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Al via progetto “Integrate” per svelare i segreti dei mitocondri

Al via progetto “Integrate” per svelare i segreti dei mitocondriRoma, 11 apr. (askanews) – I mitocondri, noti come le “centrali energetiche” delle cellule, svolgono un ruolo vitale nel mantenere la salute e il benessere delle nostre cellule. Ma come vengono mantenuti in forma? E quali sono i meccanismi che preservano la loro funzionalità? Il progetto INTEGRATE di Luca Scorrano, ordinario di Biochimica al Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova e Principal Investigator presso il Veneto Institute of Molecular Medicine (VIMM) è stato finanziato dallo European Research Council con circa 2.5 milioni di euro e mira a svelare i segreti dei processi di controllo della qualità mitocondriale.


I mitocondri sono responsabili di una serie di funzioni cruciali per la cellula, tra cui il metabolismo dei nutrienti, la risposta della cellula a stimoli esterni, fino alla gestione della morte cellulare. Mantenere la qualità di questi organelli è quindi fondamentale per garantire il corretto funzionamento delle nostre cellule e, di conseguenza, del nostro corpo nel suo complesso. Mentre sappiamo che diversi processi contribuiscono alla qualità dei mitocondri, resta ancora un mistero quali siano i fattori specifici che scatenano tali processi.     INTEGRATE mira a fornire la chiave per svelare questo mistero: «attraverso il progetto ci proponiamo di svelare i segreti del controllo della qualità mitocondriale – spiega Scorrano -. Quando le proteine dei mitocondri si danneggiano, si “appiccicano” le une alle altre e formano degli “aggregati proteici” che sono tossici per i mitocondri. Grazie ad un approccio multidisciplinare che usa tecniche all’avanguardia per visualizzare questi aggregati proteici all’interno dei mitocondri, INTEGRATE mira a gettar luce su come essi influenzino i mitocondri e le cellule. Scoperte preliminari fatte nel nostro laboratorio hanno rivelato che gli aggregati proteici non sono distribuiti a caso all’interno dei mitocondri, ma si accumulano in posizioni specifiche. Ad esempio, alcuni tipi di aggregati si accumulano ai poli opposti di un mitocondrio, da dove vengono selettivamente eliminati per riparare questo mitocondrio».   Comprendere questi processi può avere importanti implicazioni per la salute umana. Infatti, INTEGRATE non solo chiarirà come funzionano i mitocondri e le cellule, ma potrebbe offrire nuove vie per la terapia e la prevenzione delle malattie neurodegenerative o legate all’invecchiamento in cui il controllo della qualità mitocondriale è compromesso.  Grazie alla ricerca finanziata dallo European Research Council, il gruppo del Prof. Scorrano aspira ad aprire nuove strade per comprendere e preservare la loro funzionalità, con importanti ricadute biologiche e mediche.

Cuore: micro pompa lo salva quando si “spegne” dopo un infarto

Cuore: micro pompa lo salva quando si “spegne” dopo un infartoRoma, 10 apr. (askanews) – È la pompa cardiaca artificiale più piccola al mondo la migliore opzione di trattamento per i pazienti con infarto miocardico acuto complicato da shock cardiogeno, che si verifica quando il cuore, di colpo, smette di pompare il sangue. Così si trova senza “carburante”, con la pressione che crolla e reni e cervello che smettono di funzionare. Una situazione che mette a rischio la vita e va affrontata rapidamente sfruttando farmaci, ma anche la tecnologia. A consacrare l’efficacia della pompa a flusso microassiale (Impella CP) è lo studio danese DanGer Shock, pubblicato sul New England Journal of Medicine e presentato in occasione del 75esimo congresso dell’American College of Cardiology, che si è chiuso ieri ad Atlanta (Usa).


“Lo shock cardiogeno, dopo un infarto miocardico acuto, è una condizione di inadeguata perfusione del cuore dovuta a necrosi delle cellule muscolari coinvolte nella contrazione dell’organo – afferma Pasquale Perrone Filardi, Presidente della Società Italiana di Cardiologia e Direttore della Scuola di Specializzazione in Cardiologia dell’Università Federico II di Napoli -. Colpisce dal 5 al 10% dei pazienti con infarto miocardico acuto e più della metà di questi pazienti muore durante il ricovero”. Fino ad oggi, le precedenti ricerche non avevano messo in evidenza un beneficio, in termini di sopravvivenza, dell’impiego di un dispositivo di supporto meccanico con una particolare pompa che prende il sangue ossigenato dal ventricolo e lo spinge nell’aorta, e su cui di recente, la Food and Drug Administration degli Stati Uniti aveva emesso un warning in merito alla sua sicurezza.


