Skip to main content
#sanremo #studionews #askanews #ciaousa #altrosanremo

Cina: record per “sole artificiale” EAST, verso fusione nucleare

Cina: record per “sole artificiale” EAST, verso fusione nucleareRoma, 13 apr. (askanews) – Il “sole artificiale” cinese ha stabilito un record mondiale ieri notte generando e mantenendo plasma estremamente caldo e confinato per quasi sette minuti, in un passo cruciale verso la produzione di energia dalla fusione termonucleare. L’ha riferito oggi l’agenzia di stampa Xinhua.

L’Experimental Advanced Superconducting Tokamak (EAST) nella città di Hefei, Cina orientale, ha generato e sostenuto plasma per 403 secondi, battendo il precedente record di 101 secondi del 2017. “Il significato principale di questa nuova svolta risiede nella sua ‘modalità ad alto confinamento’, in cui la temperatura e la densità del plasma aumentano in modo significativo”, ha affermato alla Xinhua Song Yuntao, direttore dell’Istituto di fisica del plasma presso l’Accademia cinese delle scienze, che ha costruito EAST.

La fusione nucleare è lo stesso processo fisico attraverso il quale il Sole produce la sua energia. Gli scienziati puntano a riprodurla per avere la possibilità di accedere a una fonte di energia considerata pulita e quasi illimitata. EAST, entrato in funzione nel 2006, rappresenta uno degli esperimenti più promettenti verso la fusione nucleare controllata. Ha condotto finora più di 120mila esperimenti.

Si tratta del primo “tokamak” superconduttore al mondo. Un “tokamak” – una parola russa – è un reattore nucleare a fusione a forma di ciambella in cui un plasma ad altissima temperatura e a bassa pressione viene mantenuto coeso e lontano dalle pareti interne grazie a un campo magnetico generato da elettromagneti esterni alla camera. La Cina ha anche completato la progettazione del suo sole artificiale di nuova generazione, chiamato China Fusion Engineering Test Reactor (CFETR), che mira a diventare il primo reattore dimostrativo di fusione al mondo, secondo Xinhua. Una volta completato intorno al 2035, CFETR produrrà un’enorme quantità di calore con una potenza di picco fino a 2 gigawatt.

Seoul vuol condurre test radioattività a 89 fuoriusciti nordcoreani

Seoul vuol condurre test radioattività a 89 fuoriusciti nordcoreaniRoma, 13 apr. (askanews) – La Corea del Sud intende condurre test di esposizione alle radiazioni su 89 fuoriusciti nordcoreani provenienti dalle aree vicine al sito dei test nucleari di Punggye-ri del Nord. L’ha annunciato oggi il ministero dell’Unificazione di Seoul, secondo quanto riporta l’agenzia di stampa Yonhap.

Il governo sudcoreano e quello statunitense da tempo segnalano attività attorno al sito nucleare e sostengono che la Corea del Nord sarebbe pronta a effettuare in qualsiasi momento un nuovo test atomico. I test sulle radiazioni saranno effettuati a partire da maggio per sei mesi sui fuggitivi nordcoreani che vivevano nella contea di Kilju e nelle aree vicini, fuggiti dal Nord dopo il suo primo test nucleare nel 2006, secondo il ministero.

Il governo aveva precedentemente effettuato test simili su 40 persone nel 2017 e nel 2018. “È significativo verificare preventivamente la possibilità di esposizione a fughe radioattive e le condizioni di salute generali per coloro che potrebbero aver subito danni dai test nucleari del Nord”, ha detto ai giornalisti un funzionario del ministero.

Il sito di test nucleari di Punggye-ri si trova nella contea di Kilju, nella provincia nord-orientale del paese. Il regime segreto ha condotto lì tutti e sei i test nucleari sul sito. Tra gli 89 disertori da sottoporre al test, nove sono quelli che si sospetta siano stati esposti a radiazioni durante i precedenti test del governo. Il ministero selezionerà gli altri 80 da un gruppo di coloro che hanno espresso la volontà di essere testati.

