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Ambiente, la carica dei 111 Comuni Plastic Free

Ambiente, la carica dei 111 Comuni Plastic FreeRoma, 24 gen. (askanews) – Milano, Firenze, Torino e Ancona guidano la carica delle 111 amministrazioni locali, di cui 18 capoluoghi, che hanno ottenuto l’ambito riconoscimento di “Comune Plastic Free”. La terza edizione dell’iniziativa promossa da “Plastic Free Onlus”, l’organizzazione di volontariato impegnata dal 2019 nel contrastare l’inquinamento da plastica, è stata presentata oggi a Montecitorio alla presenza del vicepresidente della Camera dei Deputati, Fabio Rampelli. I Comuni hanno superato la valutazione del comitato interno basata su lotta agli abbandoni illeciti, sensibilizzazione sul territorio, gestione dei rifiuti urbani, attività virtuose dell’ente e collaborazione con la onlus. I riconoscimenti a forma di tartaruga verranno consegnati alle Amministrazioni comunali il prossimo 9 marzo presso il Teatro Carcano, a Milano.

“A tutte le 111 Amministrazioni va il nostro plauso per le azioni meritorie che portano avanti sui territori. I Comuni potranno vantare questo riconoscimento nei confronti dei propri cittadini e di tutti i visitatori. A Plastic Free Onlus faccio i complimenti per l’idea e il desiderio di coinvolgere sempre piu’ paesi affinche’ si possa passare all’attuazione pratica di cio’ che tutti noi riteniamo oramai non più rinviabile: porre un freno alla produzione di rifiuti, ad iniziare dall’insidiosa plastica che si può sostituire o riusare – prosegue – Le isole di plastica sono purtroppo realtà anche nei nostri mari e dobbiamo adoperarci non solo per raccoglierla ma per far sì che non si disperda più nell’ambiente. Dobbiamo consegnare alle nuove generazioni un Pianeta migliore che non sia ogni giorno più povero”, ha dichiarato in conferenza stampa il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli. “Dalla scorsa edizione registriamo quasi un raddoppio dei riconoscimenti a riprova della sempre maggiore attenzione che le Amministrazioni comunali ripongono su questo premio. Ciò rappresenta un grande stimolo a fare sempre più azioni concrete per l’ambiente e le future generazioni e si è già tradotto, ad esempio, nelle tante ordinanze per contrastare il volo deliberato dei palloncini nonché in innumerevoli raccolte ed iniziative per fronteggiare l’inquinamento da plastica e l’eccessivo monouso. Continueremo nel sensibilizzare sempre più cittadini, anche grazie al coinvolgimento attivo degli amministratori locali, determinante per avere un impatto importante sui diversi territori della nostra splendida Italia”, ha affermato Luca De Gaetano, fondatore e presidente di Plastic Free Onlus.

Tra le Regioni più virtuose si distingue il Veneto con 13 comuni, seguito da Lombardia, Abruzzo e Calabria con 9 paesi ciascuno. Di seguito, l’elenco completo suddiviso per Regione. Abruzzo: Chieti, Vasto, San Salvo, Casacanditella (Chieti); Alba Adriatica, Torano Nuovo, Nereto, Tortoreto, Silvi (Teramo).

Calabria: Scalea, Tortora, Diamante (Cosenza); Tropea, Parghelia (Vibo Valentia); Montepaone, Girifalco, Staletti (Catanzaro); San Ferdinando (Reggio Calabria). Campania: Falciano del Massico, Cesa (Caserta); Pomigliano d’Arco, Bacoli, Somma Vesuviana (Napoli); Benevento, Telese Terme (Benevento).

Emilia-Romagna: Alfonsine (Ravenna); Ferrara, Terre del Reno (Ferrara), Longiano (Forlì-Cesena), Sasso Marconi (Bologna). Lazio: Maenza, Pontinia, Sermoneta (Latina), Viterbo (Viterbo), Sperlonga (Frosinone), Colleferro (Roma). Liguria: Celle Ligure, Ceriale, Millesimo (Savona); Imperia (Imperia). Lombardia: Milano, Cernusco sul Naviglio (Milano); Monza, Brugherio, Villasanta (Monza Brianza); Olgiate Molgora (Lecco); Borgo Virgilio (Mantova); Pavia, Landriano (Pavia). Marche: Ancona, Polverigi, Agugliano, Osimo (Ancona); Fermo (Fermo); Pesaro (Pesaro Urbino). Molise: Termoli, Petacciato, Ururi (Campobasso); Isernia, Larino (Isernia). Piemonte: Torino, Collegno, Alpignano (Torino); Gaglianico (Biella); Cuneo (Cuneo). Puglia: Cassano delle Murge, Gioia del Colle (Bari); Ceglie Messapica (Brindisi); Mottola, Manduria, Castellaneta (Taranto); Castro, Spongano (Lecce). Sardegna: Badesi, Castelsardo, Olbia, Stintino (Sassari); Teulada (Sud Sardegna) Aglientu (Oristano); Elmas (Cagliari). Sicilia: Modica (Ragusa); Santa Teresa di Riva (Messina); Avola (Siracusa); Belpasso (Catania); Cefalù (Palermo); Castelvetrano (Trapani); Favara (Agrigento). Toscana: Firenze, Empoli, San Casciano Val di Pesa (Firenze); Prato (Prato); Calci (Pisa). Trentino-Alto Adige: Merano, Salorno (Bolzano); Vallelaghi, Sant’Orsola (Trento). Umbria: Castiglione del Lago, Corciano (Perugia). Veneto: Mogliano Veneto (Treviso); Pontecchio Polesine, Porto Viro, Taglio di Po’ (Rovigo); Verona, Caprino Veronese, Legnago (Verona); Marcon, Caorle, Jesolo, Mira (Venezia); Cittadella (Padova); Vicenza (Vicenza).

