Accordo con Brown-Forman: Compagnia dei Caraibi distribuirà Gin MareMilano, 14 apr. (askanews) – Compagnia dei Caraibi Società Benefit, azienda leader nell’importazione, sviluppo, brand building e distribuzione di distillati, vini e soft drink di fascia premium e over premium provenienti da tutto il mondo, nonché birre craft italiane, ha annunciato di avere sottoscritto oggi un contratto con l’azienda statunitense Brown-Forman Group, per la distribuzione in esclusiva per i mercati Italia e San Marino di Gin Mare e Diploma’tico fino al 31 dicembre 2024. A questi si aggiunge Fords Gin, brand nuovo sul mercato italiano, per il cui lancio Brown- Forman ha scelto come partner Compagnia dei Caraibi.
“Siamo molto soddisfatti nel vedere consolidato il percorso fatto con Gin Mare e Diploma’tico Rum sul mercato italiano in questi anni di distribuzione” ha dichiarato il general manager di Compagnia dei Caraibi, Fabio Torretta, spiegando che “questa partnership rappresenta inoltre un’ulteriore occasione di crescita e di sviluppo anche su nuovi fronti: siamo onorati di essere stati scelti da Brown-Forman per il lancio in Italia di Fords Gin. E’ una grande opportunità – ha concluso – che rafforza il posizionamento della società nel segmento dei Gin Premium e che intendiamo affrontare con il know-how e le competenze che da sempre ci caratterizzano”. Diploma’tico Rum e Gin Mare sono nel portfolio di Compagnia dei Caraibi rispettivamente dal 2008 e dal 2013 e in crescita a volume negli ultimi cinque anni del +7,2% e +33,5%.
“Per supportare al meglio le attività di distribuzione brand building sui tre marchi di riferimento, all’interno di Compagnia dei Caraibi è stato definito un team che comprende figure dell’area marketing, comunicazione, commerciale” ha sottolineato in una nota l’azienda, sottolineando che “in particolare, è in previsione un ampliamento dell’area sales volto a sostenere la crescita dei brand sul mercato nazionale”.
Masi Agricola: Fondazione Enpaia sale al 6,2% del capitaleMilano, 13 apr. (askanews) – Fondazione Enpaia (Ente nazionale di Previdenza per gli addetti e per gli impiegati in agricoltura) aumenta la propria partecipazione in Masi Agricola salendo al 6,2% del capitale sociale. Lo comunica una nota dell’azienda veneta leader dell’Amarone, quotata sull’Euronext Growth Milan.
La società, sottolinea la nota, apprezza l’incremento dell’investimento da parte della Fondazione Enpaia e le recenti dichiarazioni della stessa, secondo la quale Masi rientra tra le “partecipazioni dirette mission related e strategiche, con un ruolo di rilievo nel portafoglio finanziario”, poiché “forniscono con costanza flussi di dividendi e incrementano il loro valore nel tempo”. L’azionariato di Masi Agricola vede la famiglia Boscaini detenere complessivamente il 73,5% e la Red Circle Investments del patron di Diesel, Renzo Rosso, il 10%.
Trento, 6 apr. (askanews) – Stufette a pellet per tenere al caldo i ciliegi durante la notte salvare così il raccolto. E’ il lavoro duro e complesso che i contadini in Val di Non, in Trentino, stanno affrontando in emergenza negli ultimi giorni.
Dopo diverse settimane di clima mite, infatti, si è registrato un improvviso calo delle temperature che sta mettendo a rischio le piante che hanno già iniziato la fioritura. E così i contadini hanno posizionato lungo i filari le stufe alimentate a biomassa legnosa. “Sono due notti che noi agricoltori tentiamo di salvare il nostro prodotto – racconta Ruggero Gabardi, agricoltore di Malgolo in Val di Non – Controlliamo le temperature quindi ogni ora. E alla sera si parte verso le 10 fino alle due di notte, e appena si vede che si abbassano le temperature si. Inizia a accendere i fuochi. Questa notte siamo partiti più tardi, verso le quattro, perché si era su un grado, un grado e mezzo; ma appena la temperatura è scesa a 05 abbiamo iniziato ad accendere”. La pratica è tanto suggestiva quanto efficace e ha alle spalle una solida radice scientifica e metodologica: è stata infatti messa a punto a partire dal 2017 dalla Fondazione Edmund Mach, storico istituto per lo sviluppo della ricerca scientifica in campo agrario, e si rivela particolarmente utile per le ciliegie, molto sensibili agli sbalzi termici, soprattutto per la varietà Kordia, la più coltivata fra le colline trentine.
