Skip to main content
#sanremo #studionews #askanews #ciaousa #altrosanremo

Confagicoltura: chiediamo al governo misure per la Peste suina

Confagicoltura: chiediamo al governo misure per la Peste suinaMilano, 26 mag. (askanews) – Confagicoltura chiede al governo “misure forti e risolutive che finora sono mancate” in tema di Peste Suina Africana, rilevata in Italia all’inizio dello scorso anno e da allora in continua e allarmante espansione sul territorio nazionale. A oggi la malattia della variante che si sta diffondendo in Europa è presente in Piemonte, Liguria, Lazio, Campania e Calabria.

Il presidente di Confagricoltura Massimiliano Giansanti ha scritto al ministro della Salute, Orazio Schillaci, e a quello dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida, per mettere in atto “tutte le azioni utili ad arginare, contenere ed eradicare la PSA, e che queste siano una priorità del Governo per fronteggiare questa emergenza nazionale”. “Attualmente – ha sottolineato Giansanti – l’attuazione delle misure è stata disomogenea nelle diverse realtà regionali, determinando una frammentazione degli interventi e una loro mancanza di uniformità di applicazione che hanno provocato l’espandersi dei casi di positività nei cinghiali in aree sempre più diffuse, con una minaccia concreta al sistema degli allevamenti suinicoli che non possiamo più accettare”.

La PSA – ricorda Confagricoltura – determina per le aziende di allevamento il rischio di essere incluse in zone di restrizione, con danni derivanti dall’abbattimento e distruzione dei capi allevati e dal fermo di produzione, con conseguenze anche per il prodotto destinato alle DOP della salumeria, in primis Prosciutto di Parma e Prosciutto di San Daniele. Soltanto le mancate esportazioni di carni suine e salumi italiani verso i Paesi terzi valgono 20 milioni di euro al mese. La richiesta di Confagricoltura è quindi che si concentrino le azioni di depopolamento del cinghiale in tutta Italia e che si garantisca un’adeguata capacità di intervento finanziario per gli interventi atti a compensare tutti i danni subiti dalle aziende suinicole nelle zone di restrizione in modo diretto o indiretto dal perdurare della malattia sul suolo nazionale. “Un ristoro – conclude il presidente – congruo e immediato, erogato con procedure celeri e indifferibili”.

Amplifon: formazione e sinergia con medici per cura dell’udito

Amplifon: formazione e sinergia con medici per cura dell’uditoMilano, 26 mag. (askanews) – Si apre oggi il 109esimo Congresso della Società Italiana di Otorinolaringoiatria e Chirurgia Cervico-Facciale, presieduto dal Prof. Domenico Cuda, a Milano dal 24 al 27 maggio presso l’Allianz MiCo – Milano Convention Centre (ingresso Ala Nord, Gate 14). Il Congresso SIO, di cui Amplifon Italia è partner, è il punto di riferimento per gli otorinolaringoiatri italiani e, quest’anno, il focus sull’innovazione si affianca al consolidamento della collaborazione fra colleghi e al valore della ricerca.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’ipoacusia che richiede una qualche forma di riabilitazione interessa circa 500 milioni di persone al mondo, di cui oltre 7 milioni solo in Italia, con un’incidenza del 12% e, tra gli over 65, colpisce una persona su tre. Tuttavia, solo 3 persone su 101 in Italia effettuano regolarmente dei controlli. “Secondo uno studio del Journal of Patient Preference and Adherence, la sinergia tra tutti i protagonisti coinvolti nella cura dell’udito ha un’influenza positiva sulle persone con ipoacusia. Per questo, la collaborazione fra medici ORL e audioprotesisti, a garanzia dell’accessibilità e diagnosi precoce, è essenziale per il benessere uditivo delle persone e per migliorare la loro qualità di vita. – spiega Nicoletta Mannari, Responsabile dell’Area Medica di Amplifon Italia – “Il congresso della SIO è un’importante opportunità di condivisione e dibattito sul tema e noi, anche grazie al CRS Amplifon, vogliamo essere di supporto a questa sinergia, migliorando e promuovendo la ricerca, sostenendo l’attività scientifica e l’azione capillare di divulgazione e sensibilizzazione”. Amplifon Italia rimarca l’importanza di un approccio multidisciplinare che coinvolga tutti i professionisti, dal medico specialista, all’audioprotesista, nell’influenzare l’attitudine e i comportamenti verso l’utilizzo dei dispositivi acustici e si propone di essere un punto di contatto con la comunità scientifica per favorire il benessere uditivo delle persone.

