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Fadoi e Carabinieri lanciano il progetto “Un Albero per la Salute”

Fadoi e Carabinieri lanciano il progetto “Un Albero per la Salute”Roma, 7 mag. (askanews) – Fadoi e Arma dei Carabinieri Raggruppamento Biodiversità lanciano a Milano, in occasione del 28° Congresso Nazionale della Società scientifica della Medicina Interna, il progetto “Un Albero per la Salute”. Il progetto nazionale prevede la donazione e la messa a dimora negli Ospedali italiani di giovani alberi da parte dei Carabinieri Raggruppamento Biodiversità in collaborazione con la Fadoi e rientra nell’ambito del progetto “Un albero per il futuro” dei Carabinieri della Biodiversità realizzato in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente.

Ogni pianta potrà essere geolocalizzata fotografando uno speciale cartellino e sarà possibile seguirne la crescita su un sito web, apprezzando anche il risparmio di anidride carbonica (CO2). La messa a dimora degli alberi donati dai Carabinieri Raggruppamento Biodiversità per l’anno 2023 sarà effettuata in 30 ospedali italiani nel corso di eventi dedicati che vedranno la presenza di medici Internisti Fadoi ed esperti del Raggruppamento Carabinieri Biodiversità appartenenti al Reparto territorialmente più prossimo. L’ospedale di riferimento per l’inaugurazione del progetto, che si terrà il prossimo 4 ottobre 2023, sarà l’Ospedale Fatebenefratelli Isola Tiberina Gemelli-Isola Roma; i trenta restanti ospedali sul territorio nazionale presso cui sarà effettuata la messa a dimora in pari data sono da identificare e saranno comunicati in una seconda fase. La durata complessiva del progetto sarà di 3 anni.

“Come Fadoi – spiega il presidente Francesco Dentali – abbiamo nel nostro Statuto tra gli scopi istituzionali quello del miglioramento e la definizione dei percorsi assistenziali e delle iniziative di educazione sanitaria. L’educazione sanitaria non ha solo una finalità comunicativa, informativa ma consiste nell’intervenire precocemente sui comportamenti, abitudini, azioni riguardanti le condizioni sociali, economiche ed ambientali che hanno un impatto sulla salute del singolo e della comunità. Ed è proprio in quest’ottica come Fadoi riteniamo fondamentale sviluppare una maggiore consapevolezza dell’approccio olistico One Health secondo cui la salute delle persone e salute dell’ecosistema sono legate indissolubilmente e si influenzano reciprocamente. E proprio da queste basi che nasce il progetto ‘Un Albero per la Salute’ che con soddisfazione porteremo avanti insieme all’Arma dei Carabinieri Raggruppamento Biodiversità”.

Congresso mondiale WFPHA, focus su conflitti e sanità pubblica

Congresso mondiale WFPHA, focus su conflitti e sanità pubblicaRoma, 6 mag. (askanews) – Le guerre non hanno un impatto solo locale; gli effetti devastanti hanno ripercussioni a livello mondiale. Le conseguenze globali delle guerre, oltre all’immane dolore per la perdita di vite umane, determinano crisi alimentari ed energetiche, speculazioni finanziaria che allargano asce di povertà, come dimostrato dal recente conflitto in Ucraina.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha riferito che quasi un quarto della popolazione mondiale, circa 1,8 miliardi di persone, risiede attualmente in regioni colpite da conflitti. Gli effetti negativi di tale circostanza sulla salute pubblica sono significativi. I conflitti provocano tassi di mortalità elevati, la rottura dei sistemi sociali ed economici, la scarsità di cibo, ripetute interruzioni dei servizi sanitari, il collasso delle catene di approvvigionamento medico, la fuga degli operatori sanitari e gravi focolai epidemici. Al 17° Congresso Mondiale di Sanità Pubblica (2-6 maggio, Roma), che vedrà la partecipazione della Prof.ssa Bettina Borisch, il direttore esecutivo del WFPHA, e del Dott. Wahid Majrooh, l’ex ministro afghano della Sanità pubblica, la guerra e i conflitti saranno un importante argomento di discussione durante una delle sessioni plenarie.

‘Oggi, in base al diritto umanitario internazionale, monitoriamo più di 110 conflitti armati. Alcuni di loro fanno notizia, altri no. Alcuni sono iniziati di recente, mentre altri durano da più di 50 anni. La guerra è un problema di salute pubblica causato dall’uomo e come tale è quindi prevenibile. La guerra e i conflitti armati hanno conseguenze devastanti per la salute fisica e mentale di tutte le persone coinvolte, per la vita sociale all’interno e nei dintorni delle regioni di guerra e per la salute dell’ambiente. La guerra sottrae risorse essenziali, spesso molto scarse e necessarie per la sopravvivenza. Inoltre, un gran numero di persone subisce l’impatto negativo degli effetti più ampi della guerra’, spiega la Prof.ssa Borisch, esperta di salute pubblica che ha proposto la sessione su guerra e salute globale. Le principali conseguenze dei conflitti armati:

– popolazione sfollata, che è parte integrante della guerra; – la guerra limita l’accesso all’acqua potabile, al cibo e ai servizi igienici, che sono alla base della salute pubblica; – durante i conflitti armati aumenta il rischio di malattie trasmissibili; – la guerra ha un impatto sulla salute delle donne e dei bambini: un recente studio ha rivelato che, nel 2017, almeno il 10% delle donne e il 16% dei bambini a livello globale erano sfollati a causa dei conflitti o vivevano pericolosamente vicino alle aree di conflitto, rendendoli suscettibili di aggressioni sessuali, matrimoni precoci, molestie, isolamento e sfruttamento. – Anche la salute mentale ne risente: le conseguenze psicologiche della guerra sono disastrose (il disturbo post-traumatico da stress (PTSD), l’ansia, la depressione e i disturbi somatoformi sono sempre più diffusi nelle situazioni di guerra e post-conflitto).

‘L’epigenetica ci ha insegnato che anche per le generazioni successive alla guerra le conseguenze sulla salute mentale sono presenti’, precisa il direttore esecutivo del WFPHA. L’impatto della guerra sulla sanità pubblica dell’Ucraina:

La guerra in Ucraina ha aumentato il bisogno di assistenza sanitaria, riducendo al contempo la capacità del sistema di fornire servizi, soprattutto nelle aree di conflitto attivo. In particolare, il sistema sanitario ucraino oggi deve far fronte a un numero crescente di pazienti feriti e politraumatizzati e a servizi sanitari che risentono della mancanza di manutenzione delle attrezzature mediche, della carenza di farmaci e forniture mediche e del personale insufficiente. La qualità delle cure varia da regione a regione.