L’aria in casa è peggiore che all’aperto: a Milano maglia nera globale

L’aria in casa è peggiore che all’aperto: a Milano maglia nera globaleMilano, 17 gen. (askanews) – La qualità dell’aria all’interno delle nostre abitazioni è peggiore di quella all’aperto in quasi tutte le case. E Milano detiene questo primato, negativo, a livello globale. E’ questo in sintesi l’esito del progetto realizzato da Dyson, che ha analizzato le informazioni relative alla qualità dell’aria indoor raccolte da oltre 2,5 milioni di purificatori d’aria Dyson tra il 2022 e il 2023, delineando un quadro dettagliato della qualità dell’aria nelle abitazioni di tutto il mondo.

Il progetto distingue gas e particolato, identificando dei trend su base giornaliera, mensile, stagionale e annuale. Si focalizza su due categorie di inquinanti: PM2,5 e composti organici volatili (Cov). Nel primo caso si tratta di particelle, invisibili a occhio nudo, in cui rientrano combustione – stufe a legna, cucine e riscaldamento a gas – peli degli animali domestici, cenere e polvere. Nel secondo, invece, si tratta di inquinanti gassosi, tra cui benzene e formaldeide, che possono essere emessi da attività come la pulizia o la cottura a gas, oltre che da prodotti come deodoranti, spray per il corpo, candele, mobili e arredi. Tutti i Paesi esaminati (a esclusione di quattro) hanno registrato livelli di PM2,5 indoor superiori a quelli outdoor per sei mesi o più, inclusa l’Italia, dove i valori medi mensili interni di PM2,5 hanno superato quelli esterni per sette mesi nel 2022, la Cina, l’Australia, la Francia, l’Austria, il Canada e la Spagna, le cui abitazioni hanno sperimentato una qualità dell’aria peggiore rispetto a quella outdoor per ogni singolo mese dell’anno. Solo nelle case di India, Norvegia, Polonia e Finlandia i livelli di PM2,5 sono stati generalmente inferiori rispetto a quelli esterni, superandoli per meno di sei mesi nel corso del 2022.

Febbraio è stato il mese in cui il maggior numero di Paesi ha sperimentato la differenza più evidente tra i livelli di PM2,5 outdoor e indoor (7 Paesi), seguito da settembre (6 Paesi) e novembre (5 Paesi). L’Italia invece non rispecchia perfettamente il trend, con il picco che si è verificato ad aprile 2022 (con livelli di PM2,5 indoor superiori del 47% rispetto a quelli outdoor), seguito da gennaio, febbraio, marzo e settembre. Dal punto di vista delle singole città, il confronto tra l’inquinamento da PM2,5 outdoor e indoor è stato particolarmente negativo a Milano, che ha registrato il peggiore risultato globale: i livelli medi annui di PM2,5 indoor nel 2022 sono stati di 2,63 volte superiori rispetto a quelli outdoor – una discrepanza maggiore rispetto a qualsiasi altra città studiata – con picchi nei mesi di dicembre (3,46) e gennaio (3,48), fino al record di 4,17 volte oltre i valori outdoor a marzo. Dopo Milano, altri record negativi sono stati quelli di Shenzhen (con livelli annui di PM2,5 indoor superiori del 97% rispetto all’outdoor), Amsterdam (76%), Seoul (53%), Madrid (50%), Melbourne (40%), Vienna (37%), Singapore (36%) e New York (35%). 21 città (su 35 esaminate) hanno registrato livelli medi annui di PM2,5 negli ambienti chiusi superiori rispetto a quelli all’aperto. Analizzando i dati mensili, sono otto le città che hanno registrato livelli di PM2,5 indoor superiori rispetto all’outdoor per ogni singolo mese dell’anno: Shenzhen, New York, Melbourne, Milano, Roma, Seoul, Vienna e Amsterdam.

Pnacc, Oice: bene Piano, trovare risorse e adeguata governance

Pnacc, Oice: bene Piano, trovare risorse e adeguata governanceMilano, 16 gen. (askanews) – Oice, l’Associazione delle società di ingegneria e architettura aderente a Confindustria, giudica positivamente l’approvazione del Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici pubblicato il 2 gennaio dal Ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica.