In totale, 796 nordcoreani che vivevano nelle aree vicino a Punggye-ri hanno disertato verso sud in seguito alla prima detonazione nucleare del Nord nell’ottobre 2006.

Giappone: 93% va ancora in mascherina, anche se non c’è più obbligo

Giappone: 93% va ancora in mascherina, anche se non c’è più obbligoRoma, 13 apr. (askanews) – Nonostante da un mese non vi sia più l’obbligo in base alle regole per affrontare il Covid-19, il 93 per cento dei giapponesi continua a indossare la mascherina. Lo ha rivelato uno studio condotto da Laibo, una società di reclutamento sul lavoro, e rilanciato dai media nipponici.

Il sondaggio ha avuto come campione 750 lavoratori adulti, il 39,6% dei quali ha dichiarato di indossare una maschera “incondizionatamente”. Un altro 53,4% ha dichiarato di farlo a seconda della situazione. Il 13 marzo il Giappone ha allentato le prescrizioni sulle mascherine, consentendo alle persone di decidere quando indossarla nella maggior parte dei casi.

Tra coloro che continuano a indossare la mascherina, il 42,6% ha dichiarato di farlo per abitudine. Tuttavia c’è un 37,9% del campione che lo fa perché si sente sotto osservazione, visto che la gran parte dei colleghi e delle persone va in giro in mascherina. Un altro fattore critico coinvolge le aziende che adottano in modo indipendente le regole sull’uso della maschera per i dipendenti. Nel sondaggio di Laibo, il 35% ha affermato di indossare mascherine perché consigliato dal proprio datore di lavoro.

Nella Aeon, il più grande rivenditore al dettaglio del Giappone, tutti i 500mila lavoratori che operano nei negozi fisici e nelle sedi aziendali continuano a indossare mascherine durante l’orario di lavoro. I dipendenti devono segnalare la presenza o l’assenza di sintomi Covis ai supervisori prima di arrivare al lavoro. FamilyMart e altre catene di minimarket raccomandano ai dipendenti d’indossare mascherine per il viso. Le regole sulle maschere sono presenti anche nel settore manifatturiero. Okuma, un produttore di macchine utensili, chiede ai lavoratori di mantenere quella pratica. “Se si verificasse un’epidemia di Covid all’interno dell’azienda, dovremmo interrompere le linee di produzione”, ha affermato un rappresentante della compagnia.

Alla Mitsubishi Heavy Industries, i dipendenti di tutto il gruppo che lavorano in Giappone devono indossare mascherine se non possono distanziarsi di almeno un metro l’uno dall’altro. A marzo tuttavia le mascherine sono state vendute a un tasso di 5,89 unità ogni mille persone, secondo Nikkei POS, che raccoglie dati sull’andamento delle vendite in tutto il Giappone. La valutazione è la seconda più bassa dal 2020. Il volume di mascherine vendute è solo del 12% in più rispetto a marzo 2019, il che indica che tali acquisti si stanno riallineando ai livelli pre-Covid. Le vendite di mascherine sono anche influenzate dalla gravità della stagione dei pollini per chi soffre di allergie. Mitsubishi Chemical Group ha inoltre affermato che le sue spedizioni di pannelli acrilici, utilizzati per realizzare partizioni interne, si sono più che dimezzate rispetto al picco del 2020. Nel sondaggio di Laibo, il 75% degli intervistati ha sostenuto di voler continuare a mascherarsi sempre o secondo necessità. Molte aziende, tra cui Aeon e Mitsubishi Heavy, non hanno deciso cosa faranno una volta che il Giappone declasserà il Covid-19 alla stessa categoria dell’influenza stagionale a maggio. Altri paesi si stanno allontanando dall’uso delle mascherine. Solo il 20 per cento circa delle persone nel Regno unito continuerebbe a usarle, ha scoperto una società di ricerca britannica che ha effettuato il sondaggio a giugno 2022.