Grazie al Centro Ricerche e Studi (CRS), Amplifon promuove presso la comunità medico-scientifica la cultura del progresso e dell’innovazione attraverso formazione, ricerca, sostegno allo sviluppo professionale dei medici, corsi e conferenze in collaborazione con università e società scientifiche italiane e straniere. Il CRS Amplifon offre anche l’accesso a una delle più ricche biblioteche private in campo audiologico e otorinolaringoiatrico e, dal 2020, molte di queste pubblicazioni sono consultabili online sul sito orl.news.

Malattie cardiovascolari, giovani sottovalutano prevenzione

Malattie cardiovascolari, giovani sottovalutano prevenzioneRoma, 25 mag. (askanews) – Nonostante le malattie cardiovascolari rappresentino ancora oggi la prima causa di mortalità nel nostro Paese, responsabili del 44% di tutti i decessi, con una prevalenza più elevata della media europea (7.499 casi ogni 100mila abitanti), quasi la maggior parte dei giovani è convinta che la prevenzione sia inutile e che i loro comportamenti non influenzino la salute cardiovascolare. Lo dimostrano i dati di un un’indagine su 10mila studenti di età compresa tra i 12 e 19 anni, condotta dall’Associazione Laboratorio Adolescenza e Istituto di ricerca IARD, in collaborazione con la Fondazione A. De Gasperis di Milano. Ai partecipanti è stato chiesto quale fosse secondo loro la malattia più diffusa e quale la più grave tra quelle che causano maggiore mortalità tra tumore, malattie cardiovascolari, diabete e Covid-19. I risultati dell’indagine rilanciati e accolti con preoccupazione dagli esperti della Fondazione “Il Cuore Siamo Noi”, in occasione della giornata dedicata alla lotta ai fattori di rischio prevenibili, mostrano che i i giovani dopo la pandemia sono diventati più scettici riguardo alla prevenzione cardiovascolare e meno preoccupati della gravità e della diffusione delle malattie cardiache. Stando ai risultati dell’indagine dal 2019 a oggi la percentuale dei ragazzi che non credono esistano comportamenti idonei a prevenire le malattie cardiovascolari è aumentata dal 30% a oltre il 45%. Dimezzata invece la percezione della gravità delle patologie cardiache: in calo dal 30 al 16% tra quelle che causano maggior mortalità, tanto che i giovani ritengono il cancro ben 4 volte più mortale. “Il Covid e la complessa situazione in cui i giovani si sono ritrovati a vivere in questi anni, hanno ridotto la fiducia dei ragazzi verso la prevenzione cardiovascolare e anche la percezione della diffusione e della gravità delle malattie cardiache, spingendoli ad abbassare la guardia, anche perché l’emergenza sanitaria ha determinato la sospensione delle campagne di prevenzione cardiovascolare – commenta Francesco Barillà, Presidente della Fondazione “Il Cuore Siamo Noi”, professore Associato di Cardiologia e Direttore Scuola di Specializzazione in Malattie dell’Apparato Cardiovascolare all’Università Tor Vergata di Roma -. Tutto ciò ha comportato un eccesso di cibo compensativo, maggiore sedentarietà, aumento del consumo di alcol e fumo, tutti elementi che mettono a rischio la salute del cuore, quando buona parte delle malattie cardiovascolari sono prevenibili seguendo corretti stili di vita che dovrebbero essere messi in pratica sin dall’adolescenza”. I dati più allarmanti sul peggioramento degli stili di vita, in particolare dei più giovani, riguardano in primis il fumo. Stando ai dati dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS) emerge che il 37,5% dei ragazzi di età compresa tra 14 e 17 anni, ha già avuto contatto con il tabacco. Ancora più preoccupanti le cattivi abitudini relative a dieta ed attività fisica. Uno studio dell’Organizzazione Mondiale della Sanità mostra che l’88% dei giovani italiani di età compresa tra gli 11 e i 17 anni non raggiunge i livelli di attività fisica raccomandati e sono meno del 10% quelli che arrivano a un’ora al giorno. Sul fronte dell’alimentazione non va meglio: 3 su 10 non fanno la prima colazione con un eccessivo consumo di snack, bevande gassate e zuccherate, mentre solo una parte residuale consuma porzioni adeguate di frutta (17%) e di verdura (13%). “Tutti questi comportamenti non fanno che esporre i ragazzi a rischi cardiovascolari molto seri una volta diventati adulti – sottolinea Pasquale Perrone Filardi, Presidente SIC, professore Ordinario di Cardiologia e Direttore della Scuola di Specializzazione in Malattie dell’Apparato Cardiovascolare all’Università di Napoli Federico II -. Ma è proprio partendo da corretti stili di vita, troppo spesso sottovalutati in particolare dai giovani, che si può invertire questo trend, visto che le malattie cardiovascolari restano la prima causa di morte e una delle prime cause di ospedalizzazione nel nostro Paese. Occorre pertanto sensibilizzare a corretti stili di vita a tutte l’età. Ed è proprio la promozione e la sensibilizzazione sull’importanza della prevenzione delle malattie cardiache, come arma più efficace per combatterle, la mission che si propone di perseguire la nostra Fondazione a tutela della salute pubblica”.

