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Allergie, vaccino svolta nelle cure ma “chimera” per 6 mln italiani

Allergie, vaccino svolta nelle cure ma “chimera” per 6 mln italianiRoma, 4 nov. (askanews) – E’ una rivoluzione mancata, quella dei vaccini per le allergie in Italia. Le linee guida internazionali raccomandano l’immunoterapia allergene specifica (ITS) come la migliore terapia in grado di cambiare il decorso naturale delle allergie respiratorie e di quelle alle punture d’insetto. Ma se sono 6 milioni, pari alla metà dei pazienti allergici, quelli candidabili all’uso dei vaccini, solo il 2% ne fa attualmente uso. Una situazione paradossale, dovuta alla mancanza di rimborsabilità, di un’adeguata rete di assistenza allergologica sul territorio e alla scarsa informazione. A lanciare l’allerta sono stati gli esperti della Società Italiana di Allergologia, Asma e Immunologia Clinica (SIAAIC), riuniti a Bologna per il loro XXXV Congresso Nazionale.

La diffusione delle allergie è in continuo aumento. Secondo l’OMS sono circa 350 milioni le persone al mondo che soffrono di allergie respiratorie, malattie che influenzano pesantemente la qualità di vita delle persone, con gravi implicazioni sociali ed economiche. Sono più di 1.000 nel mondo i morti al giorno per asma, circa 300 all’anno in Italia, molti dei quali evitabili se i pazienti fossero trattati la maniera efficace. La previsione è che entro il 2050 quasi la metà della popolazione soffrirà di qualche forma di allergia, complici il cambiamento climatico e l’inquinamento. Nel nostro Paese circa il 10% dei bambini al di sotto dei 14 anni soffre di asma e l’80% di questi sono allergici. In Italia, i costi diretti dell’asma rappresentano 1-2% della spesa sanitaria, mentre quelli indiretti, nei casi più gravi, costituiscono oltre il 50% dei costi complessivi. Rinite e asma vengono solitamente trattate con terapie sintomatiche quali farmaci antistaminici e corticosteroidi inalatori, ma oltre a questa opportunità vi è anche una terapia di cui si parla ancora troppo poco: l’immunoterapia allergene specifica, ovvero il vaccino. «Si tratta di una terapia desensibilizzante che può davvero cambiare il decorso della malattia, sia nei pazienti con allergie respiratorie che in quelli allergici alle punture degli imenotteri, come vespe e calabroni» – spiega Mario Di Gioacchino, Presidente SIAAIC – consiste in dosi progressivamente crescenti dell’allergene verso cui il paziente è sensibilizzato. In tal modo – prosegue l’esperto – si sviluppa una attiva tolleranza immunitaria, con produzione di anticorpi protettivi verso lo stesso allergene, inducendo così una tolleranza alla sua riesposizione”.

L’AIT mantiene la propria efficacia per molti anni dopo la sospensione del trattamento che dure 3-4 anni. La somministrazione può essere fatta per iniezione sottocutanea o per via sublinguale, durante tutto l’anno o con schemi terapeutici stagionali che devono essere messi a punto dallo specialista allergologo-immunologo. «Sono ormai moltissimi gli studi scientifici che dimostrano l’efficacia e la sicurezza del trattamento: gli effetti collaterali sono poco frequenti e limitati a prurito e fastidio al cavo orale, in caso di somministrazione sublinguale, ed eritema e gonfiore al braccio, in caso di iniezione». A limitare l’impiego dei vaccini in Italia sono molteplici ragioni. “Certamente il problema dei costi, nelle Regioni nelle quali questo trattamento è a totale carico dei pazienti, con una spesa annua di circa 500-600 euro, rappresenta una forte limitazione – dichiara Di Gioacchino – in Italia esiste una situazione a macchia di leopardo, a causa della mancanza di una legislazione che regoli la rimborsabilità dell’AIT in modo uniforme. La decisione se erogare e in che misura i vaccini, dipende soltanto dalle singole Regioni con una inaccettabile difformità di trattamento di una malattia cronica, la cui cura dovrebbe essere inserita nei LEA”. A pesare è poi la scarsa conoscenza delle malattie allergiche,come dimostrano i risultati di una recente indagine, condotta tra maggio e luglio, su un campione di oltre mille italiani con più di 18 anni. Dai dati emerge che il 20% dichiara di soffrire di allegrie respiratorie ma solo il 22% degli intervistati riconosce nell’allergologo lo specialista di riferimento a cui rivolgersi in caso di bisogno. Per quanto riguarda le allergie respiratorie, il 53% del campione ritiene di essere poco o per nulla informato e perfino chi soffre di questo problema dichiara di affidarsi per lo più al passaparola con amici e parenti. A trascurare l’importanza dell’allergologo non sono solo i pazienti, ma anche il Servizio Sanitario Nazionale. Sebbene le malattie allergiche colpiscano ormai il 20% della popolazione e siano in continuo aumento, determinando un grande carico assistenziale, «l’assistenza allergologica è fortemente ridimensionata ovunque a differenza di quanto previsto per numerose altre discipline a minore impatto epidemiologico e assistenziale», sottolinea Mario Di Gioacchino. «La mancata definizione di un modello assistenziale significa banalizzare le patologie allergologiche, e non riconoscerne l’impatto economico e sociale sottovalutando la figura dello specialista che deve essere prevista espressamente nelle case della comunità, a garanzia di un’assistenza di qualità”.