Cina, nuove regole per il reclutamento in tempo di guerra

Cina, nuove regole per il reclutamento in tempo di guerraRoma, 13 apr. (askanews) – La Cina ha emesso nuove regole per il reclutamento di soldati in tempo di guerra, con i veterani in cima alla lista delle chiamate. Lo scrive oggi il South China Morning Post, valutando questa mossa come un preparativo in vista di un’eventuale conflitto attorno alla vicenda di Taiwan.

Il regolamento afferma che il reclutamento dovrebbe “concentrarsi sulla preparazione alla guerra” e aumentare l’efficienza chiamando reclute “di alto livello”. Le nuove regole sono state introdotte con un emendamento alle disposizioni sul reclutamento approvato all’inizio di aprile dal Consiglio di Stato – il governo cinese – e dalla Commissione militare centrale, il più alto organo di comando militare della Cina, presieduto dal leader Xi Jinping. La modifica entrerà in vigore il primo maggio.

Per la prima volta, nei regolamenti è stato incluso un capitolo separato sul reclutamento in tempo di guerra, in cui si afferma che gli ex militari avrebbero la priorità e dovrebbero unirsi alle loro unità originali o posizioni simili. “Al fine di garantire il normale ricambio delle truppe e le esigenze supplementari dei soldati in tempo di guerra, i regolamenti fanno riferimento alle pratiche comuni di vari paesi … e istituiscono un capitolo speciale per regolare la questione del reclutamento in tempo di guerra”, ha dichiarato un funzionario del Comitato militare centrale in una conferenza stampa.

In tempo di guerra, il regolamento prevede anche che il Consiglio di Stato e la Commissione militare centrale possano adeguare condizioni e modalità di reclutamento “nei limiti previsti dalla legge”, lasciando spazio a ulteriori aggiustamenti.

Lancio d’un missile nordcoreano fa scattare allarme in Giappone

Lancio d’un missile nordcoreano fa scattare allarme in GiapponeRoma, 13 apr. (askanews) – Il lancio di un nuovo missile nordcoreano avvenuto nelle prime ore di stamani ha fatto scattare per l’Hokkaido, la più settentrionale delle quattro isole principali del Giappone, l’allarme ai cittadini inoltrato su tutti i canali, compresi i telefoni cellulari, il cosiddeto J-Alert. Lo riferiscono i media nipponici.

Secondo quanto riferito dallo Stato maggiore congiunto sudcoreano, il lancio è stato rilevato alle 7.23 locali. Il missile è volato per circa mille chilometri, prima di ammarare nel Mar del Giappone, apparentemente in acque internazionali. Il missile ha seguito una “lofted trajectory”, cioè con un angolo di tiro che ne accorcia la gittata. Questo fa pensare che si tratti di un missile a medio raggio o di un missile intercontentale a lungo raggio. Il ministero della Difesa ha annunciato la mattina del 13 che un possibile missile balistico è stato lanciato dalla Corea del Nord. Il governo ha annunciato che uno dei missili lanciati sarebbe dovuto atterrare intorno a Hokkaido, ma poi ha ribadito che la possibilità di una caduta era scomparsa. Il Ministero della Difesa sta conducendo un’analisi dettagliata, affermando che potrebbe essere stato lanciato almeno un ICBM, cioè una classe di missili balistici intercontinentali.

Seoul ritiene che si tratti di un “nuovo sistema missilistico” che potrebbe aver utilizzato propellente solido. Comunque le autorità d’intelligence della Corea del Sud e degli Stati uniti “stanno conducendo una complessiva analisi delle sue dettagliate specifiche”, ha comunicato lo stato maggiore sudcoreano. Il lancio è stato rilevato alle 7.26 locali di stamani dal sistema d’intelligence giapponese. Trenta minuti dopo il governo ha lanciato l’allarme sul sistema d’emergenza che prevede il seguente messaggio: “I missile che è stato lanciato dovrebbe cadere nelle vicinanze di Hokkaido intorno alle 8.00. Per favore, evacuate nel seminterrato”.

