Skip to main content
#sanremo #studionews #askanews #ciaousa #altrosanremo

Spazio, nei laboratori dell’Inaf due frammenti dell’asteroide Ryugu

Spazio, nei laboratori dell’Inaf due frammenti dell’asteroide RyuguRoma, 11 mag. (askanews) – Due piccoli grani, lunghi meno di due millimetri per tre milligrammi di peso, parte del preziosissimo carico di frammenti dell’asteroide Ryugu, tornati sulla Terra con la sonda Hayabusa 2 che li ha prelevati nel 2019, sono giunti dal Giappone ai laboratori dell’Inaf a Roma, dove un team di ricerca li analizzerà con l’ambizioso obiettivo di ricostruire la storia dell’evoluzione di Ryugu.

La missione Hayabusa2 dell’Agenzia spaziale giapponese Jaxa ha esplorato l’asteroide Ryugu, grande un chilometro, ottenendo immagini dettagliate della superficie. Hayabusa2 ha scagliato un piccolo proiettile sull’asteroide allo scopo di scavare una piccola porzione del suo strato esterno e mettere a nudo il materiale al di sotto, rimasto preservato per miliardi di anni. Il veicolo spaziale ha poi raccolto frammenti della superficie in due siti differenti di Ryugu, uno di questi nelle vicinanze del cratere. In due camere di raccolta – denominate A e C – sono stati quindi recuperati sia frammenti superficiali che sotto-superficiali, questi ultimi protetti dal vuoto profondo dello spazio fino al momento dell’impatto. La capsula di rientro con il materiale raccolto – si legge su Media Inaf, il notiziario online dell’Istituto nazionale di astrofisica – è stata recuperata a Woomera, in Australia, il 6 dicembre 2020. Si tratta del primo campione raccolto appartenente a una classe di asteroidi molto primitivi, la cui composizione ci fornisce un’istantanea del materiale che ha dato origine al Sistema solare primordiale e alla Terra. La quantità di materiale che è stato raccolto in totale è di circa cinque grammi. Dopo aver completato una prima ispezione, le particelle di Ryugu sono state prelevate singolarmente dai piccoli contenitori di vetro zaffiro con una pinzetta a vuoto e su questi grani è stata eseguita un’analisi al microscopio. “Grazie al mio contributo nella caratterizzazione dell’asteroide Ryugu, come co-investigator della missione Hayabusa2, sono stato chiamato a far parte del ristretto team internazionale che prima dell’apertura dei bandi pubblici, si è occupato per un anno delle prime analisi in esclusiva”, ricorda Ernesto Palomba, ricercatore Inaf a Roma.

Nell’ambito del secondo bando internazionale pubblico per l’analisi dei campioni di Ryugu, la Jaxa ha assegnato al gruppo di ricerca Inaf coordinato da Palomba due grani denominati C0242 (del peso di 0,7 milligrammi e lunghezza di 1,712millimetri) e A0226 ( pesante 1,9 milligrammi e lunghezza di 2,288millimetri). Ciascun grano è posto all’interno di un particolare recipiente di acciaio riempito di azoto, il cui scopo è sia di preservare il grano evitando contaminazioni dovute alle polveri e al vapor d’acqua presenti nell’ambiente, sia di permettere un trasporto sicuro. Per rendere onore alla cultura giapponese, il team italiano ha deciso di assegnare un nome ai due grani attingendo alla tradizione degli Anime, in particolare le opere dello studio Ghibli con il suo creatore Hayao Miyazaki. I nomi sono stati scelti guardando sia alla forma (A0226-Totoro) dal film “Il mio vicino Totoro”, sia al compito di Hayabusa2 di spedire a Terra campioni extraterrestri (C0242-Kiki) dal film “Kiki – Consegne a domicilio”.

“Tra tutte le 38 proposte di analisi accettate dalla Jaxa per il secondo bando internazionale, la nostra è l’unica italiana”, commenta Palomba. “Il team è composto da una dozzina di persone delle sedi Inaf di Roma, Napoli, Catania e dall’Università di Firenze, di cui quasi la metà sono borsisti, studenti di dottorato e postdoc. Per preparaci all’analisi e alla manipolazione di grani millimetrici, abbiamo cominciato a fare palestra con dei frammenti di una meteorite carbonacea, la Tagish Lake, che si può considerare molto simile ai frammenti di Ryugu. Abbiamo ideato e prodotto dei portacampioni in grado di mantenere fermi i grani durante il trasporto e le analisi. E ora una decina di giorni fa la Jaxa ci ha contattato chiedendoci l’indirizzo per spedire i campioni. In realtà in meno di una settimana, con nostra grande emozione, Kiki e Totoro sono arrivati”. “Per questo progetto, abbiamo avuto anche a supporto un large grant dell’Inaf”, sottolinea Palomba. “Il nostro obiettivo sarà comprendere come questo asteroide si sia evoluto durante i 4 miliardi di anni della sua vita. In particolare, andremo a studiare le trasformazioni causate dall’interazione con l’ambiente spaziale, che a differenza di quanto si potrebbe credere è lungi dall’essere completamente inerte. Una pioggia continua di micrometeoriti, particelle galattiche e cosmiche, nonché il flusso costante del vento solare – il cosiddetto space weathering – bombarda le superfici dei corpi planetari incessantemente per miliardi di anni, provocando anche sostanziali trasformazioni. Per capire meglio queste trasformazioni, nel nostro progetto abbiamo richiesto due grani, uno proveniente dalla camera A e un altro dalla camera C, cosicché sarà possibile comprendere quanto lo space weathering abbia modificato la superficie dell’asteroide”, conclude Palomba.