Tumori endocrini oggi fanno meno paura. Lazio top in cure con radioligandi

Tumori endocrini oggi fanno meno paura. Lazio top in cure con radioligandiRoma, 3 nov. (askanews) – Con 4 centri attivi nell’erogazione della terapia con radioligandi (RLT) su 34 nazionali – Azienda Ospedaliero-Universitaria Sant’Andrea e Policlinico Gemelli di Roma, IFO e Ospedale Santa Maria Goretti di Latina – il Lazio è tra le regioni con il maggior numero di ospedali in grado di offrire una terapia oncologica innovativa che sta rivoluzionando la cura del cancro a partire da una neoplasia rara, come sono i tumori neuroendocrini (NET), ma che in futuro potrà arricchire il ventaglio terapeutico di numerose tipologie di tumori.

“I NET sono un gruppo eterogeneo di neoplasie con sintomi variabili, a volte silenti che li rendono non facilmente identificabili – spiega Francesco Panzuto, gastroenterologo dell’Università Sapienza A.O.U. Sant’Andrea di Roma e presidente dell’Associazione Italiana per i Tumori Neuroendocrini (It.a.net), che proprio a novembre, il 16 e 17, terrà ad Assago (MI) il suo decimo congresso nazionale -. Pur non avendo dati epidemiologici certi, è possibile stimare in Italia un numero complessivo di circa 2.500 nuove diagnosi di neoplasia neuroendocrina ogni anno, presumibilmente circa 200-250 nella nostra Regione, tra i quali quelli che insorgono nell’apparato digerente (GEP-NET) rappresentano il 60-70% dei casi – precisa l’esperto -. E proprio per scattare una fotografia epidemiologica accurata di questi pazienti, It.a.net ha lanciato nel 2020 un programma di raccolta dati (il progetto “Registro Itanet”), unico nel suo genere anche a livello internazionale e ormai in fase avanzata di sviluppo, che ad oggi coinvolge 38 centri in Italia ed ha già incluso circa 1.700 pazienti”. I tumori neuroendocrini che interessano l’apparato digerente, non essendo il più delle volte associati a chiari sintomi, sono spesso diagnosticati in fase metastatica e non più operabili (ciò accade fino al 40-50% di quelli che insorgono nel pancreas e nel piccolo intestino). Questi pazienti possono oggi beneficiare di un’opzione terapeutica in più già disponibile in Italia: la terapia con radioligandi (RLT), la nuova frontiera della medicina di precisione in ambito medico-nucleare, in grado di ‘taggare’ e colpire insieme le cellule tumorali, distinguendole selettivamente da quelle sane, senza danneggiarle. I radioligandi sono killer di precisione capaci di scovare le cellule tumorali più nascoste ovunque si trovino e di annientarle una per una. Un radioligando è composto da due elementi: una molecola “ligando”, cioè un vettore in grado di riconoscere e legarsi alle cellule tumorali che, nella fase terapeutica, viene ‘caricata’ con un isotopo radioattivo trasportato direttamente sulle cellule malate. Raggiunto il bersaglio finale l’isotopo irradia selettivamente le cellule tumorali, provocandone la morte. Si tratta dunque di una terapia target di ultra-precisione, ‘cucita’ addosso al paziente, che unisce un’elevata efficacia, sicurezza e tollerabilità a una minima tossicità, perché non va metabolizzata e agisce per periodi limitati che dipendono dal tempo di decadimento della radioattività. “Il beneficio più rilevante della RLT è l’efficacia a lungo termine che è in grado di offrire al paziente – sottolinea Panzuto -. Con le opzioni terapeutiche precedenti ci si aspettava un’efficacia stimata di 1 anno/1 anno e mezzo in termini di capacità di stabilizzare la malattia. Con il nuovo approccio la stabilizzazione della malattia attesa è ben più lunga, come dimostrano i dati della recente letteratura scientifica che riportano più di tre anni di sopravvivenza libera da progressione. Inoltre è ben tollerata rispetto alle altre terapie che sono gravate da una tossicità quotidiana, che invece nel caso della RLT è moderata e contestuale al periodo immediatamente successivo alla somministrazione, mentre la tossicità a lungo termine rimane molto rara ed oggi sempre meglio prevedibile”. Nel Lazio il livello di assistenza e di cura per i pazienti NET è nettamente migliorato negli ultimi anni soprattutto grazie alla presenza di centri di riferimento. “Grazie a strutture all’avanguardia di livello internazionale con professionalità altamente specializzate come i Centri di Eccellenza certificati ENETS (European Neuroendocrine Tumor Society) (a Roma sono l’Azienda Ospedaliero-Universitaria Sant’Andrea e il Policlinico Gemelli), ma anche grazie a centri periferici che nel tempo hanno sviluppato percorsi interni dedicati a questi pazienti, il Lazio garantisce una offerta assistenziale ai vertici per numero di ospedali in grado di offrire la terapia con radioligandi e livelli di competenze, costituendo un polo di riferimento anche per i pazienti di regioni limitrofe e per alcune aree del Sud – puntualizza Panzuto -. Tuttavia, esistono ampi margini di miglioramento per ottimizzare l’impiego della nuova terapia e agevolarne l’adozione, così da garantire a tutti i pazienti con un’indicazione clinica alla nuova cura, il diritto di accedervi”.