In seguito, il capo di gabinetto giappoense Hirokazu Matsuno, apparendo in conferenza stampa, ha difeso la scelta di lanciare l’allarme ai cittadini, definendola come “appropriata”. In seguito alle 8.16 locali il governo ha cancellato l’allarme, segnalando che, “dopo aver verificato le informazioni, è stato confermato che non c’è più alcuna possibilità che il missile cada su Hokkaido e dintorni, quindi lo annulliamo”.

Il Consiglio di sicurezza nazionale (NSC) presidenziale della Corea del Sud ha “fortemente” condannato il lancio di un missile balistico da parte del Nord, altrettanto ha fatto il corrispondente organo statunitense. “Gli Stati Uniti condannano fermamente la Corea del Nord per il suo test di un missile balistico a lungo raggio”, ha detto in una dichiarazione la portavoce dell’NSC Adrienne Watson. Subito dopo il lancio, Usa e Sudcorea hanno tenuto una riunione di coordinamento e hanno ribadito che le due parti rafforzeranno ulteriormente la loro posizione di difesa combinata contro “qualsiasi minaccia e provocazione nordcoreana”, ha affermato il JCS. “Il lancio di missili balistici della Corea del Nord è un grave atto provocatorio che non solo danneggia la pace e la stabilità nella penisola coreana, ma anche nella comunità internazionale, e una chiara violazione delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite”, hanno affermato, esortando il Nord a fermare immediatamente i lanci. I funzionari di Seoul hanno affermato che l’ultimo lancio potrebbe essere stato finalizzato in parte a ostentare la forza nucleare del Nord in vista del 111esimo compleanno del defunto Kim Il Sung, fondatore nazionale del Nord e nonno dell’attuale leader, previsto per sabato, e per protestare contro le recenti manovre congiunte di Seoul e Washington. L’ultimo lancio del Nord che ha coinvolto un missile balistico a raggio intermedio o uno a raggio più lungo è stato quello di un missile balistico intercontinentale Hwasong-17 il 16 marzo. Il lancio di questa settimana è avvenuto tra le speculazioni secondo cui il regime recalcitrante potrebbe lanciare un razzo a lungo raggio per mettere in orbita il suo primo satellite militare, dato il suo piano dichiarato di terminare i preparativi per il lancio entro questo mese.

Xi Jinping alla marina cinese: siate fermi e flessibili

Xi Jinping alla marina cinese: siate fermi e flessibiliRoma, 12 apr. (askanews) – Il presidente cinese Xi Jinping ha ordinato oggi agli ufficiali della marina cinese di essere “fermi e flessibili” nel difendere gli interessi del paese. Inoltre ha anche sottolineato l’importanza di continuare a modernizzare l’Esercito popolare di liberazione.

Il numero uno di Pechino ha parlato durante una visita al quartier generale della Flotta meridionale della Marina dell’Esercito popolare di liberazione nella città di Zhanjiang, nell’ambito del suo giro di ispezione nella provincia meridionale di Guangdong, secondo quanto riporta il sito delle forze armate cinesi. La Flotta medidionale, che fa capo al Comando di Teatro Meridionale dell’Esercito popolare di liberazione, è direttamente responsabile del conteso Mar cinese meridionale e svolge un ruolo di supporto nello Stretto di Taiwan.

“(Dobbiamo) insistere nell’affrontare le questioni militari da una prospettiva politica e portare avanti le vicende militari con fermezza e flessibilità, migliorare la nostra capacità di gestire problemi complicati in modo tempestivo, difendere risolutamente la nostra sovranità territoriale e gli interessi marittimi, sforzarci di proteggere l’intera stabilità periferica”, ha detto Xi, secondo l’agenzia di stampa statale Xinhua. Il presidente, che è anche a capo della Commissione militare centrale, ha chiesto agli ufficiali di aiutare ad accelerare la trasformazione dell’Esercito popolare di liberazione in una moderna forza combattente svolgendo “vere e proprie esercitazioni orientate al combattimento” e adottando concetti innovativi di guerra moderna. Ha sottolineato l’importanza di adottare “modelli innovativi nello sviluppo di nuove forze di combattimento”, e ha esortato i militari a “risolvere i nostri difetti e debolezze e promuovere l’aggiornamento generale dei sistemi di combattimento”.