Almeno 700mila adolescenti dipendenti da web, social e videogames

Almeno 700mila adolescenti dipendenti da web, social e videogamesRoma, 25 mag. (askanews) – Non sono dipendenti dalle droghe ma vivono ‘strafatti’ di TikTok, Instagram, Twitch e rischiano di perdere il senso della realtà: almeno 100 mila adolescenti italiani fra gli 11 e i 17 anni fanno un uso compulsivo e incontrollato di social e piattaforme di streaming, quasi altrettanti si chiudono per mesi in camera sostituendo il reale con l’irreale virtuale. A questi si aggiungono circa 500 mila ragazzi, soprattutto maschi, a rischio di dipendenza da videogiochi: così, mentre in Italia il tempo medio trascorso su internet si aggira attorno alle 6 ore, varie forme di dipendenza dalla tecnologia dilagano fra i giovani, complice il malessere di una generazione post-Covid in cui l’isolamento emotivo e la rottura con il mondo sociale hanno minato la salute mentale. Lo ha dimostrato un recente studio italiano promosso dal Dipartimento Politiche Antidroga della Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal Centro Nazionale Dipendenze e Doping dell’Istituto Superiore di Sanità, condotto dall’IRCCS Stella Maris e la AUSL di Bologna, discusso dagli esperti riuniti per il convegno congiunto Sinpf (Società Italiana di NeuroPsicoFarmacologia) e Sinpia (Società Italiana di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza) dal titolo: “Psicofarmacologia clinica in età evolutiva: efficacia, sicurezza e implicazioni di trattamento nelle successive età della vita”, che ha preso il via oggi a Cagliari. Stando ai dati, raccolti su oltre 8.700 studenti fra gli 11 e i 17 anni, quasi il 12% degli adolescenti, soprattutto maschi, è a rischio di dipendenza dai videogiochi e il 2,5% fa un uso compulsivo e incontrollato dei social, mentre l’1,8% si chiude per mesi in camera vivendo solo attraverso computer e smartphone. Oggi esistono sia attività di prevenzione, terapie cognitive e comportamentali, sia cure farmacologiche in grado di aiutare i giovani e giovanissimi pazienti. “I ragazzi oggi sono più spesso vittime di ansia e depressione, meno inseriti nel tessuto sociale e contemporaneamente esposti a stimoli tecnologici radicalmente diversi rispetto ai coetanei di appena vent’anni fa – aggiunge Claudio Mencacci, Co-Presidente Sinpf e direttore emerito di Neuroscienze all’Ospedale Fatebenefratelli-Sacco di Milano -. Pandemia, guerre, crisi ambientali ed economiche stanno amplificando un disagio che era già presente: la progressiva riduzione della socializzazione, la diminuzione delle relazioni affettive e di esperienze tipiche del percorso di crescita sono tutti fenomeni in continua crescita negli ultimi anni, così come la crescente pressione per la performance”. “I ragazzi oggi sono impauriti, disorientati e trovano nel web, sui social, nei videogiochi – continua Matteo Balestrieri, co-presidente Sinfp e professore di psichiatria all’Università di Udine – un mezzo per alleviare la sofferenza, la paura, l’incertezza, finendo per diventarne dipendenti: puntare sulla prevenzione, aumentando l’attenzione sulla salute mentale dei giovanissimi in famiglia e a scuola, è perciò fondamentale. Occorre osservarli, a casa e in classe, per cogliere i segnali del disagio, imparando a discriminare i segni che sono parte del fisiologico percorso dell’adolescenza dagli indicatori di un disturbo psicologico o una dipendenza comportamentale come quella da videogiochi, internet o social”.

