellezza come cura”, un’importante occasione di riflessione e confronto sul ruolo della dermocosmesi sociale nel supporto ai pazienti oncologici e alle persone in condizioni di fragilità. L’evento, promosso dalla farmacista cosmetologa Myriam Mazza e dalla sua associazione “Ricomincio da Me”, con il supporto del Senatore Renato Ancorotti, presidente dell’intergruppo “Benessere Salute e Bellezza”, ha visto la partecipazione di esperti del settore, rappresentanti di associazioni e istituzioni, e ha sottolineato l’importanza di un approccio multidisciplinare alla cura della persona, in cui la bellezza è intesa come benessere fisico ed emotivo.


Durante l’incontro, sono stati affrontati temi cruciali come il supporto ai pazienti oncologici attraverso protocolli di cura della pelle specifici, mirati a mitigare gli effetti collaterali delle terapie, l’importanza della bellezza come ponte tra culture, con un focus sull’etnocosmesi, e il ruolo della dermocosmesi sociale nel migliorare la qualità della vita delle persone in condizioni di fragilità. Il Senatore Ancorotti ha sottolineato come “il benessere, la salute e la bellezza sono elementi interconnessi e fondamentali per la qualità della vita di ogni cittadino”. Ha inoltre espresso la sua convinzione che “da questo incontro emergeranno idee e proposte concrete per valorizzare sempre più la bellezza come strumento di benessere e di cura”.


Myriam Mazza, con la sua profonda “vocazione” e la sua esperienza decennale, ha illustrato come “Ricomincio da Me” si impegni a portare la bellezza, intesa come benessere fisico ed emotivo, a chi ne ha più bisogno. “La bellezza non può e non deve essere un privilegio, ma un diritto accessibile a tutti”, ha affermato, sottolineando l’importanza di un approccio multidisciplinare alla cura della persona. Da questa profonda convinzione morale è nata l’associazione”Ricomincio da Me”. Un progetto che, con il passare degli anni, è diventato un ente no-profit che opera su tutto il territorio nazionale, organizzando laboratori e iniziative informative sulla dermocosmesi oncologica, la paidocosmesi e l’etnocosmesi. Il Prof. Antonino Di Pietro, dermatologo, ha sottolineato l’importanza della cura della pelle per i pazienti oncologici, affermando che “mantenere una pelle idratata, elastica e luminosa può dare un senso di normalità e forza, contribuendo a un atteggiamento positivo”.


L’evento ha visto anche la partecipazione di esponenti di Cosmetica Italia – Associazione nazionale imprese cosmetiche che hanno illustrato l’esperienza de La forza e il sorriso Onlus, primo progetto collettivo di responsabilità sociale del settore cosmetico a favore della popolazione femminile colpita da tumore attraverso la realizzazione di laboratori di bellezza gratuiti di skincare e make-up attivi in tutta Italia. L’iniziativa, che non interferisce con le cure mediche né intende in alcun modo sostituirsi a esse, ha l’obiettivo di offrire informazioni, idee e consigli pratici per fronteggiare gli effetti secondari delle terapie. Si rivolge a tutte le donne in cura che non vogliono rinunciare alla propria personalità, riconquistando senso di benessere e autostima. In particolare, Renato Sciarrillo, vicepresidente di Cosmetica Italia, ha dichiarato: “L’industria cosmetica offre un contributo essenziale allo sviluppo del Sistema Paese e alla tutela del benessere delle persone grazie al suo valore economico, scientifico e sociale. Se si considera l’intero sistema economico della cosmesi, il fatturato generato è di 40 miliardi di euro. In più, il comparto è letteralmente guidato dalla scienza: basti pensare che circa il 6% del fatturato delle aziende viene investito in ricerca e sviluppo. Occorre poi ricordare che il cosmetico è un bene indispensabile, importante per l’autostima e la vita quotidiana: rientra appieno nella salvaguardia del benessere l’attività promossa da La forza e il sorriso Onlus che oggi raccontiamo in questa prestigiosa sede”.


Filippo De Caterina, vicepresidente di Cosmetica Italia e membro del Comitato de “La forza e il sorriso Onlus”, ha aggiunto: “Nella quotidianità di ognuno di noi, i cosmetici accompagnano gesti che rispondono a esigenze fondamentali di igiene, cura di sé, benessere, prevenzione e protezione. Possiamo parlare di un vero e proprio valore sociale del cosmetico: si tratta di prodotti riconosciuti come alleati in ogni momento della vita per sentirsi bene con se stessi e con gli altri. È in questo scenario che risalta il valore de La forza e il sorriso Onlus. Un binomio vincente che unisce competenza, coerenza e impegno autentico a supporto di un’iniziativa che mette al centro le donne in trattamento oncologico e la rilevanza sociale dei cosmetici per il benessere delle persone. Questo impegno concreto si traduce nella realizzazione di laboratori di bellezza gratuiti su tutto il territorio nazionale, a sostegno di chi affronta con coraggio la malattia oncologica sul modello del programma internazionale Look Good Feel Better oggi presente in 27 Paesi del mondo: dal 2007 sono stati realizzati oltre 5.200 laboratori di bellezza in 57 strutture (ospedali ed enti) del territorio nazionale coinvolgendo circa 25.000 donne partecipanti”. Insomma, l’evento “La Bellezza come cura” ha aperto nuove prospettive sulla dermocosmesi sociale, evidenziando il potenziale innovativo di un settore in continua evoluzione. L’integrazione di competenze scientifiche e sensibilità umana rappresenta un passo avanti fondamentale per migliorare la qualità della vita di chi affronta sfide di salute e fragilità.