“Sta iniziando la fioritura, ma per il ciliegio è il periodo più delicato perché anche se non c’è il fiore, ma solo la gemma ingrossata, subisce dei danni se si va sotto lo zero – prosegue Gabardi – Con questo metodo non riusciamo certo a recuperare totalmente le piante, però una parte di prodotto pensiamo di sì. Con i teli di copertura e accendendo questi fuochi sicuramente una parte si recupera, sperando sempre che la temperatura non scenda di molti gradi; anche perché ieri mattina era arrivata a meno 5, meno 6…”. L’accensione delle ‘stufette’ viene effettuata poco prima di raggiungere le temperature critiche; ed è preceduta dal posizionamento di teli che aiutano a non disperdere il calore, aumentando così l’efficacia dell’intervento. Un lavoro tutt’altro che semplice per i contadini, ma che si rivela fortunatamente efficace.
Roma, 5 apr. (askanews) – La Commissione accoglie con favore l’iniziativa dei cittadini europei “Salviamo api e agricoltori! Verso un’agricoltura favorevole alle api per un ambiente sano”, che ha raccolto un milione di firme. Con un comunicato, l’esecutivo comunitario rileva che inquinamento e perdita di biodiversità rappresentano sfide crescenti per l’agricoltura e la sicurezza alimentare in Europa.
Nell’Ue, si legge, una specie su tre di api, farfalle e sirfidi è in declino, e però l’80 % delle specie coltivate o specie fiorite spontanee dipendono dall’impollinazione animale. La metà dei terreni agricoli nell’Ue è già esposta al rischio di un deficit di impollinazione. Lo stesso pericolo che minaccia l’esistenza di impollinatori grava sulla sicurezza alimentare e sulla vita nel pianeta. Il successo dell’iniziativa dei cittadini è un chiaro segnale del vasto sostegno pubblico a intervenire in difesa degli impollinatori, della biodiversità e dell’agricoltura sostenibile. In tale contesto la Commissione invita il Parlamento europeo e il Consiglio a raggiungere un accordo ambizioso in tempi brevi sulle proposte legislative già trasmesse che contribuiranno a proteggere e ripristinare gli impollinatori europei e a tradurre in legge l’ambizione dei cittadini.
Milano, 5 apr. (askanews) – Mentre è ancora caldo il dibattito sul cibo coltivato (o sintetico come viene più spesso impropriamente definito), su cui è recentemente intervenuto anche il governo con un provvedimento, arrivano i dati di mercato di un prodotto nato come alternativa al cibo di origine animale, quello del cibo a base vegetale. Secondo i dati diffusi da Gruppo prodotti a base vegetale di Unione italiana food nel 2022, un anno particolarmente complesso dal punto di vista dei consumi, il comparto è riuscito a crescere a volume del 2,8% mentre a valore, spinto dall’inflazione, la crescita è stata dell’8% toccando 490 milioni.
Ma di cosa parliamo quando ci riferiamo ai cibi a base di proteine vegetali? La gamma presente sul mercato è molto ampia e si va dai burger e piatti pronti ai gelati e dessert, passando per i prodotti al cucchiaio fermentati alle bevande vegetali: tutti prodotti realizzati partendo da proteine vegetali, ovvero di verdura, legumi, cereali, semi o alghe. Diversi per natura dalla cosiddetta carne sintetica o più correttamente coltivata, come ha tenuto a precisare Lucilla Titta, biologa nutrizionista e ricercatrice presso l’Istituto europeo di oncologia di Milano che è stata chiara: “La scienza nel merito può dir poco su questi alimenti innovativi, del futuro perchè non ci sono ancora e non ci si può pronunciare. Certo la scienza non è contro l’innovazione. Quello che però occorre fare è definire bene questo alimento che è carne coltivata perchè deriva da cellule animali che sono state estratte dall’animale e coltivate in laboratorio ma non c’è nessuna operazione di sintesi”. Diverso il discorso dei prodotti a base vegetale, la cui novità “risiede nel modo in cui ingredienti di origine vegetale vengono usati per creare qualcosa che prima non esisteva e che i consumatori hanno dimostrato apprezzare”, ha aggiunto Titta. In affetti i dati dicono che oggi oltre un italiano su due li acquista con regolarità e il 25% di chi non li ha mai provati dichiara che lo farà. A fronte di un aumento complessivo delle confezioni vendute pari quasi al 3%, spiccano gli incrementi a volume a 2 cifre di burger e piatti pronti (gastronomia e salumi +11,7%); il +2,6% messo a segno da gelati e dessert e la tenuta delle bevande vegetali (+0,4%).