“La frequenza di un utilizzo problematico di internet, videogame, social e piattaforme è elevata e in aumento – spiega uno degli autori dello studio, Stefano Berloffa dell’UOC di Psichiatria e Psicofarmacologia dell’Età Evolutiva, IRCCS Fondazione Stella Maris di Pisa -. La dipendenza da videogiochi, per esempio, è riconoscibile da vari segni: l’impiego nei momenti di stress, sintomi di astinenza, l’abitudine a mentire sull’uso, la perdita di controllo e degli altri interessi. Spesso si associa ad ansia, depressione, disturbo ossessivo-compulsivo, disturbi dello spettro autistico o da deficit di attenzione e iperattività: nei Paesi in cui il fenomeno dell’IEG (Internet Gaming Disorder) è ancora più diffuso sono state stilate raccomandazioni per l’uso appropriato di internet e sono stati anche realizzati programmi di prevenzione scolastici. In Asia, per esempio, dove il fenomeno è particolarmente preoccupante, si sono previste misure come il ‘coprifuoco’ per i videogame dalle 22 alle 8 del mattino, o consultori specializzati per imparare a vivere senza internet”.

Tumore prostata, Cnr: tra possibili cause l’infiammazione cronica

Tumore prostata, Cnr: tra possibili cause l’infiammazione cronicaRoma, 25 mag. (askanews) – Il tumore della prostata è la neoplasia più frequente negli uomini; per cercare di definire le possibili cause e processi che portano il tessuto prostatico sano a diventare tumorale sono stati effettuati numerosi studi e tra i più promettenti campi di ricerca in tal senso c’è l’esame dell’infiammazione cronica della prostata. Questo processo determinata infatti una serie di eventi chimici, biochimici e cellulari all’interno della ghiandola prostatica e potrebbe pertanto rappresentare un potenziale fattore di rischio di sviluppo o di progressione del tumore. Recentemente su questa forma tumorale è stato pubblicato sulla rivista internazionale Cancers uno studio, il Pros-IT2, evoluzione dello studio longitudinale “PROState cancer monitoring in ITaly project from the National Research Council (Pros-IT Cnr)”, promosso dall’Istituto di neuroscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-In) di Padova e diretto da Stefania Maggi, dirigente di ricerca della sezione di Padova-Invecchiamento del Cnr-In. Al nuovo progetto, coordinato da Mauro Gacci dell’Università di Firenze, referente italiano per il consorzio europeo Horizon 2020 sui big data del tumore di prostata (PIONEER project https://prostate-pioneer.eu/), hanno collaborato 8 centri urologici italiani che rappresentano l’eccellenza nazionale per la diagnosi e il trattamento del tumore prostatico. A proposito del Pros-IT Cnr Maggi spiega: “Oltre al coordinamento dello studio, il Cnr ha curato la creazione della banca dati ed effettuato le analisi statistiche, grazie alla stretta e continua collaborazione tra Marianna Noale, ricercatrice del Cnr-In e responsabile statistico del progetto, e i referenti clinici dei centri partecipanti. Il progetto Pros-IT Cnr – il cui scopo era monitorare la qualità della vita nei pazienti affetti da tumore di prostata – ha permesso di raccogliere dati in 97 centri di urologia, radioterapia e oncologia italiani e di rispondere a numerose e importanti questioni inerenti la qualità di vita dei pazienti trattati per tumore di prostata, evidenziando la centralità dell’approccio multidisciplinare, con oltre 10 lavori pubblicati su riviste indicizzate e numerosi contributi a congressi nazionali e internazionali negli ultimi 5 anni”.