La Flotta meridionale ha notevolmente aumentato la sua presenza e il controllo sul Mar cinese meridionale, dove le rivendicazioni della Cina si sovrappongono a quelle di molte altre nazioni, negli ultimi dieci anni. Ha stabilito e ampliato diverse grandi basi navali in questo pezzo dell’Oceano Pacifico, attraverso il quale passa il 30% del commercio mondiale, e vi ha stanziato forze significative. Questa flotta, inoltre, si trova spesso faccia a faccia con la Marina americana nella regione quando quest’ultima conduce “operazioni di libertà di navigazione” (Freedom of Navigation Operations, FONOPs) inviando navi da guerra vicino alle isole e alle barriere coralline controllate dalla Cina per sfidare le rivendicazioni di Pechino su quasi tutto il Mar cinese meridionale.

Lunedì, il cacciatorpediniere statunitense USS Milius è arrivato a meno di 12 miglia nautiche (22 km) da Mischief Reef, un’isola artificiale controllata dai cinesi nelle Isole Spratly, spingendo il Comando di teatro meridionale a inviare aerei e navi da guerra per seguire e monitorare ciò che ha descritto come un’”intrusione illegale”.

Lula arrivato a Shanghai, prima tappa della visita in Cina

Lula arrivato a Shanghai, prima tappa della visita in CinaRoma, 12 apr. (askanews) – Il presidente brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva è atterato oggi a Shanghai, prima tappa della sua visita in Cina. L’ha comunicato lo stesso Lula via Twitter.

“A Shanghai, prima città della nostra visita in Cina, dove prenderò parte alla nomina di Dilma Rousseff come presidente della Banca dei Brics”, ha scritto il leader brasiliano. Gli incontri ufficiali di Lula cominceranno domani a Shanghai. In mattinata, parteciperà all’insediamento dell’ex presidente brasiliana Rousseff a capo della New Development Bank dei BRICS (blocco formato da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica). Più tardi, Lula incontrerà uomini d’affari e poi si recherà a Pechino.

La giornata-clou sarà però venerdì, quando Lula vedrà il presidente dell’Assemblea nazionale del popolo cinese Zhao Leji, il primo ministro Li Qiang e soprattutto Xi Jinping, col quale firmerà gli accordi bilaterali, avrà un incontro a porte chiuse, lo scambio di regali e una cena ufficiale. Nella stessa giornata, in precedenza, Lula deporrà una corona di fiori a piazza Tiananmen, secondo quanto riferisce il governo di Brasilia. Durante la visita è prevista la firma di circa 20 accordi bilaterali. Uno di questi è per la costruzione di CBERS-6, il sesto di una serie di satelliti costruiti insieme da Brasile e Cina. Il nuovo modello presenta una tecnologia che consente il monitoraggio della foresta pluviale amazzonica anche nelle giornate nuvolose.

La Cina è il principale cliente della soia e dei minerali brasiliani, tanto che la bilancia dei pagamenti tra i due paesi segna un netto vantaggio per Brasilia rispetto a Pechino: la Cina ha importato lo scorso anno oltre 89,7 miliardi di dollari di prodotti brasiliani, in particolare soia e minerali, e ha esportato in Brasile merci per un valore di quasi 60,7 miliardi di dollari. Il commercio tra i due paesi vale 150,4 miliardi di dollari ed è aumentato di 21 volte dalla prima visita di Lula in Cina nel 2004.