“I plant-based sono entrati nelle scelte alimentari di moltissime famiglie in Italia – ha spiegato Salvatore Castiglione, presidente Gruppo prodotti a base vegetale di Unione Italiana Food – Oggi sono oltre 22 milioni i consumatori che li hanno provati e poi inseriti regolarmente nella propria dieta. Una scelta forte e indiscutibilmente consapevole. La ricerca lo conferma: chi li acquista sa bene cosa sono i plant-based e cosa sta mangiando”. In effetti secondo un’indagine Astraricerche per il Gruppo prodotti a base vegetale di Unionfood il 75,5% di chi già conosce questi prodotti sa esattamente di cosa sono fatti i plant-based (con punte dell’80% tra i consumatori abituali e nelle fasce d’età più adulta) e solo l’1,4% dichiara di non saperlo (il restante 23,1% dimostra di avere una conoscenza parziale di questi prodotti). Il merito di tutto questo è attribuibile alle etichette a cui nove consumatori abituali su 10 (8 su 10 per i consumatori in generale) prestano attenzione, dimostrando di sapere esattamente quello che mangiano.
Fra gli italiani che conoscono i plant-based, due su tre li consuma abitualmente e uno su quattro li ha introdotti nel proprio regime alimentare su base settimanale mentre solo 2 su 10 non li hanno mai consumati. Tra le ragioni di questo successo, la bontà (71,3%), la digeribilità (71,1%), un aiuto per una corretta nutrizione (71%) e la sostenibilità (70,3%). Spingono il consumo di questi prodotti l’esigenza di variare l’alimentazione quotidiana (41,8%, percentuale che sale tra gli over 55) e la voglia di ridurre il consumo di proteine animali (32,2%). “I plant-based incontrano e appagano le richieste di tanti consumatori – spiega Castiglione – Non dimentichiamo che prodotti come le polpette di melanzane, le panelle di ceci o il latte di mandorle (solo per citarne alcuni) fanno parte da sempre della nostra cultura culinaria. Il mondo delle aziende ha risposto in questi anni a una richiesta crescente del consumatore”.
Anche sulla sostenibilità dei plant-based quasi otto conoscitori su 10 (77,5%) sono concordi. Restano dubbi solo tra un 15,6% che pensa erroneamente che questi prodotti siano realizzati consumando molta acqua e producendo ingenti quantità di anidride carbonica. “È una credenza errata: numerosi studi hanno dimostrato che i prodotti vegetali hanno un ridotto impatto ambientale – conferma Ludovica Principato, professoressa aggregata in Gestione sostenibile di impresa, Università Roma Tre – Il cibo che consumiamo ha un impatto diretto sul Pianeta e sull’uso delle sue risorse naturali: in Italia, l’adozione diffusa di una dieta flexitariana, più ricca di alimenti di origine vegetale (come verdura, frutta, cereali integrali, legumi), avrebbe effetti molto positivi in termini di minori emissioni di gas serra e maggiore risparmio idrico, rispetto all’attuale regime alimentare seguito nel nostro Paese: si produrrebbero gas serra equivalenti a 106 Mt CO2eq, anziché 187; verrebbero utilizzati terreni coltivati pari a 15.000 campi di calcio, anziché 20.000; l’acqua consumata sarebbe pari a 17 km cubi, anziché 26, con un risparmio idrico equivalente a 3 milioni e 600 mila piscine olimpioniche”.
Milano, 4 apr. (askanews) – Saranno 350 milioni, per un valore pari a circa 125 milioni di euro, le uova consumate durante la Settimana Santa. La stima è di Unaitalia, l’associazione che rappresenta la quasi totalità della produzione avicola nazionale. Sode, sotto forma di frittata o strapazzate, secondo un’indagine AstraRicerche 2023, le uova sono un alimento immancabile sulla tavola delle feste pasquali per più di un italiano su tre (34,5%) sorpassate solo da uovo di cioccolato e colomba (indispensabili per oltre il 60% degli italiani) e preferite ad agnello (31,9%), salame (30,5%) e torta salata di formaggio (22%).