Per il Pros-IT2, primo nel suo genere e promosso come il precedente dal Cnr-In, sono stati raccolti i dati da circa 200 pazienti, di ciascuno dei quali sono stati valutati in media 11 prelievi bioptici prostatici, per un totale di oltre 2.000 prelievi analizzati. “La maggiore criticità negli studi in questo campo è rappresentata dalla complessità nel definire e quantificare l’infiammazione prostatica. In particolare, la sede del tessuto ghiandolare interessata dal processo infiammatorio, il grado e l’estensione dell’infiammazione possono variare molto da soggetto a soggetto. Pertanto, gli studi su piccole popolazioni presenti in letteratura danno spesso risultati parziali e inconcludenti”, spiega Stefania Maggi. Lo studio ha permesso invece di definire per la prima volta con grande precisione il rapporto tra infiammazione e tumore prostatico. “In particolare, abbiamo chiarito che la presenza di infiammazione di grado elevato, localizzata in sede peri-ghiandolare (nel tessuto stromale che circonda il tessuto ghiandolare) e con un pattern di presentazione multifocale, è più frequentemente associata a neoplasia prostatica”, continua Noale. Questa importante scoperta può avere immediate ricadute cliniche, suggerendo ad esempio uno screening mirato per avere una diagnosi precoce nei soggetti con infiammazione prostatica. “L’infiammazione cronica della prostata è stata considerata per molti anni come una patologia di minore importanza rispetto all’ipertrofia benigna (ingrossamento e conseguenti disturbi urinari) o al carcinoma, e per questo spesso trascurata. Alla luce di questi nuovi dati dovremmo porre più attenzione a questa condizione che colpisce numerosi uomini e che può essere trattata correggendo stili di vita sbagliati o utilizzando terapie mirate”, aggiunge Maggi. “Le analisi sui dati dallo studio Pros-IT2 continueranno nei prossimi mesi, con l’obiettivo di approfondire le valutazioni sul rapporto tra tumore prostatico e tipologia e sede dell’infiammazione prostatica”, conclude Marianna Noale.

Studio: lo stress mette a rischio la salute dei caregivers familiari

Studio: lo stress mette a rischio la salute dei caregivers familiariRoma, 25 mag. (askanews) – Lo stress dovuto al doversi prendere cura di un familiare non autosufficiente per malattia cronica o per disabilità mette a rischio la salute dei ‘caregiver’ familiari, con le donne che sono più esposte agli effetti negativi. Lo affermano i dati di uno studio pilota presentati all’Iss al convegno su Stress, salute e differenze di genere nei “caregiver” familiari organizzato dal Centro di riferimento per la medicina di genere in collaborazione con il Centro per le Scienze comportamentali e salute mentale.

I risultati ottenuti, relativi alla somministrazione dei questionari compilati da 201 campioni nella regione Lazio, hanno evidenziato quanto lo stress sia un fattore di rischio per l’insorgenza di sintomi depressivi e di quanto le donne percepiscano un livello di stress elevato più degli uomini (34% vs 14%) e siano esposte a un maggior rischio di salute rispetto agli uomini (almeno un disturbo insorto dopo l’inizio dell’attività di caregiving: 65% vs 42%; salute attuale non buona: 67% vs 53%). Inoltre, aggiungendo un’ulteriore differenza sostanziale, le donne tendono ad avere un’alimentazione irregolare più degli uomini (44% vs 33%), mostrando un’inversione di tendenza rispetto alle donne della popolazione generale, mentre gli uomini mantengono la loro caratteristica nel maggior consumo di alcool (38% vs 22%). “Lo scopo del convegno – spiega Marina Petrini, responsabile dell’evento -, è di accrescere nei “caregiver” familiari la consapevolezza dei possibili rischi per la salute associati allo stress da carico assistenziale, considerando anche le differenze di salute genere-specifiche”.