Zoccoli(INFN): Einstein Telescope sposterà le frontiere del sapere

Zoccoli(INFN): Einstein Telescope sposterà le frontiere del sapereRoma, 9 mag. (askanews) – “Einstein Telescope è un sogno. Per noi scienziati è il sogno di costruire una nuova infrastruttura di ricerca di quelle che spostano avanti le frontiere della conoscenza, che si costruiscono una volta ogni 50 anni nella storia di una nazione e che veramente possono spostare le frontiere della conoscenza e possono avere un impatto enorme sul territorio”. Lo ha detto il presidente dell’INFN Antonio Zoccoli intervenendo all’evento “Einstein Telescope: la grande infrastruttura di ricerca europea” – organizzato da Mur, Regione Sardegna e INFN – in svolgimento a Cagliari nell’ambito del XIII Simposio della Collaborazione Scientifica internazionale Einstein Telescope in programma fino al 12 maggio, a cui partecipano centinaia di rappresentanti della comunità scientifica europea.

Al centro dell’evento la candidatura dell’Italia a ospitare il futuro rivelatore europeo di terza generazione per la ricerca sulle onde gravitazionali in Sardegna, nell’area della miniera dismessa di Sos Enattos, tra i Comuni di Bitti, Lula e Onanì, in competizione con un altro sito collocato nell’Euregio Mosa-Reno. “Il nostro sogno come scienziati – ha detto Zoccoli – è usare questa infrastruttura per capire i segreti dell’Universo più profondo, addentrarci sempre più indietro nel tempo verso l’origine dell’Universo e capire cosa succede nei primi istanti sfruttando ad esempio il collasso di due buchi neri o di due stelle di neutroni. In questi eventi catastrofici vengono emesse le onde gravitazionali che arrivano, viaggiando nel tempo, fino a noi, portando dell’informazione, come dei messaggeri. L’idea è quella di prendere le informazioni che ci portano le onde gravitazionali, combinarle con le informazioni che ci portano gli altri messaggeri – che possono essere la luce visibile, i raggi X, i raggi gamma, i neutrini e le altre particelle che arrivano dallo spazio profondo – per avere una visione dell’Universo e delle leggi che lo governano più solida. Abbiamo ancora tante cose che non capiamo. Sappiamo – ha aggiunto – che l’Universo è fatto per il 5 % di materia ordinaria, quella di cui siamo fatti noi, ma il 95% è fatto da materia oscura ed energia oscura e ancora non sappiamo cosa siano. Quindi abbiamo tantissimi segreti da capire. E questa sarebbe veramente l’infrastruttura che ci permette di aprire delle porte, di voltare delle pagine nel libro della natura”.

“Abbiamo scelto il sito di Sos Enattos – ha spiegato il presidente dell’INFN – perché la Sardegna è una delle regioni geologicamente più stabili al mondo e quindi uno dei posti ideali per fare questo tipo di ricerche. É anche una zona poco popolata e meno interferenze antropiche ci sono e più le misure possono essere precise. E poi è un posto unico al mondo, bellissimo”. “Questo sogno – ha detto ancora Zoccoli – abbiamo cercato di trasmetterlo ai nostri governanti. Abbiamo parlato con il presidente della Regione Sardegna che ci ha sempre sostenuto, con il ministro Bernini che si è entusiasmata e ci ha aiutato tantissimo in questa fase, ha sostenuto il progetto, ha costituito un gruppo di sostegno”, il comitato tecnico scientifico per la candidatura dell’Italia a ospitare ET di cui fanno parte oltre allo stesso Zoccoli il premio Nobel Giorgio Parisi, Marica Branchesi (GSSI) esperta di onde gravitazionali, Nando Ferroni (ex presidente dell’INFN, oggi al GSSI) e l’ambasciatore Ettore Sequi.

“La cosa più bella – ha concluso Zoccoli – è vedere che in Italia, dove spesso si dice che non funziona niente, ci sono tante persone che lavorano insieme per raggiungere questo obiettivo ambiziosissimo. Sono felice di vedere che in tanti condividiamo questo sogno di costruire questa infrastruttura unica in questa terra”.

Unipi, 30 anni fa a Pisa la prima pagina web pubblicata in Italia

Unipi, 30 anni fa a Pisa la prima pagina web pubblicata in ItaliaRoma, 9 mag. (askanews) – Il 1993 era iniziato da poco quando sullo schermo di un PC/Unix dell’Università di Pisa fu visualizzata la prima pagina web messa online in Italia. Una schermata rudimentale – testo, immagini e qualche elemento di grafica – che segnò l’approdo del nostro Paese nel world wide web nato meno di due anni prima.