Trasporto sanitario urgente dell’Aeronautica da Lecce a Genova

Trasporto sanitario urgente dell’Aeronautica da Lecce a GenovaGenova, 2 nov. (askanews) – Un neonato di due mesi, in imminente pericolo di vita, assistito da un’equipe medica all’interno di una ambulanza, è stato trasportato, da Lecce a Genova, a bordo di aereo C-130J della 46esima Brigata Aerea dell’Aeronautica Militare nel pomeriggio di giovedì 2 novembre 2023.

Il piccolo, necessitava di essere trasferito d’urgenza dall’Ospedale “Vito Fazzi” di Lecce all’Istituto “Giannina Gaslini”. Per la tipologia di trasporto si è reso necessario, nello specifico, l’utilizzo di un C130J della 46ª Brigata Aerea di Pisa, velivolo idoneo ad imbarcare l’ambulanza all’interno della quale ha viaggiato il bambino, monitorato ed assistito da un’equipe medica ed accompagnato dalla madre.

Il volo salva-vita è stato attivato, su richiesta della prefettura di Lecce, dal Comando Operazioni Aerospaziali (COA) dell’Aeronautica Militare che ha immediatamente interessato la 46ª Brigata Aerea di Pisa, uno dei Reparti che svolge il servizio di prontezza operativa per questo genere di missioni. Effettuate dall’equipaggio militare tutte le procedure necessarie, il velivolo con a bordo il piccolo paziente, è decollato dall’aeroporto militare di Lecce nel primo pomeriggio. Dopo l’atterraggio, presso l’Aeroporto Cristoforo Colombo di Genova, avvenuto alle 17 locali, l’ambulanza si è diretta all’Istituto “Giannina Gaslini” del capoluogo ligure per il successivo ricovero.

I Reparti di volo dell’Aeronautica Militare sono a disposizione della collettività 24 ore al giorno, 365 giorni l’anno, con mezzi ed equipaggi in grado di operare anche in condizioni meteorologiche complesse, per assicurare il trasporto urgente non solo di persone in imminente pericolo di vita, ma anche di organi, equipe mediche o ambulanze. Sono centinaia ogni anno le ore di volo effettuate per questo genere di interventi dagli aerei del 31° Stormo di Ciampino, del 14° Stormo di Pratica di Mare, della 46ª Brigata Aerea di Pisa e dagli elicotteri del 15° Stormo di Cervia.

Mieloma multiplo, esperti: aspettativa vita migliora con nuove terapie

Mieloma multiplo, esperti: aspettativa vita migliora con nuove terapieRoma, 2 nov. (askanews) – “Il Mieloma Multiplo è tra le patologie oncoematologiche più comuni e con un forte impatto sociale per i pazienti e i caregiver. L’innovazione tecnologica in questi ultimi anni ha prodotto una notevole quantità di opzioni terapeutiche, comportando notevoli miglioramenti che hanno cambiato l’evoluzione della malattia e generato una nuova complessità gestionale nel percorso di cura. La conoscenza e la condivisione delle problematiche legate alla gestione delle nuove terapie è uno degli aspetti fondamentali per migliorare la qualità della vita di pazienti e caregiver”. Lo ha spiegato Tommaso Caravita, Responsabile U.O.S.D. Ematologia dell’ASL Roma 1, intervenuto al webinar, promosso dal CEIS-EEHTA dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata e patrocinato dalla Sihta (Società Italiana di Health Technology Assessment) con la partecipazione di clinici, associazioni pazienti ed esponenti delle istituzioni, e realizzato con il contributo non condizionante di Sanofi, in cui è stato affrontato il tema della gestione della patologia, ottimizzazione delle risorse e qualità di vita.