Lo studio danese randomizzato ha coinvolto un totale di 355 pazienti: su 179 è stata utilizzata la pompa a flusso microassiale e su 176 la terapia standard. La morte per qualsiasi causa si è verificata in 82 pazienti su 179 (45,8%) nel gruppo con pompa a flusso microassiale e in 103 pazienti su 176 (58,5%) nel gruppo con terapia standard. “Dopo 25 anni, questo è il primo studio – afferma Ciro Indolfi, past-president della Società Italiana di Cardiologia (SIC) e Professore Ordinario di Cardiologia – che dimostra che è possibile ridurre la mortalità del 26% nei pazienti con shock cardiogeno, una condizione estremamente grave che conduce a morte nel 50% dei casi. La selezione dei pazienti è stato l’elemento chiave dei risultati di questo studio che ha documentato un reale beneficio sulla sopravvivenza in una patologia dove la terapia medica è solitamente inefficace. Tuttavia, l’utilizzo di questo catetere, che è grande, può dare delle complicanze alle arterie, che in futuro potranno essere ridotte grazie a un più attento controllo dell’accesso vascolare”. Lo studio ha dimostrato, inoltre, che le curve di sopravvivenza si separano precocemente con una mortalità nei controlli in aumento nel corso dei 180 giorni mentre la mortalità rimane stabile dopo 30 giorni nei soggetti trattati con la micropompa.


“Questi ulteriori strategie terapeutiche associate ad un trattamento tempestivo dell’infarto con lo stent coronarico, contribuiranno ad un aumento della sopravvivenza nei soggetti colpiti da questa patologia – concludono Indolfi e Perrone Filardi – che, purtroppo, rappresenta ancora la causa numero uno di morte nell’uomo e nella donna”.

Longevità: urgenti interventi in campo politico, sanitario e sociale

Longevità: urgenti interventi in campo politico, sanitario e socialeRoma, 9 apr. (askanews) – “Senilità: non chiamateci vecchi”. E’ il tema del convegno organizzato per giovedì 11 aprile, con inizio alle 16:30, nella Sala Capitolare del convento di Santa Maria sopra Minerva su iniziativa del mensile “Ore12Sanità” e con il patrocinio dell’Istituto Superiore di Sanità. A dibattere dei problemi di questa fase tanto delicata della vita, e a proporre soluzioni, saranno ecclesiastici, docenti universitari, operatori sociali, medici e politici. I lavori si apriranno alle 16:30 con il benvenuto di Katrin Bove, editore di “Ore12Sanità”, cui seguiranno i saluti istituzionali dell’ onorevole Luciano Ciocchetti e dell’onorevole Simona Baldassarre (Assessore Cultura, Pari Opportunità, Politiche giovanili e della Famiglia, Regione Lazio).


Condurranno la giornalista RAI Tg2 Marzia Roncacci ed Emma Evangelista. La prima sessione, introdotta da Pietro Romano (direttore responsabile Ore12Economia), vedrà padre Carlo Casalone (Pontificia Accademia per la Vita), Andrea Costa (esperto Pnrr Ministero della Salute), Francesco Di Ciommo (Prorettore Università Luiss “Guido Carli”), Giuseppe Quintavalle (commissario straordinario ASL Roma1), Sebastiano Capurso (Presidente Nazionale ANASTE).


Alla seconda sessione parteciperanno Francesco Gabbrielli (direttore Centro Nazionale per le Linee Guida della Telemedicina, SIT), Francesco Landi (direttore dipartimento Scienze dell’invecchiamento, Università Cattolica del Sacro Cuore e membro del Board Scientifico di Italia Longeva), Nicola Mangialardi (direttore emerito Chirurgia Vascolare, AO San Camillo-Forlanini, Roma), Renato Scienza (direttore progetto Europeo Telemedicina “Healt Optimum”). Le conclusioni saranno tenute da Walter Rodinò, Ore12Group

Primo caso in Italia di autotrapianto tessuto adiposo crioconservato

Primo caso in Italia di autotrapianto tessuto adiposo crioconservatoRoma, 9 apr. (askanews) – Mantenere vitali a lungo termine le cellule del tessuto adiposo, tramite la crioconservazione, per poterle poi utilizzare a fini terapeutici: merito delle più avanzate tecniche di trapianto di tessuti, ma anche del brevetto di una startup emiliana che è riuscita dove molti prima avevano fallito. La crioconservazione permette di avere a disposizione tessuto adiposo prelevato in precedenza, pronto per essere utilizzato in procedure future nello stesso paziente senza necessità di ulteriori prelievi. Questo non solo ottimizza il processo chirurgico, ma offre anche una soluzione più naturale e meno invasiva rispetto agli impianti artificiali, rendendo le procedure più sicure, efficaci e confortevoli per i pazienti.