Convegno SIGU: genetica sempre più al centro della medicina contemporanea

Convegno SIGU: genetica sempre più al centro della medicina contemporaneaRoma, 16 apr. (askanews) – La genetica è ormai una disciplina fondamentale nella medicina contemporanea: è essenziale per le diagnosi, indispensabile per una medicina personalizzata, imprescindibile nella ricerca. Si tratta di test genetici di ultima generazione (come il sequenziamento di genoma ed esoma), ma anche di farmacogenetica, di oncogenetica e oncogenomica, di medicina riproduttiva. È ormai chiaro che il genetista clinico ha un ruolo fondamentale non solo nella pratica clinica, ma anche nella pianificazione e nella gestione delle risorse disponibili per il Servizio Sanitario Nazionale. A questo tema è stato dedicato il convegno “Il ruolo del genetista medico. Percorso aperto per la valorizzazione della figura del genetista nel Servizio Sanitario Nazionale” svoltosi ieri, 15 aprile, presso l’Auditorium Cosimo Piccinno del Ministero della Salute a Roma.


“Il genetista medico è inscindibile dalla medicina contemporanea – spiega il Prof. Paolo Gasparini, Presidente di SIGU – Società Italiana di Genetica Umana – perché la genetica rappresenta ormai un pilastro fondamentale per la diagnostica e per la personalizzazione delle cure. È opinione diffusa che i genetisti medici lavorino soprattutto in laboratorio, nell’eseguire test genetici sempre più complessi, ma oggi il genetista clinico è soprattutto un medico a tutti gli effetti e per sua formazione deve riuscire ad avere una visione globale delle problematiche delle persone che lo consultano. Parliamo di oncologia, di medicina riproduttiva, e certamente anche del complesso ambito delle malattie rare, che per la larghissima maggioranza ha una causa genetica. È il genetista il medico in grado di ottenere la profilazione genomica di un tumore, per permettere un percorso terapeutico mirato. È sempre il genetista che è in grado di fornire informazioni sulla familiarità della patologia oncologica, gestendo le indagini genetiche ‘a cascata’ per i familiari. Ancora, è il genetista medico ad affiancare le coppie che si apprestano ad affrontare un percorso di PMA con diagnosi preimpianto. È sempre il genetista medico uno degli specialisti in grado di porre il sospetto clinico in caso di malattia rara. A partire dalla prevenzione, l’integrazione del genetista nei percorsi diagnostici può ridurre l’incidenza di malattie ereditarie, genetiche e rare, consentendo interventi preventivi che migliorino la qualità della vita dei pazienti. Il contributo di questa figura professionale, essenziale per rendere i processi di diagnosi e cura più rapidi ed efficienti, può diminuire la complessità burocratica e migliorare l’accesso alle cure. Inoltre, grazie a diagnosi precoci e interventi mirati, il genetista può aiutare a ridurre significativamente costi e sprechi evitando terapie inadeguate o tardive”. Le sfide per il SSN sono molteplici, a partire dalla sostenibilità, ma anche dalla corretta stima delle risorse necessarie. Durante l’evento, infatti, i rappresentanti istituzionali si sono concentrati in modo particolare sul ruolo della genetica medica per la prevenzione.


“Per fare prevenzione bisogna conoscere la composizione della popolazione – dichiara il Sen. Ignazio Zullo, membro della Commissione X ‘Affari Sociali, Sanità, Lavoro Pubblico e Privato, Previdenza Sociale’ del Senato della Repubblica – capire che le malattia rare sono una priorità, così come la presa in carico dei pazienti anziani. Dobbiamo ricordare che ci sono molte patologie a trasmissione genetica, e tutti questi aspetti devono essere affrontati con un approccio multidisciplinare che oggi deve necessariamente comprendere il genetista clinico. Per questo auspico che il mondo istituzionale comprenda pienamente l’impatto della genetica nella medicina contemporanea. A tal fine sono a disposizione per proseguire questo percorso di confronto e per produrre gli atti parlamentari idonei a portare avanti questo fondamentale obiettivo”. “In un momento in cui si parla sempre più spesso di medicina di precisione e di prevenzione, è fondamentale valorizzare il ruolo del genetista medico, figura centrale per affrontare con efficacia le grandi sfide del nostro Servizio Sanitario Nazionale – afferma l’On. Francesco Ciancitto, Commissione XII “Affari Sociali”, Camera dei Deputati – Non possiamo parlare seriamente di prevenzione, soprattutto in ambito cardiovascolare e oncologico – due settori cruciali e ad alto impatto economico – senza il contributo del genetista medico. E non possiamo costruire una vera medicina personalizzata senza di lui. Per questo è essenziale che in ogni azienda sanitaria locale sia prevista la presenza stabile di questa figura professionale, affinché la genetica medica diventi una risorsa strutturale e accessibile per tutti i cittadini”.


“È dunque fondamentale che il genetista medico, che deve lavorare in stretta collaborazione con gli altri specialisti, venga riconosciuto come una figura essenziale del nostro SSN. Un grande impegno di SIGU è quello di assicurarsi che vengano formati specialisti in medicina genomica – dice la Prof.ssa Brunella Franco, Ordinario di Genetica Medica, Dipartimento di Scienze Mediche Traslazionali, Università “Federico II”, ricercatore dell’Istituto Telethon di Genetica e Medicina e docente della Scuola Superiore meridionale, Napoli – cioè medici che siano in grado di stare al passo con il continuo evolvere della genetica. I genetisti devono prima di tutto avere una formazione completa dal punto di vista clinico, che li prepari anche all’avvento di tutte le nuove terapie, che presuppongono un modello assistenziale completamente diverso da quello del passato. Dopo di che dovranno specializzarsi ulteriormente: oncogenomica, farmacogenetica, medicina riproduttiva, malattie rare, bioinformatica; queste sono le sfide alle quali il nostro SSN deve rispondere quotidianamente”. “Durante questo incontro – aggiunge la Prof.ssa Franco – abbiamo individuato almeno 4 azioni che possono essere messe in atto per riconoscere concretamente la figura del genetista. La prima azione è certamente l’inserimento del genetista nei tavoli decisionali, come il Consiglio Superiore di Sanità. Per lo stesso motivo i genetisti devono essere coinvolti nella definizione dei LEA”.