Nikkei: nonostante sanzioni, chip Usa arrivano ancora in Russia

Nikkei: nonostante sanzioni, chip Usa arrivano ancora in RussiaRoma, 12 apr. (askanews) – A più di un anno dall’inizio della guerra in Ucraina, nonostante le sanzioni internazionali nei confronti di Mosca, centinaia di milioni di dollari di semiconduttori fabbricati negli Stati uniti affluiscono in Russia. Lo rivela un’indagine pubblicata oggi dal Nikkei.

Washington ha vietato l’esportazione di semiconduttori americani in Russia, con poche eccezioni, il 24 febbraio 2022, subito dopo che la Russia ha invaso l’Ucraina in base alla considerazione che i chip sono componenti essenziali per l’industria, compresa quella della difesa che produce missili, carri armati, droni e aerei militari. Ma la Russia ha continuato ad acquisire chip americani attraverso percorsi indiretti, con una gran parte che passa attraverso piccoli commercianti a Hong Kong e nella Cina continentale.

Nikkei ha ottenuto i dati doganali russi da Export Genius, una società di ricerca indiana, e ha esaminato i registri delle importazioni di semiconduttori dal 24 febbraio al 31 dicembre 2022. Questi mostrano 3.292 transazioni del valore di almeno 100.000 dollari ciascuna, e 2.358 di esse – circa il 70% – erano etichettate come provenienti da produttori di chip statunitensi come Intel, Advanced Micro Devices, Texas Instruments e molti altri. Il valore delle transazioni è di almeno 740 milioni di dollari. Tra queste, 1.774 transazioni – circa il 75% – sono state spedite da Hong Kong o dalla Cina continentale, e molti dei vettori sono piccole o medie imprese, alcune delle quali fondate dopo l’invasione dell’Ucraina. Il valore di tali transazioni è stato di 570 milioni di dollari.

Usa disposti a discutere con Sudcorea questione intercettazioni

Usa disposti a discutere con Sudcorea questione intercettazioniRoma, 12 apr. (askanews) – Gli Stati uniti hanno espresso oggi la volontà di cooperare con la Corea del Sud per chiarire la vicenda della presunta intercettazione di funzionari presidenziali di Seoul da parte del Pentagono, che è emersa dalla recente fuga di documenti dal Dipartimento alla Difesa americana. Lo ha riferito oggi il ministro degli Esteri sudcoreano Park Jin intervenendo alla commissione Esteri dell’Assemblea nazionale di Seoul, secondo l’agenzia di stampa Yonhap.

Park Jin ha detto che gli Stati Uniti prendono la questione “seriamente” e hanno “espresso la loro volontà di cooperare pienamente con il nostro governo attraverso una stretta comunicazione”. La fuga di documenti del Pentagono ha provocato grandi polemiche e sconcerto in Corea del Sud. Dalla presidenza si è tentato di ridimensionare l’episodio, sostenendo che in quei documenti ci sarebbero state manipolazioni, mentre l’opposizione è partita all’attacco, definendo la notizia “molto deludente” e “dannosa per l’alleanza Sudcorea-Usa”.

Park ha affermato all’inizio della giornata che gran parte delle informazioni contenute nei documenti sembrano essere state falsificate, ma in seguito ha detto ai legislatori durante la sessione della commissione che “l’accertamento dei fatti è della massima importanza”. Alla domanda se Seoul è disposta a impegnarsi con Washington sulla questione, Park ha detto che “non c’è argomento che non possa essere discusso” tra i due paesi e che la Corea del Sud ha chiesto agli Stati Uniti di condividere i dettagli dell’incidente dopo aver scoperto cosa fosse successo.

“Cercheremo di ottenere risultati che le persone possano comprendere e accettare in termini di sovranità e interessi nazionali”, ha affermato ancora Park, aggiungendo che le intercettazioni telefoniche stesse sono problematiche e che il governo “riesaminerà la richiesta di misure appropriate da parte degli Stati Uniti, se necessario”. Secondo il New York Times e il Washington Post, tra i documenti riservati sfuggiti al controllo del Pentagono, ce ne sono alcuni che dimostrerebbero che i servizi segreti americani intercettavano le conversazioni nella presidenza sudcoreana a inizio marzo, mentre era in corso il dibattito sulla possibilità di fornire armi all’Ucraina.