Damiano Tambasco responsabile della Chirurgia Plastica dell’Ospedale San Carlo di Nancy di Roma è stato il primo a collaborare con loro in ambito di chirurgia plastica ed estetica: lo scorso 4 Aprile, infatti, ha effettuato la prima operazione con tessuto adiposo crioconservato su una paziente che si era sottoposta ad un intervento di liposuzione nel mese di giugno 2023. È una nuova frontiera che si apre e di cui l’Italia è all’avanguardia nel mondo. “Questa tecnologia ha un potenziale enorme – spiega Tambasco – La sua applicazione, anche nell’ambito della chirurgia plastica ed estetica, ha dei vantaggi senza precedenti. La paziente che ho operato qualche giorno fa, che si era precedentemente sottoposta ad un intervento di liposuzione all’addome, soffriva di ipoplasia del gluteo e aveva al viso una serie di cicatrici che le creavano forti disagi, perché molto evidenti. Grazie al tessuto adiposo crioconservato in occasione della liposuzione, è stato possibile, tramite un intervento poco invasivo ed effettuato con delle piccolissime cannuline, effettuare delle infiltrazioni nelle sedi ipoplasiche e cicatriziali. Il tessuto adiposo autologo rappresenta il miglior filler che ci sia perché è un riempitivo completamente naturale che non ha effetti collaterali, ma solo benefici. La crioconservazione permette di effettuare un unico prelievo di grasso per poi utilizzarlo successivamente e rispetto ad altre tecniche presenta tutta una serie di vantaggi, primo fra tutti il fatto che il grasso innestato è assolutamente biocompatibile e sia prelievo che reimpianto avvengono mediante interventi poco invasivi. Inoltre, nella maggior parte dei casi per massimizzare i risultati e l’attecchimento è preferibile effettuare multipli impianti piuttosto che un unico innesto di grossi volumi (che andrebbe incontro ad un alto tasso di riassorbimento), pertanto, con questa metodica, oltre ad essere possibili infiltrazioni multiple nel tempo queste risultano essere assolutamente poco invasive prescindendo dalla fase di prelievo. Mi ritengo onorato di aver potuto effettuare per primo un’operazione del genere, sia perché apre una serie di possibilità per il futuro della chirurgia plastica, sia perché mi ha permesso di aiutare una paziente a superare disagi e insicurezze che si portava dietro da tutta una vita”. La crioconservazione del tessuto adiposo offre un’alternativa che può ridurre la necessità di interventi multipli con il tessuto a fresco, riducendo così il disagio e il tempo di recupero per i pazienti. L’uso è confermato anche per riempire le cicatrici diminuendone la visibilità, nel restituire volume al volto e nel rimodellamento corporeo. I campi di applicazione sono molteplici: dall’ortopedia– alla ginecologia-dalla cura delle ferite-alla colonproctologia.