Dato che la natura generale e l’impatto della guerra sulla salute e sul benessere delle società e dei sistemi sanitari sono abbastanza simili, il Dott. Wahid Majrooh fornisce un’analisi comparativa dei due contesti, di afghano e di quello ucraino.

‘Prima del conflitto il sistema sanitario ucraino era operativo e si trovava a un livello abbastanza buono, ma a causa del conflitto ci sono diversi impatti negativi di cui il sistema e le persone stanno soffrendo. C’è un’enorme divisione politica su come coordinare e soddisfare le esigenze sanitarie delle comunità e delle persone. Il rischio di una pandemia è ancora presente ma l’attenzione politica non sembra tenerne conto. In questa fase la priorità è la sicurezza, che prevale su altri bisogni umani compresa l’assistenza sanitaria. A differenza dell’Ucraina, in Afghanistan avevamo decenni di esperienza nella gestione delle emergenze sanitarie. La nostra esperienza sul campo ha dimostrato che la resilienza del capitale umano e la resilienza del sistema svolgono un ruolo cruciale. Ci vuole coraggio e un nuovo modo di pensare, di gestire le risorse e di offrire impegno più solidale’, spiega Majrooh.

L’OMS ha inviato all’Ucraina ingenti quantitativi di forniture mediche e ha stanziato 5,2 milioni di dollari dal suo Fondo di emergenza per rispondere alle urgenti necessità sanitarie del Paese. Ci sono molti altri programmi di donatori internazionali che mirano a raggiungere lo stesso obiettivo. Sono davvero in grado di risolvere tutti i problemi sopra citati?

‘La gente potrebbe dire che ci sono molte donazioni da parte di agenzie internazionali e Stati membri, ma il problema delle donazioni in un contesto del genere è che non sono allineate con l’agenda nazionale sulle politiche di salute pubblica e non colmano tutte le lacune. Ad esempio, in alcune aree, dove il conflitto è in corso, un numero enorme di donne e uomini è gravemente colpito dal punto di vista morale, psicologico. L’aiuto umanitario che si concentra sui bisogni urgenti (ad esempio, le malattie infettive, l’assistenza sanitaria d’emergenza e il trattamento delle vittime di guerra) non prende in considerazione le questioni sistematiche a lungo termine come l’assistenza mentale e l’assistenza alla maternità. Questo genera un sistema parallelo di risposte a quei bisogni e a medio termine tali elementi indeboliscono il sistema sanitario nazionale. Vengono create molte aspettative mentre il sistema statale non è in grado di sostenerle’, precisa il Dott. Majrooh.

L’ex ministro afghano della Sanità pubblica ritiene che, non essendoci previsioni ottimistiche sulla risoluzione del conflitto, le indicazioni di cui sopra inizieranno a peggiorare. Quanti anni ci vorranno perché la sanità ucraina riacquisti parametri qualitativi simili a quelli esistenti prima del conflitto?

‘Il problema del post-conflitto è la ricostruzione del sistema, compreso quello sanitario, perché non è solo il costo finanziario che conta, ma il tempo e il livello di fiducia che sono sfide davvero enormi da affrontare. Perché nelle nazioni che soffrono di conflitti prolungati, il tessuto sociale ne risente molto. Pertanto, se il conflitto continua, ci vorranno decenni prima che l’Ucraina risolva tutti questi problemi. Per esempio, noi abbiamo impiegato due decenni, ma non siamo ancora riusciti a soddisfare tutti i bisogni sanitari della nostra società’, stima il Dottor Majrooh.

Il documento costitutivo dell’OMS del 1948 afferma che: ‘La salute di tutti i popoli è una condizione fondamentale della pace e della sicurezza mondiale; essa dipende dalla più stretta cooperazione possibile tra gli individui e tra gli Stati’. Anche la Carta di Ottawa, a sua volta, considera la pace come il principale determinante della salute.

Quale ruolo devono svolgere i professionisti della salute pubblica nel contesto del conflitto armata?

Come suggerisce la Prof.ssa Bettina Borisch, i professionisti della salute pubblica devono svolgere un ruolo vitale in tempi di conflitto armato, sensibilizzando sulle conseguenze devastanti della guerra, sostenendo la pace e lavorando per prevenire i focolai di guerra e i loro esiti più gravi.

‘Le guerre sono evitabili e noi, come operatori della sanità pubblica, dobbiamo fare di tutto per raggiungere questo obiettivo. Il nostro compito migliore è quello di fare promozione per prevenire le malattie. Nel contesto della guerra e dei conflitti armati, dobbiamo agire contro le cause principali della guerra: l’iniquità, la povertà e l’iniqua distribuzione del potere, quindi è molto importante per gli operatori della sanità pubblica comprendere il contesto politico dei problemi che dobbiamo affrontare’, sottolinea la professoressa.

Sanità, Fadoi: 52% medici in burnout, 1 su 2 pensa di licenziarsi

Sanità, Fadoi: 52% medici in burnout, 1 su 2 pensa di licenziarsiRoma, 6 mag. (askanews) – Depressi, stressati e in perenne carenza di sonno per orari di lavoro che vanno ben oltre il lecito, carichi di lavoro impossibili da gestire. Il tutto aggravato da mancanza di riconoscimento del valore di quanto con competenza professionale si fa, un numero di pazienti per medici e posti letto che rende quasi impossibile instaurare un rapporto empatico con i pazienti e la burocrazia che rende tutto ancora più difficile. C’è questo e di più in quello che in gergo tecnico si definisce “Sindrome da burnout”, quell’insieme di sintomi determinati da uno stato di stress permanente con il quale devono vivere il proprio lavoro il 52% dei medici e il 45% degli infermieri che prestano la loro opera nei reparti ospedalieri di medicina interna. Quelli che da soli assorbono un quinto di tutti i ricoveri in Italia. Una minaccia per la loro salute ma anche per quella degli assistiti, visto che lavorare quando si è in burnout significa alzare di molto le possibilità di commettere un errore sanitario, che in Italia sarebbero circa 100mila l’anno.