Risolvere la questione è importante per Seoul anche alla luce del previsto vertice tra il presidente Yoon Suk-yeol e il presidente Usa Joe Biden, che è previsto per il 26 aprile.

La Cina al centro della diplomazia: dal Medio Oriente all’Ucraina

La Cina al centro della diplomazia: dal Medio Oriente all’Ucraina




La Cina al centro della diplomazia: dal Medio Oriente all’Ucraina



















Roma, 12 apr. (askanews) – Una Cina di lotta e di governo, si potrebbe dire parafrasando una vecchia formula della politica: mentre “circonda” Taiwan con preoccupanti manovre militari, Pechino si propone come nuova capitale diplomatica del mondo. Un equilibrismo che le è riuscito piuttosto bene per quanto riguarda il Medio Oriente, mentre per capire l’effetto sulle relazioni con un player globale l’Europa dovremo attendere ancora un po’.

Non solo. Pechino ha anche rimesso il suo naso in America latina, con la visita in corso del presidente brasiliano Lula. E si ragiona di una ricalendarizzazione del viaggio nella Repubblica popolare del segretario di Stato Usa Antony Blinken, precedentemente previsto e cancellato a causa della crisi del “pallone” cinese che ha sorvolato diversi stati americani tra gennaio e febbraio di quest’anno. Sarebbe, in effetti, un passo importante verso un possibile nuovo summit tra il presidente cinese Xi Jinping e il capo dello stato Usa Joe Biden. Il successo più evidente della diplomazia cinese, in questo primo scorcio del 2023, è stata la ripresa dei rapporti diplomatici tra due pluridecennali e acerrimi nemici nel mondo musulmano: il paese leader del mondo sciita, l’Iran, e il regno custode dei Luoghi sacri dell’Islam, l’Arabia saudita. Un riconoscimento reciproco che è stato fortemente sospinto dalla diplomazia della Cina e non a caso sancito con una storica firma a Pechino.

Più articolata la questione con l’Europa. Pechino è stata molto frequentata negli ultimi mesi da leader di grandi paesi europei. Alla fine dello scorso anno, il primo a recarvisi è stato il cancelliere tedesco Olaf Scholz; poi è arrivato alla fine del mese scorso il presidente del governo spagnolo Pedro Sanchez. Infine, la settimana passata è toccato al presidente francese Emmanuel Macron, scortato dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. L’Ue, inoltre, tornerà a Pechino con Josep Borrell, il capo della diplomazia di Bruxelles, anche se la data è da definire: la visita era stata annunciata per il 13-15 aprile, ma l’Alto rappresentante della politica estera europea è risultato positivo al Covid-19 e dovrà quindi attendere. Da un punto di vista economico, queste visite sono state un evidente successo, non però scevro da un’inquietudine. In effetti, l’Europa segna con questi approcci una differenza con l’alleato statunitense, che invece sembra più interessato a un “disaccoppiamento” (“decoupling”) economico con Pechino. Una prospettiva, questa, che non può essere accettata dai due estremi del continente euroasiatico, consapevoli che i loro destini sono stati per tutta la storia intrecciati e lo saranno sempre di più.