Preservazione della fertilità,nel mondo +30% procedure ogni anno dal 2016

Preservazione della fertilità,nel mondo +30% procedure ogni anno dal 2016Roma, 9 apr. (askanews) – La preservazione della fertilità attraverso il congelamento degli ovociti femminili sta prendendo sempre più piede in Europa, Italia compresa, e nel mondo, complici anche le dichiarazioni di personaggi famosi che hanno intrapreso questa strada, per motivi medici o per scelta personale. In media, le procedure in entrambi i casi sono aumentate del 25-30%-all’anno dal 2016 secondo la Società americana per le tecnologie di riproduzione assistita (SART) e la Società europea di Riproduzione Umana ed Embriologia (ESHRE), con punte al 46% e al 70% nel biennio 2020-2021 rispettivamente negli USA e in Australia-Nuova Zelanda. A fotografare la situazione è un nuovo studio del gruppo italiano specializzato in medicina della riproduzione Genera, pubblicato sulla rivista Fertility and Sterility. I dati del gruppo Genera relativi a 8 cliniche su tutto il territorio nazionale segnalano inoltre per l’Italia un aumento di circa il 20% anno su anno del numero di procedure di ‘social freezing’, il congelamento per motivi prettamente sociali. Nel nuovo studio si mette in evidenza quali sono le chance di ottenere una gravidanza, in un secondo momento, utilizzando gli ovociti prelevati. “Nelle donne più giovani, quindi fino a 35 anni – spiega il primo autore del paper, Danilo Cimadomo, biologo molecolare e responsabile della Ricerca del gruppo Genera – le probabilità cumulative di nati sono comprese fra il 70% con 15 ovociti prelevati e congelati (considerato il numero ottimale) e il 95% con 25 ovociti. Ma ci sono comunque chance di gravidanza comprese tra il 30% e il 45% nel caso in cui vengano vitrificati 8-10 ovociti. Oltre la soglia dei 35 anni, il numero di ovociti necessari per raggiungere la gravidanza è chiaramente maggiore, rendendo la procedura di preservazione la fertilità più impegnativa. Per questo motivo, tutti i centri specializzati oggi consigliano alle donne di fare questa scelta, se ritenuta opportuna a seconda dei propri progetti di vita, entro i 35-37 anni, in modo da avere le migliori possibilità di riuscita se un giorno si dovranno utilizzare quegli ovociti congelati, nel caso insorgessero problemi nel tentare una gravidanza”. “La Società Americana per la Medicina della Riproduzione (ASRM) ha rimosso l’etichetta di procedura sperimentale dalla vitrificazione degli ovociti nel 2013 – interviene Laura Rienzi, embriologa e direttore scientifico del gruppo Genera, la scienziata che ha contribuito a portare e a studiare in Italia per la prima volta questa tecnica – e, anche per questo motivo, la richiesta di procedure di preservazione della fertilità è aumentata sensibilmente in tutto il mondo. La vitrificazione è una metodica di congelamento che consente di mantenere inalterati la vitalità e il potenziale riproduttivo degli ovociti mediante l’esposizione a bassissime temperature (-196°C) ed è stata confermata essere una procedura riproducibile, sicura ed economica, fino a diventare l’approccio gold standard per la preservazione della fertilità. Tuttavia, i risultati clinici possono essere ancora oggi variabili a seconda dei Paesi e delle strutture che la praticano. Infatti, ad oggi, la vitrificazione viene per lo più condotta manualmente, richiedendo quindi operatori ben formati, costantemente monitorati ed esperti. Ecco perché l’automazione sta assumendo un ruolo sempre più importante nei nostri laboratori: le nuove tecnologie ci consentono e ci consentiranno di migliorare i risultati delle tecniche. La necessità di trattamenti di procreazione medicalmente assistita è in costante crescita in tutto il mondo. In parallelo i progressi tecnologici, come la valutazione dei gameti basata sull’intelligenza artificiale e l’automazione, promettono una sempre maggiore standardizzazione dei protocolli negli anni a venire. Anche grazie agli sforzi che la scienza sta facendo in questa direzione, la crioconservazione degli ovociti quando scelta per motivi sociali è un tema che sta stimolando il dibattito sociale e politico nel nostro Paese e confidiamo presto non sarà più percepita come un tabù, ma come uno strumento per salvaguardare l’autonomia riproduttiva delle donne”, conclude Rienzi.

Consenso a Donazione organi, CNT: i più generosi i trentenni sardi

Consenso a Donazione organi, CNT: i più generosi i trentenni sardiRoma, 9 apr. (askanews) – Sono i trentenni sardi i più disponibili a dare il proprio consenso alla donazione degli organi, mentre ancora una volta è Trento la città più generosa d’Italia nella raccolta dei “sì” al momento del rinnovo della carta d’identità. Sono alcuni dei dati che emergono dalla quinta edizione dell’Indice del Dono, il rapporto del Centro nazionale trapianti che fa il punto sulle dichiarazioni di volontà alla donazione di organi e tessuti registrate nelle anagrafi di oltre 7mila Comuni italiani nel corso del 2023.


L’Indice, pubblicato in vista della Giornata nazionale per la donazione che si terrà domenica 14 aprile, mette ancora una volta in fila alcuni indicatori come la percentuale dei consensi, quella delle astensioni e il numero dei documenti emessi. In base ai risultati, per il terzo anno consecutivo è Trento a primeggiare fra le città con oltre 100mila abitanti, con un indice di 71,07/100, una percentuale di consensi del 78,1% e un tasso di astensione del 32%. Trento precede Verona (che sale dal quarto al secondo posto) e Sassari, con Livorno ai piedi del podio. Tra le altre grandi città più virtuose Cagliari è quinta, Ferrara sesta, Padova settima, Firenze ottava e Perugia nona, Bergamo decima. In calo le quattro città maggiori: Milano è 24ma (era 16ma l’anno precedente), Torino passa dal 29mo al 31mo, Roma dal 32mo al 33mo mentre Napoli resta ferma al 39 posto su 44. Tra i Comuni medio-grandi (tra i 30 e i 100mila abitanti) è di nuovo Corato (BA) a ottenere il risultato migliore, con un indice di 75,70/100, il 76,2% di consensi e solo il 15% di astenuti. La cittadina pugliese precede Nuoro e Gravina in Puglia (BA). Per quanto riguarda i Comuni medio-piccoli (5-30mila abitanti), in testa c’è l’abruzzese Guardiagrele, in provincia di Chieti (indice 88,92/100, consensi 97,2%, astenuti 22,5%), davanti a Leverano (LE) e a Primiero San Martino di Castrozza (TN). Fra i piccoli centri, quelli con meno di 5mila abitanti, primeggia ancora una volta Geraci Siculo (PA), il piccolo paese delle Madonie dove, grazie alla scelta di donazione da parte dei genitori di una bambina di 11 anni scomparsa nel 2021, la piccola Marta Minutella, l’intera comunità è coinvolta ormai da anni in numerose attività di sensibilizzazione. Geraci ha fatto di nuovo segnare in assoluto il miglior risultato tra tutti i comuni italiani, con un indice di 95,83/100 e una percentuale di consensi del 100%: su 163 carte d’identità emesse nel 2023, sono stati raccolti 146 e nessun no, con soltanto 17 astensioni. Nella classifica dei piccoli centri al secondo posto c’è Rovescala (PV) e al terzo Cinte Tesino (TN).