A rendere possibile quell’impresa, – ricorda l’Università di Pisa – la creazione del primo server web italiano, nato esattamente 30 anni fa e realizzato a partire dal codice (ancora in versione BETA) che lo stesso Tim Berners-Lee, l’inventore del World Wide Web, aveva regalato a Maurizio Davini, all’epoca giovanissimo studente in fisica e oggi CTO del Green Data Center di Ateneo. All’impresa parteciparono, Stefano Suin, informatico e oggi dirigente della Direzione infrastrutture digitali Unipi; e l’economista Paolo Caturegli, insieme ad altri docenti dell’Università di Pisa. Pionieri, la cui curiosità e voglia di sperimentare diede vita, in quegli anni, ad una serie di progetti informatici che collocherà l’Università di Pisa all’avanguardia in Italia e in Europa nello sviluppo del web. “Il mio incontro con Berners-Lee avvenne alla fine del 1992 al Centro di Calcolo del CERN di Ginevra – racconta Maurizio Davini – Ero lì per vedere come funzionava la sua workstation NEXT e in quell’occasione mi spiegò la sua creazione e alla fine mi dette una copia di quello che era il codice sorgente del web. Tornai a Pisa e poche settimane dopo, agli inizi del 1993, avevamo il nostro server funzionante. Con i colleghi ripetemmo poi l’esperienza con i sistemi IBM AIX di Ateneo e dell’INFN di Pisa. Avevamo gettato le basi dei primi siti web italiani che di lì a poco, nell’agosto de 1993, avrebbero trovato una prima forma compiuta nel sito del CRS4 di Cagliari, Centro diretto, peraltro, da uno dei nostri laureati più illustri, Carlo Rubbia, ed estensione del CERN in Italia”.

Le origini di questa storia, per molti anni rimasta chiusa negli archivi dell’Università di Pisa, risalgono ad un gruppo di ricercatori e studenti che già nel 1989 si erano cimentati nel primo collegamento italiano in fibra ottica. Da quel nucleo originario, nel 1992, nascerà la squadra di lavoro organizzata dal professore Giuseppe Pierazzini dell’Università di Pisa, che porterà alla nascita della prima rete universitaria in fibra ottica d’Italia e poi al Centro di SERvizi per la Rete di Ateneo (SERra). “Eravamo giovani e con tanta voglia di sperimentare – racconta Stefano Suin, – Il gruppo di Pierazzini, interdisciplinare e interdipartimentale, era il terreno di coltura adatto per sviluppare progetti che all’epoca erano veramente pionieristici. Basti pensare che negli anni che hanno preceduto l’avvento del world wide web, il nostro Ateneo è stato un punto di riferimento in Europa per Gopher, il protocollo utilizzato inizialmente per collegare PC in tutto il mondo, e server per l’Italia di Archie, il primo motore di ricerca nella storia di internet”.

Oggi – evidenzia Unipi – questa storia d’eccellenza prosegue nel Green Data Center di Ateneo che, oltre ad essere quasi ad impatto zero, è anche uno dei pochissimi classificato come A dall’AgID. Nel GDC si portano avanti progetti di ricerca che vanno dai nano materiali al quantum computing e vi si testano tecnologie di nuova generazione. Il Green Data Center è il cuore dell’attuale rete dell’Università di Pisa, formata da oltre 9000 km di fibra ottica, con 80 km di canalizzazioni, che collega 250 edifici universitari. Attraverso accordi e convenzioni, inoltre, l’infrastruttura server ormai da tempo anche l’intera rete civica pisana e collega gli enti e le istituzioni di ricerca della città e le scuole di ogni ordine e grado di Pisa e Livorno.

Spazio, Rossettini (D-Orbit) tra finalisti European Inventor Award

Spazio, Rossettini (D-Orbit) tra finalisti European Inventor AwardRoma, 9 mag. (askanews) – Luca Rossettini, Ceo di D-Orbit società di logistica spaziale e di trasporto orbitale, è tra i tre finalisti nella categoria “Pmi” dell’European Inventor Award 2023 – riconoscimento dedicato a invenzioni eccellenti brevettate presso l’Ufficio europeo brevetti (EPO) – per aver inventato un dispositivo che consente di spostare i satelliti in una parte inutilizzata dell’orbita o addirittura riportarli sulla Terra in modo controllato. Una volta portati fuori dall’orbita terrestre, i satelliti possono bruciare nell’atmosfera e disintegrarsi in un’area designato e sicuro. Questo sistema riduce il costo totale delle missioni spaziali del 10%, contribuendo alla creazione di un’economia circolare per lo spazio.

Secondo l’Agenzia Spaziale Europea (ESA), dal primo lancio di un satellite nel 1957 sono stati inviati nell’orbita terrestre più di 15.000 satelliti. Oltre 600 collisioni, esplosioni e incidenti nello spazio hanno ridotto in pezzi molti di questi veicoli spaziali e l’ESA stima che, di conseguenza, più di 36.500 oggetti di dimensioni superiori a 10 cm stiano sfrecciando intorno alla Terra. L’inventore italiano Luca Rossettini e la sua squadra hanno lavorato per risolvere questo problema creando un sistema che consente di manovrare i satelliti in modo più preciso ed efficiente nei loro slot orbitali e poi di rimuoverli in modo sicuro dall’orbita terrestre quando non sono più utili. Conosciuto come D-Orbiter(D3)™, il dispositivo di disattivazione progettato dall’azienda – informa una nota – è un piccolo rotore indipendente e intelligente che viene collegato a un satellite prima del suo lancio. È dotato di sistemi propri di propulsione, di carburante, di unità di controllo a distanza e di telecomunicazione. L’apparecchio rimane inattivo finché non rileva un problema di funzionamento del satellite e avvisa gli operatori sulla Terra. Il D3 offre una soluzione economica alle aziende di satelliti per ridurre i detriti nello spazio, dato che il costo sostenuto per proteggere la missione dall’impatto con oggetti in orbita e della rimozione del satellite a fine vita può raggiungere un decimo del costo totale della missione.