Con questo piano il Mase prova a rispondere all’esigenza di produrre un documento di pianificazione di breve e lungo periodo per il problema dei cambiamenti climatici mediante misure volte al rafforzamento delle capacità di adattamento a livello nazionale e territoriale, si legge in un comunicato dell’associazione, che sul punto si dice pronta a dare “il proprio contributo ingegneristico”. “Si tratta – dice Giorgio Lupoi, presidente dell’Associazione – di un lavoro assolutamente meritorio e apprezzabile anche per quanto riguarda l’istituzione di un Osservatorio nazionale per l’adattamento ai cambiamenti climatici affiancato da un Forum permanente che dovrà fungere da organo consultivo per l’Osservatorio stesso. Noi siamo assolutamente disposti a partecipare al Forum, per gli aspetti ingegneristici, che diventerà il centro decisionale sull’adattamento al cambiamento climatico italiano e aggiornerà periodicamente il Pnacc. Siamo dell’avviso che le professionalità ingegneristiche debbano essere sempre al centro di ogni momento programmatico e pianificatorio e quindi siamo pronti a mettere a disposizione il nostro know-how”.

Per Francesco Ventura,consigliere Oice con delega all’Ambiente e recentemente relatore su uno dei side event del recente COP 28 a Dubai, “siamo in presenza di un grande passo avanti, necessario per raccogliere una delle sfide più importanti da affrontare nel futuro, sempre più prossimo, al livello globale e anche in Italia. Il Piano è inattaccabile dal punto di vista scientifico ma non è subito operativo e facilmente applicabile in quanto servono copertura finanziaria e governance. Sulle 361 azioni da mettere in campo per circa 3/4 i costi non sono indicati o non sono disponibili. Il Pnacc, essendo un decreto ministeriale e non un Dl approvato dal Parlamento, non ha la forza normativa per essere un tema centrale nello sviluppo del Paese. Visto che il Piano non ha specifiche risorse finanziarie bisogna valutare se e come gli investimenti del Pnrr o di altri strumenti possono contribuire alla realizzazione del Piano stesso”.

Sbarca in Italia Enerfip, piattaforma di investimento in energia

Sbarca in Italia Enerfip, piattaforma di investimento in energiaRoma, 16 gen. (askanews) – Enerfip approda ufficialmente in Italia, segnando un nuovo capitolo per l’investimento responsabile nel settore energetico. Con l’obiettivo di democratizzare il finanziamento della transizione verso un modello energetico sostenibile, Enerfip si presenta come catalizzatore di cambiamento e innovazione.

Fondata nel 2014 a Montpellier da un team di esperti in energie rinnovabili e finanza, Enerfip è cresciuta fino a diventare una realtà solida con circa 40 dipendenti e sedi operative a Montpellier, Madrid, Parigi, Amsterdam e ora, Milano. Enerfip non è solo una piattaforma di investimenti: è un movimento che mira a coinvolgere attivamente i cittadini nella transizione energetica verso la decarbonizzazione. La piattaforma sviluppata da Enerfip permette agli investitori di partecipare direttamente al finanziamento di progetti che hanno come obiettivo comune la produzione di energia pulita e rinnovabile. Dalla sua fondazione a oggi, Enerfip ha raccolto oltre 440 milioni di euro che hanno finanziato più di 400 progetti, dimostrando che un’economia più verde non è solo possibile, ma è già in atto. Fra i progetti finanziati, vale la pena citare per esempio Opération Blanche Main che ha raccolto 2,5 milioni destinati allo sviluppo delle energie rinnovabili in Italia per il finanziamento di diversi progetti sul territorio. Grazie a questa raccolta, verranno costruiti parchi fotovoltaici su tetti e a terra da parte della filiale italiana di Smart Energies.

Chi investe su Enerfip di fatto investe in obbligazioni semplici che hanno un tasso fisso, una frequenza di rimborso predeterminata e una scadenza stabilita. Quando un’azienda vuole finanziarsi (o trovare fondi per finanziare un progetto), gli importi necessari possono richiedere il coinvolgimento di un gran numero di investitori. Qui entra in gioco la piattaforma che pubblica l’offerta e permette di diventare uno di questi investitori “acquistando” di fatto un’obbligazione, cioè una parte di questo debito. Oltre al capitale, che viene restituito all’investitore a una data stabilita, il debitore si impegna a pagare interessi periodici a tasso fisso. Operativa già in Francia, Spagna e Paesi Bassi, da settembre 2023 Enerfip ha un ufficio anche in Italia e la scelta non è casuale. “L’Italia, con il suo forte impegno verso l’energia sostenibile, le sue politiche innovative e il clima particolarmente favorevole, rappresenta un terreno fertile per l’espansione di Enerfip. Espansione che sottolinea la volontà dell’azienda di essere al centro di un’Europa che lavora unita verso un futuro energetico pulito e sostenibile”, spiega Julien Hostache, cofondatore e Presidente del Gruppo.