“Gli italiani nel 2022 ne hanno consumate 13,4 miliardi, pari a 228 pro capite – spiega la direttrice di Unaitalia, Lara Sanfrancesco – Di queste, il 68% è andato alle famiglie (155 uova a testa) mentre il 32% (73 uova per abitante) è stato consumato attraverso pasta, dolci e preparazioni alimentari varie, tra cui colombe e pastiere”. In fatto di tavola gli italiani a Pasqua si rivelano un po’ campanilisti: il 32% sceglie il piatto della propria regione, con percentuali che in Campania arrivano al 53% (con pastiera e casatiello) e in Veneto al 45% (la ricetta è la fugassa, tipico pan lievitato dolce).
A dispetto delle sfide tra Nord e Sud, nella classifica di 20 ricette regionali stilata da AstraRicerche, gli italiani sul podio mettono i grandi classici: casatiello, pastiera (al 26,4%) e colomba (20,6%). Seguono la torta Pasqualina ligure (18,9%) e i fiadoni, fagottini a mezzaluna ripieni al formaggio in versione dolce o salata a cavallo tra Molise e Abruzzo (16,4%); la pizza di Pasqua umbra (15,6%), la scarcella pugliese (tipico biscotto con uovo e glassatura in bella mostra, 15,2%) e il bensone (14,9%), dolce di tradizione millenaria modenese. E ancora la frittata piemontese Rognosa (14,4%), la Pasimata toscana (alternativa alla classica colomba, con uva sultanina e semi d’anice da alcuni detta schiaccia, 13,9%) e la fugassa veneta, tipico pan lievitato dolce (12,1%).
Milano, 4 apr. (askanews) – Eridania a partire dal mese di aprile entra nel settore dell’alcol per il canale business to business. L’azienda, parte del gruppo francese Cristal Union, distribuirà in esclusiva in Italia l’alcol etilico ottenuto dalla fermentazione di barbabietola da zucchero e cereali di CristalCo, uno dei maggiori operatori in Europa.
Il nuovo business rappresenta un ritorno per Eridania ed un passo avanti nel progetto di integrazione delle attività di zucchero e alcol nel nostro Paese: l’azienda in Italia detiene una quota di mercato del 29% a valore nel totale mercato della dolcificazione e del 34% a volume considerando il solo segmento zucchero. La nuova attività sarà concentrata su alcune delle diverse destinazioni d’uso dell’etanolo: in particolare, l’alcol commercializzato in Italia sarà impiegato nei settori BtoB di food and beverage, nutrition and pharma, profumi e cosmetici. “Crediamo nell’importanza di un approccio di business integrato tra le attività di zucchero e alcol – ha commentato Alessio Bruschetta, amministratore delegato Eridania Italia – essere rappresentante esclusivo dell’alcol CristalCo in Italia ci permetterà di lavorare per crescere ulteriormente e per aprirci a nuovi potenziali business consolidando sempre di più il brand Eridania”.
L’azienda, nata a Genova nel 1899, ha ora a Bologna il suo head quarter, mentre a Russi, nel Ravennate, ha sede lo stabilimento per il confezionamento dello zucchero uno dei più grandi centri in Europa, in grado di confezionare fino a 130 milioni di chilogrammi all’anno. Cristal Union è il secondo gruppo saccarifero francese e il quarto in Europa (secondo nella produzione di bioetanolo), con un fatturato di circa 1,6 miliardi di euro nel 2021, 2.000 dipendenti e una produzione di 2,4 milioni di tonnellate di zucchero per industria e retail e 7 milioni di ettolitri di alcol e bioetanolo per industria, cosmetica, energia e produzione alimentare.
Milano, 3 apr. (askanews) – Non più solo uomini over 40 che vivono nel Nord Italia. Oggi tra i principali consumatori di grappa ci sono i millennial (5 su 10 la bevono di frequente o saltuariamente), che associano questo distillato soprattutto all’idea di convivialità con gli amici (53%). E se ormai si conferma il trend al femminile, con sempre più donne appassionate di questo prodotto, ciò che è cambiato è il grado di apprezzamento a livello geografico, con picchi di consumi che si registrano al Sud (49%), più che al Nord- ovest (38%) o al Nord-Est (42%). Rispetto al tradizionale consumo tra le mura domestiche, che rimane in cima alle preferenze di oltre sette italiani su 10 (76,6%), ora si apprezza tanto anche il fuori casa (65,7%), con i giovani a fare da locomotiva. A scattare la fotografia del consumatore-tipo di grappa in Italia è l’indagine AstraRicerche e grappa Libarna, brand di gruppo Montenegro, condotta su un campione di 1.000 connazionali di età compresa tra i 18 e i 65 anni.