“Se si punta a raggiungere davvero un’economia circolare sostenibile per lo spazio, il problema numero uno sarà la gestione dei detriti spaziali” spiega Rossettini. “Oggi, abbiamo centinaia di frammenti in orbita che rappresentano la principale minaccia per i satelliti. Non sappiamo dove siano. Quindi, ogni volta che si invia un satellite si fa una scommessa di non essere colpiti da nessuno di questi detriti. E si capisce che, se il numero di satelliti continua ad aumentare come ora, non si potrà continuare a scommettere, soprattutto se si desidera costruire un business nello spazio”. D-Orbit ha anche creato una soluzione per la consegna “ultimo miglio”, chiamata ION Satellite Carrier, che si basa sul metodo brevettato dall’inventore per il rilascio in sicurezza dei satelliti. ION è un veicolo spaziale multiuso che può trasportare satelliti in orbita e rilasciarli individualmente esattamente dove devono essere per iniziare la loro missione in condizioni operative ottimali e svolgere diversi altri servizi avanzati, come testare payload di terze parti in orbita, durante la stessa missione.

L’invenzione di Rossettini è il risultato della sua lunga passione per lo spazio e la sostenibilità. Dopo aver prestato servizio come Ufficiale Aeronautico nell’esercito italiano, ha conseguito un Master in Ingegneria Aerospaziale presso il Politecnico di Milano. Ha lavorato per un anno in un laboratorio di ricerca statunitense sulle nanotecnologie applicate ai propellenti spaziali prima di tornare in Europa per completare un secondo master in Leadership strategica verso la sostenibilità. Successivamente ha conseguito un dottorato di ricerca in Propulsione Spaziale Avanzata sempre presso il Politecnico di Milano e, in seguito ad un tirocinio presso la NASA all’interno del Centro ricerche di Ames, Rossettini ha co-fondato D-Orbit in Italia nel 2011. I vincitori dell’edizione 2023 dell’European Inventor Awards saranno annunciati nel corso di un evento (in presenza e digitale) il 4 luglio 2023 a Valencia (Spagna). La cerimonia sarà trasmessa online e aperta al pubblico.

Arriva Vadus, l’app che “svela” i beni culturali non accessibili

Arriva Vadus, l’app che “svela” i beni culturali non accessibiliRoma, 8 mag. (askanews) – Una metodologia innovativa per la fruizione virtuale 3D di beni culturali non accessibili, in grado di rivelare anche aspetti non visibili a occhio nudo, basata sull’integrazione di tecnologie 5G, cloud, servizi satellitari, fotogrammetria e informazioni multimediali. È il risultato del progetto VADUS (Virtual Access and Digitalization for Unreachable Sites) condotto da ENEA, Università Sapienza di Roma, parchi Archeologici del Colosseo e di Ostia Antica, Museo Pietro Micca e dell’Assedio di Torino del 1706, TIM, Next-Ingegneria dei Sistemi (coordinatore) e finanziato dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA), che sarà presentato il prossimo 9 e 10 maggio presso il Centro Ricerche ENEA di Frascati al workshop “Ricerca, sviluppo e applicazioni per i Beni Culturali. Dai risultati del progetto VADUS alle future collaborazioni”. Nello specifico, nell’ambito del progetto, sono state realizzate le visite virtuali alla Casa di Diana a Ostia Antica, all’Aula Isiaca nel Parco del Colosseo e al forte ipogeo “Pastiss” nel Museo Pietro Micca di Torino.

Durante l’evento che vedrà la partecipazione di esperti, ricercatori e rappresentanti di soprintendenze, istituzioni culturali, musei e PMI, sarà possibile anche effettuare la visita virtuale alla Casa di Diana tramite l’app realizzata appositamente da Next-Ingegneria dei Sistemi e disponibile su tablet 5G. ENEA, con il Laboratorio di Diagnostica e metrologia, ha arricchito la visita virtuale del forte Pastiss, non visitabile, con i risultati delle analisi sui quadri del Museo Pietro Micca, che hanno rivelato particolari invisibili a occhio nudo o scomparsi, come stemmi e firme. Per la Casa di Diana del Parco Archeologico di Ostia Antica, ugualmente chiusa al pubblico, – si legge nella notizia pubblicata sull’ultimo numero in italiano del settimanale ENEAinform@ – è stata realizzata invece una visita virtuale dei vari ambienti in cui i livelli multimediali creati da ENEA restituiscono informazioni sulle diverse fasi costruttive e di restauro dell’edificio. Per l’Aula Isiaca del Parco del Colosseo è stato anche possibile “ricollocare” virtualmente negli spazi originali una decorazione ad affresco conservata in altro luogo.