La guida della sede italiana di Enerfip è stata affidata a Guido Teot, esperto di fintech, strategia e innovazione, che avrà il compito di stringere rapporti con gli investitori e le aziende promuovendo l’investimento responsabile nel settore energetico. “Sono davvero orgoglioso di questo ruolo che permetterà a Enerfip di portare la sua storia e la sua esperienza a sostegno dell’ambiente anche nel nostro Paese. Enerfip ha già finanziato oltre 400 progetti green. È la prova tangibile che si può fare business e nello stesso tempo essere parte attiva in una transizione energetica verso la decarbonizzazione del pianeta”, ha aggiunto Guido Teot Ceo di Enerfip Italia. Il primo appuntamento ufficiale di Enerfip Italia è al K.EY Energy di Rimini di fine febbraio, l’evento più importante per l’ecosistema green economy ed energie rinnovabili, dove l’azienda sarà presente al Pad. B1, Stand 198.

Ambiente: Liguria, Friuli e Trentino le Regioni con più flora

Ambiente: Liguria, Friuli e Trentino le Regioni con più floraRoma, 11 gen. (askanews) – Liguria, Friuli Venezia-Giulia e Trentino-Alto Adige sono le regioni più ricche di flora in Italia, anche se tanta ricchezza comprende presenze record di specie aliene. Il dato arriva da uno studio pubblicato sulla rivista “Plants” e coordinato da Lorenzo Peruzzi, professore del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa e direttore dell’Orto e Museo Botanico dell’Ateneo.

“In ambito ecologico è noto che, all’aumentare dell’area disponibile, aumenta anche il numero di specie – spiega Peruzzi – Pertanto, quando si parla di ricchezza floristica, non basta riferirsi al numero di specie presenti, ma bisogna anche tenere conto dell’ampiezza del territorio. Il fenomeno, modellizzabile con funzioni matematiche, è noto col nome di Relazione Specie-Area (acronimo SAR, Species-Area Relationship, in inglese) ed è sullo studio di questa relazione nella flora italiana che si è basata la nostra ricerca”. Dai risultati emerge così che le regioni più ricche di flora sono Liguria, Friuli Venezia-Giulia, Trentino-Alto Adige, Abruzzo e Valle d’Aosta, mentre Sardegna, Puglia, Sicilia, Emilia-Romagna e Calabria sono le più povere. Considerando solo le specie autoctone, la classifica varia leggermente: il Trentino-Alto Adige esce dai primi posti e terzo sul podio arriva l’Abruzzo, mentre resta tutto invariato in coda. Per quanto riguarda infine le specie aliene, le regioni più ricche sono Liguria, Lombardia, Friuli Venezia-Giulia, Trentino-Alto Adige e Veneto, mentre Basilicata, Valle d’Aosta, Molise, Calabria e Puglia sono le più povere.

“Abruzzo, Valle d’Aosta e Molise sono regioni di particolare interesse naturalistico poiché mostrano una ricchezza floristica autoctona superiore all’atteso e una aliena inferiore – dice Peruzzi – Lombardia, Veneto, Toscana ed Emilia-Romagna mostrano invece problemi di conservazione potenzialmente gravi a causa alle invasioni biologiche, poiché in queste regioni tali rapporti sono invertiti. In particolare, la Toscana mostra livelli di ricchezza floristica solo lievemente inferiore all’atteso. Ciò significa, semplificando, che in questa regione vi sono più o meno tante specie native quante era lecito attendersi sulla base dell’ampiezza del suo territorio, ma anche purtroppo molte più aliene dell’atteso”. “Abbiamo costruito un dataset di 266 flore di varie estensioni, da minuscoli isolotti come Stramanari in Sardegna ai circa 302mila km2 dell’intero territorio nazionale, e poi applicato la Relazione Specie-Area per l’intera flora vascolare italiana, per le sole specie native e per le sole specie aliene – aggiunge Marco D’Antraccoli, curatore dell’Orto Botanico dell’Università di Pisa – in questo modo siamo riusciti a valutare, per ogni flora, se il numero di specie censito fosse al di sopra o al di sotto dei valori attesi per l’area del territorio in esame”.

“L’utilità di questo studio va oltre il poter confrontare in modo oggettivo la ricchezza floristica delle varie regioni italiane, ricavandone una sorta di ‘classifica’ – conclude Lorenzo Peruzzi – Infatti, per la prima volta abbiamo ricavato delle costanti specificatamente calibrate per il territorio italiano che consentiranno d’ora in poi agli studiosi di calcolare agevolmente il numero di specie di piante vascolari attese per una data area”. Oltre a Lorenzo Peruzzi e Marco D’Antraccoli, hanno collaborato alla ricerca Francesco Roma-Marzio, curatore dell’Erbario del Museo Botanico dell’Università di Pisa, Fabrizio Bartolucci e Fabio Conti dell’Università di Camerino, e Gabriele Galasso del Museo Civico di Storia Naturale di Milano.