“Pensando poi alla difficile gestione dei pazienti adulti con malattie genetiche e rare – ribadisce Franco – dal confronto odierno con le istituzioni è emerso che il medico genetista potrebbe essere una figura chiave per fornire a pazienti e famiglie un punto di riferimento. Il genetista può essere il ‘disease manager’ in grado di coordinare tutti gli altri specialisti necessari alla presa in carico globale, senza perdere di vista il punto centrale, cioè la persona nella sua complessità”. “Infine – conclude Brunella Franco – tutti gli interlocutori concordano nella necessità di un riconoscimento, da parte del Ministero della Salute, della certificazione SIGUCERT per i laboratori di genetica, che devono garantire un elevato standard qualitativo e di competenza”.

Salute, Consiglio nazionale psicologi: prima presidente donna

Salute, Consiglio nazionale psicologi: prima presidente donnaRoma, 14 apr. (askanews) – Il Consiglio nazionale dell’ordine degli Psicologi ha eletto Maria Antonietta Gulino alla presidenza. È la prima volta nella storia – dalla pubblicazione della Legge 56 del 1989 che ha istituito l’ordine – che l’organo nazionale di rappresentanza della professione psicologica in Italia elegge una presidente donna


Classe 1966, nata a Palermo, psicologa e psicoterapeuta, Gulino è presidente dell’ordine degli psicologi della Toscana dal 2020. Laureata in Psicologia all’Università degli Studi di Palermo, specializzata in Psicoterapia Sistemico-Relazionale al Centro Studi e Applicazione della psicologia relazionale di Prato, è didatta da tanti anni del Centro studi di terapia familiare e relazionale di Roma. Al termine della riunione al ministero della salute, la neo-presidente del Cnop ha voluto ringraziare il presidente uscente David Lazzari “per lo straordinario lavoro svolto in questi anni, che ha portato significativi risultati all’intera comunità professionale, contribuendo in maniera determinante a rendere centrale il tema del benessere psicologico della popolazione”.


“Essere la prima donna eletta alla presidenza del Cnop – ha aggiunto Gulino – è per me motivo di orgoglio e di grande responsabilità di fronte all’intera comunità di psicologhe e psicologi. Voglio ringraziare le colleghe e i colleghi che mi hanno sostenuto con la loro fiducia. Mi impegno fin d’ora a rappresentare tutte le istanze trasversali e le sensibilità interne alla nostra amata professione e contribuire alla sua crescita”. “Siamo di fronte a un momento cruciale per la nostra professione – ha proseguito la presidente del Cnop – caratterizzato da una crescente domanda di servizi psicologici e da nuove sfide legate al riconoscimento del ruolo strategico degli psicologi nel sistema sanitario e sociale. Lavoreremo per portare sempre di più all’attenzione dei cittadini e delle istituzioni l’importanza del benessere psicologico, attraverso iniziative come l’introduzione strutturale dello psicologo di base a livello nazionale, indispensabile per garantire un livello di assistenza adeguato e accessibile a tutte le persone che ne hanno necessità”.


“E non dimentichiamo i bambini e i giovani: gli studi e anche l’esperienza diretta delle nostre colleghe e colleghi dimostrano che sempre più adolescenti soffrono di ansia, depressione, dipendenze digitali, sono vittime di bullismo e cyberbullismo. Noi come professionisti dobbiamo sostenerli e aiutarli – ha concluso – a costruire strumenti per comprendere il mondo che li e ci circonda, intervenendo a scuola, sensibilizzando loro e le famiglie ad avere una maggiore cura della salute non solo fisica ma anche psicologica, emotiva e relazionale”.

Fondazione Santa Rita da Cascia: Dopodinoi, il primo progetto autonomia abitativa per persone con autismo in Umbria

Fondazione Santa Rita da Cascia: Dopodinoi, il primo progetto autonomia abitativa per persone con autismo in UmbriaRoma, 2 apr. (askanews) – Una luce blu che vuol dire siamo “Tutti unici, tutti diversi”. È quella della Basilica di Santa Rita da Cascia che, per la Giornata Mondiale della Consapevolezza sull’Autismo del 2 aprile, torna a riaccendersi per riportare l’attenzione su un disturbo del neurosviluppo sempre più diffuso, in un gesto simbolico che quest’anno si trasforma anche in un’azione concreta, in direzione di un cambiamento culturale verso una reale inclusione. La luce blu, informa una nota, segna infatti l’avvio della campagna di raccolta fondi per la Festa di Santa Rita del 22 maggio, il cui cuore è Dopodinoi, il primo innovativo progetto di autonomia abitativa, attraverso il cohousing, per persone con disturbi dello spettro autistico in Umbria, a Bastia Umbra (PG).


Promotrice della campagna “Un gesto di fede, un dono di grazia” è la Fondazione Santa Rita da Cascia Ente filantropico ETS, l’organizzazione creata nel 2012 dal Monastero per rendere più strutturate le sue opere di solidarietà. L’obiettivo è raccogliere 250mila euro per i più fragili, in particolare per offrire casa, futuro e inclusione, come partner esclusivo, a 12 giovani con autismo di medio-alto funzionamento della Fondazione ANGSA UMBRIA ETS (Associazione Nazionale Genitori Soggetti Autistici), supportati da personale qualificato, con i relativi benefici per le famiglie e l’intero territorio. L’iniziativa è un esempio di “Durante e Dopo di Noi”, il modello di intervento sociale per preparare i ragazzi con disabilità a un’emancipazione graduale dalla famiglia in vista del “Dopo di Noi”, ossia quel momento in cui i genitori non potranno più prendersi cura di loro.