“Mettere in evidenza le differenze di sesso e genere nello stato di salute dei “caregiver” familiari – afferma Elena Ortona, Direttrice del Centro di riferimento per la medicina di genere – è fondamentale perché sono prevalentemente le donne ad assumersi il ruolo di cura e assistenza in famiglia, ma anche perchè le disuguaglianze di genere possono causare a loro volta disuguaglianze di salute. Alla luce di ciò, le politiche socio-sanitarie regionali, nel programmare interventi di sostegno diretti ai caregiver familiari, dovrebbero considerare le differenze genere-specifiche evidence-based ai fini della prevenzione delle malattie associate allo stress”.

Malattie rare, UNIAMO: importante ok Stato-Regioni a Piano nazionale

Malattie rare, UNIAMO: importante ok Stato-Regioni a Piano nazionaleRoma, 24 mag. (askanews) – La Conferenza Stato-Regioni ha approvato il Piano Nazionale Malattie Rare (PNMR) 2023-2025. Si tratta dell’ultimo passaggio formale prima del via libera definitivo. L’approvazione arriva dopo che lo scorso 21 febbraio Marcello Gemmato, sottosegretario alla Salute, aveva annunciato il parere favorevole del Comitato Nazionale Malattie Rare (CoNaMr) al PNMR. Per l’attuazione del Piano è stato previsto uno stanziamento di 25 milioni di euro, a valere sul Fondo sanitario nazionale, per ciascuno degli anni 2023 e 2024. Un risultato importante, che UNIAMO – Federazione Italiana Malattie Rare attendeva da tempo.

“Abbiamo lavorato tre anni per arrivare a questo Piano, siamo contenti sia arrivata la spinta decisiva per la sua approvazione. Siamo grati anche al Ministro della Salute Schillaci per aver mantenuto la promessa del 28 febbraio di stanziare fondi ad hoc. Ora dobbiamo lavorare tutti insieme per riuscire a dare concretezza a quanto scritto”, ha dichiarato Annalisa Scopinaro, Presidente di UNIAMO. Il Piano Nazionale Malattie Rare permetterà una più efficace presa in carico delle persone che vivono con malattia rara con l’obiettivo di un supporto terapeutico costante e soprattutto omogeneo su tutto il territorio nazionale.

Come dichiarato dal sottosegretario Gemmato, il PNMR ha bisogno del supporto di tutti i soggetti coinvolti: le istituzioni, le associazioni dei pazienti, i clinici e la comunità scientifica. Il Piano affronterà in modo diretto e preciso gli obiettivi su diagnosi, trattamenti, formazione e informazione per migliorare il più possibile la qualità di vita della comunità dei malati rari.

Malattie rare, Gemmato: il Piano Nazionale è realtà

Malattie rare, Gemmato: il Piano Nazionale è realtàMilano, 24 mag. (askanews) – “Il Piano Nazionale Malattie Rare 2023-2026 è finalmente realtà. Con l’approvazione ratificata oggi in Conferenza Stato-Regioni, si colma un vuoto di sette anni e si definisce una cornice di interventi precisi per dare risposte concrete alle persone con malattia rara e ai loro familiari”. Così il sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato, a margine della seduta della Conferenza Stato-Regioni conclusasi da poco, che ha sancito l’accordo sul Piano nazionale malattie rare e sul riordino della rete delle malattie rare.