Secondo l’indagine, quasi un italiano su due (44%) consuma grappa almeno qualche volta in un anno, soprattutto in casa propria (59,1%) e a casa di amici e parenti (47,7%). Seguono bar ed enoteche (46,6%) e ristoranti (38,4%), a riprova della spinta positiva del fuori casa sull’andamento della categoria (+3,5% 1 in valore, +0,1% in volume 2 nell’ultimo anno), oggi quarta in valore e in volume nel mercato Spirit tricolore. In particolare, tra chi apprezza la grappa fuori dalle mura domestiche, spiccano le donne (67%), i 18-24enni (71%), i 25-34enni (74%) e i single (73%). E se per quasi tutti, soprattutto uomini e adulti, il consumo di grappa è associato al fine pasto (65,2%), ci sono comunque appassionati e neofiti che la apprezzano anche nel dopo cena (21,7%), a partire dalle donne (27%) e dai giovani 25-34enni (31%), oppure nella pausa pomeridiana dopo il lavoro (13,4%). Alla base della scelta, il metodo di produzione e/o di invecchiamento si posiziona in cima alla classifica dei criteri guida per i consumatori (43,9%), davanti all’uso delle materie prime (31,6%) e alla notorietà e storicità del brand (30,9%). Ma nello scegliere la tipologia di grappa si valuta anche il forte legame con il territorio di appartenenza (27,5%). La stessa grappa Libarna ha una storia legata alla sua culla di origine, il Piemonte. Nata nel 1906 dalla Distilleria Gambarotta, è espressione dell’arte distillatoria piemontese e prende il nome dall’omonimo insediamento archeologico romano presente a Serravalle Scrivia (in provincia di Alessandria), dal quale trae ispirazione la forma della storica bottiglia, che ricorda i capitelli delle colonne romane. Se guardiamo in dettaglio al campione intervistato, per le donne il consumo di grappa è prima di tutto convivialità (52%) e, in seconda battuta, un rito/una tradizione (39%); per gli uomini è invece un piacere (41%), ma anche un momento intimo e privato (20%). Nella ‘sfida’ tra generazioni, la grappa è sinonimo di convivialità per i 25-34enni (53%), un rito/una tradizione per i 18-24enni (44%), un prodotto che aiuta a digerire per i 45-54enni (40%). In generale, la preferenza di oltre un intervistato su tre è per degustare la grappa da sola (35,2%; in testa i 55-65enni – 50% – e gli uomini – 40%) oppure dopo un caffè (30,2%). Solo poco più di uno su cinque gradisce abbinarla a prodotti dolci o salati (23,0%), per lo più donne (30%), 18-24enni (34%) e 35-44enni (33%).
Milano, 3 apr. (askanews) – E’ un bip che oggi suona suona familiare tutte le volte che in cassa al supermercato viene scansionato un prodotto. Ma 50 anni fa questo suono cambiava radicalmente il nostro modo di fare la spesa e questo grazie al codice a barre, un’invenzione che la Bbc ha inserito tra le 50 cose che hanno fatto l’economia moderna. “Siamo in America, nel 1973 e le aziende del mondo del largo consumo hanno bisogno di risolvere un problema – racconta Marco Cuppini, research and communication director GS1 Italy – identificare in modo univoco i prodotti in maniera automatica. E c’è una data significativa, il 3 aprile 1973, che è il giorno della firma delle imprese del largo consumo che decidono cosa fare, quale standard utilizzare”.