Chiunque contribuirà al progetto con una donazione minima di 16 euro riceverà l’anello della Festa di Santa Rita, inciso con la sua rosa simbolo e la frase “Nel giardino di Santa Rita tu sei la rosa prediletta”. Per maggiori informazioni festadisantarita.org Secondo i dati di ANGSA Umbria, l’autismo coinvolge a livello globale 1 bambino ogni 60 nati, ma le risposte assistenziali pubbliche e private, in Italia, si concentrano sui minori, trascurando gli adulti, che costituiscono invece la maggioranza di coloro che convivono con questo disturbo. Dopo i 18 anni queste persone “scompaiono” dal sistema, così molti finiscono in istituti psichiatrici o RSA, perdendo salute e abilità acquisite.


Il progetto sostenuto della Fondazione va dunque a colmare un vuoto assistenziale. Tanto più che la struttura individuata, come sottolinea ANGSA Umbria, offre una soluzione innovativa attraverso il cohousing, con un modello pilota che garantisce indipendenza e spazi personalizzati, permettendo allo stesso tempo la vita in comunità e il supporto professionale. Inoltre, il villino con giardino che è stato scelto è situato in un contesto tranquillo ma vicino ai servizi, permettendo ai giovani che lo abiteranno di “stare nel mondo” in uno spazio progettato “a misura di persone con autismo”, come ad esempio elementi di domotica, con la consulenza del Politecnico di Torino. “I giovani adulti con autismo desiderano indipendenza e felicità, come qualunque altro giovane – afferma Madre Maria Grazia Cossu, Badessa del Monastero e Presidente della Fondazione Santa Rita da Cascia – Noi vogliamo garantire loro questi diritti, non perché fragili ma in quanto esseri umani. Le persone con disabilità intellettiva affrontano sia barriere socio-culturali, radicate nei pregiudizi, sia concrete. Con il nostro progetto Dopodinoi intendiamo offrire un supporto economico che avvii un cambiamento culturale per una reale inclusione, riconoscendo la loro diversità come unicità fatta non solo di limiti ma anche di potenzialità da valorizzare. Portiamo così avanti la nostra missione di impatto sulla comunità, al servizio della carità e del bene comune, facendoci portavoci dell’eredità ritiana”.


Secondo la sua missione di contribuire a cambiare lo sguardo sulla disabilità intellettiva, la Fondazione Santa Rita da Cascia ha già sostenuto importanti progetti sul tema, per complessivi 265mila euro a sostegno di oltre 110 persone. A partire dalla stessa ANGSA Umbria, destinando 30mila euro in tre anni al Centro Up di Santa Maria degli Angeli (Assisi), struttura socio-educativa per 30 minori, e donando 20mila euro a “La Semente” di Spello, centro terapeutico-riabilitativo diurno per 18 giovani adulti. Inoltre, 45mila euro, in 3 anni, sono stati destinati alla cooperativa sociale Mio Fratello è Figlio Unico di Roma, per sostenere le autonomie lavorative di 5 ragazzi e adulti autistici, impegnati nei lavori di cura della terra, del casale e degli animali. Per l’inclusione attraverso lo sport, sono infine stati destinati 170mila euro, per 60 tra bambini, ragazzi e giovani adulti con disabilità intellettiva e autismo, a due realtà d’eccellenza: il Villaggio Lakota di Ammonite (Ravenna), dove l’ippoterapia diventa equitazione integrata e l’Accademia del Remo di Napoli, dove il canottaggio si trasforma in una terapia e uno sport praticato a livello agonistico.

Si è concluso a Roma il congresso “Lifestyle, Diet, Wine & Health”

Si è concluso a Roma il congresso “Lifestyle, Diet, Wine & Health”

Roma, 1 apr. (askanews) – Si è concluso a Roma il Congresso Internazionale Lifestyle, Diet, Wine & Health, promosso da Wine Information Council (WiC), IRVAS (Istituto per la Ricerca sul Vino e la Salute) e Wine in Moderation (WiM), che ha riunito per due giorni ricercatori ed esperti internazionali per discutere il ruolo degli stili di vita salutari, della dieta mediterranea e del consumo moderato di vino nella promozione della salute pubblica.


Tra i principali protagonisti di questa seconda edizione, il Prof. Miguel A. Martínez-González, Professore di Salute Pubblica all’Università di Navarra, figura di riferimento mondiale nella ricerca epidemiologica. Il professore ha annunciato il lancio dello studio europeo UNATI (University of Navarra Alumni Trialist Initiative), finanziato dallo European Research Council (ERC): trial che per la prima volta confronterà gli effetti dell’astensione totale e del consumo moderato di vino all’interno di un modello alimentare basato sulla dieta mediterranea attraverso uno studio di intervento randomizzato e controllato. Lo studio, attualmente in fase di avvio, coinvolgerà oltre 10.000 adulti di età compresa tra i 50 e i 75 anni e fornirà risposte scientificamente fondate su un tema chiave per la salute pubblica. L’obiettivo: fornire risposte chiare e scientificamente fondate a una delle domande più dibattute in ambito di salute pubblica.