Ma questa è un’esigenza che entra fortemente in frizione con l’approccio Usa. Macron, tornato da Pechino, ha creato un pandemonio dichiarando ai giornali francesi che l’Europa non deve diventare “vassalla” degli Stati uniti e non deve farsi coinvolgere in un eventuale conflitto su Taiwan tra la Cina e gli Usa, per il quale “non avrebbe il tempo, i mezzi, l’economia”, mentre “diventerà il terzo polo (dell’ordine mondiale, ndr.) se solo avrà pochi anni per sviluppare” questo progetto. Il punto di caduta, però, per Macron e per l’Europa, è l’atteggiamento della Cina rispetto alla guerra in Ucraina. Dall’inizio del conflitto, l’Europa ha sollecitato Pechino a esercitare la sua influenza su Mosca per aprire una via di dialogo. Per un anno, la Cina si è limitata a non aiutare militarmente la Russia, né a condannarla, ma non si è presentata come possibile mediatrice. Ma il 24 febbraio 2023 ha presentato il suo “position paper” in 12 punti sul conflitto ucraino e Xi Jinping è andato a proporlo a Vladimir Putin, che l’ha apprezzato. Invece, il presidente cinese non ha ancora parlato con il leader ucraino, Volodymyr Zelinsky, che sentirà “quando ci saranno le condizioni”, secondo quanto ha chiarito il ministero degli Esteri cinese.

Gli Usa hanno sostanzialmente snobbato lo sforzo cinese, non così Macron. Che, incontrando Xi nel suo vertice, gli ha detto di sapere di poter “contare su di lui per riportare la Russia alla ragione”. E la stessa von der Leyen ha sollecitato il presidente cinese ad assumere un ruolo negli sforzi per aprire una via politica per uscire dal conflitto. Ora, però, Pechino dovrà essere capace di riequilibrare la sua posizione tra Mosca e Kiev, se davvero vuole svolgere un ruolo di mediazione. La Cina, storicamente, non apprezza le destabilizzazioni: potendo contare sulla sua massa d’urto, si vede come baricentro (il nome della nazione, “Zhongguo”, vuol dire appunto “Paese del Centro”) di un equilibrio su di lei basato. In linea con questa tradizione, Xi ha lanciato dal suo primo mandato (da ottobre dello scorso anno è entrato in un inedito terzo mandato) l’Iniziativa Belt and Road per l’apertura delle Nuove Vie della Seta. L’azione mediatrice di Pechino, in questo senso, è globale, non solo incentrata sugli equilibri euroasiatici. Secondo il Mercator Institute, nel solo 2017 era impegnata nella mediazione di nove conflitti rispetto ai tre del 2012, prima che Xi diventasse il leader del paese. Inoltre la Cina è diventata uno dei massimi contributori di forze di peacekeeping Onu. L’approccio diplomatico cinese rivendica di essere “quello della non interferenza negli affari interni degli altri paesi, di non riempire i vuoti di potere altrui o di cercare l’egemonia”, ma di essere quello che “promuove dialogo e consultazioni per risolverele questioni”, come ha spiegato Zhu Weilie, direttore dell’Istituto di studi sul Medio Oriente presso l’Università internazionale di Shanghai al Global Times, facendo riferimento alla mediazione Teheran-Riyad. Certo, un’eccezione è quella rappresentata da Taiwan. L’isola è considerata da Pechino parte integrante del proprio territorio e Xi ha chiarito in maniera lampante che la Cina non rinuncerà mai all’uso della forza per riprendersela, pur preferendo la via pacifica, e ha ordinato alle forze armate di esser pronta a un’eventuale invasione entro il 2027. L’equilibrio, insomma, non è per la Cina a portata di mano, quanto meno a livello globale. A est Pechino si trova a dover affrontare una politica di contenimento promossa dagli Stati uniti, che vedono in Pechino il loro avversario strategico e prospettico per l’egemonia. I paesi vicini alleati di Washington – Giappone, Corea del Sud e le Filippine, appena tornate nelle braccia americane – si stano armando su input di Washington e stanno integrando le loro capacità militari, anche con l’ausilio dell’Australia e della Gran Bretagna. Inoltre, a sud c’è l’India, con cui Pechino ha aperta una caustica disputa territoriale e una storica ostilità. Questo è il punto debole che impedisce alla Cina una diplomazia che non sia presbite: funziona da lontano, ma non altrettanto nelle sue prossime vicinanze. (di Antonio Moscatello)