“E’ un giorno importante, ma non certo un punto d’arrivo. Tutt’altro – continua Gemmato – Ora è importante spiegare il Piano in tutte le sue parti, negli obiettivi e soprattutto negli indicatori che ne definiscono il raggiungimento e tenerlo vivo mettendolo in pratica con il supporto di tutti i soggetti coinvolti: le istituzioni, le associazioni dei pazienti, i clinici e la comunità scientifica, tutta la filiera che colgo l’occasione per ringraziare sentitamente”. “Questo Governo – puntualizza ancora Gemmato – è stato fin da subito attento al tema delle malattie rare e ora potrà lavorare per concretizzare le azioni previste del Piano: migliorare l’accesso alle terapie, superare le disuguaglianze regionali, declinare e sfruttare efficacemente le reti e l’utilizzo dei dati, dare piena attuazione alla Legge 175/2021 con maggiore speditezza. Obiettivi che possiamo raggiungere grazie a un Governo forte e di mandato”.

Per l’attuazione del Piano è stato previsto uno stanziamento di 25 milioni di euro, a valere sul Fondo sanitario nazionale, per ciascuno degli anni 2023 e 2024. “Non posso che esprimere piena soddisfazione per il risultato messo a segno oggi. Sicuramente c’è ancora tanto da fare, ma sono convito che il cammino intrapreso sia quello giusto”, conclude Gemmato.

Salute mentale, Gemelli/Unicef: ansia e depressione per oltre 39% giovani

Salute mentale, Gemelli/Unicef: ansia e depressione per oltre 39% giovaniRoma, 23 mag. (askanews) – Per far fronte all’aumento dei disagi psichici fra gli adolescenti, l’UNICEF Italia, l’Unità Operativa Semplice (UOS) di Psicologia Clinica, in accordo con la Direzione Generale della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCCS ha realizzato il Progetto “#WITH YOU, Wellness Training For Health – La Psicologia con te”, i cui risultati sono stati resi pubblici oggi a Roma, in un evento in cui è stato presentato anche il video della missione realizzata dal Testimonial dell’UNICEF Federico Cesari per conoscere alcuni dei ragazzi e degli operatori coinvolti nel progetto. #WITH YOU, che nasce con l’obiettivo di promuovere un percorso di sostegno psicologico e di empowerment dedicato a pre-adolescenti e adolescenti e alle loro famiglie, particolarmente colpiti dagli effetti della pandemia da COVID-19, è durato un anno e ha coinvolto 1.571 giovani (il 46% femmine ed il 54% maschi) – di cui 971 sottoposti anche a valutazione psicodiagnostica e presi in carico e 600 coinvolti con le attività nelle scuole – e 1.942 genitori, per un totale di 3.513 beneficiari diretti e 35.130 beneficiari indiretti, attraverso percorsi di valutazione, presa in carico integrata, focus group e attività di prevenzione sulla salute mentale e il benessere psicosociale nelle scuole superiori. Le valutazioni effettuate hanno messo in luce una condizione di Disturbo Specifico di Apprendimento (DSA) e correlato disordine psicologico su 462 dei 971 ragazzi presi in carico, ovvero il 47% del nostro campione. Il 53% restante del campione presenta altre condizioni, tra cui disturbi del neurosviluppo, come disabilità intellettiva, disturbi della nutrizione, disturbo dello spettro dell’autismo, disturbo da deficit di attenzione/iperattività, disturbi del movimento, patologie neurologiche e/o neuro-muscolari. Nel campione arruolato e seguito è stato possibile constatare che in 383 valutazioni (39%) si evidenzia un’alterazione clinicamente significativa nella scala Internalizzante, costituita dalle sottoscale Ansia/Depressione (30%), Alienazione/Depressione (23%) e sintomi psicosomatici che non hanno una base medica accertata (21%); mentre in 176 valutazioni (18%) si evidenzia un’alterazione clinicamente significativa nella scala Esternalizzante, costituita dalle sottoscale Comportamento Dirompente (9%) e Comportamento Aggressivo e iperconnessione (13%). Di questi, 149 (16%), presentano una compromissione globale più marcata e generale, con alterazione della personalità su diverse dimensioni psicologiche e psichiatriche. Di tutti i ragazzi seguiti in alcuni casi è stato necessario per garantire un’integrazione scolastica, applicare delle misure di cautela per la scuola. Nello specifico: 459 ragazzi (47%) hanno avuto necessità di un Piano Didattico Personalizzato che contempla l’adozione di misure compensative e dispensative per garantire il diritto allo studio; 8 ragazzi (0,8%) hanno avuto la necessità di un BES (Bisogni Educativi Speciali); 150 ragazzi (15%) hanno avuto necessità di essere affiancati da un insegnante di sostegno; 168 ragazzi (17%) hanno avuto l’indicazione di aderire a un percorso di psicoterapia. I risultati del progetto da un lato sono drammatici: il 39% della popolazione presa in carico avverte e soffre di una sintomatologia affettiva ansioso-depressiva che potrebbe sfociare in una definitiva psicopatologia, ma anche incoraggianti perché dai dati preliminari di efficacia terapeutica si evince che alcuni disordini possono cambiare traiettoria, virare verso il benessere e la promozione della salute dei nostri ragazzi, se adeguatamente riconosciuti e “accompagnati” nella loro interezza.