A fornire la fotografia di medici e infermieri “sull’orlo di una crisi di nervi” è la survey condotta da Fadoi, la Federazione dei medici internisti ospedalieri, su un campione rappresentativo di oltre duemila professionisti sanitari e presentata a Milano al 28° Congresso Nazionale della Federazione. In totale a dichiararsi in “burnout” è il 49,6% del campione ma la percentuale sale al 52% quando si parla di medici, per ridiscendere al 45% nel caso degli infermieri. E in entrambi i casi l’incidenza è più del doppio tra le donne, dove permane la difficoltà di coniugare il tempo di lavoro con quello assorbito dai figli e la famiglia in genere. Anche se poi c’è un inedito e positivo rovescio della medaglia, costituito dalla larga maggioranza di medici e infermieri ancora gratificati dal proprio lavoro e dal rapporto con i pazienti.

Ad influire sullo stato di stress cronico è anche il fattore età, visto che sotto i trent’anni la percentuale di chi è in burnout cala al 30,5%. Fatto è che proiettando i dati più che significativi delle medicine interne sull’universo mondo dei professionisti della nostra sanità pubblica abbiamo oltre 56mila medici e 125.500 infermieri che lavorano in burnout. E che per questo motivo incappano in qualche inevitabile errore. Uno studio condotto dalla Johns Hopkins University School of Medicine e dalla Mayo Clinic del Minnesota ha rilevato almeno un errore grave nel corso dell’anno nel 36% dei camici bianchi in burnout. Percentuale che proiettata sul totale dei nostri medici da un totale di oltre 20mila errori gravi. Discorso analogo per gli infermieri. Qui una serie di studi internazionali raccolti dalla Fnopi, la Federazione degli ordini infermieristici, stima siano addirittura il 57% gli errori clinici più o meno gravi commessi nell’arco di un anno. Dato che applicato sul numero degli infermieri pubblici operanti in Italia in burnout da altri 71.500 errori in fase di assistenza per un totale di almeno di 92mila, sicuramente qualcuno in più considerando che uno stesso operatore può essere incappato in più di un errore nel corso dell’anno.

Lavorare sotto stress fa male agli assistiti ma anche a chi ce l’ha. “L’influenza del burnout sulle malattie professionali è un fatto oramai acclarato dalla letteratura scientifica”, afferma Francesco Dentali, Presidente Fadoi. “Il rischio di infarto del miocardio e di altri eventi avversi coronarici è infatti circa due volte e mezzo superiore in chi è in burnout, mentre le minacce di aborto vanno dal 20% quando l’orario di lavoro non supera le 40 ore settimanali salendo via via al 35% quando si arriva a farne 70. Evento sempre meno raro con il cronico sottodimensionamento delle piante organiche ospedaliere”, aggiunge Dentali. Che lavorando a ritmi e condizioni spesso insostenibili si finisca alla fine per somatizzare lo dimostra il fatto che il 61% de medici testati da Fadoi conclude la sua giornata lavorativa sentendosi “emotivamente sfinito”. Percentuale che scende al 48,4% tra gli infermieri.

Quasi il 50% di medici e infermieri in burnout pensa di licenziarsi entro l’anno. E il problema si fa ancora più sentire quando si ricopre un ruolo di responsabilità. Tra i coordinatori infermieristici il 45% è infatti in burnout e la stessa percentuale pensa di licenziarsi entro l’anno, lasciando così ancora più sguarnita la trincea del pubblico, magari per andare a rinforzare quella del privato o di qualche altro Paese, dove le retribuzioni arrivano ad essere anche il doppio di quelle del nostro Ssn. Senso di frustrazione, sensazione di non riuscire ad andare avanti e senso di colpa per avere dovuto trascurare qualche paziente sono tra i sentimenti più ricorrenti tra i coordinatori infermieristici.

Percentuali appena più basse si rilavano tra i coordinatori medici, dove in burnout è il 31,8%, mentre la percentuale di chi pensa di licenziarsi entro l’anno è del 47,4%. Qui a sentirsi “emotivamente sfinito” è l’80% del campione, mentre il senso di frustrazione accompagna il 60% di loro e il 70% sente di non poter assolvere adeguatamente ai propri compiti. Percentuali simili a quelle rilevate per i medici in corsia, dove però scende al 53% la sensazione di trattare adeguatamente in modo troppo impersonale i propri pazienti.

Il risvolto positivo della medaglia: professionisti sanitari ancora motivati e gratificati dal loro lavoro.

La ricerca Fadoi contiene però anche un positivo e inedito rovescio della medaglia. Nonostante le difficili se non impossibili condizioni di lavoro e il risvolto che queste hanno su psiche e salute dei professionisti sanitari, tanto la stragrande maggioranza dei medici che quella degli infermieri “sente di aver affrontato efficacemente i problemi dei propri pazienti” e di “aver realizzato molte cose nel corso della propria attività lavorativa”. Mentre nello specifico l’84% dei camici i bianchi “crede di influenzare positivamente la vita delle altre persone con il proprio lavoro” e nel 73% dei casi si sente “rallegrata dopo aver lavorato con i propri pazienti”.

“E’ proprio da questo senso di attaccamento alla propria mission e dalla realizzazione di se in un lavoro che nonostante tutto e tutti salva vite e aggiunge qualità agli anni di ciascuno che bisogna ripartire se veramente si ha a cuore il destino della nostra sanità pubblica”, commenta Dentali. “E per farlo occorre rendere nuovamente attrattive tra i giovani tanto la professione medica che quelle infermieristica. Portando a un livello di dignità professionale retribuzioni che sono tra le più basse d’Europa, ma riqualificando anche formazione e condizioni lavorative”, conclude il Presidente Fadoi.

“Il lavoro sanitario ai tempi del burnout nuoce tanto alla salute dei cittadini che a quella di medici e infermieri”, commenta a sua volta il presidente della Fondazione Fadoi, Dario Manfellotto. “Un problema -prosegue- tanto più sentito nei reparti di medicina interna, che una anacronistica e vetusta classificazione ministeriale con il codice 26 definisce ancora a bassa intensità di cura, quando basta scorrere l’elenco delle cartelle cliniche per capire che i nostri sono pazienti complessi che necessitano di medio-alta intensità di cura”. “Un problema che sembra di natura burocratico-amministrativa m che in realtà si traduce in una sotto dotazione sia in termini di organico che di tecnologia”, conclude Manfellotto. Che chiede di “ridefinire gli standard di personale sanitario ancora vincolati a un vecchio decreto emesso da Donat Cattin”.