“Si tratta del primo trial al mondo progettato per valutare scientificamente se l’eliminazione totale dell’alcol sia davvero più salutare rispetto a un consumo moderato di vino, quando inserito in uno stile alimentare mediterraneo – ha spiegato Martínez-González -. Un regime alimentare che, integrato con stili di vita sani e attività fisica, ha dimostrato di ridurre significativamente il rischio di infarto, ictus, diabete e mortalità generale”. Anche il Prof. Luc Djoussé, Professore Associato di Medicina presso la Harvard Medical School e Associato di Nutrizione presso la Harvard T.H. Chan School of Public Health, ha contribuito significativamente ai lavori del congresso. Nel suo intervento, ha sottolineato come le malattie cardiovascolari rimangano una delle principali cause di morte e disabilità nei paesi sviluppati, nonostante i progressi nella ricerca biomedica. Ha evidenziato l’importanza di identificare strategie preventive efficaci e convenienti, sottolineando che fattori dello stile di vita modificabili, come una dieta sana, attività ?sica regolare, sonno adeguato e consumo moderato di alcol (in assenza di controindicazioni) possono influenzare positivamente il rischio di sviluppare malattie cardiovascolari e i loro fattori di rischio associati, come il diabete di tipo 2, la dislipidemia e l’ipertensione.


La Prof.ssa Iris Shai, dell’Università Ben-Gurion del Negev, ha portato un ulteriore contributo scientifico illustrando i risultati di studi clinici randomizzati condotti in Israele e altrove. Le sue ricerche dimostrano che modelli dietetici flessibili e ben strutturati – come la dieta mediterranea e quella “green-MED” (che prevede un maggiore apporto di polifenoli da verdure a foglia scura come Mankai e tè verde, un aumento del consumo di noci e un’assunzione minima di carne rossa) – possono favorire la perdita di peso, il miglioramento della salute cardiometabolica e la riduzione del grasso epatico (steatosi). Particolare attenzione è stata dedicata all’effetto dei polifenoli, tra cui quelli presenti nel vino rosso, come fattori bioattivi che possono modulare positivamente i meccanismi metabolici. Il Congresso ha confermato che la salute non dipende da un singolo alimento o nutriente, ma deriva dall’insieme di scelte alimentari consapevoli, stili di vita attivi e fattori culturali.


Gli esperti hanno evidenziato come sia fondamentale adottare un approccio integrato e fondato su solide evidenze scientifiche, capace di sostenere una longevità sana, attiva e personalizzata. Con il lancio dello studio UNATI, si apre ora una nuova fase nella ricerca europea, destinata a influenzare le linee guida alimentari e a rafforzare il ruolo della dieta mediterranea come strumenti centrali di promozione della salute pubblica. “Questo congresso ha rappresentato un momento fondamentale per il dialogo tra scienza, cultura e salute pubblica – ha dichiarato il Prof. Attilio Giacosa, Presidente di IRVAS – . Siamo soddisfatti di aver contribuito a creare uno spazio di confronto rigoroso, in cui il vino è stato analizzato nel suo contesto naturale: quello della dieta mediterranea e di stili di vita equilibrati. La qualità degli interventi e la solidità delle evidenze presentate confermano la necessità di continuare a investire nella ricerca nutrizionale, superando narrazioni polarizzate e non evidence-based in favore di una valutazione scientifica, integrata e personalizzata”.

Sanità, arriva la “Carta di Cernobbio”: 10 azioni per più equità

Sanità, arriva la “Carta di Cernobbio”: 10 azioni per più equitàMilano, 19 mar. (askanews) – Dalla valorizzazione del personale sanitario, alla riforma dei criteri di finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) non più legato al solo prodotto lordo ma all’impiego delle risorse all’interno di un piano di riforma strutturale del servizio votato all’innovazione tecnologica, alla digitalizzazione e alla ridefinizione dei ruoli e delle funzioni delle articolazioni della sanità pubblica ospedaliera, territoriale, privata accreditata passando per una rivisitazione della preziosa offerta sanitaria di prossimità svolta dalla medicina di famiglia. Dalla maggiore incisiva azione sulla potente leva della prevenzione nell’alveo delle cure primarie territoriali fino all’uso dell’intelligenza artificiale e dell’innovazione digitale in settori ad alto valore aggiunto non solo nel settore della diagnostica ma anche delle cure ad alto tasso di innovatività di cui l’emblema sono le prime esperienze di ospedale virtuale in Italia. Ecco solo alcuni dei punti della Carta di Cernobbio 2025 che delinea un percorso concreto per garantire un sistema sanitario italiano sostenibile, accessibile e capace di rispondere alle nuove sfide della salute.


Il decalogo sintetizza le principali proposte emerse dalla Cernobbio School, organizzata da Motore Sanità nelle settimane scorse a Villa Erba con il contributo di manager, clinici, amministratori, istituzioni sia del parlamento e del governo della Salute a livello centrale sia dei territori e delle Regioni tra cui la delegazione campana rappresentata da Ugo Trama funzionario della direzione Salute di palazzo Santa Lucia, Giuseppe Limongelli, referente regionale per la rete delle malattie Rare che guida dal punto di vista scientifico la rete nazionale Argo. “La Carta di Cernobbio rappresenta una visione sintetica e concreta, una bussola per orientarsi verso il futuro della sanità italiana – ha sottolineato Alessio Butti, Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega all’Innovazione – come Governo, abbiamo messo la Sanità digitale al centro delle nostre politiche. Stiamo finalmente riconoscendo lo sforzo straordinario fatto da Regioni e operatori privati per garantire servizi più efficienti e accessibili. Il nostro obiettivo è chiaro: vogliamo una sanità che sfrutti appieno le opportunità offerte dall’innovazione tecnologica, assicurando standard elevati di cura su tutto il territorio nazionale, riducendo disuguaglianze e migliorando concretamente la qualità della vita dei cittadini. È una sfida ambiziosa, ma sono convinto che, lavorando insieme, possiamo vincerla”.