Il Mieloma Multiplo, infatti, nonostante i notevoli miglioramenti in termini di aspettativa di vita dei pazienti, continua a presentare alcune barriere dal punto di vista della fruizione delle terapie, soprattutto quelle infusionali, che spesso comportano lunghi tempi di attesa e di permanenza in day hospital nelle strutture ospedaliere, e la cui grande efficacia può essere compromessa dalla difficoltà di accesso alle cure. Tutto ciò ha un impatto significativo su aderenza ed efficacia terapeutica, ma anche sulla conciliazione con le esigenze familiari e professionali del paziente. L’incontro online è stato un’importante occasione di approfondimento e analisi dell’impatto sociale ed economico di questa malattia e dell’importanza di ottimizzare le risorse temporali e materiali nella sua gestione, per contribuire ad attutire i costi diretti e indiretti a carico del sistema sanitario, e a migliorare la qualità di vita del paziente. All’esigenza di tenere in dovuta considerazione anche la dimensione psicologica e di garantire sostegno sociale, guarda il presidente nazionale dell’Associazione Italiana contro le Leucemie – AIL, Giuseppe Toro. Si parla infatti di “pazienti che spesso presentano condizioni cliniche debilitanti e che minano fortemente la qualità di vita e le possibilità di accesso alle cure. Per questo, noi di AIL siamo particolarmente attenti a promuovere l’importanza dell’assistenza domiciliare, la creazione di corsie preferenziali per ridurre al minimo il soggiorno del paziente nelle strutture sanitarie e la presenza di un sostegno psicologico che vada a integrare la presa in carico”.

Parlare di gestione di una patologia vuol dire anche riflettere sull’ottimizzazione delle risorse impiegate: “Il Mieloma Multiplo è caratterizzato da un costo elevato della malattia rispetto ad altri tipi di cancro”, dichiara Francesco Saverio Mennini, Research Director EEHTA del CEIS. “Questo costo è calcolato intorno ai € 10.438 annui per paziente, dei quali il 78% relativo a costi indiretti, dovuti ad assenteismo e presenteismo, e il 22% a costi diretti sanitari e non sanitari. Razionalizzare le risorse, e mettere in atto politiche di prevenzione dei ricoveri, può sicuramente migliorare l’efficienza del sistema di cure e assistenza nel suo complesso, e dunque la qualità di vita dei pazienti e dei loro familiari”.