Lo standard scelto allora fu lo Upc conosciuto in Europa come codice a barre Ean (European article number), poi unificato nell’attuale Gtin, lo standard globale di identificazione dei prodotti di GS1, l’organizzazione no profit che sviluppa gli standard globali presente in 116 Paesi, Italia compresa, dove dal 1978 a rappresentarla è GS1 Italy. Dall’accordo dell’Aaprile 1973 passerà solo un anno perché il primo prodotto, un pacchetto di chewing-gum da 61 centesimi, venisse scansionato alla cassa di un supermercato in Ohio: “Un fattore facilitante – spiega Cuppini – è stato l’intervento del governo americano che ha reso obbligatorio mettere in etichetta i valori nutrizionali dei prodotti. A quel punto le aziende hanno dovuto mettere mano alle etichette e quindi è stata una sorta di scivolo che ha facilitato la stampa del codice a barre sulle etichette che prima erano qualcosa di intonso”. Da allora, questa presenza silenziosa, almeno finché non arriviamo in cassa, sulle confezioni della maggior parte dei prodotti che acquistiamo quotidianamente, si è diffusa globalmente su oltre un miliardo di prodotti generando miliardi di bip ogni giorno. Nei fatti si tratta di una serie numerica di 13 cifre (EAN-13) tradotta graficamente da barre verticali necessarie per la lettura ottica, che contiene un prefisso aziendale GS1 per identificare l’azienda a livello internazionale, il codice del prodotto e da ultimo la cifra di controllo.
Per capire la pervasività di questa invenzione bastano alcuni numeri relativi ai prodotti che solo nei supermercati, ipermercati e punti vendita a libero servizio italiani riportano il codice a barre GS1. “La stima è di 350mila prodotti che passano 30,2 miliardi di volte alle casse, quindi 30,2 miliardi di bip che ascoltiamo sui prodotti confezionati – ha detto – Un altro numero per capire di che dimensione stiamo parlando questi prodotti compongono 2,7 miliardi di scontrini che vengono battuti dalle casse dei supermercati e ipermercati italiani”. Grazie a questo standard fatto di barre e numeri, 50 anni fa si potè dire addio all’etichettatura manuale dei prezzi sui singoli prodotti ma soprattutto si riuscì a creare un linguaggio globale che li identificava in maniera univoca. “Il codice a barre fa il suo mestiere – sottolinea Cuppini – identificare in maniera univoca un prodotto. Quando passa alle casse la cassa capisce che stiamo passando il prodotto XY e lega questa informazione a una informazione che ha presente nel suo sistema informativo classicamente il prezzo e a quel punto si unisce il prodotto a un prezzo e uno dopo l’altro si arriva allo scontrino”.
Ma se questo è il passato e il presente del codice a barre nel suo futuro c’è un’evoluzione che si annuncia nuovamente rivoluzionaria: “Crediamo che nei prossimi 50 anni il protagonista sarà un nuovo standard che si chiama digital link. Il digital link ha la forma di un Qr code quindi col telefonino lo si interroga e si aprono mondi di informazione decisamente più grandi rispetto al passato – ha spiegato – noi parliamo di informazione aumentata perché il consumatore potrà accedere a pagine di informazioni diverse. Il nuovo codice potrà trasportare molti più dati e consentirà di fare quello che ha sempre fatto ma porterà per esempio il numero di lotto, la data di scadenza e soprattutto un link a un sito web: noi parliamo di informazione aumentata perché il consumatore potrà accedere a pagine di informazioni diverse”.
Dalla provenienza della materia prima alle indicazioni sulla riciclabilità del packaging, fino a offerte, valutazioni di altri utenti, contenuti social o avvisi di richiamo, il nuovo standard abiliterà numerose applicazioni, anche in chiave di sostenibilità: “In sostanza aiuterà il consumatore a fare scelte di acquisto e consumo più consapevoli – ha concluso Cuppini – questo spinto dal legislatore che è molto interessato a una crescita delle informazioni verso i consumatori e dalle aziende stesse che hanno uno strumento di comunicazione coi clienti ancora più potente”.
Roma, 3 apr. (askanews) – Enpaia, l’Ente Nazionale di Previdenza per gli Addetti e per gli Impiegati in Agricoltura, ha portato al 6% la sua partecipazione in Masi Agricola, la società quotata all’Euronext Growth di Milano, che nell’omonima cantina produce il famoso Amarone.
“Masi Agricola fa parte delle nostre partecipazioni dirette mission related e strategiche – affermano il Presidente della Fondazione Enpaia, Giorgio Piazza e il Direttore Generale della Fondazione Enpaia, Roberto Diacetti – che rivestono un ruolo di rilievo nel nostro portafoglio finanziario perché forniscono con costanza flussi di dividendi e, inoltre, apprezzano il loro valore nel tempo. Da quando sono state costituite queste posizioni, gli investimenti contribuiscono alla redditività generale del portafoglio con flussi cedolari medi vicini al 5% e, rispetto ad altri investimenti in OICR azionari che fanno comunque parte dell’asset allocation, hanno sempre e di gran lunga performato meglio rispetto a questi ultimi”.