Mariella Enoc, Procuratrice speciale dell’Ospedale Valduce, ha ribadito la necessità di superare la logica della semplice medicina territoriale per costruire un modello più evoluto e concreto di medicina di comunità, capace di garantire una presa in carico realmente integrata. “Non possiamo limitarci a parlare di prossimità in termini geografici: serve un sistema che assicuri continuità di cura, ascolto e responsabilità condivisa, in cui ogni attore – dal personale sanitario alle istituzioni, dalle famiglie al volontariato – abbia un ruolo attivo nella tutela della salute delle persone”. La Cernobbio School, ha sottolineato Enoc, “è stata un’occasione preziosa per interrogarsi su come trasformare questi principi in azioni concrete. Il Servizio Sanitario Nazionale deve rimanere fedele ai suoi valori di universalità, equità e solidarietà, ma per farlo ha bisogno di una visione innovativa: la tecnologia deve essere un mezzo per rafforzare la sanità di comunità, non solo uno strumento di efficienza. L’intelligenza artificiale e la digitalizzazione possono migliorare la qualità dell’assistenza, ma vanno accompagnate da un investimento nelle competenze digitali, per evitare che diventino un fattore di esclusione e disuguaglianza”. “Al centro della discussione di quest’anno – ha spiegato Claudio Zanon, direttore scientifico di Motore Sanità – c’è stata la necessità di un modello sanitario integrato, in cui tutti gli attori collaborino in modo più efficace per migliorare la presa in carico dei pazienti e ridurre le disuguaglianze di accesso alle cure. Un tema cruciale, considerando il crescente peso delle malattie croniche e neurodegenerative sulla popolazione italiana. Un altro punto chiave riguarda la governance e il finanziamento del SSN: il documento propone un ripensamento delle risorse, attraverso un utilizzo più efficiente della spesa sanitaria, la riduzione degli sprechi e una regolamentazione più chiara dell’intermediazione privata nella sanità. L’innovazione tecnologica e digitale, come il ruolo della prevenzione e delle vaccinazioni, è un pilastro fondamentale della Carta 2025: il potenziamento dell’intelligenza artificiale e della telemedicina rappresenta un’opportunità straordinaria per migliorare la diagnosi, l’efficienza dei servizi e la gestione della carenza di personale sanitario. Tuttavia, per garantire che queste tecnologie siano davvero efficaci e accessibili a tutti, è necessario investire nella formazione digitale degli operatori sanitari e dei cittadini”.

Endometriosi: che cos’è e quali sono i campanelli di allarme?

Endometriosi: che cos’è e quali sono i campanelli di allarme?Roma, 14 mar. (askanews) – L’endometriosi prende il nome dall’endometrio, il tessuto che normalmente riveste l’interno dell’utero. Quando questo cresce in modo anomalo al di fuori dell’utero, può causare lesioni e infiammazione in altre aree del corpo, come le ovaie e la zona pelvica, dando origine all’endometriosi: una malattia che colpisce circa 190 milioni di donne in età fertile (tra il 2% e il 10% della popolazione femminile mondiale), con una prevalenza che in Italia varia tra il 10% e il 15%. L’incidenza sale al 30-50% tra le donne infertili o con difficoltà a concepire. Le diagnosi accertate sono almeno 3 milioni.


“L’endometriosi è una patologia infiammatoria cronica, che colpisce soprattutto tra i 25 e i 35 anni, ma può manifestarsi anche in età più giovane – spiega Marco Grassi,ginecologo presso l’ospedale ‘C. e G. Mazzoni’ di Ascoli Piceno – le cause sono ancora poco note e la diagnosi, purtroppo, arriva spesso dopo molto tempo”. Quali sono i sintomi? Il sintomo principale dell’endometriosi è il dolore, in particolare quello pelvico cronico, spesso associato a mestruazioni dolorose. Il dolore può anche manifestarsi durante i rapporti sessuali, l’evacuazione intestinale o la minzione. In alcuni casi, è così intenso da influire sulla vita quotidiana. Altri sintomi includono sanguinamenti abbondanti, disturbi intestinali e gonfiore addominale. Tuttavia, alcune donne possono non avere sintomi evidenti.


Come si diagnostica? “L’identificazione dell’endometriosi inizia con un’analisi dettagliata della storia clinica della paziente ed una precisa anamnesi – afferma il dottor Marco Grassi – inoltre è importante considerare la presenza di casi in famiglia, poiché esiste una predisposizione genetica alla condizione. Per una donna con sospetto di endometriosi, la visita ginecologica deve includere l’ecografia pelvica per rilevare cisti o tessuti anomali e, se necessario, una risonanza magnetica. L’endometriosi non è sempre uguale. I vari stadi L’endometriosi è suddivisa in quattro stadi, identificati dall’American Society for Reproductive Medicine (ASRM). La classificazione si basa sulla diffusione della patologia e sull’entità dei danni causati, che influenzano le opzioni terapeutiche disponibili. Primo stadio: l’endometriosi è di entità minima, con lesioni di dimensioni contenute e il tessuto endometriale fuoriuscito dall’utero si presenta localizzato superficialmente.


Secondo stadio: il numero di lesioni è maggiore e sono più profonde. Terzo stadio: aumento dell’estensione della malattia, con la presenza di cisti ovariche e la formazione di aderenze o cicatrici tra gli organi pelvici.