“VADUS, che significa ‘passaggio’, permette un’esperienza completamente immersiva ad alta definizione, senza alcun vincolo spaziale e temporale nei percorsi di visita, declinata attraverso uno storytelling multilivello, con contenuti multimediali di natura archeologica, storica e scientifica, supportati da ricostruzioni o ricreazioni virtuali”, sottolinea Valeria Spizzichino, ricercatrice ENEA del Laboratorio di Diagnostica e metrologia. “E in questo modo – aggiunge – VADUS fungerà da abilitatore tecnologico ponendosi proprio come mezzo per superare ciò che non è raggiungibile in termini fisici e culturali, come le difficoltà legate all’accesso per ragioni ambientali, di preservazione del bene, a causa di barriere architettoniche o connesse alla ‘comprensibilità’ del bene culturale”. ENEA ha contribuito al progetto con i suoi prototipi innovativi che, utilizzando sorgenti laser monocromatiche, possono lavorare ad alcune decine di metri dall’opera: il radar RGB-ITR (Red Green Blue Imaging Topological Radar), in grado di fornire per ciascun punto della superficie analizzata tre tipologie di informazione sul colore e due sulla distanza con risoluzione spaziale submillimetrica, ottenendo ricostruzioni 3D ad alta risoluzione, a colori e senza la necessità di supporto di immagini fotografiche; il sistema di Imaging LIF (Laser Induced Fluorescence) che consente, invece, di analizzare la composizione delle superfici, creando mappe di distribuzione dei materiali e, quindi, di proprietà non visibili a occhio nudo; IR-ITR (Infra Red Imaging Topological Radar) che permette di recuperare particolari scomparsi per effetto del degrado o coperti da successivi strati pittorici.

Prima foto della Terra dal satellite meteo MTG-I1 di Esa-Eumetsat

Prima foto della Terra dal satellite meteo MTG-I1 di Esa-EumetsatMilano, 4 mag. (askanews) – Una densa copertura nuvolosa su gran parte dell’Europa settentrionale e occidentale, nonché sulla Scandinavia mentre l’Italia e i Balcani presentano un cielo relativamente sereno. È quello che si vede nella prima, straordinaria, immagine della Terra rilasciata da MTG-I1, il satellite di Esa e d Eumetsat, costruito da Thales Alenia Space come prime contractor, primo della famiglia Meteosat Third Generation (MTG).

L’immagine è stata pubblicata dall’Organizzazione Europea dei Satelliti Meteorologici (Eumetsat) e dall’Agenzia Spaziale Europea (Esa); scattata dallo strumento Flexible Combined Imager (FCI) del satellite, mostra le condizioni meteorologiche su Europa, Africa e Atlantico con un dettaglio eccezionale e una nitidezza mai raggiunta prima. Lanciato da Arianespace il 13 dicembre 2022, MTG-I1 è stato progettato per migliorare le previsioni meteorologiche in Europa e in Africa. Progettato per sostituire la famiglia Meteosat Second Generation (MSG), MTG è un programma congiunto tra Esa ed Eumetsat per garantire la continuità del monitoraggio meteorologico ad alta risoluzione oltre il 2040.

I satelliti MTG sono costruiti da Thales Alenia Space come prime contractor, in collaborazione con OHB. Operano in orbita geostazionaria, a circa 36.000 chilometri sopra la Terra, e hanno una vita operativa di 8,5 anni. MTG-I1 è dotato di FCI, uno strumento di imaging di nuova generazione, per migliorare l’accuratezza delle previsioni meteorologiche su tempi che vanno da pochi minuti a qualche ora. Questo strumento fornisce una foto completa della Terra (16 bande d’onda) in soli 10 minuti, rispetto ai 15 minuti della generazione precedente, e include anche una modalità veloce che consente di scattare foto dell’Europa ogni 2,5 minuti. Offre una risoluzione spaziale che va da 500 metri a 1 chilometro.

Questo primo satellite della famiglia MTG sarà affiancato da altri tre satelliti di imaging (MTG-I) e due satelliti per lo studio dell’atmosfera (MTG-S), che saranno lanciati tra il 2024 e il 2033, formando una costellazione in orbita geostazionaria. Gestito da Eumetsat, questo sistema segna un significativo progresso nel monitoraggio degli eventi meteorologici estremi. I meteorologi attendono questi nuovi satelliti che miglioreranno in modo significativo le previsioni meteorologiche, rivoluzionando la meteorologia moderna. I modelli di imaging sono dotati di rilevatori di fulmini, mentre i sounder saranno in grado di fornire mappe 3D dell’atmosfera. Una volta che tutti i satelliti saranno in orbita, Eumetsat offrirà i servizi di previsione meteorologica più sofisticati al mondo.

IIT: un esoscheletro per addetti alla manutenzione delle ferrovie

IIT: un esoscheletro per addetti alla manutenzione delle ferrovieMilano, 3 mag. (askanews) – Un esoscheletro di supporto per la schiena è stato sviluppato all’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) per migliorare la sicurezza e le condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici nelle operazioni di manutenzione e rinnovo delle ferrovie. Il prototipo è stato validato in circa 100 ore di utilizzo da parte di 15 persone durante 6 mesi di campagna di test ospitata da Mermec Ste e da Rfi evidenziando una riduzione del 50% del rischio ergonomico di sovraccarico fisico e lesioni e del 15%-30% dell’affaticamento muscolare.