Rapporto Ispra: cresce raccolta differenziata: Italia oltre 30%

Rapporto Ispra: cresce raccolta differenziata: Italia oltre 30%Milano, 21 dic. (askanews) – Tutte le province/città metropolitane raggiungono percentuali di raccolta differenziata superiore al 30% Nel 2022, la percentuale di raccolta differenziata (RD) è pari al 65,2% della produzione nazionale, con una crescita di 1,2 punti rispetto al 2021. In termini quantitativi, la raccolta si mantiene pressoché invariata (-0,1%, quasi 23 mila tonnellate in meno rispetto al 2021) attestandosi a 18,9 milioni di tonnellate.

Il 94% delle province (101 province su 107 a fronte delle 97 del 2021) ha raccolto in modo differenziato almeno la metà dei rifiuti urbani prodotti sul proprio territorio. Quasi il 69% dei comuni, ha conseguito nel 2022 una percentuale di raccolta differenziata superiore al 65%. Lo si legge nel Rapporto sui rifiuti urbani 2023 dell’Ispra. Complessivamente, nell’ultimo anno, l’87% dei comuni intercetta oltre la metà dei propri rifiuti urbani in modo differenziato (la percentuale era dell’85% nel 2021). Roma, in leggera crescita rispetto al 2021, si attesta al 45,9%, mentre Genova, Napoli e Bari raggiungono o superano di poco il 40%, rispettivamente, 42,8%, 40,4% e 40%.

Tra i rifiuti differenziati, l’organico si conferma la frazione più raccolta in Italia (38,3% del totale), seguita dalla carta e cartone con il 19,3% del totale, dal vetro (12,3%) e dalla plastica (9%). La raccolta differenziata della frazione cellulosica supera 3,6 milioni di tonnellate, con un incremento dell’1% rispetto al 2021. La raccolta differenziata del vetro supera i 2,3 milioni di tonnellate, in aumento rispetto al 2021 (+3,4%). Per questa frazione, si stima che gli imballaggi rappresentino la tipologia prevalente di rifiuto (il 92% della raccolta totale). La plastica in crescita seppur in misura più moderata rispetto al precedente biennio.

Rappporto Ispra: nel 2022 produzione rifiuti urbani -1,8%

Rappporto Ispra: nel 2022 produzione rifiuti urbani -1,8%Milano, 21 dic. (askanews) – Nel 2022, la produzione nazionale dei rifiuti urbani (RU) si attesta a circa 29,1 milioni di tonnellate, in calo dell’1,8% (544 mila tonnellate) rispetto al 2021. In controtendenza con gli incrementi rilevati per gli indicatori socioeconomici, quali prodotto interno lordo e spesa per consumi finali sul territorio economico, rispettivamente pari al 3,7% e 6,1%, i dati sui rifiuti urbani risultano in calo. E’ quanto emerge dal Rapporto sui rifiuti urbani 2023 dell’Ispra.

Nel complesso l’andamento altalenante della produzione dei rifiuti può essere correlato a diversi fattori, anche combinati tra loro, tra cui l’introduzione di nuove disposizioni normative o motivazioni sanitarie o socio-economiche, quali la pandemia del 2020 e la crisi internazionale del 2022. In termini generali il dato del 2022 sembra, in ogni caso, riflettere l’andamento tendenzialmente in calo riscontrato nel lungo periodo. In relazione ad effetti dovuti a modifiche normative, il dato della produzione può essere influenzato sia dall’introduzione di differenti modalità di contabilizzazione dei dati relativi ai rifiuti urbani che dalla possibilità per le utenze non domestiche di avvalersi, sulla base delle modifiche introdotte nella legislazione di settore, di modalità di raccolta alternative rispetto al tradizionale utilizzo del servizio pubblico. La produzione di rifiuti urbani diminuisce in tutte: il Nord fa registrare il calo percentuale più consistente (-2,2%), seguono il Centro e il Sud (-1,5% per entrambe). La produzione pro capite si attesta, nel 2022, a 494 chilogrammi per abitante, facendo registrare una variazione percentuale negativa dell’1,6%, rispetto al 2021. La situazione vede: il Centro con 532 chilogrammi per abitante, mentre il valore medio del nord Italia si attesta a 506 chilogrammi per abitante; il dato del Sud è invece pari a 454 chilogrammi per abitante.

A eccezione della Valle d’Aosta, la cui produzione è in lieve aumento, tutte le regioni italiane hanno fatto rilevare un calo dei rifiuti prodotti. In particolare, tra le regioni settentrionali, le maggiori contrazioni si osservano per il Trentino-Alto Adige (-3,7%), la Lombardia (-3,3%) e il Veneto (-2,5%); al Centro, per le Marche (-2,7%) e la Toscana (-2,1%) e al Sud per il Molise (-3,2%), la Calabria e la Sardegna (-2,5% per entrambe) e la Puglia (-1,9%). Il più alto valore di produzione pro capite si riscontra per Reggio Emilia, con 744 chilogrammi per abitante per anno, seguono altre due province dell’Emilia-Romagna, nell’ordine, Ravenna e Piacenza, rispettivamente con 719 e 702 chilogrammi. Tra le province con produzione pro capite compresa tra i 600 e i 700 chilogrammi per abitante, rientrano altre tre province dell’Emilia-Romagna (Rimini, Ferrara e Modena), quattro province toscane (Livorno, Grosseto, Lucca e Prato) e la provincia di Aosta. I più bassi valori di produzione pro capite (inferiori a 400 chilogrammi per abitante) si rilevano per diverse province del Sud Italia e per due province del Centro, Rieti e Frosinone.