Allarme infezioni sessualmente trasmesse: in aumento sifilide e gonorrea

Allarme infezioni sessualmente trasmesse: in aumento sifilide e gonorreaRoma, 2 nov. (askanews) – Nuova apprensione per le Infezioni Sessualmente Trasmesse (IST), con numeri in aumento in tutta Europa e con l’Italia che non fa eccezione. Dati e studi aggiornati saranno al centro del IX Congresso Nazionale della Società Interdisciplinare per lo studio delle Malattie Sessualmente Trasmissibili (SIMaST), che si tiene a Torino il 3 e 4 novembre. Dopo un fisiologico calo nel 2020, dove il reperimento dei dati è stato condizionato dalla pandemia, il 2021 ha visto una ripresa dei casi di IST, che hanno ripreso un trend di crescita come negli anni precedenti. Diverse sono le cause: una migliorata sensibilità diagnostica, un’elevata trasmissibilità di virus e batteri, la poca prevenzione. “L’allarme per la diffusione delle Infezioni Sessualmente Trasmesse riguarda anzitutto sifilide e gonorrea, ma non solo – sottolinea Marco Cusini, Presidente SIMaST – la sifilide è l’infezione batterica sessualmente trasmessa più diffusa in Italia e la sua curva è in costante aumento, con una crescita del 15% nell’ultimo anno, soprattutto tra i maschi che fanno sesso con maschi (MSM). L’infezione da gonococco è la seconda malattia sessualmente trasmessa nel mondo dopo la clamidia: dati recenti mostrano un incremento del 40% in molti Paesi europei come Danimarca, Svezia, Irlanda, Olanda e sono assimilabili anche all’Italia. Colpisce soprattutto l’incremento nella popolazione femminile sotto ai 25 anni, che dimostra come si stia espandendo anche al di fuori della popolazione più a rischio, maschi che fanno sesso con maschi; in questo senso, nella trasmissione è sempre più rilevante il ruolo del sesso orale. Tra i trend in crescita, anche il Monkeypox, il cosiddetto vaiolo delle scimmie: dopo il picco nella primavera 2022, l’epidemia non può dirsi conclusa, con segnalazioni di casi in diversi Paesi europei tra cui anche l’Italia”. Per contrastare le IST vi sono alcune forme di prevenzione, mentre in caso di rapporti a rischio resta fondamentale la diagnosi precoce. “Oltre alle vaccinazioni già da tempo disponibili per Papilloma Virus e Monkeypox, di cui sono riconosciute efficacia e sicurezza, vi sono altre vaccinazioni nelle diverse fasi sperimentali – evidenzia il dottor Cusini -. Per la gonorrea potremmo avere un vaccino già tra uno o due anni, mentre si prevedono più lunghi i tempi per sifilide, clamidia e herpes. La prevenzione si realizza anche con un intervento sui rapporti a rischio che possono essere identificati con gli screening, anche se spesso i soggetti a rischio non sono facilmente raggiungibili. Questo ha aperto le porte al self sampling, un test di autovalutazione che si può mandare via posta ai centri specialistici e che in Italia si è diffuso dalla pandemia; tuttavia, per un risultato efficace, serve un network che monitori la corretta esecuzione del test e permetta di avviare un percorso di trattamento nel caso sia presente un’infezione. Un altro dato rilevante riguarda la crescita delle IST nei pazienti con infezione da HIV: i benefici per l’HIV derivanti dallo U=U (chi ha livelli di HIV non rilevabili nel sangue non trasmette il virus) e dalla PrEP (profilassi pre-esposizione con antivirali) potrebbe aver provocato un allentamento dell’attenzione nella prevenzione delle IST e, conseguentemente, un aumento di casi”.

Manovra, Anla: promuovere rivoluzione culturale concetto di cura

Manovra, Anla: promuovere rivoluzione culturale concetto di curaRoma, 2 nov. (askanews) – “Se la legge di bilancio verrà confermata come la leggiamo nei commenti della stampa, la legge 33/2023 contenente la “Delega al Governo in materia di politiche in favore degli anziani”, rischia di rimanere lettera morta, non vedrebbero la luce i decreti attuativi previsti entro il 31 gennaio 2024 per mancanza di risorse. Lo ricordiamo, il provvedimento contiene tre principali deleghe: l’Invecchiamento attivo, la promozione dell’inclusione sociale e la prevenzione della fragilità; l’assistenza sociale, sanitaria e sociosanitaria per le persone anziane non autosufficienti; le politiche per la sostenibilità economica e la flessibilità dei servizi di cura e assistenza a lungo termine per le persone anziane, anche non autosufficienti”. Il presidente nazionale dell’Associazione Nazionale Lavoratori Anziani, ANLA, Edoardo Patriarca, condivide l’appello lanciato pochi giorni fa da mons. Vincenzo Paglia presidente della Commissione per l’attuazione della riforma presso il Ministero della Salute e rilancia: “Sono in ritardo, è bene dichiararlo, tanto che Anla ha firmato un appello al Governo insieme ad altre decine di enti di Terzo Settore. A parziale giustificazione, vi sembrerà un paradosso, c’è da dire che le politiche per gli anziani sono “giovani” e che il sistema istituzionale non ha preso ancora le misure nonostante le persone non autosufficienti nel nostro Paese siano già quattro milioni, e che l’invecchiamento della popolazione, insieme alla bassa natalità, trasformeranno questo problema in emergenza.

Gli obiettivi della Legge delega sono chiari, la nostra associazione in più occasioni li ha illustrati e approfonditi dedicandosi in particolare al capitolo “invecchiamento attivo”. È una riforma che affronta l’età anziana con lo sguardo lungo ricucendo la storica divisione tra sociale, sanitario e assistenziale motivo del dissesto dell’assistenza, e distinguendo tra luoghi della cura e luoghi della vita. La presa in carico della persona anziana sarà della comunità locale che così amplia la gestione dei servizi di assistenza domiciliare oltre che sostenere la trasformazione delle Residenze: domiciliarità e residenzialità sono complementari nella rete dei servizi per un’assistenza di qualità centrata sulla persona e sul suo progetto di vita”. Questo ultimo punto va chiarito per non innescare contrapposizioni inutili e controproducenti. Nella nostra società c’è tanta solitudine, un virus che fa ammalare perché il cuore di una buona vita sta nelle relazioni che fioriscono attorno alla persona, dei più fragili soprattutto: “Proprio per questo 25 anni fa abbiamo compiuto due grandi rivoluzioni sociali abolendo gli orfanotrofi e i manicomi, ritenendo immorale tenere i bambini e i malati psichiatrici in istituzioni totalizzanti. Due rivoluzioni sociali alla base delle quali abbiamo posto il diritto di ogni persona di vivere in un ambiente familiare, per quanto possibile ricco di relazioni. Vale anche per gli anziani che vogliono abitare , finché possibile, nella propria casa o in strutture di comunità. Domiciliarità e residenzialità sono connesse tra loro, non contrapposte”.