L’esoscheletro “Stream” – il nome tecnico è Mmpe, Modular Multi-tasking Powered Exoskeleton – nasce nell’ambito del progetto europeo Stream coordinato dal ricercatore di IIT Christian Di Natali e finanziato dall’Unione Europea all’interno di Horizon 2020 e di Shift2Rail Joint Undertaking, la prima grande iniziativa transnazionale strategica mirata a promuovere la ricerca e l’innovazione nel settore ferroviario, così da renderlo più competitivo, efficiente e sostenibile. Il progetto Stream ha introdotto una nuova soluzione tecnologica da industria 5.0, dove le attività dei lavoratori sono connesse, attraverso l’IoT, a tecnologie indossabili ed esoscheletri occupazionali potenziati. L’esoscheletro sarà presentato in un evento finale di progetto a Tarragona in Spagna l’8 giugno. L’esoscheletro supporta il lavoratore tramite motori elettrici che generano forze a livello della schiena e che vengono distribuite, in maniera confortevole, a spalle e gambe per aiutarlo a sollevare e trasportare carichi pesanti. L’ergonomia del dispositivo è stata studiata per migliorare il trasferimento delle forze sul corpo dell’utente tramite una combinazione di strutture più o meno rigide. Il dispositivo pesa circa 7 kg, costituito da struttura, motori, elettronica e batterie che offrono un’autonomia di 6 ore continuative. Il design lo rende adeguato ad essere indossato da lavoratori e lavoratrici di corporatura diversa, senza alterare l’alta visibilità degli indumenti da lavoro. L’esoscheletro, inoltre, ha una struttura versatile che lo rende capace di interpretare il movimento della persona per gestire le diverse intensità di lavoro e attuare in modo automatico le strategie di assistenza, riducendo il rischio di infortunio.

La campagna sperimentale mirata a valutare i benefici dell’esoscheletro è stata ospitata da Rfi e Mermec Ste all’interno di cantieri ferroviari per sei mesi, tra cui per l’ultima fase vicino a Milano. I test hanno riguardato prove di laboratorio, validazione in ambiente simulato e dimostrazione finale in ambiente operativo. I lavoratori coinvolti sono stati 15, per circa 100 ore di utilizzo. La validazione finale è stata realizzata in un ambiente operativo reale con un team di lavoratori che ha utilizzato due esoscheletri, consentendo così il raggiungimento di un livello di maturità tecnologica avanzato, pronto per una futura industrializzazione. I lavoratori hanno indossato l’esoscheletro Stream per trasportare e sistemare cunicoli in cemento pesanti 20kg-30kg. I risultati hanno evidenziato una riduzione del 50% del rischio ergonomico di sovraccarico fisico e lesioni, sul sistema muscolo-scheletrico, in particolare lombare. L’affaticamento è stato ridotto fino al 15%-30% e anche l’attività muscolare è stata ridotta del 25%.

Il design dell’esoscheletro realizzato da IIT è stato pensato per essere una soluzione comoda per l’uso durante l’intero turno di lavoro per i lavoratori e le lavoratrici impiegati nell’industria pesante, e in particolare per l’ambiente cantieristico, quale quello ferroviario.

Al via Actris-Eric: dati e servizi per la ricerca atmosferica

Al via Actris-Eric: dati e servizi per la ricerca atmosfericaRoma, 2 mag. (askanews) – È stato formalmente costituito il 25 aprile ACTRIS-ERIC, il consorzio dell’Infrastruttura di ricerca europea ACTRIS (Aerosol, Clouds and Trace Gases Research Infrastructure), la cui missione è fornire dati e servizi all’avanguardia per la ricerca sull’atmosfera e sul clima. I Paesi fondatori sono 17, e mettono in comune le proprie risorse per aprire l’accesso a un’ampia gamma di tecnologie, servizi e risorse nel campo delle scienze atmosferiche. L’istituzione di ACTRIS-ERIC concretizza uno sforzo a lungo termine iniziato nel 2011 e perseguito e condiviso da diversi Paesi europei, tra cui l’Italia, che vi partecipa con una rete di istituzioni, tra le quali il CNR e l’INFN. L’istituzione di ACTRIS-ERIC – si legge sul sito dell’INFN – testimonia il progresso di ACTRIS da una rete basata su progetti a un’infrastruttura di ricerca matura e sostenibile.

“Grazie ad un’intensa cooperazione internazionale, in soli dieci anni siamo stati in grado di costruire e rendere operativi strumenti scientifici all’avanguardia che aprono opportunità senza precedenti per scoperte rivoluzionarie”, afferma Paolo Laj, coordinatore scientifico ad interim di ACTRIS. “ACTRIS sta consolidando la sua posizione nel panorama nazionale, europeo e internazionale, ampliando il suo ruolo di attore chiave a sostegno della ricerca ambientale. La qualità dei servizi, la cultura dell’innovazione aperta, la prontezza e flessibilità nel rispondere alla domanda delle varie comunità degli utenti aumenteranno il livello di fiducia e collaborazione tra ACTRIS e i suoi partner”. La Finlandia ospiterà la sede statutaria e gestirà il coordinamento generale di ACTRIS, mentre l’Italia gestirà l’accesso ai servizi di ACTRIS. L’Italia è infatti uno dei Paesi fondatori di ACTRIS, avendo avuto sin dall’inizio ruoli chiave nel coordinamento dell’infrastruttura europea. La partecipazione italiana ad ACTRIS conta sul contributo dell’INFN con i laboratori LABEC a Firenze e ChAMBRe a Genova, del CNR, del Gruppo dell’Osservatorio Atmosferico e Telerilevamento LIDAR del Centro di Eccellenza CETEMPS del Dipartimento di Scienze Fisiche e Chimiche dell’Università degli Studi dell’Aquila, del Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi Produttivi e Territoriali dell’ENEA, del Dipartimento di Scienze Pure e Applicate dell’Università di Urbino Carlo Bo, dell’Università del Salento e dell’Università di Napoli Federico II che ospita, presso il Dipartimento di Fisica “Ettore Pancini”, il Centro Servizi Metrologici e Tecnologici Avanzati (CeSMA).