L’edizione di quest’anno dell’Indice del Dono mette in evidenza anche la propensione alla donazione nelle diverse fasce d’età a livello regionale: la percentuale di consensi più alta – ben l’84,7% – è quella registrata tra i cittadini sardi tra i 31 e i 40 anni. E’ proprio quella dei trenta-quarantenni la categoria che a livello nazionale dimostra maggiore generosità, con un consenso medio del 73,8%. A seguire ci sono i 41-50enni (73,1%) e i 51-60enni (71,3%): in entrambe le fasce, a livello regionale, sono i trentini a dichiarare il consenso in percentuali maggiori. Meno buoni i risultati della raccolta tra i 18-30enni, probabilmente perché meno informati: tra i più giovani il consenso medio nazionale è del 68,9% mentre i contrari sono il 31,1%. In questa categoria anagrafica la percentuale più alta è quella dei “sì” registrati tra i giovani valdostani (81,7%). Ma è dopo i 70 anni che la percentuale di chi si oppone alla donazione tende a salire esponenzialmente: i “no” sono il 41,5% tra i 71-80enni e ben il 55% tra gli ultraottantenni. Un dato condizionato, probabilmente, dall’errata convinzione che la donazione degli organi in età avanzata non sia possibile. Ad oggi complessivamente il Sistema informativo trapianti ospita poco meno di 19 milioni di dichiarazioni registrate: 13,5 milioni di sì e 5,5 milioni di no.

Suicidi tra gli anziani, Italia maglia nera in Europa

Suicidi tra gli anziani, Italia maglia nera in EuropaRoma, 8 apr. (askanews) – Solitudine e suicidi negli anziani saranno tra i temi al centro del 24° Congresso dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria, che si tiene a Firenze dall’11 al 13 aprile. Il Congresso, intitolato “Integrazione e innovazione. Fondamenti del sapere psicogeriatrico” raccoglie oltre 500 specialisti e ben 145 relatori, affrontando temi di stringente attualità. L’avvento dell’Intelligenza Artificiale apporterà modificazioni nella cura degli anziani. La cura delle demenze sta offrendo scenari innovativi con il ruolo dei biomarcatori nell’approccio diagnostico. La recente approvazione della legge 33 sulla non-autosufficienza rappresenta un’altra opportunità di innovazione nell’assistenza, che si sposta dal sanitario al sociale aprendo nuove prospettive. Vi sono poi le novità farmacologiche riguardanti problematiche come il controllo di agitazione e delirium e quelle sui trapianti d’organo. Grande attenzione poi a fenomeni globali come i cambiamenti climatici, che hanno un notevole impatto proprio sulla salute dei più fragili, che possono subire maggiormente gli effetti della disidratazione, dei colpi di calore o semplicemente essere meno reattivi di fronte a calamità naturali per limiti sensoriali o per il basso livello di digitalizzazione, che in Italia nella popolazione anziana non raggiunge il 65% e talvolta implica solo la competenza di saper mandare una mail.


L’elevato tasso di suicidi tra gli anziani in Italia ha le sue ragioni nella solitudine in cui vengono ridotti gli anziani e nell’ageismo con cui vengono spesso discriminati, con diritti basilari che esistono solo sulla carta. Il tasso di solitudine è il doppio rispetto alla media dei Paesi europei, con coloro che non hanno nessuno a cui chiedere aiuto che sono il 14%, mentre coloro che non hanno nessuno a cui raccontare cose personali il 12%, a fronte di una media europea del 6,1% (dati Eurostat). La solitudine non è solo un problema sociale, ma anche clinico, essendo associata ad un aumento del rischio di depressione, disturbi del sonno, demenza e malattie cardiovascolari. “Gli anziani spesso vengono estromessi da misure di salvaguardia sanitaria, come avvenuto durante la pandemia, quando i posti in terapia intensiva erano destinati ai più giovani – spiega Diego De Leo, Presidente AIP -. Questa impostazione è stata introiettata dagli anziani stessi, convinti che non possano essere utili alla società né attivi: questo non è frutto di un impoverimento cognitivo, ma di un’impressione del loro patrimonio intellettuale come detta la società. Occorre pertanto ribaltare questo modello. Oltre all’ageismo, vi è una vera e propria epidemia di solitudine: i paesi occidentali contano il 30% degli anziani afflitti da solitudine cronica e il 10% da una solitudine molto severa, che porta alla depressione e poi in alcuni casi proprio al suicidio. L’altro Paese più vecchio al mondo insieme all’Italia, il Giappone, ha computato 45mila persone che ogni anno muoiono in completo isolamento, tanto che sono state create squadre di “death cleaners” che si occupano di bonificare i luoghi in cui sono avvenute queste morti in solitudine”.