Il presidente Patriarca conclude guardando a ciò che resta ancora da fare: “Non basta una legge pur ambiziosa, abbiamo bisogno di promuovere una rivoluzione culturale del concetto di cura. Qualche declinazione: non curare ma prendersi cura, integrando sociale e sanitario; non patologizzare ma aiutare la persona nel complesso delle sue fragilità; non medicalizzare perché prendersi cura non significa solo curare le malattie; non categorizzare la fragilità ma prenderle tutte in carico, con uno sguardo ampio e aperto; non dividere o frammentare la persona ma rispondere ai suoi diversi bisogni. Non ultimo, prendersi cura di coloro a cui viene affidato il compito della cura, un capitolo dimenticato. I decreti attuativi della legge delega al momento sono ancora confinati nella categoria delle speranze, lo diciamo con rammarico. I tavoli di confronto tra governo e associazioni sono tuttora in fase organizzativa nonostante le questioni da definire siano assai numerose. Ne accenniamo alcune: il riordino e coordinamento delle attività di assistenza sociale sanitaria e socio sanitaria; il coordinamento delle risorse disponibili; la sostenibilità economica e la flessibilità dei servizi di cura e assistenza a lungo termine; le coordinate per dare avvio all’assistenza domiciliare sociale e sanitaria continuativa – oggi puramente prestazionale – di sostegno domestico agli anziani e ai loro familiari; le regole per il coinvolgimento del terzo settore e del volontariato diffuso che sono una risorsa preziosa; la sinergia pubblico privato per attivare ogni possibile collaborazione in un periodo di forte carenza di figure professionali. Al momento purtroppo tutto sembra indefinito, ahimè prendono consistenza i dubbi di coloro che evidenziano le difficoltà a far partire in così poco tempo una riforma veramente complessa. Se non è possibile realizzare la legge su tutto il territorio nazionale per mancanza di fondi ( si parla di almeno 7 miliardi) e di tempo, perché non avviare alcune sperimentazioni come propone Mons. Vincenzo Paglia presidente della Commissione per l’attuazione della riforma presso il Ministero della Salute?”.

Campolongo Hospital eccelle nelle settore delle protesi di spalla

Campolongo Hospital eccelle nelle settore delle protesi di spallaRoma, 31 ott. (askanews) – Terzo anno consecutivo di grandi traguardi per il Campolongo Hospital che anche quest’anno si conferma in cima alla classifica dell’Agenas, (Agenzia Nazionale per i Servizi Sanitari Regionali), mantenendo la posizione di prestigio come terza struttura in Italia per numero di interventi annui di protesi di spalla, come già avvenuto nell’anno 2022.

“L’impegno costante per l’eccellenza medica e l’attenzione ai pazienti sono valori fondamentali presso il Campolongo Hospital. Questo ennesimo riconoscimento è la dimostrazione dell’approccio dedicato e della competenza del personale medico e chirurgico della struttura che lavora incessantemente per alzare sempre di più gli standard”, afferma Maura Camisa, Vice direttrice generale della struttura. Le protesi di spalla sono procedure chirurgiche complesse che richiedono una notevole esperienza e una rigorosa attenzione ai dettagli. Il Campolongo Hospital ha sempre mantenuto uno standard elevato in questo campo, offrendo ai pazienti risultati eccezionali e un recupero ottimale a 360 gradi. La presa in carico del paziente non si limita al solo intervento, ma comprende l’intero processo di recupero grazie a programmi riabilitativi di altissimo livello che permettono un migliore recupero funzionale e una ripresa più rapida della propria quotidianità.