Salute, Congresso WFPHA: affrontare sfide se in grado di immaginarle

Salute, Congresso WFPHA: affrontare sfide se in grado di immaginarleRoma, 5 mag. (askanews) – Nel febbraio 2022, la Federazione Mondiale delle Associazioni di Sanità Pubblica (WFPHA) ha incoraggiato l’uso di strumenti di simulazione per migliorare la capacità dell’umanità di gestire le pandemie e altre minacce globali. E così i delegati del 17° Congresso mondiale sulla sanità pubblica (2-6 maggio, Roma), la comunità della salute pubblica nel suo complesso e i membri della società civile, sono invitati a contribuire all’ulteriore esplorazione di questo metodo.

‘Quello che verifichiamo è che i problemi di salute pubblica diventano visibili solo durante la crisi. Per questo dobbiamo fare lo sforzo di immaginare cosa serve alle sfide globali e produrre uno sforzo predittivo. E un impegno estremamente difficile perché le situazioni diventano sempre più complesse. La comunità della salute pubblica appare impotente di fronte a questo problema. Credo che il 17° Congresso mondiale sulla sanità pubblica potrà offrire alla comunità sanitaria l’opportunità di riflettere sul proprio ruolo’, sottolinea il Prof. Alejandro Jadad, medico del Centre for Digital Therapeutics, uno dei promotori dell’Esperimento mentale. Le capacità della mente umana di immaginare il futuro ci consentono di viaggiare nel tempo e nello spazio. Scienziati e filosofi utilizzano queste capacità per creare situazioni ipotetiche, note anche come Esperimenti mentali, per esplorare approcci alternativi a questioni complesse, in particolare quando si tratta di sfidare la norma esistente.

La creazione di un Esperimento di pensiero, utilizzato da Albert Einstein in alcuni dei suoi studi più importanti, prevede cinque fasi: a partire da un’ipotesi o domanda, seguita da ipotesi, uno scenario ipotetico, analisi mentale e comunicazione dei risultati ad altri. ‘Lo scenario del nostro studio è interamente fittizio, pertanto non è ancora una raccomandazione o una proposta di azione. Il nostro obiettivo principale è aiutare le persone a riflettere collettivamente sui fallimenti dell’attuale governance sanitaria globale. Ciò che ci ha colpito davvero è che nel 2019 erano in vigore regolamenti sanitarie internazionali e tuttavia i Paesi più quotati in termini di capacità di risposta alla crisi epidemica hanno fallito. E allora non è un problema di regolamenti e leggi, ma di come i membri dell’OMS e delle Nazioni Unite hanno agito nell’assunzione delle loro responsabilità in materia di protezione della salute delle persone’, spiega il Prof. Luis Eugenio de Souza, presidente della WFPHA.

‘L’Esperimento mentale di proiettarci nel futuro è uno strumento molto potente. Invitiamo le persone a esercitare il potere della loro immaginazione e a creare situazioni che, grazie alle conoscenze acquisite durante la pandemia, ci permetteranno di trovare soluzioni ai problemi che dobbiamo affrontare oggi’, precisa il Prof. Jadad. Come funziona l’esperimento: nello scenario ipotetico, un team di esperti di salute pubblica nel 2023 scopre una macchina del tempo che potrebbe riportarli all’inizio della pandemia.

Dopo un’approfondita ricerca, il team ha individuato un gruppo di persone affidabili in grado di rappresentare gli interessi dell’umanità e di garantire un uso equo ed efficiente delle risorse per arrestare la diffusione del virus e mitigare le conseguenze della pandemia. Questo gruppo è stato chiamato Consiglio per la Protezione della Salute Planetaria (Planetary Health Protection Council/PHPC). La macchina ha trasportato il team al quartier generale delle Nazioni Unite a New York, dove è arrivato l’11 marzo 2020, durante la dichiarazione del Presidente del Consiglio di Sicurezza. Per esplorare il potenziale degli esperimenti di pensiero per superare i limiti e stimolare nuove riflessioni su come affrontare le pandemie e altre minacce esistenziali, è stata formulata una domanda ipotetica:

Se avessimo il potere di tornare indietro nel tempo e aggiungere una sola risorsa a quelle disponibili l’11 marzo 2020 per rispondere alla pandemia COVID-19, in modo da poterne cambiare il corso in meglio, quale sceglieremmo?

– La risposta a questa domanda riguarda il fallimento nel coordinamento. Manca del tutto un’azione coordinata per una risposta efficace e questo ci rende incapaci di affrontare non solo la pandemia, ma anche il cambiamento climatico, la siccità, la fame e la guerra’, afferma il Prof. Jadad.

– Siamo giunti alla conclusione che nel 2020 all’umanità mancava un sistema di governance a livello di specie. Mancava la responsabilità sulle questioni che andavano oltre la giurisdizione nazionale. Per poter procedere verso un’efficace governance globale, dobbiamo sollevare alcune domande specifiche per promuovere un’ulteriore riflessione sull’argomento: 1) fino a che punto può spingersi la sovranità nazionale? 2) cosa si può fare per proteggere il meccanismo decisionale democratico e come questo può combinarsi con quello globale?’, aggiunge il Prof. de Souza.

Il Prof. Luis Eugenio de Souza osserva inoltre che durante la pandemia il processo decisionale è stato sbilanciato, ecco perché è estremamente importante creare un sistema completamente nuovo, trasparente e imparziale. Questo ruolo può essere potenzialmente svolto dal sopra menzionato Consiglio per la Protezione della Salute Planetaria (PHPC).

La composizione immaginaria del PHPC:

-Il settore governativo: Capi di Stato di tutti i membri dell’ONU. Ruolo: Fornire una leadership politica di alto livello per un’azione rapida e coordinata. azione rapida e coordinata, con la consulenza delle agenzie specializzate delle Nazioni Unite

– Il settore aziendale: Membri del Forum economico mondiale (WEF) Ruolo: Facilitare l’impiego di risorse tecniche e finanziarie private all’interno e oltre i confini nazionali.

– Settore accademico: Esperti selezionati dall’Associazione internazionale delle università. Ruolo: Rafforzare il processo decisionale basato sull’evidenza da parte degli altri gruppi.

– Società civile: Leader selezionati tra le 24.000 entità registrate nel Sistema integrato delle organizzazioni della società civile. Sistema Integrato delle Organizzazioni della Società Civile. Ruolo: Coinvolgere le comunità, in particolare dare voce alle popolazioni svantaggiate.