Circa il 16% della popolazione italiana, l’insieme delle 14 municipalità aventi ciascuna, nel complesso più di 200 mila abitanti fa rilevare, tra il 2021 e il 2022, un aumento della produzione totale dello 0,4%. Venezia e Napoli mostrano aumenti del 5,7% e 3,1%, seguite da Catania e Padova, entrambe con un aumento del 2,3%; gli incrementi registrati per Messina e Milano sono inferiori, rispettivamente pari all’1,5% e all’1%.

Trasporto su strada più sostenibile con l’HVO, intesa UNEM-CONOU

Trasporto su strada più sostenibile con l’HVO, intesa UNEM-CONOURoma, 18 dic. (askanews) – UNEM (Unione Energie per la Mobilità) e CONOU (Consorzio Nazionale degli Oli Minerali Usati) hanno siglato un protocollo d’intesa a favore della sostenibilità ambientale nel trasporto stradale e nelle attività di raccolta e recupero degli oli usati attraverso un sempre maggior utilizzo di HVO, un biocarburante a basso impatto ambientale che permette di ridurre le emissioni di CO2 fino al 90%.

L’obiettivo comune del protocollo è sostenere nuove soluzioni in grado di fornire risposte concrete alle esigenze di mobilità sia di merci che di persone, promuovendo al contempo processi di economia circolare anche nella transizione verso una mobilità decarbonizzata. A tal fine, UNEM si impegna a promuovere tra i propri Associati una diffusione sempre più capillare dell’HVO sul territorio nazionale, sia sulla rete di distribuzione stradale che su quella extra-rete, e a fornire tutte le informazioni utili a garantire facilità di reperimento alle imprese di raccolta che riterranno opportuno aderire all’iniziativa.

Dal canto suo, CONOU, che già dal 2021 si è attivato per incentivare l’utilizzo di mezzi tecnologicamente più avanzati (Euro6) e che si avvale di una rete di raccolta di olio usato di 60 imprese, si impegna a promuovere e favorire l’utilizzo dell’HVO presso i propri raccoglitori anche attraverso misure di incentivo all’acquisto. “La nostra rete di raccolta è fatta da imprese da sempre sensibili e coinvolte nel tema del rispetto dell’ambiente, dedite da decenni a una Mission ambientale e, pertanto, dimostreranno grande disponibilità a partecipare a questa campagna” ha commentato il Presidente del CONOU, Riccardo Piunti.

“La decarbonizzazione dei trasporti non potrà fare a meno dei biocarburanti che sono già una realtà consolidata – ha dichiarato il presidente di UNEM, Gianni Murano – e il Protocollo siglato oggi rappresenta un passo importante per lo sviluppo di un mercato che ha grandi potenzialità e in cui siamo leader a livello europeo”.

Fond. Univerde, Rapporto rinnovabili: italiani contrari a nucleare da fissione

Fond. Univerde, Rapporto rinnovabili: italiani contrari a nucleare da fissioneRoma, 14 dic. (askanews) – La posizione degli italiani in merito al dibattito emerso dai lavori della COP28 di Dubai, durante la quale una ventina di Paesi hanno annunciato di voler triplicare la produzione di energia nucleare è chiara. No al nucleare da fissione (65%), sì al solare (81%) con la richiesta al Governo di aumentare la produzione di energia da fonti rinnovabili (70%).

L’eolico offshore è valutato positivamente dal 90% degli intervistati con un aumento (+16%) di chi ritiene però fondamentale il rispetto della fauna marina (30%), delle rotte degli uccelli migratori (20%) e il sostegno all’economia locale (24%). Il 64% degli intervistati lo ritiene, in ogni caso, asset strategico per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione e transizione energetica dell’Italia. È quanto emerge, in estrema sintesi, dal 21° Rapporto “Gli italiani, le rinnovabili e la green & blue economy” con focus su “Il cambiamento climatico e le transizioni energetica, ecologica e digitale” realizzato dalla Fondazione UniVerde e da Noto Sondaggi, i cui dati sono stati divulgati ieri pomeriggio nel corso dell’evento “ReNew Energies: indipendenza energetica sostenibile” organizzato con la main partnership di Renexia e trasmesso in diretta streaming social e su Radio Radicale con collegamento dalla redazione romana dell’Agenzia di Stampa Italpress. Media partners dell’evento: Radio Radicale, Italpress, TeleAmbiente, Askanews, Canale Energia, Opera2030.