Il dottor Alfonso Maria Romano, chirurgo ortopedico e specialista in chirurgia protesica e artroscopica mini invasiva, ha dichiarato: “Siamo onorati di essere riconosciuti ancora una volta come una delle principali strutture in Italia per le protesi di spalla con ben 273 interventi eseguiti come da fonte Agenas. Questo risultato riflette il nostro impegno continuo per la qualità, la sicurezza e l’efficacia dei trattamenti che offriamo ai nostri pazienti ed è ancora più significativo se si pensa che i numeri sono relativi solo ad interventi in elezione non avendo al Campolongo hospital un’unità di traumatologia. È un grande traguardo sia per la regione Campania, sia per l’intero Sud Italia”. Il Campolongo Hospital ringrazia tutte le risorse umane, i pazienti e tutti coloro i quali hanno contribuito al raggiungimento di questo straordinario traguardo. Guardando al futuro, continueremo a lavorare instancabilmente per migliorare la qualità della vita dei pazienti e raggiungere nuovi obiettivi nel campo della chirurgia e della riabilitazione. L’uso dell’alta tecnologia è, infatti, uno dei principali investimenti che ha portato il Campolongo Hospital verso un processo costante di crescita sempre più all’avanguardia. Una scommessa coraggiosa fatta tanti anni fa che continua a regalare grandi emozioni.

Schillaci: a breve decreto per fondi Piano oncologico nazionale

Schillaci: a breve decreto per fondi Piano oncologico nazionaleRoma, 30 ott. (askanews) – “Il Piano oncologico nazionale è stato tra i primi atti che ho firmato. Un documento atteso da tempo, che ha la finalità di abbattere le tante differenze nell’accesso alle cure oncologiche che sono presenti sul nostro territorio nazionale e che rappresentano una violazione grave e dolorosa del principio di equità a cui si ispira il nostro Servizio Sanitario. Poche settimane fa la Conferenza Stato-Regioni ha approvato l’Intesa sullo schema di decreto – che a breve firmerò – per la ripartizione del Fondo e questo consentirà l’implementazione attraverso una dotazione di 10 milioni per ciascuno degli anni dal 2023 al 2027”.

Lo ha annunciato il ministro della Salute Orazio Schillaci intervenendo al Quirinale alla cerimonia di celebrazione de “I giorni della ricerca” – l’iniziativa della Fondazione AIRC che da 29 anni accende i riflettori sul cancro per informare sui progressi della ricerca e raccogliere nuove risorse per il lavoro dei ricercatori – durante la quale il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricevuto una rappresentanza del mondo scientifico e di sostenitori della Fondazione.

Scompenso cardiaco, in Italia colpite oltre un milione di persone

Scompenso cardiaco, in Italia colpite oltre un milione di personeRoma, 27 ott. (askanews) – Lo scompenso cardiaco è una patologia cronica in forte aumento che colpisce 15 milioni di persone in Europa e oltre 1 milione nel nostro Paese. In Italia lo scompenso cardiaco è la causa principale di ospedalizzazione nelle persone di età superiore ai 65 anni, con un rilevante impatto non solo clinico, ma anche sociale ed economico. La prevalenza di questa patologia cresce in maniera esponenziale con l’età, colpendo oltre il 20% dei cittadini con più di 80 anni. Se non adeguatamente trattato peggiora nel tempo, con esito fatale nel 50% dei pazienti, entro cinque anni dalla diagnosi. Vi è inoltre uno stretto legame con chi soffre di diabete: 4 persone colpite da scompenso hanno anche questa patologia. Lo scompenso cardiaco è causato dall’incapacità del cuore di assolvere alla normale funzione contrattile di pompa e di garantire il corretto apporto di sangue a tutti gli organi, che ricevono pertanto quantità insufficienti di ossigeno per le loro esigenze metaboliche portando ad un accumulo di liquidi nei polmoni e nei tessuti. Nello stadio precoce la malattia può essere asintomatica e non sempre facilmente diagnosticabile ma con il passare del tempo i sintomi tendono ad aggravarsi. E’ una sindrome clinica particolarmente complessa che può esporre ad un aumentato rischio di aritmie minacciose per la vita e morte improvvisa. Oggi e domani a Milano, presso Palazzo Mezzanotte, si tiene la Convention Nazionale Centri Scompenso Cardiaco ANMCO 2023, in cui i cardiologi ospedalieri italiani ANMCO faranno il punto su prevenzione e nuove terapie. Fabrizio Oliva – Presidente ANMCO e Direttore Cardiologia 1 dell’Ospedale Niguarda di Milano – dichiara: “Fortunatamente l’innovazione in campo medico sta cambiando lo scenario, a beneficio delle persone colpite da questa patologia cronica. Negli ultimi anni sono state implementate le terapie farmacologiche e le possibilità di intervento non farmacologico in questi pazienti con miglioramento della loro prognosi. Se si inizia uno schema terapeutico che comprende i nuovi farmaci dopo i 55 anni si potrebbe garantire al paziente, rispetto alla terapia precedente, 8 anni di vita in più. Dopo i 65 anni, si potrebbe garantire una differenza di 6 anni di vita in più. Nello scompenso cardiaco il concetto di “stabilità”, è diverso da quello della “gravità”. Il paziente può essere stabile clinicamente ma presentare contemporaneamente un elevato grado di rischio sia di morte che di ospedalizzazione. In pratica non esiste il paziente a basso rischio: potremmo dire che lo scompenso cardiaco è una patologia cronicamente acuta. Occorre quindi mettere in atto modelli assistenziali innovativi che mettano in contatto più stretto il territorio con l’ospedale perché anche se il paziente necessita di più ricoveri nel corso dell’anno sarà sempre maggiore il tempo che passerà a domicilio o comunque in un setting assistenziale territoriale. E’ per questo che oltre all’ottimizzazione della terapia, dobbiamo pensare all’ottimizzazione organizzativa per l’inserimento dei pazienti in percorsi assistenziali finalizzato al miglioramento della gestione e della prognosi di questi pazienti sia in termini di ricoveri ospedalieri che di sopravvivenza”.