Al via il congresso degli oculisti Soi, parola d’ordine “informare”

Al via il congresso degli oculisti Soi, parola d’ordine “informare”Roma, 23 mag. (askanews) – Apre le porte dal 25 al 27 maggio a Roma il 20esimo Congresso Internazionale della Società Italiana di Oftalmologia – Soi, con la parola d’ordine che quest’anno è informazione. Per garantire a tutti l’accesso a cure adeguate ed evitare il raddoppio delle persone cieche entro il 2030. In Italia ogni anno i 7.000 medici oculisti salvano la vista a 2 milioni di persone ed effettuano 15 milioni di visite specialistiche. “Focus di quest’anno – spiega Matteo Piovella, presidente Soi – sarà l’informazione: stupirò molti ma dobbiamo condividere le cose straordinarie che l’oftalmologia riesce oggi a mettere in campo ma che purtroppo non sono nella possibilità di essere diffuse. Cioè l’accesso alle cure migliori, l’accesso a queste straordinarie situazioni come per esempio la chirurgia della cataratta che elimina totalmente tutti i difetti di vista, che è un sogno del passato e oggi è realtà e praticamente nel sistema sanitario pubblico non è attuabile, lo stesso abbiamo una difficoltà di terapia per le maculopatie. Siamo sempre un po’ col fiato corto per dover condividere per informare i pazienti”.

Piovella ribadisce che è importante sottolineare che la cura della propria vista e la prevenzione si imparano sin da piccolissimi: “Le persone devono essere consapevoli quando lo possono fare ovviamente, perché c’è situazione e situazione – osserva -. Ricordo il calendario a garanzia di una vista sempre in forma: una visita medico oculistica alla nascita, entro i 3 anni di età, il primo giorno di scuola, dagli 8 ai 13 anni per prevenire la miopia che sta diventando un epidemia, poi si passa ai 40 anni. Dai 40 ai 60 anni una visita oculistica, anche se stai bene, ogni due anni e dopo i 60 anni una visita oculistica una volta all’anno”. E dal Congresso di Roma, gli specialisti SOI rinnoveranno l’appello alle Istituzioni ma anche ai medici.

“Alle Istituzioni – interviene Piovella – chiediamo di uscire da questa ghettizzazione dell’assistenza di tipo elettivo che non è prioritario e che ci fa sorella minore delle altre specialità e che quando arriviamo a chiedere sostegno per le tecnologie, che sono state la più grande positività che potevamo avere, però nel pubblico non esistono più. Agli altri medici chiediamo di avere un attimo di riguardo per l’oftalmologia. Oggi l’oftalmologia è un po’ una cosa a parte, non si è mai amalgamata, armonizzata – perché è una cosa proprio particolare – con tutta la medicina generale. Quindi attenzione e soprattutto sostegno: inviateci pazienti perché noi oggi siamo in grado di salvaguardare la vista a più di 2 milioni di persone ogni anno e lo possiamo fare solo con la collaborazione e il sostegno da parte di tutti. Da parte della politica, da parte dei pazienti e assolutamente da parte di tutti i medici che oggi operano in Italia”.