Cuore, studio multicentrico ridimensiona ruolo farmaci beta-bloccanti

Cuore, studio multicentrico ridimensiona ruolo farmaci beta-bloccantiRoma, 8 apr. (askanews) – È tempo di ridimensionare l’efficacia dei beta-bloccanti nel trattamento dei pazienti colpiti da infarto del miocardio. La terapia considerata uno dei pilastri nella cura di eventi cardiovascolari, è stata, infatti, messa in discussione nello studio REDUCE-AMI pubblicato sul New England Journal of Medicine e presentato al congresso dell’American College of Cardiology in corso ad Atlanta, secondo il quale l’uso di questi farmaci non ridurrebbe il rischio di morte o di infarto miocardico nei pazienti colpiti da questa patologia. “L’utilizzo dei beta-bloccanti nel post infarto è una pratica clinica consolidata. Si tratta di una classe di farmaci che agisce inibendo i recettori beta-adrenergici e inducendo la riduzione della frequenza cardiaca e della pressione arteriosa. L’efficacia terapeutica di questi farmaci si basa però, ancora oggi, sull’effetto dimostrato in studi clinici datati, condotti prima della diffusione delle attuali tecniche di rivascolarizzazione con lo stent, dell’implementazione sistematica delle statine, della disponibilità di efficaci farmaci per la prevenzione primaria e secondaria e delle moderne terapie antiaggreganti – afferma Ciro Indolfi, Past-president della Società Italiana di Cardiologia (SIC) – da quando questi nuovi trattamenti sono diventati accessibili, il valore della terapia con beta-bloccanti nei pazienti con infarto miocardico, senza insufficienza cardiaca, è stato messo in dubbio, ma fino ad oggi erano disponibili solamente studi osservazionali che fornivano risultati contrastanti”.


“REDUCE-AMI rappresenta, pertanto, il primo studio moderno sui benefici dei beta-bloccanti ed evidenza la mancanza di efficacia di questa terapia nel ridurre il rischio di morte o infarto nei soggetti colpiti da infartodel miocardio, trattati con angioplastica coronarica che hanno una normale contrattilità del cuore”, aggiunge Pasquale Perrone Filardi, Presidente SIC e Direttore della scuola di specializzazione in malattie dell’apparato cardiovascolare dell’Università Federico II di Napoli. Lo studio, randomizzato, multicentrico e “in aperto”, ha valutato l’efficacia della terapia con beta-bloccanti in 5.020 pazienti con età media di 65 anni, con infarto miocardico acuto trattati con angioplastica e con una normale funzionalità contrattile del muscolo cardiaco. La ricerca condotta da settembre 2017 a maggio 2023 in 45 centri in Svezia, Estonia e Nuova Zelanda, ha confrontato il decorso clinico del gruppo dei pazienti ai quali era stata prescritta una terapia con beta-bloccanti rispetto a quelli trattati senza questi farmaci. “I risultati hanno mostrato che, a circa 3 anni e mezzo dall’inizio dello studio, l’incidenza di decessi e di un secondo infarto non sono stati significativamente differenti nei due gruppi. Non sono state registrate differenze di rilievo neanche nel numero di ospedalizzazioni per fibrillazione atriale, per insufficienza cardiaca, ictus o per interventi di impianto di un pacemaker”, spiega Indolfi.


“A seguito di questo studio non sono però stati riscontrati segnali negativi riguardo la sicurezza del trattamento – chiarisce Perrone Filardi -, e riteniamo che le evidenze siano ancora a favore dei beta-bloccanti per i pazienti con infarto miocardico di grandi dimensioni, che presentano insufficienza cardiaca. Per i pazienti con normale contrattilità del cuore, questo studio stabilisce, invece, che non ci sono indicazioni che l’uso di routine dei beta-bloccanti sia vantaggioso. Potrebbe però essere troppo presto per escludere definitivamente questo tipo di terapia dagli strumenti a disposizione nella prevenzione secondaria e sono, pertanto, necessari ulteriori studi”.