“Partecipare a grandi collaborazioni internazionali è nella natura dell’INFN, e in ACTRIS il nostro Istituto mette al servizio della rete europea conoscenze e strutture che possono portare un contributo importante allo studio di quei processi atmosferici che, nei prossimi decenni, determineranno in buona parte il futuro del pianeta e dell’umanità”, spiega Paolo Prati, rappresentante dell’INFN in ACTRIS Italia. “Affrontare questa sfida è motivo di orgoglio e sottolinea, ancora una volta, le tante ricadute che la ricerca di base sulle leggi fondamentali della natura restituisce alla società”, conclude Prati. ACTRIS con i suoi siti osservativi costituisce la più grande infrastruttura di ricerca atmosferica distribuita al mondo, che ha consentito negli anni una comprensione più approfondita delle cause del cambiamento climatico e dell’inquinamento atmosferico. Il monitoraggio della variabilità nel tempo e nello spazio dei costituenti atmosferici a breve permanenza in atmosfera (aerosol, nubi e gas in traccia) da 80 piattaforme di osservazione in Europa e non solo, per oltre un decennio, ha fornito una visione senza precedenti dell’efficacia delle politiche di riduzione delle emissioni in Europa, ma ha anche evidenziato i complessi meccanismi di feedback che agiscono sul sistema climatico. Ora, con l’istituzionalizzazione di ACTRIS nella forma di un ERIC si aprono le porte ai ricercatori, alle imprese e più in generale ai Paesi, per favorire ancor più l’accesso libero alle informazioni chiave sullo stato dell’atmosfera, per condividere le migliori piattaforme osservative di ricerca in Europa e per sostenere il processo decisionale con tutte le competenze scientifiche di riferimento.

ACTRIS offre ai suoi utenti un accesso aperto a strumenti, competenze, opportunità di formazione e servizi di gestione dei dati FAIR (Findable, Accessible, Interoperable and Reusable). Ogni anno, oltre 5.000 utenti distribuiti in circa 50 Paesi del mondo utilizzano i dati di ACTRIS per le loro ricerche, consentendo previsioni atmosferiche affidabili, tra cui avvisi di pericolo a breve termine per il meteo e la salute, nonché valutazioni a lungo termine dei cambiamenti climatici. L’INFN partecipa ad ACTRIS con due strutture di ricerca uniche: il LABEC (Laboratorio di tecniche nucleari per l’Ambiente e i Beni Culturali) della Sezione di Firenze e ChAMBRe (Chamber for Aerosol Modelling and Bio-aerosol Research) della Sezione di Genova. I due laboratori sono oggi sinergicamente inclusi nell’ERIC-ACTRIS, il LABEC ospitando il centro di riferimento europeo per la caratterizzazione elementale del particolato atmosferico (Elemental Mass Calibration Centre, EMC2) e ChAMBRe come “national facility” specializzata nello studio della componente biologica e delle proprietà ottiche degli aerosol atmosferici ovvero l’inquinante più elusivo con impatti molto significativi sia sulla salute che sulla sfida epocale dei cambiamenti climatici.

Il CNR ha contribuito notevolmente al raggiungimento di tale successo ricoprendo anche ruoli strategici e di coordinamento: gli Istituti coinvolti sono l’Istituto di metodologie per l’analisi ambientale (Cnr-Imaa), l’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima (Cnr-Isac) e l’Istituto di scienze marine (Cnr-Ismar), che ospitano 4 siti osservativi e 2 piattaforme mobili. Il Cnr-Imaa gestisce e coordina a livello europeo sia l’accesso ai servizi di ACTRIS, sia l’unità del Data Centre per la componente di aerosol remote sensing, e partecipa inoltre al centro europeo per la definizione, ottimizzazione e avanzamento delle osservazioni lidar di aerosol.

Enea: possibile recuperare metalli e minerali dall’acqua di mare

Enea: possibile recuperare metalli e minerali dall’acqua di mareRoma, 28 apr. (askanews) – Recuperare il magnesio dagli scarti del processo di desalinizzazione dell’acqua di mare: è questo uno dei nuovi avamposti della ricerca ENEA per l’economia circolare, i cui risultati sono stati pubblicati sulla rivista Environment, Development and Sustainability.

“Considerata l’importanza strategica del tema, abbiamo aperto una linea di ricerca dedicata all’estrazione del magnesio dalle salamoie e, in questo contesto, abbiamo prodotto e pubblicato una review propedeutica alle attività in corso”, spiega Danilo Fontana, ricercatore del Laboratorio ENEA di Tecnologie per riuso, riciclo, recupero e valorizzazione di rifiuti e materiali. Attualmente sono operativi nel mondo quasi 16mila impianti di desalinizzazione che producono circa 95 milioni di m3 al giorno di acqua desalinizzata. La produzione di salamoia, invece, ammonta a 142 milioni di m3 al giorno (circa il 50% in più del volume dell’acqua totale desalinizzata) con Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Qatar a guidare la classifica mondiale per ‘generazione’ di scarti dalla desalinizzazione dell’acqua destinata a usi civili (in particolare, consumo umano e agricoltura). “Le attuali tecnologie di desalinizzazione producono grandi quantità di salamoie che hanno una salinità tre volte maggiore rispetto a quella dell’acqua di mare. Il loro smaltimento comporta una serie di problemi ambientali per l’ecosistema acquatico, nel momento in cui vengono riversate in mare. Allo stesso tempo, le salamoie rappresentano una preziosa fonte secondaria di magnesio che, se recuperato, potrebbe essere impiegato in numerosi settori industriali”, aggiunge Fontana che ha curato la pubblicazione insieme al team di ricerca composto da Federica Forte, Massimiliana Pietrantonio, Stefano Pucciarmati e Caterina Marcoaldi.