‘Vorrei sottolineare che la nostra proposta di creare il PHPC non è abbastanza matura e quindi può essere modificata. Vogliamo solo metterla sul tavolo e aprire una discussione non solo con gli esperti e i leader politici, ma anche ascoltare le comunità locali e le persone che hanno sofferto molto ma non hanno avuto finora la possibilità di esprimersi. Vogliamo creare una rappresentanza che dia la parola a tutti coloro che vogliono partecipare’, precisa il presidente del WFPHA.

Due strutture indipendenti e strettamente correlate completano il PHPC:

– Una piattaforma digitale per facilitare la partecipazione trasparente ed equa di campioni rappresentativi della popolazione mondiale alle decisioni chiave (ad esempio, blocco dei vaccini, certificazione dei vaccini)

– Un sistema di strumenti virtuali e personali progettati per incoraggiare e facilitare l’impegno della comunità in questioni controverse e situazioni conflittuali, dai villaggi all’intero globo.

Sul 17° Congresso mondiale di sanità pubblica:

Dal 2 al 6 maggio 2023, oltre 3.000 professionisti e ricercatori della salute pubblica, politici e studenti si riuniranno a Roma, in Italia, per il 17° Congresso mondiale sulla salute pubblica, un evento epocale organizzato dalla Federazione mondiale delle associazioni di salute pubblica (WFPHA) in associazione con la Società italiana di igiene, medicina preventiva e sanità pubblica (SItI) e l’Associazione delle scuole di sanità pubblica della regione europea (ASPHER). Il tema del congresso, ‘Un mondo in fermento: Opportunità di concentrarsi sulla salute pubblica’, riflette l’impegno della comunità sanitaria globale a lavorare insieme per promuovere l’equità nella salute, costruire un futuro sostenibile ed equo e dare alle comunità la possibilità di essere più reattive. L’evento, suddiviso in sessioni plenarie, workshop e dialoghi sulla leadership mondiale, promuoverà la collaborazione e la co-creazione di una visione basata sulle conoscenze professionali e sulle esigenze delle comunità per salvaguardare e nutrire un mondo che richiede guarigione e protezione.

Covid: nuovi casi in calo (-10%) ma aumentano i morti (+6,4%)

Covid: nuovi casi in calo (-10%) ma aumentano i morti (+6,4%)Milano, 5 mag. (askanews) – Cala la percentuale di nuovi contagi da Covid 19. Stando a quanto emerge dal bollettino del Ministero della Salute sull’andamento della situazione epidemiologica nella settimana compresa tra il 28 aprile e il 4 maggio, i nuovi casi positivi sono stati 20.822, in calo del 10,0% rispetto alla settimana precedente. In aumento, invece, il numero di morti: sono stati 166, il 6,4% in più rispetto alla settimana precedente.

Il tasso di positività, calcolato sulla base dei 324.660 tamponi processati (il 2,5% in rispetto alla settimana precedente) è sceso al 6,4%, in calo dello 0,5% rispetto alla settimana precedente quando era stato pari al 6,9%.

Lotta a infezioni ospedaliere: arriva Carta qualità e sicurezza cure

Lotta a infezioni ospedaliere: arriva Carta qualità e sicurezza cureRoma, 5 mag. (askanews) – Dieci punti chiave e quarantasette azioni concrete per migliorare la qualità e la sicurezza delle cure in ospedale, attraverso impegni che coinvolgono reciprocamente le aziende socio-sanitarie, i cittadini e le istituzioni. È questo l’obiettivo della Carta della qualità e della sicurezza delle cure, promossa da Cittadinanzattiva da oggi online in occasione della Giornata Mondiale del lavaggio delle mani, e realizzata con il contributo di rappresentanti delle istituzioni, dei professionisti sanitari, delle società scientifiche, delle associazioni di pazienti. Il grande tema che ha ispirato il lavoro della Carta è relativo al rischio infettivo correlato all’assistenza sanitaria e alla diffusione dell’antimicrobico resistenza, due fenomeni che, per numeri e conseguenze, possono avere un impatto grave sulla salute dei cittadini e sulla sostenibilità anche economica dei servizi sanitari. Secondo l’ultimo rapporto dell’OMS ‘Global report on infection prevention and control’, ogni 100 pazienti ricoverati nelle strutture ospedaliere, ben 7 nei Paesi ad alto reddito e 15 in quelli a basso e medio reddito contraggono un’infezione. Uno su dieci va incontro al decesso. Il 70% di questi, dice l’Oms, potrebbe essere evitato attraverso una maggiore prevenzione, formazione del personale per l’implementazione dei protocolli di sicurezza e una migliore igiene negli ambienti ospedalieri.

Dieci i punti chiave della Carta: maggiore trasparenza; umanizzazione ed informazione; responsabilità chiare; risorse; sorveglianza e controllo delle infezioni e dell’antimicrobico resistenza; procedure di igiene, sterilizzazione e sanificazione; motivazione, consapevolezza, comportamenti responsabili; organizzazione a prova di sicurezza e qualità; partecipazione: informazioni e confronto. Fra le azioni concrete previste dalla Carta, eccone alcune: le aziende rendono evidenti e accessibili sui propri siti istituzionali informazioni inerenti le misure adottate per la prevenzione e la gestione delle infezioni correlate all’assistenza (ICA), individuano in maniera chiara le figure di riferimento definendo responsabilità, compiti e funzioni e promuovendo il lavoro in team per la prevenzione delle infezioni e la gestione del rischio clinico, promuovono la collaborazione con Associazioni civiche e di pazienti all’interno dei Comitati Infezioni Ospedaliere; i cittadini si impegnano a rispettare il decoro degli ambienti e utilizzare con cura i servizi offerti, e a prestare attenzione ai percorsi e ai divieti di ingresso in ambienti dedicati ai professionisti e asettici, seguono tutte le indicazioni ricevute dai professionisti (ad esempio, preparazione prima di un intervento, esame o prestazione, aderenza alle terapie) e adottano comportamenti responsabili, al fine di contribuire alla propria e altrui sicurezza. “Accanto all’impegno delle aziende sanitarie nel seguire i protocolli di sicurezza e incentivare la formazione del personale, crediamo che sia fondamentale promuovere campagne di informazione e educazione sanitaria rivolte ai cittadini per contribuire a prevenire le infezioni in ospedale, attraverso l’adozione di comportamenti corretti, e per ridurre il fenomeno dell’antimicrobico resistenza, attraverso un uso corretto e consapevole degli antibiotici. Su questo Cittadinanzattiva è impegnata anche all’interno delle scuole attraverso iniziative di formazione ed informazione rivolte alle giovani generazioni sul tema dell’educazione al benessere e alla salute. Questa Carta testimonia un ulteriore importante impegno che insieme alle aziende sanitarie e alle istituzioni ci assumiamo per promuovere la sicurezza delle cure nelle strutture sanitarie”, dichiara Anna Lisa Mandorino, segretaria generale di Cittadinanzattiva.