Quarto stadio: forma grave, con impianti profondi, cisti di notevoli dimensioni su una o entrambe le ovaie, e la presenza di aderenze e cicatrici. L’endometriosi è inserita tra i LEA (Livelli essenziali di assistenza) nell’elenco delle patologie croniche e invalidanti. Nelle forme più avanzate (stadi III e IV), le pazienti hanno diritto ad esenzione per alcune prestazioni di controllo. Esiste una cura? Non c’è una cura definitiva, ma diverse terapie possono gestire i sintomi, a seconda della gravità e del desiderio di gravidanza. Per il dolore, si utilizzano solitamente FANS e analgesici. “Nella scelta del trattamento è importante tenere in considerazione anche l’età della donna ed il relativo potenziale di fertilità – spiega il dottor Grassi – l’uso di estroprogestinico o progestinico può favorire un miglioramento dei sintomi, poiché inibisce la stimolazione ormonale e la crescita degli impianti endometriosici. Il trattamento con analoghi del GnRH, che blocca completamente la stimolazione ovarica e provoca effetti collaterali simili alla menopausa, è riservato a casi che necessitano di intervento chirurgico”. Prevenzione Sensibilizzare verso la malattia è la migliore forma di prevenzione. “La scarsa consapevolezza contribuisce a un ritardo diagnostico di ben sette anni, con un impatto profondo sulla qualità della vita ed il benessere psico-fisico della donna” sottolinea il dottor Grassi. E’ possibile rimanere incinta? L’endometriosi è responsabile di sub-fertilità o infertilità nel 30-40% dei casi. Tuttavia non è esclusa completamente la possibilità di restare incinta specie nelle donne che presentano forme meno gravi. I cibi da mangiare e quali evitare? Si consiglia una dieta ricca di fibre (cereali integrali, legumi, frutta e verdura) e Omega 3 (pesce, frutta secca, semi, olio d’oliva, carne bianca e uova). Ridurre grano, carne rossa e latticini. Eliminare cibi infiammatori come prodotti industriali, farine raffinate, carni rosse, zucchero, alcol, caffeina e bevande gassate. Lo sport aiuta? L’esercizio fisico stimola il rilascio di endorfine, che alleviano il dolore pelvico cronico, sintomo comune dell’endometriosi, e abbassa i livelli di estrogeni. Pratiche mente-corpo come lo yoga, possono ridurre stress, ansia e dolore, migliorando il benessere fisico e mentale delle pazienti con endometriosi.

Salute, il valore dell’ascolto e della vicinanza negli Humanizing Health Awards 2025

Salute, il valore dell’ascolto e della vicinanza negli Humanizing Health Awards 2025Roma, 14 mar. (askanews) – La cura non riguarda soltanto terapie e farmaci, ma anche empatia, ascolto e vicinanza. Con questo spirito, informa una nota, è stata ufficialmente presentata la sesta edizione del premio Humanizing Health Awards, un’iniziativa che conferma l’impegno nell’ambito dell’umanizzazione delle cure da parte di Teva, azienda farmaceutica leader nel mercato. Si è discusso di questa importante tematica durante la Tavola Rotonda “La cura oltre la terapia: empatia e ascolto per una maggiore vicinanza a pazienti e caregiver” che ha visto la partecipazione di operatori sanitari, del terzo settore e rappresentanti delle istituzioni, tra cui Emanuele Monti, Presidente IX Commissione Sostenibilità Sociale Casa e Famiglia, Consiglio Regionale Lombardia.


“L’impegno di Teva non si esaurisce nella ricerca e nella produzione di farmaci di alta qualità – afferma Giordana Cortinovis, Marketing e Communication Director di Teva Italia – Crediamo che prendersi cura significhi anche riconoscere l’importanza del supporto emotivo nel percorso del paziente. Con il premio Humanizing Health Awards vogliamo riconoscere e sostenere le associazioni che, con dedizione e sensibilità, accompagnano pazienti e caregiver nei momenti più difficili. Il loro operato, basato su compassione e rispetto della dignità di ogni individuo, rappresenta un pilastro essenziale del sistema di assistenza”. “I valori che guidano Teva nella realizzazione di questo premio sono condivisi anche dalle farmacie che da sempre sostengono iniziative per l’umanizzazione delle cure – dichiara Annarosa Racca, Presidente Federfarma Lombardia – Le farmacie del territorio sono impegnate a rispondere alle esigenze di salute dei cittadini, ma anche ad orientarli su come relazionarsi con i vari interlocutori che incontrano nel percorso di cura. La loro presenza capillare, e la disponibilità dei farmacisti, contribuiscono a rendere più semplice e più umano il percorso di cura dei pazienti”.


Un approccio che accomuna diversi attori del sistema sanitario, dai farmacisti ai Medici di Medicina Generale, tutti impegnati non solo nella risposta ai bisogni di salute, ma anche nel supporto concreto ai pazienti e ai loro caregiver lungo il percorso di cura. “L’umanizzazione delle cure è un impegno quotidiano del Medico di Medicina Generale – dichiara Anna Carla Pozzi, Vicesegretario FIMMG Lombardia – che molto spesso accompagna pazienti e caregiver con indicazioni concrete sulla burocrazia sanitaria e nell’attivazione dei supporti di welfare. Come referente PoliS Lombardia, l’Istituto per il supporto alle politiche della Regione – conclude – organizziamo percorsi di formazione per i Medici di Medicina Generale sul tema”.


Questo impegno è particolarmente importante nella gestione delle patologie croniche e del dolore, spiega Licia Grazzi, Neurologa e Responsabile del Centro Cefalee dell’Istituto Besta di Milano: “Umanizzare le cure significa riconoscere che dietro ogni sintomo c’è una persona, con la sua storia, le sue paure e le sue speranze. Nel trattamento delle cefalee e delle patologie neurologiche, l’ascolto è il primo passo per una cura efficace. Il nostro compito non è solo alleviare un sintomo, ma accompagnare il paziente in un percorso di cura fatto di empatia, chiarezza e sostegno, affinché si senta accolto e compreso in ogni fase della malattia”. Un’attenzione che deve essere presente in ogni fase del percorso di cura del paziente, aggiunge Nadia Faroni, Direttrice della Farmacia dell’Istituto Ospedaliero Fondazione Poliambulanza di Brescia: “La nostra struttura vuole essere uno spazio in cui prendersi cura delle persone con attenzione, empatia e responsabilità. Ogni terapia rappresenta una speranza, un supporto concreto per chi affronta la malattia, e il nostro compito è far sì che i pazienti e le loro famiglie non si sentano mai soli. L’ascolto, il dialogo e la chiarezza sono fondamentali: spiegare e accompagnare il paziente nella terapia è parte integrante della cura. Perché la salute si misura anche dalla qualità della relazione con il paziente”.