Il magnesio – si legge nella notizia pubblicata sull’ultimo numero in italiano del settimanale ENEAinform@ – è un metallo che non si trova in natura nella sua forma elementare ed è l’ottavo elemento più abbondante nella crosta terrestre (circa il 2%). Nelle salamoie provenienti dagli impianti di dissalazione (soprattutto da quelli a osmosi inversa) i valori di concentrazione del magnesio sono molto elevati (1860-2880 milligrammi per litro). Non solo: sono presenti, in grandi quantità, anche il sodio (15.300-25.240 mg/litro), il calcio (520-960 mg/litro) e il potassio (740-890 mg/litro). “Ma è il magnesio il metallo più interessante per il suo impiego a livello industriale e per questo la Commissione Europea lo ha inserito nella lista dei 34 materiali definiti critici, per l’elevato rischio di approvvigionamento e valore strategico. Il maggior produttore di magnesio è la Cina, che fornisce circa il 90% dell’offerta mondiale; seguono la Russia (6%), il Kazakistan (2%), Israele (2%) ed il Brasile (2%)”, sottolinea Fontana.

Le principali applicazioni del magnesio sono, ad esempio, le leghe di alluminio che vengono utilizzate in particolare negli imballaggi (35%), nei trasporti (25%) e nelle costruzioni (21%); questo elemento è impiegato anche nell’industria farmaceutica (come eccipiente), da quella alimentare e cosmetica e per il trattamento delle acque reflue. Il magnesio trova ampia diffusione anche nei settori automobilistico, aerospaziale e della produzione di attrezzatura sportiva (ad esempio, per componenti meccanici delle selle per biciclette, degli scarponi da sci e da snowboard) dove viene impiegata una particolare tecnologia – chiamata pressofusione di magnesio – che sfrutta le proprietà del magnesio per realizzare con facilità, alta precisione e bassi costi, componenti di forma complessa e dallo spessore sottile. Attualmente, in Europa il tasso di riciclo del magnesio estratto da prodotti a fine vita è del 15%. Risulta sempre più necessario incrementare questa percentuale anche per la rilevante applicazione di questo metallo come materia prima per le batterie: è leggero, offre il vantaggio di trasferire due elettroni per atomo ed è considerato un’interessante alternativa al litio nel settore dei futuri accumulatori elettrochimici.

“Con il nostro lavoro di ricerca abbiamo esaminato le tecnologie di recupero del magnesio da salamoie presenti in letteratura, indentificandone criticità e potenzialità”, spiega Fontana. “Ma la maggior parte rimane confinata nei laboratori. Pochi studi sono incentrati sulla fattibilità tecnico-economica e sulla sostenibilità ambientale dei processi proposti. Questo nostro lavoro di review tecnica può fornire ‘spunti’ per approfondire il tema di ricerca per traferire le tecnologie finora sviluppate dal laboratorio al mercato, con ricadute vantaggiose per l’economia e per l’ambiente”, conclude Fontana.

Ricerca, dalla Sapienza primi microrobot programmabili con la luce

Ricerca, dalla Sapienza primi microrobot programmabili con la luceRoma, 28 apr. (askanews) – L’intelligenza artificiale ha raggiunto un livello di prestazioni tale da poter sostituire l’attività umana in un’ampia gamma di lavori, dalle catene di montaggio ai laboratori di ricerca biomedica. In quest’ultimo campo negli ultimi anni si è assistito a un grande sforzo verso la miniaturizzazione dei processi mediante strumenti avanzati, specifici per la diagnostica e la terapia a livello delle singole cellule.

Parallelamente le moderne tecniche di microfabbricazione consentono di costruire complessi meccanismi tridimensionali di dimensioni confrontabili con quelle cellulari. Tuttavia, oltre a un telaio meccanico, un microrobot ha bisogno di motori controllabili in modo indipendente per poter eseguire un compito complesso. Un nuovo studio, coordinato dal Dipartimento di Fisica della Sapienza e pubblicato su “Advanced Functional Materials”, dimostra la possibilità di creare robot bioibridi e di programmarne il movimento mediante luce strutturata. Dalla combinazione di esperimenti e modelli matematici – evidenzia Sapienza – è emerso che, non solo questi microrobot possono sfruttare il nuoto dei batteri per muoversi, ma che il loro movimento può essere controllato a distanza sfruttando delle specifiche proteine che agiscono come nano pannelli solari.

“I nostri microrobot – spiega Nicola Pellicciotta della Sapienza – somigliano a dei carri armati microscopici, che al posto dei cingoli hanno due unità propulsive alimentate dalla rotazione di flagelli batterici. La velocità di rotazione può essere controllata dalla luce grazie a modifiche genetiche. In questo modo siamo riusciti a controllare la direzione del movimento di questi microbot illuminando le due unità propulsive con luce di diversa intensità”. “Come nei magazzini di Amazon – aggiunge Roberto Di Leonardo della Sapienza – centinaia di questi microrobot potrebbero un giorno navigare all’interno di un micro-deposito dove gli articoli da organizzare e distribuire sono le singole cellule in un campione biologico”. La ricerca – conclude Sapienza – apre la strada alla possibilità di utilizzare i microbot all’interno di laboratori biomedici miniaturizzati e in particolare nei compiti di organizzazione e trasporto di singole cellule in vitro.