“La Carta è uno strumento dinamico che va nella direzione del miglioramento della sicurezza delle cure ospedaliere. Abbiamo messo in campo questa iniziativa consapevoli che il coinvolgimento reciproco delle aziende socio-sanitarie e dei cittadini è essenziale per raggiungere questo obiettivo. Per dare la possibilità a ciascuna azienda di rendere evidente il proprio impegno nel migliorare i propri servizi, Fiaso e Cittadinanzattiva riconosceranno un bollino al momento della sottoscrizione della Carta. Non si tratta di una valutazione ma di un’occasione per sensibilizzare ciascuno sull’importanza della prevenzione delle infezioni correlate all’assistenza. Insieme, possiamo lavorare per garantire un ambiente ospedaliero sicuro e di alta qualità per tutti i pazienti”, dichiara Giovanni Migliore, presidente della Fiaso. Per maggiori informazioni sul progetto e per le aziende sanitarie che vogliono aderire alla Carta, i siti web di Cittadinanzattiva e di Fiaso.

Salute, Congresso mondiale WFPHA: ‘Covid-19: lezioni imparate?’

Salute, Congresso mondiale WFPHA: ‘Covid-19: lezioni imparate?’Roma, 4 mag. (askanews) – Il 17° Congresso Mondiale di Sanità Pubblica (2-6 maggio, Roma) coincide con un momento critico per la sanità pubblica, chiamata a fare i conti con i resti della pandemia Covid-19 e i significativi cambiamenti prodotti, a cominciare l’aumento delle disuguaglianze in termini di risposte di salute. Una scelta fortemente voluta quella di dedicare una delle sessioni plenarie chiave dell’evento a: Covid-19: The Ongoing Challenge, Lessons Learnt, and How to Prevent the Next Pandemic.

L’epidemia di Covid-19 ha causato la morte di quasi 7 milioni di persone in tutto il mondo. La recente pandemia è stata uno stress test formidabile per la sanità pubblica di tutti i Paesi: ha esaminato la resilienza dei sistemi sanitari globali e ha messo in luce le debolezze dei processi di approvvigionamento pubblico. I fattori di criticità nella gestione della Covid-19 hanno portato il settore sanitario – solitamente ai margini del dibattito politico e ampiamente trascurato dai media – al centro della scena. Perché la situazione è andata fuori controllo?

“Nessuno Stato al mondo ha adottato una strategia perfetta durante la pandemia. Tuttavia, alcuni Paesi, come ad esempio il Regno Unito, gli Stati Uniti e il Brasile, hanno pagato un prezzo molto alto in termini di perdite e di deceduti perché i loro governi, condizionati direttamente dall’opinione pubblica, non hanno ascoltato gli scienziati, non hanno imposto subito un regime di lockdown e non hanno applicato misure essenziali per la salute pubblica”, sottolinea Walter Ricciardi, Professore di Igiene e Medicina Preventiva presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore e consulente scientifico del Ministro della Salute per l’emergenza COVID-19 dal 2020 a settembre 2022. “È necessario sottolineare – suggerisce il Professore – che la responsabilità è ancora nelle mani dei governi nazionali. In alcuni casi, la differenza tra la risposta globale e quella nazionale è stata molto divergente”. Ricciardi ha anche sottolineato che la cosiddetta “infodemia (*informazioni false e fuorvianti sull’epidemia) ha portato alla sfiducia nelle autorità sanitarie e ha minato la risposta della sanità pubblica”. “La pandemia Covid-19 non è caduta dal cielo, non è stato il primo campanello d’allarme di questo giovane secolo – abbiamo avuto l’influenza aviaria (H5N1), l’influenza suina (H1N1), Ebola, e in alcune regioni anche Zika e poi alla fine abbiamo affrontato il Covid. Dopo ognuna di queste crisi, esperti indipendenti di tutto il mondo hanno esaminato ciò che i governi hanno fatto bene e ciò che hanno fatto male, ciò che l’OMS ha fatto bene o male e ciò che è necessario fare in futuro. Già nel 2015 sono state formulate una serie di raccomandazioni. I Paesi non hanno affrontato prima le cause profonde per essere meglio preparati alla pandemia. Avevamo bisogno di una comprensione completa delle debolezze dei Paesi e di un’azione risoluta per mitigarle. Purtroppo, ciò non è avvenuto”, sottolinea il dottor Rüdiger Krech, alto funzionario dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

Cosa ci insegna o dovrebbe insegnare la Covid-19? Ora che la pandemia Covid-19 è in uno stato di transizione, è il momento ideale per riflettere sulle preziose lezioni che abbiamo imparato.

“Direi la pandemia ha impartito lezioni. Fondamentali. Non sono certo che i governi le abbiano comprese”, afferma Ricciardi evidenziando due principali temi su cui concentrarsi: – investimenti sanitari mirati, essenziali per rafforzare i sistemi sanitari pubblici e prevenire le pandemie in futuro;

– la necessità di un atteggiamento più determinato e meno egoista verso gli investimenti nella collaborazione globale e nel capitale umano

E se la prossima pandemia si verificasse domani?

È impossibile prevedere quando si verificherà la prossima pandemia, ma secondo gli esperti è inevitabile. È quindi estremamente importante capire se gli attuali sistemi sanitari nazionali sono pronti ad affrontare un’altra grande sfida.

“Non si tratta di stabilire se assisteremo o meno a epidemie o pandemie, ma solo quando le affronteremo. L’errore più grande sarebbe quello di ignorare le debolezze che vediamo nei nostri Paesi e che vediamo a livello globale. Con il passare della pandemia, abbiamo imparato molto su come si evolve; e ogni pandemia si evolve in modo diverso. Pertanto, impareremo sempre con lo sviluppo della pandemia, ma è necessario mantenere i principali punti di riferimento (ad esempio, la distanza sociale) e affrontare i 30 principali rischi che possono potenzialmente portare alla prossima emergenza sanitaria”, sottolinea il Dottor Krech.