Alfonso Pecoraro Scanio, Presidente della Fondazione UniVerde: “I dati del 21° Rapporto confermano in modo chiarissimo il sostegno popolare alle rinnovabili, a partire dal solare e dall’eolico, e la netta bocciatura del nucleare. Le sfide per le transizioni energetica, ecologica e digitale sono evidenti per una fascia amplissima di cittadini, sempre più attenti alla crisi climatica in atto. In particolare, eolico offshore, che non consumi territorio e tuteli il mare, agrivoltaico e parchi agrisolari, che rispettino i terreni agricoli e coinvolgano gli agricoltori, sono viste tra le formule meno impattanti delle rinnovabili da realizzare. Il flop della COP28 sul phase out e la bocciatura dell’Italia sulle performance climatiche sono un campanello di allarme: rischiamo un caos climatico sempre più vicino. Secondo stimati osservatori internazionali, il nostro Paese è retrocesso di ben 15 posizioni, attestandosi al 44°, nella graduatoria per impegno nella lotta al cambiamento climatico. Raccogliamo l’appello degli italiani emerso dal Rapporto e lo rivolgiamo alle Istituzioni nazionali e locali, al mondo della finanza e alle imprese per una rapida uscita dalla stagione dei fossili e maggiori investimenti nelle rinnovabili, ma anche nella ricerca e nello sviluppo di altre fonti sostenibili che per l’Italia significano ridurre drasticamente i costi in bolletta e intraprendere virtuosamente la strada dell’indipendenza energetica”. Riccardo Toto (Direttore Generale Renexia) in una nota ha dichiarato: “Per realizzare i grandi impianti eolici offshore, fondamentali per contribuire in maniera sensibile al raggiungimento degli ambiziosi obiettivi europei in termini di decarbonizzazione, è necessario che ci sia una normativa in grado di sostenere un tale sviluppo. A nostro avviso il processo autorizzativo presenta strozzature nella fase successiva alla valutazione di impatto ambientale, nel momento in cui è necessario il coinvolgimento e il coordinamento degli enti locali per l’autorizzazione unica (AU). Per tale ragione, per evitare che i contingenti in asta vengano bloccati per progetti non effettivamente realizzabili, sarebbe necessario limitare l’accesso alle aste per le tariffe ai soli progetti che abbiano già ottenuto l’AU. Dal punto di vista finanziario bisognerebbe introdurre un tax credit, per riconoscere un beneficio fiscale a chi sta effettivamente investendo in tecnologia innovativa, per definizione caratterizzata da maggiori costi, come pure l’indicizzazione delle tariffe, per tenere conto della volatilità nel prezzo delle materie prime e dei tassi di interesse, capaci di incidere significativamente sulla sostenibilità finanziaria di progetti che possono richiedere anche molti anni per essere completati. Il nostro auspicio è che queste, e altre misure che Renexia ha proposto al MASE, possano essere recepite e inserite nel decreto ministeriale FER2 dedicato alle rinnovabili innovative”.

I dati del 21° Rapporto sono stati presentati da Antonio Noto (Direttore di Noto Sondaggi) con la partecipazione di Mauro Fabris (Responsabile relazioni istituzionali Renexia e Vicepresidente ANEV). La nuova rilevazione vede l’82% degli italiani sicuro che il mercato dell’energia del futuro andrà verso le rinnovabili. Nel dettaglio, le fonti di energia su cui l’Italia, pensando al futuro, dovrebbe puntare sono in particolare: solare (81%, +4% rispetto al precedente Rapporto) ed eolico (58%) che sale fortemente nei consensi quando si parla di offshore.