L’evento ha acceso i riflettori sull’importanza di un approccio alla salute basato sull’umanità, la dignità e la compassione. L’empatia è un valore essenziale nel percorso di assistenza sanitaria, capace di trasformare l’esperienza di cura e renderla più olistica e rispettosa delle necessità dei pazienti e dei caregiver. Antonio Benedetti, Direttore Generale di VIDAS, una delle associazioni vincitrici delle precedenti edizioni degli Humanizing Health Award, sottolinea: “VIDAS accompagna i pazienti con patologie inguaribili e si prende cura dei loro familiari. Questo significa ascoltare e accogliere ogni persona con rispetto e dignità, riconoscendone non solo la fragilità, ma anche i desideri, le paure e i bisogni più profondi. VIDAS lo fa da oltre 40 anni grazie ad un approccio multi-disciplinare e ad una presa in carico olistica. Nel 2023, grazie alla donazione ricevuta da Teva, VIDAS ha potuto garantire assistenza ai bambini e ragazzi accolti in Casa Sollievo Bimbi e sostegno ai loro genitori e fratelli”. Il premio Humanizing Health Awards 2025 è dedicato al sostegno di progetti rivolti ai pazienti e ai loro caregiver (non retribuiti), impegnati nell’assistenza di persone affette da patologie croniche gravi. Il bando è aperto a tutti gli enti senza scopo di lucro che operano per migliorare la qualità della vita dei pazienti, offrendo loro un percorso di cura più sereno e dignitoso. Le candidature saranno aperte a partire da oggi, 11 marzo, fino al 18 aprile 2025 e le associazioni interessate potranno consultare il regolamento sul sito di Teva Italia e presentare progetti in una delle seguenti cinque categorie: caregiver, patologie oncologiche, patologie pediatriche, malattie croniche, salute mentale e malattie neurodegenerative. Tra tutti i progetti candidati, saranno i dipendenti di Teva Italia a selezionare i cinque progetti vincitori che saranno premiati nella cerimonia che si svolgerà a settembre. Con il premio Humanizing Health Awards 2025, Teva Italia rinnova il suo sostegno a tutte quelle realtà che, con passione e dedizione, si impegnano per garantire un’assistenza più umana, attenta e vicina alle esigenze di chi affronta la malattia. Perché dietro ogni cura c’è una persona, e ogni persona merita di essere ascoltata, rispettata e accompagnata con empatia lungo il proprio percorso di guarigione.

Celiachia, Mendola (AINC), anche la Sicilia adotta la piattaforma ARIA

Celiachia, Mendola (AINC), anche la Sicilia adotta la piattaforma ARIARoma, 14 mar. (askanews) – La Regione Sicilia si appresta a digitalizzare la gestione dei buoni per i celiaci con l’adozione della piattaforma CELIACHI@RL di ARIA SPA, operativa da agosto prossimo. Una svolta attesa da tempo dai negozi specializzati, che però chiedono garanzie sui tempi di rimborso, spesso non rispettati. A farsi portavoce delle loro esigenze, informa una nota, sarà Michele Mendola, referente regionale di AINC – Associazione Italiana Negozi Celiachia e fondatore della community online CeliachiaFacile, nel corso dell’incontro promosso dall’Assessorato alla Salute della Regione Sicilia, in programma il 17 marzo.


“La Sicilia è una delle poche Regioni che ancora gestisce manualmente il rimborso dei buoni. Una volta utilizzato il bonus, l’esercente deve inviarlo alla ASP competente e, per legge, dovrebbe ricevere il rimborso entro 30 giorni. Tuttavia, questo termine non viene rispettato: i ritardi superano spesso i due mesi, a volte anche sei mesi e oltre, mettendo a rischio la sopravvivenza dei negozi specializzati” – spiega Mendola. La piattaforma CELIACHI@RL è stata sviluppata proprio per snellire la burocrazia e garantire una gestione più efficiente, con risultati positivi nelle Regioni che l’hanno già adottata. “Grazie anche al contributo di AINC, il sistema è stato ottimizzato e speriamo che in Sicilia possa finalmente garantire rimborsi puntuali. I negozi specializzati offrono un servizio essenziale per chi è intollerante al glutine e meritano maggiore tutela” – aggiunge Mendola. Un ulteriore vantaggio della digitalizzazione riguarda i buoni spesa per i celiaci, attualmente utilizzabili solo nella propria Regione di residenza. Se la piattaforma verrà adottata su scala nazionale, sarà possibile spendere i buoni ovunque in Italia, facilitando la vita di chi si sposta per lavoro o per vacanza. Per illustrare le potenzialità della piattaforma e raccogliere le istanze dei titolari di negozi specializzati, AINC ha organizzato un incontro il 16 marzo a Palermo, presso l’Hotel Sirenetta, Viale dei Saraceni. Parteciperanno, oltre a Michele Mendola, anche Bruno Prandolini (Segretario Nazionale AINC), Giuseppe Fresolone (Amministratore Delegato di Ergo-Web) e Giovanna Manganotti (referente del Gruppo Sinergia).