“La risposta dipende dal Paese, ma purtroppo la maggior parte dei Paesi non è pronta. Alcuni sono troppo rilassati e sembra che non abbiano tratto alcuna esperienza della precedente pandemia. Come vediamo, si investe meno denaro nella sanità pubblica e in particolare nell’assistenza pubblica”, afferma Walter Ricciardi, il cui unico ottimismo conta sulla risposta dei professionisti sanitari, perché “ora abbiamo sicuramente più esperienza”.

Soluzioni sul tavolo:

Nel marzo 2023 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha avviato i negoziati per un accordo globale sulla prevenzione, la preparazione e la risposta alle pandemie, utilizzando la “bozza zero” come base per negoziare un accordo per proteggere le nazioni e le comunità da future emergenze pandemiche. “Il trattato globale sulle pandemie dovrebbe essere il primo passo verso la gestione globale della futura pandemia. Abbiamo discusso questo documento negli ultimi due anni ma devo ammettere che siamo ancora molto lenti perché i paesi principali non sono favorevoli a questa iniziativa. Il secondo e il terzo passo dovrebbero essere sicuramente un maggiore investimento nel sistema di assistenza sanitaria pubblica e un migliore coordinamento” – conclude il Prof. Ricciardi.

Secondo il Dottor Krech, nella promozione della salute è molto importante “co-progettare, responsabilizzare e includere nelle politiche e nelle raccomandazioni le persone che vogliamo raggiungere” e capire “come si comportano le persone e cosa accettano e non accettano”.

E a livello internazionale la collaborazione deve essere considerata un elemento essenziale.

“I virus non conoscono confini e per il futuro dobbiamo ricordare che nessun Paese è sicuro finché tutti i Paesi non lo sono”, conclude il Dottor Rüdiger Krech.

Sul 17° Congresso mondiale di sanità’ pubblica:

Dal 2 al 6 maggio 2023, oltre 3.000 professionisti e ricercatori della salute pubblica, politici e studenti si riuniranno a Roma, in Italia, per il 17° Congresso mondiale sulla salute pubblica, un evento epocale organizzato dalla Federazione mondiale delle associazioni di salute pubblica (WFPHA) in associazione con la Società italiana di igiene, medicina preventiva e sanità pubblica (SItI) e l’Associazione delle scuole di sanità pubblica della regione europea (ASPHER). Il tema del congresso, “Un mondo in fermento: Opportunità di concentrarsi sulla salute pubblica”, riflette l’impegno della comunità sanitaria globale a lavorare insieme per promuovere l’equità nella salute, costruire un futuro sostenibile ed equo e dare alle comunità la possibilità di essere più reattive. L’evento, suddiviso in sessioni plenarie, workshop e dialoghi sulla leadership mondiale, promuoverà la collaborazione e la co-creazione di una visione basata sulle conoscenze professionali e sulle esigenze delle comunità per salvaguardare e nutrire un mondo che richiede guarigione e protezione.

Tumori sangue:proteine proteggono intestino da complicanza post-trapianto

Tumori sangue:proteine proteggono intestino da complicanza post-trapiantoRoma, 4 mag. (askanews) – Uno studio coordinato dalla Fondazione Tettamanti, in collaborazione con Sapienza Università di Roma e altri centri di ricerca italiani, ha scoperto che l’interazione tra due proteine può essere decisiva per contrastare una delle più frequenti complicanze causate dal trapianto da donatore di cellule staminali ematopoietiche (quelle in grado di generare tutte le altre cellule del sangue). Strumento prezioso per contrastare i tumori del sangue, il trapianto causa in circa il 60% dei pazienti una patologia definita GvHD, Graft-versus-Host Disease che causa infiammazione e danno nei tessuti dell’intestino.

Al centro dello studio sono la chemerina e il suo recettore, un’altra proteina indicata con la sigla CMKLR1, presente sulla superfice di alcuni leucociti, tra cui i macrofagi, cellule di prima linea nella difesa dagli agenti patogeni e fondamentali per eliminare i “rifiuti” presenti nei tessuti danneggiati. E’ stato osservato che CMKLR1 interagendo con chemerina, promuove l’azione protettiva dei macrofagi a livello dell’intestino infiammato e danneggiato a causa della GvHD. Lo studio, condotto su modelli animali e grazie all’osservazione del plasma di 71 pazienti sottoposti a trapianto di cellule staminali, è stato pubblicato sulla rivista scientifica internazionale JCI -The Journal of Clinical Investigation – Insight. I risultati osservati, se confermati in un gruppo più ampio di pazienti, potranno confermare il ruolo del sistema chemerina/CMKLR1 nel controllo dell’infiammazione intestinale.

«Il nostro studio evidenzia, per la prima volta, un coinvolgimento importante dell’asse chemerina/ CMKLR1 nella modulazione dell’infiammazione che accompagna la GvHD intestinale e l’importante ruolo protettivo svolto dai macrofagi attraverso l’espressione del recettore CMKLR1 – spiega Giovanna D’Amico, ricercatrice della Fondazione Tettamanti e ultimo autore dello studio -. La nostra scoperta evidenzia l’importanza del sistema chemerina/CMKLR1 come possibile meccanismo da sfruttare terapeuticamente per incrementare la presenza di macrofagi, con azione protettiva, nell’intestino, al fine di ridurre il danno intestinale e proteggere i pazienti dalla GvHD. Inoltre, abbiamo dimostrato come l’aumento della concentrazione ematica di chemerina nei pazienti trapiantati, preceda la comparsa della GVHD. Chemerina potrebbe quindi fungere da precoce biomarcatore predittivo dell’insorgenza di questa complicanza, permettendo l’inizio tempestivo di una terapia personalizzata». La ricerca è stata coordinata da Giovanna D’amico ed Erica Dander, ricercatrici della Fondazione Tettamanti, in collaborazione con la Pediatria della Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza, il team del professor Silvano Sozzani della Sapienza Università di Roma, l’Humanitas Clinical and Research Center, l’Humanitas University, la Fondazione Unimi, l’Università degli Studi di Milano, l’Università degli Studi di Milano Bicocca, l’Università di Brescia, la Divisione di ematologia e l’unità di midollo osseo del San Gerardo dei Tintori di Monza.