Un futuro senza tumori del sangue, via a nuova Campagna AIL

Un futuro senza tumori del sangue, via a nuova Campagna AILRoma, 5 apr. (askanews) – L’AIL – Associazione Italiana contro Leucemie, linfomi e mieloma ha affidato a Lateral Creative Hub la realizzazione di una nuova campagna di comunicazione integrata dedicata al 5×1000. A seguito della campagna dedicata ai Lasciti Testamentari AIL dello scorso anno, continua la collaborazione di successo tra l’Associazione e l’agenzia di branding e comunicazione. Lateral, agenzia guidata da Francesco Fallisi e Federica Bello, attraverso lo spot realizzato con la direzione creativa di Simona Angioni, ha voluto raccontare la visione dell’Associazione, una visione ambiziosa ma non utopica: un futuro senza tumori del sangue. L’idea creativa si è espressa attraverso un espediente narrativo che nel film diventa un elemento ricorrente, ovvero gli occhi degli operatori AIL che distolgono lo sguardo dal presente per proiettarlo in un futuro pieno di vita: una ricercatrice guarda dentro un microscopio e vede un ragazzo in montagna che beneficia dei risultati della Ricerca scientifica, un medico aiuta un paziente ad alzarsi e immagina il giorno in cui lo accompagnerà dalla sua famiglia fuori dall’ospedale; un’educatrice gioca con dei bambini a nascondino tra le corsie del reparto e li vede correre in un prato.


Nella campagna stampa questa visione si traduce in una multisoggetto originale e poetica: qui i protagonisti sono i pazienti che riprendono possesso della loro vita, raggiungendo i propri traguardi con il camice ospedaliero, come se nella foga non avessero trovato il tempo di cambiarsi. AIL impegnata da 55 anni nella lotta contro i tumori del sangue, è attualmente la settima associazione per numero di preferenze espresse dai contribuenti nella propria dichiarazione dei redditi, confermando la tendenza negli anni che vede sempre AIL tra le prime scelte dei cittadini. Nel 2021 circa 180 mila persone hanno voluto destinare il 5×1000 ad AIL e sostenere la lotta contro leucemie, linfomi e mieloma. Secondo l’ultima rendicontazione al “Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca” e al “Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali”, i fondi impiegati a sostegno di importanti progetti di Ricerca scientifica e di servizi di cura e assistenza ai pazienti ematologici e alle loro famiglie, sono stati 6.558.256 euro.


“Mantenere e migliorare i risultati conseguiti finora richiede impegno costante e fondi sempre crescenti – dichiara Giuseppe Toro, Presidente Nazionale AIL – il 5 per mille offre l’opportunità di assicurare un sostegno a lungo termine e dare quindi un aiuto significativo all’AIL e ai suoi 16.000 volontari che ogni giorno lottano contro i tumori del sangue”. ita Smoljko e Daniele Scarpaleggia, rispettivamente Responsabile Comunicazione AIL e Coordinatore del Progetto, hanno ampiamente appoggiato e contribuito alla finalizzazione del progetto, commentando “Gli occhi che vengono raccontati dal regista William hanno il nostro stesso sguardo, quello dei nostri colleghi, quello di tutti i collaboratori e sostenitori di AIL. Sappiamo che il nostro è un obiettivo comune e raggiungibile, per questo è importante farlo capire all’Italia intera, superando l’incredulità e il cinismo con l’impegno e la passione per tutto ciò che facciamo”. La campagna video è stata prodotta da Sedici:9, mentre la campagna stampa multisogetto è stata realizzata da Cirasa Studio. La campagna AIL #realizziamoilfuturo sarà on air da maggio sulle principali emittenti televisive, canali digitali, stampa, radio e affissione con diversi formati.

Geriatri: 4 anziani su 10 esclusi per l’età dalle cure migliori

Geriatri: 4 anziani su 10 esclusi per l’età dalle cure miglioriRoma, 5 apr. (askanews) – I geriatri lanciano l’allarme sui bisogni di salute, soprattutto dei grandi anziani, su cui il Servizio Sanitario Nazionale non investe abbastanza risorse. Gli anziani sono considerati “troppo vecchi e costosi” per ricevere le cure più avanzate, da cui trarrebbero i maggiori benefici, e per essere inclusi negli studi clinici per la sperimentazione di farmaci di cui sono i primi a fare uso. Un paradosso, frutto di uno stigma grave e inaccettabile sulla base dell’età, che si riflette anche sulla percezione negativa del proprio invecchiamento inducendo la stessa persona anziana a rinunciare all’aderenza alle terapie, a screening e comportamenti preventivi, con gravi effetti sulla salute. L’ageismo è una questione di rilevanza globale. Secondo uno studio condotto su oltre 80 mila persone in 57 Paesi, pubblicato sull’International Journal of Environmental Research and Public Health, una persona su due ha pregiudizi basati sull’età che influenzano anche uno dei settori chiave della vita degli anziani, cioè la sanità, riducendo l’accessibilità alle cure e l’appropriatezza dei trattamenti. Per questo motivo l’ultimo e storico rapporto sull’ageismo stilato da OMS e ONU nel marzo del 2021 ha evidenziato la necessità di politiche e leggi che affrontino la questione, oltre che di attività educative e intergenerazionali che riducano i pregiudizi, in modo da progredire nella collaborazione globale per il decennio dedicato all’invecchiamento attivo dalle Nazioni Unite (2021-2030). Ogni azione in questo senso è urgente considerato che, secondo l’OMS, entro il 2050 una persona su cinque nel mondo sarà over-60. In questo contesto nasce la Carta di Firenze, il primo manifesto mondiale contro l’ageismo sanitario, messo a nudo e rafforzato anche dalla pandemia, che sarà presentato in occasione del congresso “Anti-ageism Alliance. A Global Geriatric Task Force for older adults’ care”, organizzato dalla Fondazione Menarini con il patrocinio della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria (SIGG), che vede riuniti a Firenze il 5 e 6 aprile, presso l’Auditorium della Camera di Commercio, i presidenti delle maggiori società geriatriche del mondo, insieme a esponenti dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e delle Nazioni Unite, esperti di etica e rappresentanti delle associazioni di pazienti.