Sanità, al Bambin Gesù 4 trapianti di organi in 24 ore

Sanità, al Bambin Gesù 4 trapianti di organi in 24 oreMilano, 27 ott. (askanews) – Quattro trapianti di organi al Bambino Gesù in 24 ore, quattro ragazzi che tornano ad avere fiducia in una nuova vita. La scorsa settimana, tra il 17 e il 18 ottobre, nell’Ospedale della Santa Sede sono stati eseguiti 3 trapianti di rene e uno di fegato a beneficio di 3 ragazzi e una ragazza con gravi patologie. La sincronia tra gli interventi ha richiesto il coinvolgimento di circa 40 operatori sanitari. Tutti i pazienti sono ora in buone condizioni.

La prima ad essere trapiantata, nel tardo pomeriggio del 17 ottobre, è stata la paziente più giovane dei quattro: a 13 anni era in attesa di trapianto di fegato da 6 mesi a causa di una cirrosi biliare da atresia delle vie biliari, una rara condizione patologica che porta alla distruzione progressiva dei dotti biliari, i canali deputati al trasporto della bile dal fegato all’intestino. Nel corso della giornata del 18 ottobre si sono susseguiti i tre interventi di trapianto renale. Il primo ha riguardato un ragazzo di 15 anni affetto da ipoplasia renale bilaterale, una patologia rara che non permette il completo sviluppo dei reni. I pazienti vanno incontro a insufficienza renale cronica grave, come era accaduto al ragazzo trapiantato che dalla scorsa primavera necessitava di dialisi peritoneale. Il secondo paziente trapiantato è stato un ragazzo di 16 anni, in emodialisi cronica da luglio 2023, per insufficienza renale cronica determinata da glomerulosclerosi focale e segmentale, una rara patologia che determina la progressiva cicatrizzazione (sclerosi) dei glomeruli cioè le unità filtranti dei reni.

L’ultimo trapianto ha visto coinvolto un ragazzo di 25 anni in emodialisi cronica da 8 anni e già sottoposto ad un primo trapianto renale nel 2011, purtroppo non andato a buon fine. Il ragazzo, la cui patologia di base è una uropatia malformativa (malformazione grave delle vie urinarie), era in lista di trapianto di rene da circa 7 anni. La condizione di iperimmunità, cioè l’elevata produzione di anticorpi, sviluppata in seguito al primo trapianto, rendeva infatti molto difficoltoso reperire un nuovo organo idoneo senza rischio di rigetto. Gli interventi hanno impegnato circa 40 operatori delle diverse Unità operative del Bambino Gesù afferenti ai Programmi di Trapianti di Fegato e di Trapianto di Rene, in particolare di Chirurgia epato-bilio-pancreatica, Nefrologia e Dialisi, Epatologia, Anestesia e Rianimazione, Radiologia e Anatomia patologica, oltre al Coordinamento Trapianti e al Comparto operatorio.

“Il primo ringraziamento va alle famiglie dei due donatori – afferma Marco Spada, responsabile dell’Unità operativa complessa di Chirurgia Epato-Bilio-Pancreatica e dei Trapianti di Fegato e Rene – che in un momento di grande dolore hanno aperto il cuore alle ragioni della solidarietà e della vita per 4 ragazzi. La realizzazione di questa sequenza di trapianti è stata possibile anche grazie all’utilizzo delle macchine di perfusione extracorporea degli organi, che consentono di prolungare i tempi di ischemia. Desidero inoltre ringraziare tutto il personale sanitario e non che ha collaborato alla riuscita dei 4 interventi in sole 24 ore. Un risultato così importante per i nostri pazienti e le loro famiglie non può che essere frutto di un grande lavoro di équipe e di dedizione personale e professionale”.