Al Gemelli primo trapianto fegato da donatore a cuore non battente

Al Gemelli primo trapianto fegato da donatore a cuore non battenteRoma, 4 mag. (askanews) – Un paziente deceduto per arresto cardiaco, ha donato il proprio fegato per salvare la vita ad un uomo affetto da cirrosi epatica con epatocarcinoma. Nella notte tra sabato 29 e domenica 30 aprile, è stato effettuato presso il Policlinico Universitario Agostino Gemelli un trapianto di fegato da donatore a cuore non battente (DCD). È la prima volta per il Policlinico Gemelli e la seconda volta che questo accade nel Lazio. Il ricevente è un paziente di 70 anni affetto da cirrosi epatica con epatocarcinoma; il donatore, un paziente di 56 anni. “Questa tipologia di donazione – spiega Salvatore Agnes, Ordinario di Chirurgia Generale, Direttore Unità Operativa Complessa di Chirurgia Generale e dei Trapianti d’organo, Direttore Centro Trapianti di Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS – ancora molto poco diffusa in Italia (rappresenta il 5% circa dei prelievi d’organo), potrebbe aumentare in maniera importante il numero dei potenziali donatori per le 8 mila persone in lista trapianto d’organo nel nostro Paese. Ma si tratta di una procedura più complessa dal punto di vista organizzativo, rispetto alla classica donazione da paziente a cuore battente (in ‘morte cerebrale’); per questo, sono ancora molto pochi al momento gli ospedali italiani, quasi tutti al Nord, in grado di effettuarla”.

Nel caso del donatore a cuore battente, anche se il soggetto è deceduto (come dimostra l’accertamento della ‘morte cerebrale’), il cuore e i polmoni continuano a far circolare sangue ossigenato a tutti gli organi, che sono dunque vitali. Nel donatore a cuore fermo invece, la morte avviene per arresto cardiaco e, a seguito di questo evento, il potenziale donatore viene sottoposto ancora per 20 minuti a monitoraggio dell’elettrocardiogramma (o ‘tanatogramma’, come prevede la legge per la constatazione della ‘morte cardiaca’). “Al termine di questi venti minuti – prosegue il professor Agnes – viene posizionato un macchinario che consente di far ricircolare sangue ossigenato negli organi interessati alla donazione. Successivamente si procede al prelievo e al trattamento dei singoli organi all’interno di una macchina di perfusione. L’elemento di complessità aggiuntiva legato alla donazione a cuore non battente – prosegue il professor Agnes – deriva dal fatto che gli organi non sono più perfusi da sangue ossigenato. Per questo è necessario procedere con l’ECMO (una pompa ossigenatrice, simile a quelle che si usano nella circolazione extracorporea degli interventi cardiochirurgici) per due-tre ore e, dopo il prelievo degli organi, ad una sorta di trattamento di rivitalizzazione aggiuntivo, che consiste nel porre gli organi nelle macchine di perfusione, dove l’organo viene conservato a freddo con un continuo lavaggio. Durante la fase dell’ECMO, si studia la funzionalità del fegato con alcuni parametri biochimici, per valutare se l’organo stia subendo un danno importante. Se è tutto a posto, si passa al prelievo degli organi; il fegato viene valutato macroscopicamente e in genere si effettua una biopsia. Fatti questi ulteriori accertamenti, si parte con il trapianto vero e proprio”. Le procedure messe in moto per questo tipo di trapianto sono dunque molto più complesse e richiedono la collaborazione di un’équipe allargata, comprendente oltre ai chirurghi trapiantatori, l’unità di donazione degli organi (che identifica i possibili donatori nelle varie terapie intensive dell’ospedale e che mette in atto tutte le procedure, interfacciandosi con il Centro Trapianti della Regione Lazio) i rianimatori intensivisti delle varie unità, gli anestesisti, i tecnici della perfusione extracorporea, la radiologia, l’anatomia patologia, la biochimica. “Mi fa piacere sottolineare – afferma Massimo Antonelli, Direttore del Dipartimento Scienze dell’emergenza, anestesiologiche e della rianimazione del Policlinico Universitario A. Gemelli IRCCS e Ordinario di Anestesiologia e Rianimazione all’Università Cattolica – come il Dipartimento di Anestesiologia e Rianimazione e dell’Emergenza abbia incisivamente agito in tutte le fasi: dal trattamento e mantenimento del donatore ad opera dei colleghi della Terapia Intensiva Neurochirurgica e del dottor Ciro D’Alò, che ha coordinato le fasi preparatorie e il rapporto con la famiglia, ai colleghi della Rianimazione che hanno approntato il complesso posizionamento del REBOA (Resuscitative Endovascular Balloon Occlusion of the Aorta) e della circolazione extracorporea (ECLS/ECMO, Extracorporeal Life Support/Extracorporeal Membrane Oxygenation), ai colleghi Anestesisti che hanno gestito le fasi intraoperatorie del trapianto con la grande esperienza che li caratterizza. Ancora una volta emerge che solo grazie ad una collaborazione e alla motivazione di una bella squadra di specialisti si possono raggiungere importanti risultati”. Gli organi che possono essere prelevati da donatore DCD sono principalmente fegato e reni. La procedura del trapianto da DCD si è sviluppata negli ultimi anni negli Usa, in Europa e nel Nord Italia; nel Centro-Sud Italia è stata finora utilizzata raramente e in maniera sporadica. Per il Lazio, questo è il secondo trapianto da DCD. “L’intervento appena realizzato – conclude il professor Agnes – ci consente quindi di chiudere il gap con i grandi centri trapianti del Nord e propone il Gemelli come uno dei punti di riferimento per questo tipo di trapianti per tutto il Centro-Sud d’Italia”.

Ricciardi: bene Oms su fine pandemia, ma Covid circola ancora

Ricciardi: bene Oms su fine pandemia, ma Covid circola ancoraRoma, 3 mag. (askanews) – La decisione di dichiarazione di fine pandemia è attesa a giorni, da parte dell’Organizazione Mondiale della Sanità, forse già domani 4 maggio. Una decisione “giusta” secondo Walter Ricciardi, che commenta così ad askanews.

“La situazione sta migliorando. Sicuramente le condizioni epidemiologiche sono imparagonabili rispetto a quelle della pandemia piena – dice il Professore Ordinario di Igiene presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore a margine del 17esimo Congresso mondiale sulla salute pubblica a Roma, un evento organizzato dalla Federazione mondiale delle associazioni di salute pubblica (WFPHA) – ed è giusto quindi che l’Oms vada in questa direzione”. “La cosa importante – sottolinea Ricciardi – è che non si pensi che è tutto finito, perché di fatto il virus continua a circolare, continua purtroppo a colpire e a far morire le persone fragili, e sono soprattutto queste che si devono proteggere, con la vaccinazione e anche con comportamenti saggi come l’uso delle mascherine in luoghi affollati”.