Il documento coordinato da Andrea Ungar, Ordinario di Geriatria all’Università di Firenze, presidente del congresso e della Società Italiana di Gerontologia e Geriatria, e dal professore Luigi Ferrucci, Direttore Scientifico del National Institute on Aging di Baltimora, è stato messo a punto da un panel internazionale di esperti, tra cui Alana Officer, capo del dipartimento su Cambiamento demografico dell’OMS e responsabile della campagna dell’Healthy Ageing, Marlane Sally Krasovitsky, consulente della campagna globale contro l’ageismo sostenuta dall’OMS, Laura Fratiglioni del Karolinska Institute di Stoccolma e Mary Tinetti dell’Università di Yale. Il manifesto appena pubblicato sull’European Geriatric Medicine e sul The Journal of Gerontology, punta su 12 azioni concrete per ridurre al minimo l’impatto negativo dell’ageismo nell’assistenza sanitaria e migliorare la qualità di vita degli anziani, riducendo i costi legati alle loro patologie. “In base ai pregiudizi e agli stereotipi legati all’età si ritengono gli anziani già “titolari di una quantità di vita sufficiente”, ormai gravosi per il sistema sociale ed economico. Quasi un effetto collaterale del successo medico che ha cronicizzato le malattie, determinando un incremento della coesistenza di più patologie nello stesso individuo – osserva Andrea Ungar, coordinatore della Carta di Firenze, presidente del congresso e della SIGG -. È aumentato così il numero di anziani da assistere e, con esso, la forma più diffusa di ageismo, cioè la discriminazione degli anziani nell’ambito sanitario. Infatti, nonostante rappresentino la maggioranza dei malati con patologie croniche quasi sempre concomitanti, il 40% degli anziani è tagliato fuori dalle terapie più avanzate e appropriate e dai protocolli sperimentali senza valide ragioni mediche ma solo in base all’età. Gli effetti negativi dell’ageismo influenzano anche la longevità, con una probabilità fino a 4 volte più alta di morire nelle persone anziane che hanno un’autopercezione negativa dell’invecchiamento rispetto a coloro che hanno una visione positiva della vecchiaia”.


Le azioni proposte nel manifesto per invertire la rotta puntano innanzitutto alla formazione. Il tema dell’invecchiamento deve diventare parte integrante del percorso formativo del personale sanitario e degli assistenti sociali. “È necessario – continua Ungar – anche un cambiamento di paradigma nell’approccio alla cura dell’anziano che non può essere trattato “a pezzetti”, di volta in volta dal cardiologo, dal neurologo, dal diabetologo, ma deve essere seguito con il necessario sguardo di insieme dal geriatra come medico della complessità. Serve poi dare priorità agli anziani nei pronto soccorso che rappresentano un fattore di rischio per via dei lunghi tempi di attesa e una presa in carico non adeguata, che possono contribuire al declino cognitivo e al peggioramento delle condizioni fisiche”. Il medico deve anche cercare una maggiore condivisione del percorso di cura con il paziente e con i suoi caregiver informandoli correttamente delle possibili alternative, ascoltando con attenzione le loro esperienze. “I pazienti anziani – sottolinea Ferrucci – andrebbero inclusi nei trial clinici per la sperimentazione di farmaci da cui sono tagliati fuori perché ritenuti troppo “inquinati” dalle loro fragilità, che comporterebbero studi più sofisticati e complessi e maggiori controlli. Vengono invece esclusi, quando sono i primi a far uso di farmaci e terapie. Altrettanto necessario riprogettare gli ambienti ospedalieri per renderli più age-friendly, riducendo l’isolamento e l’immobilismo a letto dei pazienti e realizzare device sanitari facilmente utilizzabili anche da chi è più avanti negli anni”.