Alquanto stabile il trend di chi ritiene il solare compatibile con l’ambiente (83%) e sicuro (77%) e dotarsi di un impianto fotovoltaico, con il 24%, resta l’intervento considerato prioritario dagli italiani per l’efficienza energetica delle proprie case, seguito da rivestimenti esterni con isolanti (14%), doppi vetri (10%), sistemi di risparmio per l’acqua (7%). Tuttavia, resta alta la percentuale (76%) di chi ritiene che passare al solare oggi sia dispendioso da sostenere e di chi lo ritiene ancora tecnicamente complesso (61%) e burocraticamente difficile (59%). Se il solare si afferma sul mercato privato l’eolico, soprattutto l’offshore, è apprezzato e riconosciuto quale tecnologia capace di dare sicurezza energetica al Paese. Secondo il giudizio degli italiani, sarebbe importante per l’Italia incentivare tale tecnologia (76%) e per incoraggiarne lo sviluppo si dovrebbe intervenire per velocizzare i tempi di autorizzazione (42%), aumentare i fondi a disposizione (39%), costituire una filiera locale e nazionale per la produzione dei componenti quali turbine etc. (32%), favorire la realizzazione degli impianti di grandi dimensioni (22%), investire nello sviluppo di infrastrutture portuali (18%). Perde qualche punto la percentuale degli italiani che vorrebbe invece incentivare la ricerca e lo sviluppo nell’idrogeno per la transizione energetica (68%). Un approccio olistico è possibile, anche grazie alle tante risorse disponibili, è quanto emerge dalle risposte degli alti funzionari istituzionali dei Ministeri coinvolti, intervistati da Agnese Cecchini (Direttrice responsabile di Canale Energia): Federico Boschi (Capo Dipartimento Energia del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica) ha riconosciuto che la tecnologia eolica offshore è importante da sviluppare e sarà molto rilevante nel prossimo decennio, evidenziando che il nuovo DL Energia, recentemente approvato, prevede investimenti sulle rinnovabili e sistemi di incentivazione. In particolare, il provvedimento introduce l’individuazione di due aree portuali per lo sviluppo di investimenti funzionali all’eolico galleggiante nelle aree del Mezzogiorno. Riccardo Rigillo (Capo di Gabinetto del Ministero per la Protezione Civile e le Politiche del Mare) ha riconosciuto che dal 21° Rapporto traspare una maggiore consapevolezza, da parte dei cittadini, sui temi dell’energia e del cambiamento climatico e ciò rappresenta un segnale importante. Con riferimento all’eolico offshore, ha considerato matura e di primo livello la tecnologia italiana, e per questo importante da incentivare: a tal riguardo, ha ricordato che il compito del Comitato interministeriale per le politiche del mare (Cipom) è quello di facilitare le interazioni fra i vari ministeri partecipanti, in modo che si possano velocizzare le procedure. Marco Lupo (Direttore Generale dell’Unità di Missione per il PNRR del Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle Foreste) ha focalizzato la propria attenzione sull’applicazione del fotovoltaico in agricoltura, nella fattispecie i parchi agrisolari, riferendo che per il loro sviluppo il Ministero ha incrementato la dotazione finanziaria, attraverso la rimodulazione del PNRR, da 1,5 a oltre 2,3 miliardi di euro. Altre novità introdotte dall’ultimo bando ‘Parco Agrisolare’, risultato di grande attrattiva: il raddoppio della potenza installabile sui tetti di fabbricati rurali e della spesa ammissibile per accumulatori e dispositivi di ricarica, triplicando il target finale di potenza installabile da 375 MW a oltre 1,3 GW al 2026. DATI DI SINTESI DEL FOCUS L’87% degli italiani è preoccupato dagli effetti del cambiamento climatico e il 63% ritiene prioritario contenere l’aumento delle temperature entro i 2 gradi, anche se l’item testato sul campione registra una flessione di ben il 10% nelle ultime due rilevazioni. Nel contempo, si rileva inoltre una leggera crescita dello scetticismo intorno a questa necessità. Il 64% ritiene che l’Italia raggiungerà l’obiettivo del 55% di energia da fonti rinnovabili ma, per circa la metà di essi, oltre il target fissato al 2030. Il 68% schiaccerebbe sull’acceleratore per favorire la transizione #EcoDigital ma per il 43% a patto di aiutare imprese e famiglie ad adeguarsi a sistemi produttivi e stili di vita sostenibili. Infine, in merito al nucleare, circa il 70% degli italiani dichiara di non conoscere la differenza tra fissione e fusione nucleare e, una volta spiegata, si affermano contrari all’energia nucleare da fissione (65%). Di questi, il 35% lascia aperta la porta alla ricerca e allo sviluppo della fusione per fornire un approvvigionamento energetico sostenibile.

Agricoltura, da Enea sistema previsione per pianificare raccolta olive

Agricoltura, da Enea sistema previsione per pianificare raccolta oliveRoma, 11 dic. (askanews) – Rendere disponibile agli agricoltori un sistema di previsione per conoscere in anticipo l’entità del raccolto delle olive, che consenta di riprogettare le pratiche agronomiche da adottare. È questo l’obiettivo della ricerca realizzata da ENEA con Cnr e Università della California di Berkeley (Stati Uniti), che ha identificato i principali fattori di stress climatico stagionale responsabili dei cattivi raccolti. I risultati della ricerca, basata sui dati di 66 province italiane dal 2006 al 2020, sono stati pubblicati sulla rivista Journal Agronomy and Crop Science.

“Dalle nostre analisi è emerso che livelli di raccolto eccezionalmente bassi si sono verificati in modo più frequente a partire dal 2014 in concomitanza con inverni relativamente caldi. Questo succede perché il periodo di riposo stagionale della pianta diventa sempre più breve alterando il suo ciclo vitale e di conseguenza la fioritura e l’impollinazione”, spiega Luigi Ponti, ricercatore del Laboratorio ENEA di Sostenibilità, qualità e sicurezza delle produzioni agroalimentari e coautore dello studio insieme ad Arianna Di Paola, Edmondo Di Giuseppe e Massimiliano Pasqui del Cnr e ad Andrew Paul Gutierrez (Università della California a Berkeley). Utilizzando dati di uso del suolo ad alta risoluzione (fino a 300 metri) e 23 variabili climatiche